Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
10 giocate di Atta che vi faranno sentire meglio
28 nov 2025
Un giocatore speciale.
(articolo)
9 min
(copertina)
IMAGO / NurPhoto
(copertina) IMAGO / NurPhoto
Dark mode
(ON)

È venerdì, fa freddo, magari avete brutti pensieri. Magari siete tifosi della Fiorentina e non vedete la luce in fondo al tunnel. Magari siete tifosi dell’Atalanta e la notte continuate a sognare Gian Piero Gasperini. L’ultimo weekend di Serie A ha messo qualche gol in più, ma il calcio italiano rimane il solito grigiore. Ormai è tutto 3-5-2 a perdita d’occhio, esterni a tutta fascia, cavalli che corrono sul binario. I gol sono una rarità, i dribbling non ne parliamo neanche. Il calcio è anche questione di gusto, per carità, ma a guardare queste partite si sente la costrizione della contingenza: il mutuo da pagare, le bollette che stanno per scadere, quel punticino che fa comodo a tutti, anche a noi che guardiamo la classifica nella speranza che si muova. Se si gioca così in Italia è perché - ci diciamo - non c’è alternativa: tutti devono pensare al proprio lavoro, al proprio posto da titolare, alla zona salvezza che si avvicina, agli obiettivi che sfumano. Magari è anche vero eppure ogni giorno ci ritroviamo di fronte a questo maledetto foglio Excel a sognare di andarcene da qualche altra parte, dove tutti i calciatori giocano come Ronaldinho e Romario sulla spiaggia.

Per fortuna i momenti di evasione non sono del tutto scomparsi. C’è Nico Paz che danza sulla trequarti, Yildiz che la mette sotto al sette, le rovesciate di Bonazzoli. Soprattutto c’è Arthur Atta, un giocatore uscito dal pozzo senza fondo del talento francese per dare senso a una squadra che ha fatto della propria medietà un brand: “troppo forte per una autentica stagione fallimentare, ma non abbastanza forte per una stagione davvero di successo”, come ha scritto Emanuele Atturo nella guida di inizio anno. Le cose medie vanno in mezzo, per definizione, e infatti l’Udinese gioca quasi sempre alle 12.30 o più spesso alle 15, quando la sonnolenza postprandiale rende la staticità del calcio italiano quasi ipnotica.

In mezzo a questa palude di possesso perimetrale e palpebre a mezza altezza, le giocate di Atta ci scuotono dalla alienazione. Non è solo un’impressione data dal contrasto con la pigrizia decadente dei pomeriggi italiani: i numeri confermano che siamo davanti a qualcosa di eccezionale, soprattutto per la Serie A. Atta è infatti il giocatore del nostro campionato a cui riescono più dribbling, e questo non certo perché faccia economia sulle scelte. Il centrocampista francese tenta 3.81 dribbling per 90 minuti (dati Hudl StatsBomb), meno solo di Francisco Conceiçao, che però ha giocato quasi la metà dei suoi minuti e soprattutto è un’ala che gioca in isolamento. Atta invece è una mezzala, spesso viene sulla mediana a facilitare il possesso in mezzo a un mare di maglie avversarie, eppure la sua percentuale di riuscita nel dribbling è addirittura del 70%. In tutto sono già 33 i dribbling riusciti, 6 più di Saelemaekers, che è secondo in questa classifica pur avendone tentati 11 in meno e giocando con le spalle coperte dalla linea del fallo laterale.

Non ne voglio fare una questione numerica, però. Il piacere di guardare Atta non ha quasi nulla a che fare con il numero di volte in cui supera l’uomo. È il modo in cui lo fa, la leggerezza con cui si muove, che fa tutta la differenza. Per provare a farvi capire cosa intendo ho raccolto dieci sue giocate. Vedrete che alla fine dell’articolo vi sentirete molto meglio.

