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Claudio Giuliani
Raonic ha aperto le ali?
26 gen 2016
26 gen 2016
Il tennista canadese ha battuto Wawrinka agli Australian Open dimostrando dei miglioramenti nel suo gioco. Dove può arrivare?
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Claudio Giuliani
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Quando Milos Raonic è arrivato al matchpoint contro Stan Wawrinka, con lo svizzero al servizio sotto 5 a 2 nel quinto set, Riccardo Piatti ha battuto le mani come se dovesse schiacciare qualcosa nel mezzo. Aveva la barba di qualche giorno, in prevalenza bianca, e la forza del suo applauso tradiva il nervosismo di chi aveva visto il proprio giocatore sciupare un vantaggio di due set. Milos sbaglierà quel matchpoint, ma l’ennesimo turno di battuta tenuto in maniera esemplare consegnerà il primo quarto di finale australiano per il canadese, il quarto in un Major. Nessuno ha fatto meglio nella storia del Canada dato che Robert Powell fu quarto finalista a Wimbledon nel 1908, 1910 e 1912, quando la bandiera del Canada era la “red insign”, cioè aveva lo stemma del Regno Unito in alto a sinistra: una vita fa, insomma.

 

Così facendo, Raonic dopo la semifinale a Wimbledon del 2014, ha conquistato per la seconda volta (consecutiva) i quarti di finale agli Australian Open. Solo agli US Open non è riuscito ad andare oltre il quarto turno, uno Slam che pure dovrebbe essergli più congeniale rispetto agli Australian Open e al Roland Garros. Il team Piatti, come il nome dell’omonima accademia stampato in verde su quella felpa bianca che è un po’ la divisa di Riccardo quando gioca Milos, ha esultato rabbiosamente, perché buttare fuori Stan Wawrinka dagli Australian Open è un gran risultato: parliamo di un giocatore che ha vinto due Slam e che in Australia ha giocato benissimo negli ultimi tre anni.

 

Ma Raonic, questo Raonic, il Raonic che avevamo visto battere Roger Federer in finale a Brisbane agevolmente, non ha destato molta sorpresa. E forse questa vittoria non ha sorpreso nemmeno lui vista la calma glaciale che ha ostentato per tutta la partita, sia quando è andato due set a zero in maniera molto rapida, sia quando Wawrinka ha rimontato, lui sì alla ricerca di gesti di esultanza plateali, con quei “c’mon” urlati in faccia all’avversario e allungati nella fonetica, cercando forse di scuotersi da una specie di torpore che non si può spiegare solo con quel raffreddore tanto chiacchierato di inizio settimana.

 

Milos Raonic forse non è un giocatore bello da vedere, e neanche uno di quelli che mette in condizione l’avversario di giocare, e quindi di fare una bella partita. Spesso è addirittura citato come uno degli esempi del declino della spettacolarità del tennis.

 

Fino al match con Stan il suo ruolino nel 2016 è stato esemplare, specie a Melbourne: 9 game concessi in tre set a Pouille nel primo turno, un 7-6 7-6 7-5 con Tommy Robredo al secondo,  e altri 9 game concessi sempre in tre set a Troicki, uno che quest’anno ha pure vinto un torneo e quindi tanto male non sta giocando. Match che sono stati programmati su campi secondari dato lo scarso appeal. Ma per la partita con Wawrinka, che fino ad oggi aveva passeggiato contro avversari decisamente più deboli, c’erano le attenzioni di tutti. E sono state ripagate.

 

Quando Milos ha iniziato la sua partita, quando tutti si sono finalmente degnati di dare uno sguardo a questo bombardiere, si è capito subito che non sarebbe stata una buona giornata per Stan. Milos non aveva nessuna intenzione di giocare quei lunghi scambi da fondo campo che invece piacciono allo svizzero, che gli permettono di entrare in ritmo e di mettere la partita sul braccio di ferro. Stan ha avuto meno tempo per caricare i colpi, pur essendo il Plexicushion di Melbourne piuttosto lento e quindi adatto alle sue caratteristiche tecniche. Raonic, specie dopo aver perso il terzo e il quarto set, forse sarebbe tornato a scambiare da fondo e sarebbe stato inesorabilmente sconfitto, come le quattro volte precedenti in cui è riuscito a vincere appena un set. Un giocatore con un’anca così alta e quindi con un baricentro tutt’altro che ottimale per il tennis, non può che soccombere nei lunghi scambi da dietro. Quel Raonic, quello che era super competitivo anche solo grazie al servizio, forse non c’è più.

 

Il canadese ha iniziato la partita seguendo il servizio a rete, ma questa non era una novità. Quello che però ha lasciato subito intendere il canadese, è che alla minima possibilità avrebbe preso la rete, anche seguendo attacchi non propriamente ben eseguiti. Se il rovescio coperto di Raonic è un colpo che appare migliorato ma ancora non così affidabile, quello tagliato, che pure non è stilisticamente impeccabile, sembra poter essere l’arma in più. Non appena poteva, spesso dopo qualche scambio sulla diagonale di rovescio, lo indirizzava in lungolinea, costringendo Wawrinka a fare quello che sa fare peggio: giocare il dritto in corsa.

 

Stan, che ha migliorato molto questo colpo negli ultimi anni (è stata la vera chiave dei suoi recenti successi, ancor più del rovescio, storicamente il suo colpo migliore), è stato a lungo in balìa di questo schema. E nei primi due set non è riuscito praticamente mai a passare il canadese a rete con il diritto. Ma ecco qui il punto: Raonic è diventato così forte a rete? Forse, visto che sulla volée di rovescio l’esecuzione è buona ma dal lato del dritto ogni tanto i colpi di volo finivano o lunghi o affossati in rete. Ma anche seguendo attacchi non eccezionali, spesso corti se effettuati in lungolinea sul dritto di Stan, Raonic riusciva a coprire perfettamente la rete. È lì che è diventato abile, nel posizionarsi correttamente, più che nell’esecuzione dei colpi.

 

https://youtu.be/PYheRTpHMSU?t=26

Qui serve Stan, ma Raonic con due colpi prende la rete e al terzo chiude la volée.



 

Stan non riusciva praticamente a fare il suo gioco, anche perché considerate le sue ampie aperture, sia di dritto che di rovescio, non riusciva ad essere efficace con la risposta bloccata, una palla lenta che permetteva a Raonic di avvicinarsi alla rete e di avere più tempo per cambiare l’apertura per la corretta esecuzione della volée.

 

Quando a metà del terzo set Stan si è svegliato dal torpore, e contemporaneamente Raonic è sceso leggermente di intensità, cominciando a sbagliare qualche dritto di approccio, finalmente c’è stata partita. Wawrinka si è rimesso in carreggiata vincendo terzo e quarto set, portando la partita al quinto set. Ma Raonic non si è scomposto minimamente. Ha ritrovato la sua intensità di gioco, è andato a rete altre 16 volte vincendo 11 punti e ha vinto set e partita. A fine gara Milos totalizzerà 83 discese a rete con 54 punti conquistati, un terzo dei punti totali vinti dal canadese (167).

 

https://twitter.com/TennisMoving/status/691565932808777729

Una di quelle rare volte che Stan è riuscito a passare Milos a rete.



 

Il fatto che ha stupito della partita di Raonic è stata la perseveranza nell’applicare la sua strategia di gioco. Un dato, quello della disciplina tattica nel seguire il proprio piano gara, che sempre più fa la differenza nel tennis attuale, e che spesso fa la differenza tra chi vince i tornei e chi no.

 

Contro Wawrinka, uno che in Australia ha vinto il torneo due anni fa e perso solo in semifinale contro Djokovic l’anno scorso, ha continuato a scendere a rete e a ridurre al minimo possibile gli scambi da fondo anche quando sembrava che le cose potessero cominciare ad andare male. Riccardo Piatti, coach principale di Milos, ha lavorato evidentemente molto per cambiare l’

del canadese, facendogli capire che i rischi, per un giocatore con questo fisico e con i colpi di inizio gioco devastanti come servizio e primo dritto se la palla ritorna in campo, è meglio prenderli a rete che a fondo campo.

 

E Milos così ha fatto. Glaciale nell’atteggiamento, ferale nell’esecuzione del diritto e della volée che seguivano spesso servizi più lavorati che velocissimi, Raonic ha dimostrato di credere ciecamente nell’evoluzione che Piatti gli ha messo di fronte, quella di aprire le ali.

 

In sala stampa, a proposito di questa calma, rispondendo a una domanda che gli chiedeva se dietro questa calma apparente si celasse agitazione, ha dichiarato: «Non più del solito, perché avevo bene in testa quello che dovevo fare in campo e credevo di poterlo fare. Credo che questo mi abbia dato una specie di calma e di pace».

 



Milos Raonic si è allenato al Country Club di Montecarlo a novembre del 2015, prima di partire per l’Asia dove ha giocato l’IPTL, un’esibizione che si gioca in Asia quando la stagione è finita. Riccardo Piatti, per farlo allenare, ha scelto un giocatore italiano di buon livello che parlava un inglese fluente, una caratteristica fondamentale richiesta per fare da sparring partner a Milos. A Montecarlo il team Piatti ha lavorato duramente per migliorare alcune cose specifiche del gioco di Raonic.

 

Anzitutto si è data molta importanza alla preparazione fisica. Il primo obiettivo del team per la stagione in corso è quello di mantenere il fisico di Raonic integro, raggiungere uno standard di rendimento medio che impedisca incidenti durante la stagione, specie dopo l’infortunio al piede che lo ha costretto al forfait ai tornei di Roma e Roland Garros del 2015, rallentando un’ottima partenza.

 

In molti potrebbero pensare che ad uno come Raonic non serva allenare il servizio. Invece Milos ha imparato - e la partita con Wawrinka lo ha dimostrato - a cambiare angoli, altezze e velocità del servizio. In passato, Milos tirava sempre a tutta velocità e sempre negli stessi angoli, con i giocatori che imparavano a “leggere” il colpo e arretravano di metri in risposta come contromisura. Ora il canadese cerca di più la variazione, cerca maggiormente una palla più liftata che gli consente (anche) di arrivare a rete meglio quando decide di seguire il servizio a rete.

 

Un altro degli obiettivi era quello di passare dalla fase difensiva alla fase offensiva durante lo scambio da fondo campo con il minor numero di colpi possibili. Carlos Moyá è stato fondamentale nel suggerire a Milos di usare molto di più il dritto, superando quella pigrizia negli spostamenti che gli faceva giocare qualche rovescio di troppo dalla mattonella dove si comanda il gioco.

 

Sul lavoro a rete Milos non ha fatto esercizi particolari. Quello su cui ha lavorato molto è sui colpi di approccio, cercare la rete con il diritto inside-out, tattica riuscita benissimo contro Wawrinka, o con il rovescio in back, un’esecuzione che non gli riesce in maniera molto naturale, ma che ha imparato ad usare con molta efficacia. Oltre ad essere molto alto, Milos ha le braccia molto lunghe e questo, unitamente alla costante presenza a rete delle ultime settimane, mette molta pressione all’avversario quando deve passarlo.

 



Il coach italiano, in una recente intervista, ha dichiarato: «Milos è un ragazzo che lavora in maniera straordinaria. Ha due punti di forza eccezionali come servizio e dritto, e poi è giovane». In realtà Raonic non è così giovane: è classe 1990, appartiene a quella categoria di giocatori, quelli attorno ai 25 anni di età, che sono chiamati a fare il grande salto, a cogliere una vittoria a discapito dei soliti vincenti. È quella che è stata definita “lost generation”, perché ad oggi nessuno dei nati dopo il 1° gennaio 1990 è riuscito a giocare una finale Slam. Il più giovane finalista Slam in attività è Kei Nishikori, nato nel 1989.

 

https://twitter.com/EurosportUKTV/status/691527416213282816

Come poteva chiudere questa partita Milos? Con la discesa a rete numero 84.



 

Perso Ljubicic per strada, che ha scelto di seguire un giocatore a fine carriera come Roger Federer invece che provare a portare al successo il canadese, il team Piatti ha reclutato Carlos Moyá. Piatti pensa che un ex giocatore di questa esperienza (è stato numero 1 del mondo ma soprattutto ha vinto un Roland Garros, nel 1998) possa essere d’aiuto: «Carlos è stato un grande campione, ha una esperienza enorme e sono contento di lavorare con lui perché metterà a disposizione la sua esperienza da giocatore, trasmetterà a Milos la capacità di affrontare diverse situazioni nell’arco dei tornei, specie se importanti come questi».

 

Lo stesso Milos, a fine gara, fra la soddisfazione espressa per il risultato raggiunto, alla fine della prima domanda, dopo un attimo di pausa, ha aggiunto: «Comunque, nonostante io sia felice, penso già alla prossima sfida». Quando riesci ad assaporare la felicità che un risultato del genere comporta ma, allo stesso tempo, a guardare il

, il tabellone che ti mette di fronte Gaël Monfils ai quarti di finale, allora l’approccio è quello giusto. E anche la fame di vittorie.

 

Riccardo Piatti è una persona molto umile: difficile leggere sue dichiarazioni su altri giocatori o commenti strampalati per guadagnare qualche titolo di giornale (al contrario di Boris Becker, per esempio). Preferisce lavorare duro durante l’inverno, quando si può lavorare sulla tecnica del giocatore in quel mese che la stagione concede. Ma per far questo, oltre alla propria capacità, serve la totale devozione del giocatore, fattore che Raonic sembra avere. Raonic crede in Piatti, e Piatti crede in Raonic. Riccardo potrebbe vincere la scommessa più grande della sua vita, ancora più grande di quella che pure ha vinto, quella di Ivan Ljubicic.

 

Raonic deve battere Monfils per raggiungere il suo miglior risultato di sempre in Australia. Il francese è un giocatore strano e dà il meglio di sé quando riesce a portare la partita su binari più consoni alla boxe, quando tecnica e strategia saltano e c’è solo da lottare. Se così fosse, Monfils farebbe partita pari, anche perché potrebbe raggiungere la sua seconda semifinale Slam della carriera, dopo quella di Parigi nel 2008. Se Raonic servirà come ha servito contro Wawrinka non dovrebbero esserci problemi, considerato che Monfils non è certo un giocatore che dà il meglio sugli scambi brevi. Tutt’altra storia in una eventuale semifinale con Andy Murray, che dovrebbe battere Ferrer sperando di non stancarsi tanto. I colpi migliori di Murray sono due: risposta al servizio e passante. Un test fondamentale per Raonic, che però deve tenere a mente un precedente importante, la semifinale di Wimbledon 2014. Arrivò a giocarsi quella partita contro Federer in maniera baldanzosa, finì che perse in tre set dallo svizzero, nemmeno troppo sudato a fine partita.

 
 

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