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Redazione

Atlante emotivo del mercato di Walter Sabatini

Un tentativo di catalogazione degli acquisti del Direttore Sportivo più tormentato del calcio italiano.

“Questa esperienza qui non è stata una frazione di vita, ma è stata la vita”.

Walter Sabatini

 

 

Di cosa parliamo:

Giocatori acquistati: 86

Giocatori ceduti: 48

Costo acquisti: 464,81 milioni

Ricavi cessioni: 372,91 milioni

Totale: – 91,9 milioni di cartellini per 5 stagioni inebrianti. Comunque meno di quello speso dai produttori di Games of Thrones, per un livello di intrattenimento non inferiore.

 

 

L’enigma Erik Lamela

di Daniele Manusia

Acquistato: 2011, 17 milioni

Ceduto: 2013, 30 milioni

 

 

Durante la conferenza di addio, subito dopo lo splendido sbrocco sulle commissioni e sugli “individui” da portare in tribunale per vincere cause e spendere tutti i loro soldi alla roulette, Sabatini si è espresso sul suo più grande rimpianto. “Vendere Lamela mi ha ucciso”, ha detto.

 

E poi: “Lamela è stata la mia provocazione”, nel senso che in quella lontana estate del 2011 il giovane talento argentino (pagato in totale più o meno una ventina di milioni, che in quanto argentino e numero 10 era stato indicato come potenziale erede di Messi) ha rappresentato una dichiarazione delle sue ambizioni di nuovo D.S. della Roma. Una dichiarazione rivolta al tempo stesso alla Roma e alle avversarie della Roma: “Ci siamo anche noi”, sempre per usare le parole di Sabatini.

 

Il primo gol di Lamela con la maglia della Roma, all’esordio dopo solo 7 minuti, è una letterina di presentazione e al tempo stesso un epitaffio, nel senso che l’idea dell’esperienza di Lamela a Roma è racchiusa nelle potenzialità e nei limiti dell’idea di un calciatore mancino che può prendere palla in un punto qualsiasi del campo, partire in progressione e calciare da destra a giro sul secondo palo. Sostanzialmente è questa l’idea che è rimasta di Lamela a Roma, e racconta più che altro dell’attesa romantica (per questo in molti hanno sofferto al momento dell’addio) e inevitabilmente frustrante di un fenomeno in grado di risolvere qualsiasi partita in qualsiasi momento.

 

 

 

Lamela è il simbolo più fedele della complessità di Sabatini. E della difficoltà di chi vuole dare un giudizio complessivo (al di là del discorso più semplicemente economico, di trading). Da una parte è un giocatore più complesso di come appare, che non si riduce all’icona di Lamela che porta palla con la suola del piede, quel gesto che a Roma è diventato famoso come “pettinata” (un gesto individuato e descritte anzitempo da Federico Buffa; anche se Buffa dice che Lamela fa scorrere la palla con la suola “senza ridurre la corsa”, e magari era vero per il Lamela del River Plate mentre il Lamela maturo userà la pettinata per fare una specie di pausa, uno scarto orizzontale che serve sia ad aprire un pezzetto nuovo di campo alla sua visuale, sia, appunto, a rallentare).

 

Lamela ha dimostrato a Londra di potersi adattare a un sistema ordinato di alto livello, di aver bisogno anzi di una struttura di gioco solida da impreziosire con le sue giocate. In questo senso è un giocatore forse meno eccezionale di come ci è stato venduto (o meglio: di come ci è stato comprato), ma forse più utile e più durevole. Non una semplice plusvalenza, insomma, ma un giocatore di indubbia qualità anche se non un vero fenomeno.

 

Dall’altra parte, però, il minimo comun denominatore dei giocatori offensivi acquistati da Sabatini è una certa qualità spettacolare, come se Sabatini avesse deciso di dimostrare l’erroneità del motto “non è tutto oro quel che riluce”, o spingerlo persino oltre fino al paradosso secondo cui non è la luce che riflette a fare di Lamela un fenomeno ma comunque se si guarda con attenzione quello è comunque oro.

 

Un enigma quasi insolvibile che lascia il tifoso comune sfiancato nel tentativo di capire davvero come deve guardare i giocatore di Sabatini e come deve considerare Sabatini stesso: un Direttore Sportivo in grado di scovare fenomeni e di costruire una squadra vincente (magari completa) o una specie di collezionista di calciatori assurdi, con l’ala di un museo a lui dedicata con le gif di Pastore, Ilicic, Lamela?

 

Tra questi estremi conserveremo il ricordo di un Direttore Sportivo carismatico come un allenatore e con un gusto così spiccato per i calciatori (ai trequartisti eleganti che si muovono come ologrammi vanno aggiunti i difensori con doti di anticipo, come se la più grande qualità che un difensore possa avere per Sabatini è quella di togliere palla all’attaccante prima ancora che gli arrivi, difensori fatti di vento come Marquinhos, o veri e propri uragani come Manolas) che è più di una forma molto evoluta di professionalità. È passione vera, è amore.

