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Aspettando Nishikori
11 feb 2016
11 feb 2016
Il tennista giapponese è migliorato, ma tanto da vincere uno Slam?
(articolo)
16 min
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La reazione degli americani al bombardamento di Pearl Harbor non si limitò allo sgancio della bomba atomica di quattro anni più tardi. Si aggiunse l’imposizione di un trattato - siglato a San Francisco - che assoggettava il Giappone allo stato di vera e propria colonia industriale statunitense. Il presidente Truman ordinò che fosse disposta l’occupazione fisica della terra del Sol Levante attraverso l’esercito, e la potenza industriale che si venne a creare a seguito di tutta questa situazione fu estremamente rilevante negli equilibri internazionali. Anche se poi il Giappone riacquisterà la propria indipendenza in ambito economico, l’alleanza di ferro con gli statunitensi sopravviverà, e con risultati floridi per entrambi.

Project 45

L’asse Washington-Tokyo affondava in realtà le sue radici nel lontano 1854. Fu firmata a Kanagawa una Convenzione altrimenti definita “Trattato di amicizia e pace tra il Giappone e gli Stati Uniti”, ribadita quattro anni più tardi con il Trattato di Harris, più specifico in materia di rapporti commerciali.

A metà dell’Ottocento, in quegli anni, il tennis era ancora una disciplina in via di formazione. L’origine del gioco vero e proprio viene fatta comunemente risalire alla prima edizione di Wimbledon, nel 1877: un campo di partecipazione in cui figuravano esclusivamente praticanti britannici, con i primi statunitensi a fare da comparse alla fine del secolo. Inutile rimarcare quanto l’Asia fosse distante da quel mondo (e quanto, sostanzialmente, lo sia stata fino ad un decennio fa): il progetto nippo-americano di un fuoriclasse come Kei Nishikori sarebbe stato utopistico.

Nel 2004 fu offerta a Nishikori – a 15 anni non ancora compiuti – una delle quattro borse di studio messe in palio dalla fondazione di Maasaki Morita per allenarsi alla Bollettieri Academy di Bradenton, in Florida. In quegli anni l’accademia del guru americano era già celebre per aver prodotto alcuni dei maggiori campioni del tennis del decennio precedente, come Agassi, Courier e Monica Seles. Tutti contraddistinti da uno stile di gioco molto preciso, con aperture più moderne e un lavoro maniacale sugli appoggi, frontiere mai esplorate in precedenza.

Bollettieri consiglia un giovane Agassi dall'indimenticabile chioma bionda (che poi era una parrucca? Quella della parrucca era solo una trovata pubblicitaria? Forse non sapremo mai la verità).

Maasaki Morita era il fratello di Akio, fondatore della multinazionale giapponese Sony negli anni Quaranta. La sua passione e la sua competenza erano state messe al servizio di una collaborazione con la più famosa accademia di tennis del pianeta. La stessa che permetterà a Nishikori di affermarsi ai massimi livelli, fin dove mai nessuno dall’estremo Oriente aveva osato spingersi.

Quando Kei Nishikori si lanciò nella carriera professionistica era stato marchiato da quel "Project 45" che suonava più come una minaccia distopica che non come una reale ambizione. L'obiettivo era quello di superare il best ranking (46) di Shuso Matsuoka, il prodotto meglio riuscito della federazione giapponese prima di Nishikori. Ma chiudere le proprie barriere mentali in quell'aspirazione sarebbe stato in realtà riduttivo per un atleta col suo talento. Soprattutto se quell'obiettivo era già stato raggiunto a 22 anni quando, dopo la finale del torneo di Basilea (con tanto di vittoria 6-0 al terzo in semifinale sul Djokovic cannibale di quella stagione), ha scalato 17 posizioni, dalla 47 alla 30.

I primi assaggi di un'altra dolorosa sconfitta per Nole.

Con più di quattro anni nel frattempo trascorsi, parlare di "Project 45" è diventato un atto onestamente ridicolo per un tennista che ha dimostrato di poter restare con costanza ai piani altissimi. Già nel 2008, con la vittoria del torneo di Delray Beach da teenager, Nishikori sembrava destinato a un futuro più che luminoso, oscurato poi da una serie infinita di problemi fisici dalla quale ha avuto la forza di uscire, esplodendo con qualche anno di ritardo.

Il game che regala a Nishikori il primo titolo ATP, nel 2008.

Le imprese del 2014 hanno catapultato Nishikori in una nuova dimensione, nella quale è ormai possibile e lecito aspettarsi grandi risultati. I problemi fisici non hanno smesso di tormentarlo ma il livello di gioco è sensibilmente salito. Gli addetti ai lavori bramano ormai da un lustro abbondante una figura alternativa al quadrumvirato e già in tanti si sono ormai rassegnati ad attendere la crescita, ancora abbozzata, dei ragazzini. Resta tuttavia la sensazione che le porte per entrare nel club più esclusivo dei vincitori Slam non siano ancora sbarrate a Nishikori, soprattutto se in questo 2016 riuscisse finalmente a incastrare tutti i pezzi di un altro puzzle sapientemente prodotto da Bollettieri.

Like Chang?

Già negli anni Novanta, Nick Bollettieri aveva una visione lungimirante dell’evoluzione del gioco del tennis, un’idea difficilmente accettabile dai nostalgici delle stop volley di McEnroe. Spesso si dimentica che tra i prodotti meglio riusciti dalla Academy di Bradenton vi siano anche gli estrosi Haas, Malisse, o quel gigante bielorusso di nome Max Mirnyi (“The Beast”) diventato poi uno dei migliori doppisti di tutti i tempi. Per dire che Bollettieri nel tempo ha anche evidenziato una giusta dose di flessibilità nello sviluppare il potenziale di un giocatore, assecondandone le qualità più specifiche.

Mirnyi non è esattamente un “baseliner”.

Se chiediamo a Bollettieri quali siano le migliori caratteristiche di Kei Nishikori la prima che il cervello fotografa è assolutamente la velocità dei piedi. Una qualità favorita dall’altezza ridotta (1,80, dal sito dell’ATP) rispetto all'attuale standard, ma che non può essere unicamente riconducibile alle leve brevi. Soprattutto se l’accostamento più immediato ai campioni del passato – che si possa fare in quella particolare qualità - è quello con Andre Agassi, anche lui frutto del lavoro di Bollettieri in gioventù.

Agassi era famoso anche per questi continui passettini tra un punto e l’altro, oltre che durante il gioco.

Per trovare qualcuno con la stessa rapidità dei piedi di Nishikori è necessario allontanarsi dal mondo del tennis. Il giapponese potrebbe magari essersi ispirato ai ballerini del flamenco (il ballo andaluso diventato insospettabilmente molto popolare anche nel suo Paese d’origine), allo stesso modo in cui Federer si troverebbe senza dubbi a proprio agio in un saggio di danza classica.

Questo suo frenetico ma preciso esercizio di movimento degli arti inferiori gli consente di avere grandi vantaggi in tre fasi del gioco: riesce ad organizzare velocemente la rincorsa alla palla in fase difensiva; ad avere un timing migliore sulla palla, impattandola con qualche frame di anticipo e rubando il tempo all’avversario; e ad organizzare presto l’apertura dei due fondamentali, e quindi a mettersi quasi sempre in una posizione di spinta comandando il gioco, anche e soprattutto attraverso una rapidissima uscita dal servizio.

È proprio l’aggressività a essere diventata, col tempo, una costante sempre più rilevante nell’approccio tattico di Nishikori. L’assunzione di Michael Chang ad affiancare lo storico coach Dante Bottini avrebbe giocato un ruolo fondamentale in questo senso, a detta del giapponese che precedentemente alla gestione dell'ex campione del Roland Garros mostrava una maggiore passività negli scambi. La stessa aggressività insita, da sempre, nell’attitudine del tennista medio statunitense e non circoscritta agli spilungoni (tra i quali quell’Anderson sudafricano di nascita e americano di istruzione), ma magari estesa anche a chi, come Donald Young, non abbonda in centimetri.

Michael Chang era un tennista sicuramente più passivo e regolarista rispetto a Nishikori, in un'epoca storica dove - almeno sulla terra battuta - non era obbligatorio giocare un tennis proattivo per avere successo. Nonostante la leggendaria affermazione a Parigi nel 1989 a soli 17 anni, accompagnata da un'altra finale sullo Chatrier persa contro Muster nel 1995, Chang ha sofferto per buona parte della carriera la propria carenza di statura al cospetto dei campioni del suo tempo. Già in questo pezzo d'archivio del Corriere della Sera si poneva l'accento sulla lacuna di centimetri patita dall'americano di origini taiwanesi, che per controbilanciare le variabili in gioco si era attrezzato di una racchetta circa 2,5 centimetri più lunga rispetto alle misure canoniche di allora. Forse Nishikori si è affidato a Chang per farsi consigliare da un tennista di successo che durante l'intera carriera si è ingegnato per compensare gli svantaggi della statura ridotta.

Il grande salto di qualità compiuto da Nishikori con Michael Chang, però, c’è stato soprattutto a livello psicologico. Chang ha suggerito al giapponese un diverso compromesso di scelte sul campo, soprattutto con la prima di servizio. Senza aver effettuato sostanziali modifiche tecniche al colpo, Nishikori ha aumentato la propria media di ace per ogni match da 2,5 (stagione 2012) e 2,6 (2013), per arrivare ai 4,3 del 2014 (la prima stagione con Chang al proprio angolo), fino ai 4,6 del 2015. Due ace in più in ogni partita, una media quasi raddoppiata in un solo anno e che provoca un innalzamento della percentuale di punti ottenuti con la prima a scapito della percentuale di prime in campo, più bassa.

I primi servizi in campo si sono ridotti dal 63,5% del biennio 2012-2013 al 60% dell’era-Chang, ma i conseguenti punti ottenuti con lo stesso colpo sono aumentati dal 69% del 2013 al 73% dell’anno seguente, fino ad innalzarsi al 75% della stagione 2015. Il risultato di questo lavoro è che gli stessi game di servizio che Nishikori si è aggiudicato - nonostante qualche seconda in più rispetto a qualche anno fa – si siano alzati dal 78% delle stagioni 2012-2013 all’84% del 2014 e all’86% del 2015. Numeri indispensabili se si vuole competere ad alto livello, anche per un giocatore il cui colpo dominante di inizio gioco è senza dubbio la risposta, nella quale Nishikori è da anni ai vertici mondiali nelle rispettive statistiche. E che dimostrano che il set up più aggressivo e meno regolarista sia per lui più efficace.

Contro Federer nell'ultimo Master (uno dei migliori battitori del circuito), Nishikori vince il 40% dei punti totali in risposta (16% sulla prima di Roger, 70% sulla seconda). Il giapponese vince il secondo set, aggiudicandosi praticamente la metà dei punti in ribattuta e portando matematicamente a casa il punto quando risponde (molto spesso) con grande profondità, direzionando quasi sempre la risposta verso il colpo debole di Federer (il rovescio).

L’aggressività che Nishikori esprime non si limita al nuovo punch sulla prima di servizio. Il giapponese ha imparato a utilizzare la rapidità dei piedi per prendere subito il comando dell’inerzia dello scambio. I problemi collaterali legati alla statura sono soprattutto la mancanza di peso muscolare e, contemporaneamente, un effetto-leva sicuramente ridotto. Difetti che gli impediscono di essere molto diretto negli scambi da fondo e che a volte lo lasciano in balia di “colpitori” più muscolari.

A partire dal minuto 9:40, per sfuggire alla pesantezza di palla nello scambio di un Wawrinka in giornata, Nishikori si rifugia in insoliti serve and volley.

Nishikori deve compensare queste sue carenze naturali attraverso un approccio tattico che prevede una pressione costante e progressiva nello scambio. Il giapponese accetta molto raramente la semplice ribattuta, perdendo anche solo piccole porzioni di campo: si posiziona più vicino possibile alla riga di fondo cercando di coniugare anticipo, spinta, profondità e apertura degli angoli.

Lo stesso Bollettieri, nella stessa intervista di prima, cita la grande «abilità di vedere e creare spazi sul campo» come una delle fondamentali peculiarità del suo pupillo.

La perfetta testimonianza dell'intelligenza tattica di Nishikori. Contro Chardy (Parigi-Bercy 2015) il giapponese distribuisce (sopra) i due terzi dei propri colpi verso il punto debole del francese (il rovescio), eppure scaglia 6 vincenti (pallini rossi) dall'altra parte contro i soli 3 dalla parte del rovescio di Chardy. Chiarissimo: guadagna campo premendo sul lato meno forte dell'avversario, che si sposta verso sinistra per coprire il proprio rovescio liberando però la zona destra sulla quale Nishikori picchia per il colpo definitivo (sotto).