atta2

Partiamo da un doppio passo semplice, lineare ma che in Serie A è come un brivido di freddo d’estate. Il campionato italiano - breaking news - è anche in questa stagione il peggiore tra i cinque principali europei per dribbling tentati e la differenza, nella maggior parte dei casi, è marcata. L’unico campionato a cui ci avviciniamo è la Bundesliga (11.99 dribbling tentati a partita contro i nostri 11.77), per il resto sono tutti sopra ai 13 dribbling tentati a partita (Ligue 1: 13.18; Premier: 13.29; Liga: 14.03). La migliore squadra italiana degli ultimi anni, l’Inter, è costantemente in fondo alla classifica dei dribbling tentati. Come mai? Qualche anno fa Emanuele Mongiardo ne diede una spiegazione tattica. Il dribbling è di per sé un rischio - la possibilità che la palla venga persa in maniera pericolosa - e questo per gli allenatori italiani è intollerabile.

C’è un risvolto psicologico, culturale di questo discorso che credo sia poco esplorato. Il calcio italiano è in crisi perché i bambini non giocano più in strada, ci diciamo. Magari è vero, magari no: rimane il fatto che in queste discussioni la strada viene intesa unicamente come ambiente fisico, come luogo dove si può crescere tecnicamente, e non come sistema culturale. Eppure l’espressione “venire dalla strada” in italiano ha un significato chiaro e dovrebbe suggerirci subito cosa implica crescere, calcisticamente, in strada. Il calcio di strada è irriverenza, gusto per la sfida, sovvertimento delle regole, conflitto. Tutte cose a cui la società italiana è allergica anche fuori dal campo di calcio, ma che rendono interessante una partita di calcio al di fuori del campanilismo del tifo. Uno contro uno ha un significato letterale più profondo di quello che sbrigativamente immagazziniamo nel cervello quando parliamo di calcio.

Arthur Atta ha citato esplicitamente la strada tra i luoghi dov’è cresciuto, calcisticamente parlando, ma insomma basta guardarlo giocare. «Io sono nato col pallone accanto», ha detto in un’intervista alla Gazzetta dello Sport di settembre, «Ce l’avevo in camera da letto mentre ero ancora nella culla. Ho sempre voluto fare il calciatore, appena mi sono tirato su in piedi ho cominciato a giocare nel giardino di casa, da solo o con gli altri bambini. Me l’hanno chiesto tante volte, cosa avrei fatto se non fossi diventato un calciatore, e ho sempre dato la stessa risposta: non ho mai pensato di fare altro nella vita».

atta3

Che cos’è questa? Una Cruyff turn? Zerbin già non ci aveva capito niente sul primo controllo, che aveva provato a intuire alla cieca alle sue spalle, poi in un attimo è di nuovo costretto ad aggrapparsi alla maglia di Atta che gli è sfilato davanti. L’esterno della Cremonese, insomma, ci fa la figura del fesso (vi ricordate? L’irriverenza, la sfida, il conflitto, eccetera). E infatti Bondo reagisce come se ci fosse un conto da saldare: quando Atta ha già scaricato il pallone con l’esterno (delizioso), lui mette il corpo in mezzo alla sua traiettoria di corsa per dargli una spallata sul petto. Ci sta: in strada si viene anche menati.

atta4

La cosa interessante di Atta è che c’è un netto contrasto tra come gioca in campo e come si comporta fuori. In campo fa cose come questa - un tunnel a De Silvestri facendo finta di star controllando il pallone, l’equivalente di un furto di un orologio - fuori invece sembra un uomo borghese di mezza età della provincia francese. Il linguaggio forbito, le interviste sobrie ma significative, il profilo Instagram quasi vuoto. Atta ha detto che telefona ai propri genitori dopo le partite per avere un loro parere (suo padre è anche ex calciatore). E poi dice cose che sembrano uscite da un film di Rossellini, come: «Il calcio è libertà, è ancora un gioco».

atta5

Non stiamo parlando di un uomo che quando entra in campo si spoglia delle convenzioni sociali e rivela veramente se stesso, però. Questa piroetta d’esterno, per dire, non è un gesto di sfida, ma è fatta per la bellezza, per il piacere fisico che restituisce - a chi la esegue e a chi la guarda. Atta, pur avendo forgiato il suo gioco in strada, non è un malandro, ed esprime nel suo gioco una certa ieraticità aristocratica, un’ostentazione di leggerezza, che rimanda alla nobiltà calcistica francese. Non a caso il suo idolo da bambino era Gourcouff, il più raffinato tra i talenti francesi degli anni 2000.