 

 

Top 5 giocatori a fine carriera

di Emanuele Atturo

 

  1. Vasilis Torosidis

Acquistato: 2013, 400.000 euro

Ceduto: 2016, gratuito

 

 

Il mercato di Sabatini si è per lo più diviso fra scommesse sui giovani, scommesse sui vecchi e scommesse e basta. Pochi acquisti, insomma, erano privi d’ambizione, uno dei pochi è stato Vasilis Torosidis, che proprio per questo è stato in fondo piuttosto amato dai tifosi della Roma. Una squadra di calcio è anche un insieme di lavoratori, di onesti professionisti, di gente che “fa il suo”, e Torosidis era più che altro questo. Quando era in campo regalava una strana sensazione di normalità, rara a Roma: sapevi bene cosa aspettarti, nel bene o nel male, ed era rassicurante. Il suo culto è cresciuto nel tempo soprattutto grazie alla pagina Facebook “L’altra Europa con Torosidis”.

 

  1. Federico Balzaretti

Acquistato: 2012, 4,5 milioni

Ceduto: 2015, fine contratto

 

 

Se Torosidis era una buona coperta di Linus, Balzaretti è stato uno dei più forti simboli di una Roma emotiva fino alle lacrime, dove niente può essere normale. La storia di Balzaretti alla Roma ha la parabola perfetta della tragedia sofoclea, dove forze superiori sono inevitabilmente destinate a surclassare l’eroe. Una parabola che si apre con le lacrime del derby del 26 maggio, continua con le lacrime dopo il gol nel derby l’anno dopo, prosegue con l’infortunio per consunzione («in carriera non mi sono mai risparmiato») e si chiude col ritiro. Con Balzaretti la Roma si è scambiata così tanti fluidi emotivi che è dovuto rimanere per forza di cose nello staff di Sabatini, come riconoscimento di un’emotività esagerata da romanista DOCG.

 

  1. Morgan De Sanctis

Acquistato: 2013, 500.000 euro

Ceduto: 2016, fine contratto

 

 

Se vedessimo Sabatini come un imprenditore con un po’ di capitale da investire, Stekelenburg ha rappresentato il progetto di locale chic col quale voleva diventare ricco; De Sanctis il bar di quartiere che ti apri dopo che il locale è fallito e ti sono avanzati pochi spicci. Ormai hai rinunciato a svoltare, ti basta tirare avanti. Nel video sopra, De Santis esulta per un quarto d’ora dopo aver parato un rigore al Carpi sul 5 a 1.

 

  1. Seydou Keita

Acquistato: 2014, parametro zero

Ceduto: 2016, fine contratto

 

In questo caso Sabatini c’entra relativamente: Keita fu voluto da Rudi Garcia e oggi possiamo considerarla la cosa più elegante che il tecnico ha portato a Roma.

 

  1. Maicon Douglas Sisenando

Acquistato: 2013, parametro zero

Ceduto: 2016, fine contratto

 

L’idiosincrasia dei tifosi della Roma verso gli esterni bassi è una specie di condizione esistenziale: quando piove s’allaga tutto, la strada è piena di buche, mancano “du’ terzini boni”. Questo dolore, questo totale e assoluto bisogno di terzini, è stato lenito per un breve periodo da Maicon, per anni spauracchio della Roma sulla fascia destra dell’Inter. Maicon è stato uno dei primi acquisti post-26 maggio, che non a caso Sabatini ha indicato in conferenza come il momento in cui ha iniziato rivedere le proprie strategie. Il che ha voluto dire anche scommettere su vecchi campioni e non solo su adolescenti sudamericani.

 

Nel 2013 Maicon era già in chiaro declino, erano più sporadici i momenti in cui regalava sensazioni di superomismo quando attaccava la fascia destra. Ma quei momenti sono esistiti. Un mio amico che era all’Olimpico nel Roma – Verona che ho allegato sopra, una delle prime partite di Garcia, primo gol di Maicon della Roma, mi disse con un sollievo profondo: «Finalmente mi sono ricordato cosa vuol dire giocare con un terzino destro».

 

 

 

Il capolavoro Marquinhos

di Fabrizio Gabrielli

Acquistato: 2012, 3 milioni

Ceduto: 2013, 31 milioni

 

Non si può definire Marquinhos il capolavoro professionale di Walter Sabatini solo sulla scorta della somma algebrica tra la cifra pagata per il suo acquisto, in sordina e furbesco, dal Corinthians e quella per la quale è stato rivenduto, orgogliosamente e in maniera anche un po’ tracotante, al PSG. Non è volontà di discostarsi dal senso comune: inquadrarlo solamente in termini di plusvalenza è riduttivo dell’effettiva portata che questa manovra di mercato ha rappresentato non solo per Sabatini, ma allargando il campo per tutta la realtà romanista. L’intento principale di Sabatini a Roma, per sua stessa professione, era quello di operare una «rivoluzione culturale»: gli è riuscito solo in parte, ma di quella porzione di successo Marquinhos è il duplice emblema.

 

Scovare talenti e lanciarli su palcoscenici che sappiano consacrarli, e renderli appetibili sul mercato, che a volte e per realtà minori (anche se Sabatini non sarebbe d’accordo sulla minorità della sua Roma) è una situazione coincidente, è l’essenza stessa del mestiere di ogni direttore sportivo: nel caso specifico di Marcos, Sabatini è stato furbo nel fiutare la sovrabbondanza di centrali nella quale si gingillava il Corinthians, stuzzicarne l’interesse, presentarsi come la cassa di risonanza e valorizzazione europea della quale anche il Timão, in una maniera o nell’altra, avrebbe finito per beneficiare.

 

Dopo un periodo in prestito, nel quale Zeman gli conferisce sempre maggiore fiducia nonostante i suoi diciannove anni, per la Roma scatta l’obbligo di riscatto per una cifra vicina ai tre milioni di euro. Che sono tanti, per un meno-che-ventenne praticamente senza esperienza internazionale (e neppure nel campionato brasiliano), lanciato nel tritacarne del gioco di una squadra che le carriere dei centrali difensivi può esaltarle come affossarle definitivamente; ma anche pochi, per un prospetto di assoluto e cristallino valore, capace di rievocare nelle menti dei tifosi i sincronismi perfetti degli interventi di Aldair, ma con l’ardore tempestoso delle anime fanciulle.

 

La Roma, i giovani, ha sempre avuto la fortuna, e forse la spocchia, di coltivarseli in casa, e raramente se ne è privata: se Marcos, adamantina eccezione che invalida la regola, ha lasciato Trigoria dopo solo un anno, per certi versi esaltante e per cert’altri annichilente (in questo gol c’è tutto, fuorché l’effettiva colpa, quel che basta per bruciarsi su una piazza), è perché Sabatini ha scelto di immolarlo sull’altare della sacra causa della plusvalenza, sì, ma anche del reinvestimento in ottica migliorativa.

 

Se oggi Marquinhos può essere definito il capolavoro di Sabatini (e il peggior affare per il Corinthians), in buona sostanza, non è tanto per la preziosità in sé che ha generato, quanto perché con trenta milioni di euro si può davvero costruire una squadra intera: quel tesoretto è servito per acquistare Benatia, per esempio, a sua volta ulteriore mattoncino con cui lastricare la strada verso una rivoluzione, alla fine, solo auspicata. Che magari non sarà sfociata nel finale sperato, ma una volta tanto non è finita neppure con le ghigliottine in piazza, e le teste a rotolare.

 

 

 

Il pacco Mehdi Benatia

di Emiliano Battazzi

in: 2013, 13,5 milioni

out: 2014, 30 milioni

 

Nell’estate del 2013 la Roma ha bisogno di rifare la squadra quasi da capo per superare l’onta della Coppa Italia e soprattutto la devastante gestione tecnica Zeman-Andreazzoli. Si parte dalla difesa, ovviamente: dopo Tin Jedvaj (adesso al Bayer Leverkusen), la Roma annuncia l’acquisto di Mehdi Benatia. Sul franco-marocchino si basava la ricostruzione della difesa: adesso ci sembra una scelta naturale, logica. Allora non lo fu: Benatia non era un giovane di belle speranze, era un difensore già fatto, che l’Udinese aveva preso addirittura dalla Ligue 2 francese. Aveva raccolto poco meno di 100 presenze in Serie A nelle tre stagioni in Friuli, e nell’anno precedente aveva giocato poco per dei problemi fisici. In più, sembrava un giocatore perfetto per la difesa a tre dell’Udinese, ma nella Roma avrebbe dovuto giocare a quattro. Si diceva che fosse lento, addirittura. Insomma, il giorno del suo acquisto per 13,5 milioni di euro (compresi i giovani Verre e Nico Lopez), più di qualcuno disse che Sabatini aveva preso il pacco dai Pozzo.

 

 

Invece su Benatia la Roma ricompattò non solo la difesa ma anche la squadra: nel record di 10 vittorie consecutive iniziali, i giallorossi subirono un solo gol. E Mehdi ne segnò addirittura cinque a fine stagione, tra cui uno splendido slalom contro la Sampdoria.

 

Una storia finita bruscamente: il suo agente a fine stagione chiede un aumento spropositato, Sabatini lo definisce “menestrello”, dichiara la cedibilità di Benatia solo per 61 milioni, e poi lo vende al Bayern di Guardiola per 32, dicendo di averlo messo a metà prezzo perché ormai era solo un “simulacro”. Senza di lui, la difesa della Roma ha continuato ad avere problemi soprattutto in fase di impostazione: ma prima di Sabatini, Benatia era solo un progetto di gran difensore.

 

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