L'atteggiamento in campo di Nishikori è aggressivo, martellante: prima di ottenere un vincente deve lavorarlo aprendosi gli spazi attraverso una costruzione geometrica del punto.

Abbastanza indicativo.

Anche la velocità del braccio di Nishikori, oltre a quella dei piedi, è di primissimo livello. A partire dal fondamentale del dritto, che il giapponese esegue con il gomito leggermente piegato, che gli consente una frustata minore sulla palla, ma contemporaneamente una maggiore capacità di velocizzare la rotazione sia del braccio che del busto. Lo stesso concetto fisico per il quale i pattinatori si “rattrappiscono” nell’eseguire le trottole e aprono invece le braccia quando decidono di rallentare la rotazione.

Il dritto è probabilmente il fondamentale verso il quale Nishikori nutre una stima leggermente inferiore, Nonostante l’impugnatura molto aperta (semi-western tendente a western) che gli consente maggiore top spin e quindi teoricamente più sicurezza. Con il rovescio Nishikori colpisce invece in maniera più “piena”, con un’apertura inferiore. Emblematica in questo senso la sua capacità di generare velocità anche con il colpo bimane su palle senza peso.

Provare a cambiare ritmo con il back (come tenta di fare Kohlschreiber) non è una tattica produttiva contro Nishikori. Il giapponese guadagna campo progressivamente spingendo molto bene con il rovescio sulle palle basse e con il taglio all'indietro.

Sintomatica della sua splendida capacità di timing sul rovescio anche la frequenza di lungolinea incisivi o addirittura vincenti, chiari segnali di fiducia cieca nel fondamentale bimane.

Nishikori domina il primo set della finale di Madrid 2014 contro Nadal giocando prevalentemente rovesci lungolinea.

Il lungolinea gli permette di tagliare le gambe all’avversario e produrre direttamente un vincente:

Spesso anche direttamente dalla risposta al servizio, da sempre una sua prerogativa:

Ma gli permette anche di ribaltare l’inerzia di uno scambio in cui (raramente) è messo alle corde:

Nishikori resiste alle forzature di Wawrinka, ricacciandolo indietro con uno splendido rovescio lungolinea e aggiudicandosi il punto.

Tra i tennisti di primo livello, il timing sulla palla di Nishikori ha mandato più volte in crisi soprattutto Nadal. Non è un caso che lo spagnolo abbia uno score negativo di 6-1 sui campi duri contro Davydenko, il vero re del footwork e dell'anticipo sulla palla prima dell'esplosione del giapponese.

La scalata e i problemi

La strada verso trionfi Slam pare al momento sbarrata da un Novak Djokovic che non ha intenzione di lasciare per strada nessun titolo. Eppure un possibile scenario ipotetico nel quale Nishikori possa finalmente compiere l'ultimo salto di qualità - giocandosela alla pari con i primissimi in ogni occasione - non è così inimmaginabile.

L’impressione è che non dipenda totalmente da Nishikori, considerati anche i miglioramenti dell’ultimo anno che non gli hanno portato trionfi significativi. Il suo fisico, che gli consente un approccio al gioco così veloce e aggressivo, presenta comunque dei limiti oggettivi per il tennis contemporaneo.

Se Nishikori non ha ancora raggiunto i livelli dei primissimi, infatti la colpa principale non è però da attribuire a eventuali carenze tecniche. Oltre che di qualche centimetro, Nishikori avrebbe anche probabilmente bisogno di qualche altro chilo di massa muscolare.

Nonostante sia straordinario anche nella gestione delle fasi difensive, si ha a volte l'impressione che il peso della palla avversaria sia sul punto di trascinarlo via. Nishikori non è certamente un giocatore sconnesso nel suo assetto difensivo, ma non ha probabilmente la stessa stabilità corporea dei Fab Four quando chiamato a contenere le accelerazioni avversarie e rimandarle. Tutto quello che riesce a guadagnare con la velocità di piedi - irraggiungibile per chiunque - Nishikori lo compensa con qualche impercettibile lacuna di stabilità muscolare al momento dell'impatto, nonostante sia in possesso di una coordinazione di primissimo livello.

Djokovic ha una stabilità di corpo e di appoggi probabilmente unica: Nishikori patisce un po' il braccio di ferro fisico col Numero Uno, fino a non riuscirne a contenere l'ultima accelerazione.

La più probabile motivazione alla base dell'imperfezione della preparazione muscolare di Nishikori è da ricondurre ai numerosi infortuni. O forse è un circolo vizioso dal quale non si esce: gli infortuni impediscono al giapponese preparazioni atletiche perfette, che a loro volta lo rendono più soggetto ad infortuni. Una mappa - quella dei problemi fisici - che potete trovare molto più dettagliata in questo articolo di Ubitennis, non troppo dissimile da quella, molto famosa, che fu modellata sul corpo e sulle sventure di Rafa Nadal.

È complicato capire quanto margine di lavoro muscolare si possa compiere evitando di sovraccaricarlo, con conseguenti rischi per l'integrità fisica. Il dato di fatto che resta, inconfutabile, è che il non perfetto feeling con il proprio fisico crei inevitabili tarli mentali, che non possono non condizionare il suo tennis. Per questo motivo, probabilmente, gli abbiamo visto perdere alcuni match decisamente alla sua portata.

Uno di questi era la prima e finora unica finale Slam, allo US Open 2014 contro Marin Cilic. Che non ha in realtà alla base problemi fisici più o meno marcati, ma un'eccessiva tensione, forse. Ecco, se c'è un tassello mancante - l'ultimo, ma non certo per importanza - quello è la consapevolezza di sé.

La settimana della vita per Cilic, ma la rigidità di Nishikori gli ha dato una mano.

Il suo body language è fin troppo timido e remissivo per quelle che sono le sue reali attitudini psicologiche. Non a caso le migliori partite della carriera le ha giocate da underdog, fallendo l'irripetibile appuntamento di una finale Slam priva di un Big Four e nella quale partiva probabilmente favorito.

La dimensione di Nishikori

Fino a questo momento Kei Nishikori ha un best ranking di numero 4 raggiunto nel marzo del 2015, sfruttando al massimo il jackpot di punti accumulati nell'intervallo annuale a seguito dei suoi maggiori exploit in carriera, concentrati nel 2014. La finale Slam a New York e quella di Madrid contro Nadal - persa probabilmente per colpa di un problema alla schiena sopraggiunto quando era avanti per 6-2 4-2 - lo hanno lanciato a ridosso dei colossi al vertice delle classifiche ATP, tanto nei punti del ranking quanto (soprattutto) a livello di gioco.

Già quest’anno probabilmente capiremo se Nishikori è destinato a una semplice carriera da riserva dei veri campioni, pronto ad alzare trofei sfruttando eventuali passaggi a vuoto dei migliori ma incapace di sconfiggerli in condizioni "normali". Un ruolo simile a quello di David Ferrer. Eppure Nishikori ha dimostrato - nei pochi mesi in cui ha alzato il proprio livello - di essere molto più capace di giocare alla pari con i primi nel singolo match rispetto al valenciano (esecutore di un piano tattico efficace ma troppo schematico e leggibile) e di possedere comunque una discreta continuità nei risultati.

Dopo aver quasi battuto Nadal in una finale su terra, e più volte Federer, Nishikori raggiunge la sua unica finale Slam sorprendendo Djokovic in semifinale a New York. È l'ultimo giocatore ad aver battuto Djokovic al meglio dei 5 set sulla superficie preferita dal serbo.

Se escludiamo i Fab Four quindi (ma Nadal è ancora Nadal?), Wawrinka, Raonic nella sua nuova versione di volleatoree Nishikori sembrano le figure più indicate per la corsa alla vittoria di uno Slam, con i ragazzi dal '95 in giù (a partire da Kyrgios) ancora eccessivamente acerbi. E il giapponese ha in ogni caso quattro anni di vantaggio sul campione del Roland Garros, ed è ancora un cantiere aperto.

Nishikori ha l'obbligo morale di non considerarsi plafonato nella sua attuale etichetta di membro della Lost Generation, quella leva di giocatori compresa tra il 1989 e il 1992 sulla quale molti hanno smesso di riporre le proprie speranze. Non fosse altro perché dei Top Ten è il più giovane. In fondo la carriera di Nishikori è ancora breve e piena di percorsi inesplorati. Nessuno precluso per sempre.

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