atta6

Non c’è insomma contrasto tra la «sfrontatezza» del calcio di strada (che Atta ha dichiarato di aver imparato nelle giovanili del Rennes) e la compostezza richiesta dall’aristocrazia di questo sport: d’altra parte siamo nell’epoca in cui lo streetwear è diventato più rilevante dell’haute couture. Il tunnel, da questo punto di vista, è forse il punto di contatto più autentico tra questi due mondi. Un gesto che fa rosicare il diretto avversario come pochi altri (guardate la reazione di Tramoni) e che contemporaneamente esprime l’amore per la bellezza di chi si vuole distaccare dalle necessità contingenti della vita e dedicarsi unicamente alle cose superflue.

atta7

Se avessimo delle statistiche dei tunnel molto probabilmente avremmo Atta tra i migliori della Serie A anche in queste.

atta8

Ok, lo so che stiamo parlando di dribbling ma prendiamoci una piccola pausa per ammirare questo assist d’esterno (d’altra parte è una parte del piede che, ha detto Atta, gli piace usare quanto fare un dribbling).

atta9

La bellezza per la bellezza, quindi, ma anche perché permette di trovare soluzioni quando sembra che non ce ne siano. «Da fermo puoi usare la tua qualità per uscire da una situazione», ha detto Atta che, in un calcio sempre più ansioso di comprimere gli spazi e i tempi delle giocate avversarie, vuole prendersi il suo tempo, attirare la pressione per giocarci insieme anziché rifuggirne. Mi sento sporco a parlare di utilità tattica in un articolo sulle migliori giocate di Atta, ma guardate come la sua calma si ritorce contro la Juventus, che provava a chiudergli il mondo intorno come i muri con gli spunzoni di ferro di Prince of Persia. Atta tiene il pallone mentre due, tre giocatori gli si fanno sempre più vicini - tiene il pallone per tanto, troppo tempo diremmo, finché, quando ormai la tensione è diventata insopportabile, lo accarezza con la suola come se fosse un gatto, lo allontana dagli avversari, e poi con la punta lo punzecchia per darlo a Karlström, che può gestirlo da dietro con più calma.

atta10

Ci sono poi delle giocate di Atta che non so nemmeno descrivere esattamente, che mi mettono di fronte ai limiti del linguaggio, che non capisco se siano volute o casuali. Nell’ultima partita contro il Bologna, tiene Miranda alle spalle, sembra voler lasciare il pallone a Pobega solo per toglierglielo da sotto al naso con la suola all’ultimo momento, rigirarsi su se stesso, passarsi il pallone da un piede all’altro finché a un certo punto il terzino spagnolo si ritrova nella situazione in cui nessun difensore vorrebbe mai trovarsi, in cui in una partita al campetto la gente inizierebbe a gridare come scimmie e il povero malcapitato dovrebbe coprirsi il volto con la maglietta dalla vergogna. Miranda, cioè, si gira di spalle al pallone andando da una parte quando in realtà Atta sta andando da tutt’altra, ed è costretto a girare su se stesso come un cane troppo felice di rivedere il suo padrone.

atta1

In questi mesi, con Atta, si sono fatti molti paragoni. Il suo compagno Adam Buksa ha parlato di Bellingham - paragone che lui ha seccamente rifiutato - mentre altri hanno tirato in ballo i nomi di Gravenberch e Pogba. Personalmente quando ho visto questo primo controllo con l’Atalanta ho avuto un flash.

Questo:

Sì, lo so che Zidane è Zidane e che è solo un caso che queste due giocate sono così simili. Ma se devo riassumere tutto ciò che ho detto su Atta in questo articolo e pensare a un giocatore che ne rappresenti l’ideale platonico non mi viene in mente un nome migliore. A voi?

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura