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Daniele Manusia

Non ne fanno più come Andy Carroll

La fine del suo sogno è quella di un certo calcio inglese.

Annecy, dipartimento dell’Alta Savoia. A fine ottobre al Parc des Sports la squadra di casa ospita l’Amiens per una partita di mezza classifica della seconda divisione francese. Si gioca di notte, altrimenti dietro al tetto ondulato delle tribune principali (una serie di parentesi appoggiate in orizzontale, costruite negli anni ‘50 e dichiarate dal ministero della cultura francese “Patrimonio del XX Secolo”) si vedrebbero le Alpi che uniscono Francia, Italia e Svizzera e dove scorre l’acqua che poi finisce nelle bottiglie Evian.

 

L’Annecy passa in vantaggio su rigore nei primi minuti di gioco e l’Amiens pareggia a inizio secondo tempo. Un lancio lungo del centrocampista Frank Boya per l’attaccante Louis Mafouta viene respinto dal difensore centrale avversario, Kevin Mouanga. Siamo a una quarantina di metri dalla porta e non sembra esserci particolare pericolo ma il portiere Florian Escales è uscito fuori dall’area e viene preso in controtempo dall’intervento del compagno. La palla rimbalza all’altezza del cerchio di centrocampo davanti al piede sinistro di Andy Carroll che non ci pensa due volte a calciare in porta. Di piatto, Carroll alza un pallonetto alto e teso che scavalca Escales e si abbassa prima di passare sotto la traversa e rimbalzare direttamente dentro la porta. 

 

È un gol oggettivamente pazzesco, difficile da vedere su ogni campo, figurarsi su uno di Ligue 2. Ma è ancora più pazzesco che a segnarlo sia stato Andy Carroll. Proprio quell’Andy Carroll. Finito ad Amiens, nella piccola Venezia del nord della Francia con i suoi canali e la sua cattedrale medievale, a segnare gol incredibili. Di piede, neanche di testa. Da centrocampo.

 

Andy Carroll ha solo 34 anni ma nella nostra memoria è come se fosse un giocatore di un’epoca passata. In un certo senso lo è davvero. Un centravanti alto un metro e novanta, ruvido, spigoloso, fortissimo nel gioco aereo: potrebbe essere uscito dal calcio inglese di dieci anni fa come di cento. In realtà è nato lo stesso anno – 1989 – di Thomas Muller o Gareth Bale, giusto per prendere un calciatore in attività e uno già ritirato a sottolineare il fatto che anche se Carroll sembra aver dato l’addio al calcio molto prima di Bale, sta giocando ancora come Muller. E lo fa sempre coi capelli lunghi legati in una coda di cavallo. A una prima occhiata, sembra non averne perso neanche uno rispetto ai tempi d’oro.

 

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Quando di anni ne aveva 14, Andy Carroll era sgraziato. C’è stato un momento in cui stavano per farlo fuori dal settore giovanile del Newcastle ma poi, ricorda Peter Kirkley che all’epoca era Head of Recruitment, un suo allenatore gli ha consigliato di aspettare. «Spesso, quando i giocatori alti perdono la goffaggine della giovinezza, il loro talento viene fuori. Devi aspettarlo». Il padre lavorava in una fabbrica che produceva parti per le navi, la madre era cuoca in un ospizio. C’è una foto del piccolo Andy nella culla con una bottiglia di birra Newcastle Brown Ale e una palla da calcio. «Quell’idiota di tuo padre l’ha scattata quando avevi appena un giorno!», gli diceva la madre. Più avanti il padre, tornato dalla fabbrica, lo faceva esercitare tirando la palla in aria e chiedendogli di controllarla prima con un piede e poi con l’altro. Ma Andy protestava: «Lanciala in alto e fammi colpire di testa!». Il padre allora gliela lanciava dalla cima delle scale e lui migliorava così il proprio tempismo. «Devo tutto a mio padre che mi lanciava 100 palloni al giorno».

 

Il suo primo gol tra i professionisti lo ha segnato al miglior portiere al mondo, nell’estate del 2007, alla Juventus. In un’amichevole in cui Gigi Buffon, uscendo, lo ha colpito con un’ancata in faccia. «È stato fortunato a non finire all’ospedale», ha detto il suo allenatore Sam Allardyce. Il gol, Carroll lo ha segnato dopo quell’uscita e Buffon, forse anche per farsi perdonare, gli ha fatto i complimenti. D’altra parte a Carroll la violenza non dispiaceva. «Mi piace giocare in modo aggressivo, duellare. Quando qualcuno mi viene addosso, io vado addosso a qualcun altro». 

 

Subito dopo è andato in prestito in Championship, al Preston North End. In quel periodo lo paragonavano a Duncan Ferguson, leggenda dell’Everton con un paio di stagioni anche al Newcastle (un attaccante così aggressivo che per una capocciata a un difensore, in Scozia, è stato condannato a tre mesi di prigione): «Se si rivela valere la metà di Duncan Ferguson abbiamo fatto un affare», ha detto l’allenatore del North End. Carroll è esploso due anni dopo, nella stagione 2009-10, quando il Newcastle retrocesso in Championship si è ritrovato senza Viduka, Oba Oba Martins e Michael Owen. 

 

Uno dei suoi primi gol in Championship, contro il Plymouth, è stato definito “Sheareresque”, degno di Alan Shearer. Perché Carroll controlla di petto una palla alta al limite dell’area, leggermente sul lato sinistro, e anziché mandarla a terra se l’allunga in avanti, un controllo orientato col petto che prepara il tiro di sinistro, una frustata secca che schiocca alle spalle del portiere.

 

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Qualche tempo prima aveva iniziato ad avere i primi problemi. Tra il 2008 e il 2010 è stato arrestato due volte per aver aggredito due sue ex-fidanzate, un’altra volta in un pub è intervenuto in una banale lite tra una sua amica e uno sconosciuto che accidentalmente le aveva versato il drink sul vestito. Carroll aveva reagito tirandogli un bicchiere di vetro in faccia. Il tribunale, però, ha creduto alla sua versione, secondo cui il bicchiere gli sarebbe scappato di mano nel tentativo di tirarne solo il contenuto. 

 

Nell’ottobre del 2010, dopo la seconda aggressione nei confronti di una ex in discoteca (Carroll ha parlato di “autodifesa”, lei in seguito ha ritirato la denuncia per non restare al centro dell’attenzione dei media) il tribunale ha accordato la cauzione solo a patto che si trasferisse a vivere a casa del capitano del Newcastle Kevin Nolan. Tre giorni dopo, nel vialetto di Nolan, qualcuno ha dato fuoco alla macchina di Carroll. La polizia ha arrestato – e poi rilasciato per assenza di prove – tale Rob Curran: a quanto pare Carroll, in passato, aveva avuto ben due storie con due sue ex-fidanzate e poi, «per pura coincidenza», Curran era diventato amico dell’ex ragazza che Carroll aveva aggredito. 

 

A parte il fatto che Carroll non aveva ancora letto le storie a suo figlio prima che dormisse, come la moglie pretendeva facessero tutti i loro ospiti, Kevin Nolan non aveva ragione di lamentarsi della sua presenza in casa. Ricorda un bravo ragazzo pigro, che si svegliava alle otto meno dieci per uscire alle otto meno cinque, costretto ad accompagnare con Nolan i figli a scuola e poi a fare colazione al centro di allenamento. «È  sempre felice e sorridente. D’accordo ha fatto qualche errore, ma chi non ne ha fatti in giovinezza? È solo che i suoi errori sono ben documentati».



 

Dopo un brutto tackle in allenamento era scoppiata una piccola rissa tra Andy Carroll e il compagno di squadra francese Charles N’Zogbia. La lite è proseguita negli spogliatoi e poi nel parcheggio del campo. Poco dopo, a gennaio del 2009, l’ultimo giorno di mercato, N’Zogbia è stato ceduto al Wigan. Un anno dopo, a marzo del 2010, Carroll ha litigato con un altro compagno, il difensore Steven Taylor che pare avesse mandato un messaggio a una sua fidanzata. Gli ha rotto la mandibola da entrambi i lati, costringendolo a passare due notti in ospedale e a un’operazione. Tayler non ha sporto denuncia e a qualche giorno di distanza Andy Carroll è stato fotografato a Manchester, al concerto di 50 Cents, con entrambe le mani fasciate. 

 

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Nel novembre del 2016, mentre stava tornando a casa dal campo di allenamento del West Ham, Andy Carroll mette il braccio fuori dal finestrino. Due ragazzi su due moto lo affiancano. «Bell’orologio», gli dicono. Lui ringrazia, lì per lì non capisce, gli sembra di conoscere quel ragazzo. Poco prima che il semaforo torni verde, però, il ragazzo tira fuori una pistola. Carroll scappa, mentre quelli lo inseguono lui telefona al suocero, che gli dice di chiamare la polizia. Fa inversione per tornare al campo di allenamento, guida contromano e suona il clacson alle macchine che gli andavano incontro. «Ho sbattuto su un sacco di macchine, non so che fare, devo aver colpito una decina di macchine», dice Carroll all’operatore della centrale operativa. Dieci giorni dopo, nascosto sotto un materasso in casa sua, la polizia trova il sospetto criminale, Jack O’Brien, un ventenne della zona che tra l’ottobre e il novembre di quell’anno aveva compiuto altre otto rapine, sempre con la stessa moto e lo stesso casco. O’Brien negherà solo il tentativo di rapina a Carroll ma il giudice lo condannerà a undici anni di prigione in totale.

 

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A Newcastle il 9 non è un numero qualsiasi. Lo avevano indossato giocatori come Kevin Keegan, Andy Cole e Alan Shearer, il miglior marcatore della storia del Newcastle e della Premier League. Andy Carroll ha aspettato la stagione 2010-11, la prima al ritorno nella massima divisione, per metterselo sulle spalle. All’esordio in casa in Premier League, contro l’Aston Villa, il Newcastle vince 6-0 e Andy Carroll segna la sua prima tripletta in carriera. A ottobre indossa per la prima volta la fascia da capitano e rinnova il suo contratto per altri cinque anni. «Tutto quello che ho sempre voluto era giocare per il Newcastle. Ogni volta che mi infilo quella maglia a strisce bianche e nere – ancora di più adesso che ho la maglia numero 9 – per me è tutto». A novembre esordisce da titolare con la Nazionale maggiore, in amichevole con la Francia, a Wembley, ovviamente con la numero 9. Nella prima metà della stagione 2010-11 segna 11 gol in 19 partite. 

 

L’11 dicembre 2010, nella vittoria per 3-1 contro il Liverpool, a partita quasi finita Andy Carroll segna il terzo gol. Prende palla sulla trequarti, con la difesa lontana che non ci pensa neanche a muoverglisi incontro. Nessuno si aspetta che calci da quella distanza. Carroll guarda la porta, si tocca la palla leggermente in avanti, giusto lo spazio di un passo per caricare il tiro, poi lascia partire una stilettata rasoterra che passa letteralmente attraverso le mani del portiere, Pepe Reina.

 

Poco dopo Carroll si infortuna ma al Newcastle iniziano ad arrivare le prime offerte. Rifiutano 25 milioni di sterline del Tottenham. Rifiutano 30 milioni dal Liverpool, che doveva sostituire Fernando Torres, ceduto al Chelsea per 50 (a sostituire Torres fu invece Luis Suarez, arrivato pochi giorni prima di Carroll a Liverpool mentre ancora stava scontando la squalifica per aver morso su una spalla il giocatore del PSV, Ottman Bakkal). Poi però l’ultimo giorno di mercato il Liverpool offre 5 milioni in più ed è fatta, senza che nessuno gli avesse chiesto cosa ne pensava: per 35 milioni di sterline è il calciatore inglese più costoso di sempre.

 

Carroll ha dovuto lasciare il centro di allenamento nascosto nell’auto di Kevin Nolan e poi subito in elicottero con l’agente, senza vestiti, senza niente. Aveva appena comprato una casa nuova a Newcastle. «Avevo anche preso un gatto, che era in casa, ma non ci sono più tornato in quella casa!». Il gatto dice di averlo lasciato al fratello, ma non è chiaro se è lo stesso gatto bengala che in altre occasioni racconta di aver comprato per mille sterline ma poi di aver dato ai genitori dopo due settimane. A quei tempi Carroll non guardava calcio e non conosceva i giocatori: «Arrivavo al venerdì o mi svegliavo sabato mattina e chiedevo: con chi giochiamo domani?». In elicottero, il suo agente googla i suoi nuovi compagni di squadra e glieli fa vedere.

 

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«C’è un lato di me stupido, scemo, che non se ne andrà mai e non che non voglio far andar via, capisci? Nel mio cuore sono sempre un ragazzino», ha detto Andy Carroll nel 2019, a trent’anni, quando è tornato al Newcastle otto anni e mezzo dopo che se ne era andato controvoglia. Lì ha ritrovato le vecchie abitudini: «Mi sveglio ogni giorno nella casa di mamma e papà, dove tutto è cominciato. Per andarmi ad allenare faccio la stessa strada che facevo quando avevo sette anni». Lo staff del Newcastle si è stupito di quanto sembrasse maturato, facendo da chioccia al nuovo acquisto brasiliano Joelinton. In due stagioni (2019-2021) però ha segnato solo un gol.

 

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Su Reddit si trova ancora una discussione di dodici anni fa tra tifosi del Liverpool intorno alla questione: “Chi pensa che Andy Carroll giocherebbe meglio se si tagliasse i capelli?”. L’utente che ha creato il post sostiene che la coda di cavallo diminuisce il suo potere intimidatorio, mentre un altro risponde: “Ci stavo pensando proprio oggi”, sostenendo che la coda può essere un vantaggio se ostruisce la visuale ai difensori andandogli in faccia. Un altro ancora chiede: “Ricordate cosa è successo quando Fernando Torres si è tagliato i capelli?”.

 

Secondo le conclusioni dell’analisi di Ritika Bashker, che ha tenuto conto della lunghezza, di quanto fossero biondi e di quanto fossero “svolazzanti” i capelli di Fernando Torres lungo tutto l’arco della sua carriera, l’ex-giocatore di Atletico Madrid, Liverpool e Milan non avrebbe mai dovuto accorciare il proprio taglio. Più lunghi erano i suoi capelli, più biondi e più svolazzanti sul collo, più Torres segnava. “Nella stagione 2010-11 si è tagliato i capelli e il risultato sono stati solo 9 gol in 26 partite con il Liverpool, e appena 1 in 18 presenze con il Chelsea”.  

 

Kevin Nolan dice di aver provato a convincerlo a tagliarsi i capelli mentre Jonas Gutierrez, loro compagno al Newcastle, ha detto di essere stato lui a ispirarlo visto che prima, nelle giovanili, Carroll li teneva corti. Pete Cashmore, in un articolo pubblicato sul Guardian nel 2011, ha scritto che i giocatori con i capelli lunghi, o strani, lo fanno per ragioni di marketing ma che “a parte Beckham e i sudamericani la coda di cavallo li fa sembrare ridicoli. Andy Carroll non influenzerà certo il mercato della moda”. Tre anni dopo Andy Carroll farà da testimonial per la linea di vestiti di Alexander Wang per H&M.

 

I capelli lunghi maschili, nella storia umana, hanno sempre avuto un significato distintivo oppure, al contrario, conformista. In Cina il codino manciù (con i capelli rasati sui lati e sulla fronte) fu introdotto nel XVII secolo e imposto con la violenza della legge – “Tenetevi i capelli e perdete la testa, oppure perdete i capelli e tenetevi la testa”. Per Sansone le sette trecce erano simbolo di purezza (come i dreadlocks rastafariani) e l’origine della forza concessagli da dio, una volta tagliate (e Sansone accecato dai suoi nemici) la forza svanisce. I capelli afro negli 60′ delle proteste civili in America, i capelli lunghi degli hippy come contrario immediatamente riconoscibile dei tagli militari e dei capelli ordinati dei loro genitori borghesi, le creste e i colori punk, le teste rasate degli skin, tutto questo forse è rimasto ed è arrivato in qualche modo fino agli anni 2000 di Andy Carroll, un coatto di Newcastle la cui coda di cavallo era forse in contrasto con la normalità anglosassone working-class. Se è vero, come sembra anche guardando le foto, che Carroll ha iniziato a farseli crescere a ridosso del suo ingresso in prima squadra, è verosimile che per lui fosse il segno tangibile del passaggio all’età adulta. Come segno al tempo stesso intimo e pubblico di autodichiarata nobiltà. Un minimo di eccentricità, un vezzo frivolo, per un giocatore che nei fatti rappresentava l’essenza stessa della praticità del calcio inglese. O forse il padre lo aveva portato a vedere Braveheart quando aveva sei anni (1995) e la ragione è semplicemente Mel Gibson.

 

 

 

Quando l’Inghilterra ha incontrato la Svezia a Euro 2012 la partita è stata ribattezzata “La Battaglia delle Code Di Cavallo”, per la sfida interna tra Carroll e Ibrahimovic. Quel giorno, il 15 giugno, ha avuto la meglio Carroll autore del primo gol nel 3-2 finale: uno splendido colpo di testa su un altrettanto splendido cross da poco dopo la metà campo di Steven Gerrard, dal lato destro del campo. Andy Carroll stacca al centro dell’area, quasi esattamente sul dischetto del calcio di rigore, e a tre metri da terra si avvita su se stesso e con un movimento preciso e violento del collo schiaccia la palla nell’angolo basso a sinistra della porta (è il suo secondo e ultimo gol con la maglia dell’Inghilterra, con cui ha giocato appena nove partite). Zlatan si vendicherà il 14 novembre di quello stesso anno, nell’amichevole vinta 4-2 dalla Svezia in cui ha segnato quattro gol, l’ultimo dei quali con una rovesciata da centrocampo, ma il pubblico inglese terrà a mente il confronto e qualche anno dopo, durante una partita tra Manchester City e Paris Saint Germain, gli canterà: “You’re just a shit Andy Carroll”. Sei solo un Andy Carroll del discount, più o meno. Barney Ronay sul Guardian noterà l’ironia: “Ma è proprio il contrario: [Zlatan Ibrahimovic] è un Andy Carroll veramente forte, un uber-Carroll”.

 

Più di recente anche a Darwin Nunez, numero 9 del Liverpool con la coda di cavallo, è stato cantato il coro “You’re just a shit Andy Carroll”. E non ci sarebbe da stupirsi se questo sarà il modo in cui Andy Carroll resterà nell’immaginario dei tifosi inglesi, come termine di paragone ideale per i centravanti grossi, goffi e coi capelli lunghi. Vi piacerebbe essere come Andy Carroll, ma nessuno sarà mai come Andy Carroll. E la cosa bella, l’ironia del paragone, è che neanche Andy Carroll è stato all’altezza di se stesso, dell’idea che al pubblico piace avere di lui e che è legata a pochissimi momenti di violenza e grazia assoluti.

 

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Più a fondo Andy Carroll tira in ballo l’identità stessa del calcio inglese. Quella di un calcio virile e diretto, giocato su campi fangosi in cui la palla scorre con difficoltà, e allora è meglio alzarla e prendersi a gomitate. Quel tipo di calcio che viene dagli studi statistici di Charles Reep degli anni cinquanta (secondo cui bastavano tre passaggi per fare gol), formalizzato poi nel libro The Winning Formula, che forse ha influenzato quella federazione inglese che negli anni novanta ha imposto al centro di formazione federale uno stile ufficiale basato sui lanci lunghi. Il contrario di quanto immaginato nel progetto “English DNA” con cui la stessa federazione inglese nel 2014 aspirava a uniformare la filosofia calcistica per le Nazionali di tutte le età per avere giocatori “più tecnici e adattabili”.

 

Barney Ronay, sfruttando una doppietta di testa di Carroll contro lo Swansea, si chiedeva se con il progetto “English DNA” ci sarebbero più stati giocatori come lui. 

 

«Andy Carroll sembra la fine di qualcosa (…) Carroll non è polivalente. L’idea di farlo allargare sulla fascia o abbassare come un falso 9 non ha senso in partenza». Ronay, che qualche anno prima si era speso in una battaglia culturale più vasta contro il calcio di Guardiola e del Barcellona, paragonava Andy Carroll («Il talento offensivo più peculiarmente eccitante, peculiarmente specializzato, peculiarmente costoso, del calcio inglese») a una torre medievale, di quelle mobili per assediare le mura cittadine, a un Action Man, a un soldato giocattolo per bambini maschi gettato in mezzo a delle bambole che prendono il tè, a uno Yeti sceso dall’Himalaya per fare gol, e fingeva artificiosamente nostalgia per “un calcio in cui colpire la palla di testa non era una maledizione, un imbarazzo, un talento fuorilegge”. In un altro articolo del 2012 sui finalizzatori puri Ronay collegava i centravanti specializzati nel gol con un’idea di uomo “accigliato e distaccato”, rappresentata da esemplari eccellenti come James Bond e Clint Eastwood. Una specie di “anti-atleta”, ormai “pressoché estinto”. Sembra di sentire Tony Soprano quando si chiede: “Che fine hanno fatto i Gary Cooper? Il tipo di uomo forte e silenzioso?”.

 

Dieci anni dopo il centravanti di Guardiola è Erling Haaland e Jurgen Klopp ha sostituito un nove atipico come Firmino con Darwin Nunez. Guardando ai prezzi dei centravanti sembrerebbe che quello di Ronay fosse un falso allarme (il che non significa che il calcio non sia cambiato, perché il calcio cambia in continuazione). Andy Carroll è arrivato sul palcoscenico del calcio mondiale troppo tardi o troppo presto? Ancora nel 2019 Jonathan Liew scriveva sull’Independent che Andy Carroll sembrava «una reliquia perduta, un anacronistico tributo a uno stile di gioco – e a un tipo di giocatore – che il calcio d’élite ha abbandonato qualche tempo fa». Nel calcio di questi anni, sostiene Liew, «quando si tira in ballo Carroll lo si fa parlando di un tipo di attaccante che può dare qualcosa di diverso». E per Liew se il punto è solo distinguersi, non va più bene: «Anche una pila di dvd di Werner Herzog a forma di cazzo sono qualcosa di diverso» (miei entrambi i corsivi). 

 

Persino Andy Carroll quando parla del suo gioco entra nella parte del centravanti vecchio stile, come se si sentisse fuori tempo, nostalgico di un’epoca che non ha mai vissuto. «È un peccato perché penso che molte squadre avrebbero bisogno delle cose che so fare io. Non penso neanche per un secondo di essere l’unico a saperle fare, ma penso sia un peccato che non ci siano molti giocatori in giro». Molti giocatori come me, intendeva. Ma il punto di vista di Carroll non è puramente teorico, come quello di Ronay. Carroll si sente davvero come un artista che lavora in uno stile passato di moda, un vecchio pittore in un mondo di artisti digitali. Il centravanti inglese sembra amare sinceramente le botte in area di rigore, i duelli aerei con i difensori che sovrasta come un martello pronto a schiacciare un chiodo: «Penso che da fuori, senza essere coinvolti, non sia divertente. Bisogna stare nella mischia, darsi da fare, per capirlo».

 

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Per Andy Carroll il numero 9 è così speciale che ha deciso di usarlo anche nel nome composto del suo quarto figlio: Wolf Nine. Strano, ma non originalissimo se si pensa che già David Beckham aveva chiamato la propria figlia Harper Seven, come il suo numero di maglia allo United.

 

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Ma Andy Carroll non era forte solo di testa. Anche se il suo mito affonda in un passato fantastico in cui i centravanti non controllavano mai il pallone e non uscivano dall’area di rigore, tutti i suoi gol più belli sono frutto del martello di Thor che si ritrova nel piede sinistro e il tiro in diagonale è un marchio di fabbrica altrettanto autentico del colpo di testa.

 

Quando arriva a Liverpool è infortunato ed esordisce solo a marzo 2011. I primi due gol, gli unici che segnerà fino a fine stagione, li fa entrambi contro il Manchester City allenato da Roberto Mancini. Nel secondo colpisce di testa un cross alto come se avesse preso un deltaplano, trascinandosi dietro Kolarov come una foglia che resta appiccicata all’ala di un aereo. Il primo, invece, lo segna con un tiro da fuori che sorprende Joe Hart, una pallottola esplosa da una ventina di metri che resta rasoterra e curva leggermente verso fuori. Non ha neanche bisogno di angolare per quanto è forte il suo tiro. 

 

Il suo primo gol in Nazionale, in amichevole contro il Ghana, è un diagonale sinistro. Il bellissimo gol segnato contro lo Swansea è una specie di cucchiaio teso, calciato da fermo, che da sinistra scavalca il portiere ed entra sul secondo palo, dopo aver raccolto una palla vagante nel cuore dell’area di rigore e aver cambiato idea un paio di volte su cosa sarebbe stato meglio fare, con i difensori a un metro di distanza come se avessero paura di farsi male. Nel 2013 contro il West Bromwich ha raccolto un campanile piovuto in area di rigore dalle sue spalle, mandandolo di destro piano piano nell’angolo opposto. Nell’aprile del 2018 ha segnato un gol importantissimo per la salvezza del West Ham di Moyes, contro lo Stoke, il gol dell’1-1 a fine partita, calciando al volo di interno un cross arretrato di Aaron Cresswell: «Gliel’ho detto negli spogliatoi. Ho trasformato un brutto cross in un bel cross». 

 

 

La capacità di Andy Carroll di stupirci, di andare oltre la brutalità del centravanti, che comunque incarnava con piacere, è parte integrante della nostra idea di chi fosse davvero Andy Carroll. Di chi sarebbe potuto essere con continuità, ammesso che esista un mondo parallelo in cui Andy Carroll sia nato con l’etica lavorativa di Cristiano Ronaldo, con l’atletismo di Cristiano Ronaldo e le sue abilità coordinative (la goffaggine giovanile non abbandona mai veramente le persone alte). Un Andy Carroll senza la personalità di Andy Carroll, senza le uscite serali, senza l’alcool. E senza infortuni.

 

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14 gennaio 2017, London Stadium. Andy Carroll è arrivato al West Ham dopo appena una stagione e mezza con la maglia del Liverpool, nell’estate del 2012 (inizialmente in prestito, poi acquistato per altri 15 milioni di sterline). Lì aveva ritrovato l’allenatore che lo ha fatto esordire, cioè Sam Allardyce, e il suo migliore amico, Kevin Nolan. All’esordio aveva dominato i difensori avversari e costruito due dei tre gol con cui il West Ham aveva battuto il Fulham, vincendo il premio di migliore in campo. Dopo poco più di un’ora, però, è uscito zoppicando per un problema alla coscia.

 

A Londra, in sette stagioni totali, subirà 13 infortuni che gli faranno perdere più di 150 partite (più di quelle che ha giocato: 142) e che gli impediranno di trovare una qualsiasi forma di continuità. La carriera di Andy Carroll sembra la versione calcistica di quei film basati sui loop temporali, tipo Il Giorno della Marmotta in cui Bill Murray deve ricominciare da capo sempre la stessa giornata. A metà della sua quinta stagione, a 28 anni, ormai è chiaro che Andy Carroll non sarà mai più di quello che si è visto fino a quel momento. Il che non significa che non abbia davanti a sé dei bei momenti. Il 14 gennaio 2017 il West Ham viene da tre sconfitte consecutive, due in campionato e un triste 0-5 con il Manchester City in FA Cup. La stella della squadra, il francese Dimitri Payet, ha deciso di scioperare per forzare un trasferimento al Marsiglia (che poi avrebbe ottenuto). 

 

Al West Ham serviva più di una semplice vittoria e a poco più di dieci minuti dalla fine, con il punteggio già sbloccato, Michail Antonio, che la sera prima della partita era a letto con 38 e mezzo di febbre, dal lato sinistro dell’area di rigore mette al centro una palla ambigua senza troppa convinzione. Un cross a uscire, di sinistro, che scavalca tutta la difesa del Palace e arriva nella zona di Andy Carroll. Impossibile colpirla di testa, ma Carroll si coordina ed esegue una meravigliosa, elegante, violenta sforbiciata. Colpisce la palla con la parte esterna del collo del piede, in direzione del palo più vicino, mandandola in rete – secondo i calcoli dei tabloid – a quasi cento chilometri orari. Almeno un’altra volta, con il Liverpool, era andato vicino al gol in rovesciata, diversa, ma altrettanto bella, e a fine partita Carroll dice di aver provato quel gesto tecnico in allenamento. Slaven Bilic, il suo allenatore, conferma: «Quando la fa in allenamento di solito prende il palo. E ho sempre paura che si infortuni quando lo fa». E in effetti segnando gol Carroll si fa male alla schiena, colpo di frusta. 

 

«È uno dei gol più belli della stagione, più di un gol», dice sempre Bilic. Quello stesso mese di gennaio Olivier Giroud segna (anche lui contro il Crystal Palace) il gol con lo scorpione con cui vincerà il Premio Puskas di quell’anno, ma il gol del mese della Premier League lo vince Andy Carroll. Qualche giorno dopo, quando Payet torna ufficialmente a Marsiglia, il West Ham sostituisce il suo murale fuori dallo stadio con uno raffigurante Andy Carroll nell’atto di compiere la sua sforbiciata. Per sempre congelato nel mezzo di un gesto atletico che rappresenta tutte le sue possibilità e, quindi, implicitamente, anche tutto quello che è andato sprecato.

 

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Da Liverpool è andato via perché non rientrava nei piani del nuovo allenatore Brendan Rodgers. Ha segnato poco (11 gol in un anno e mezzo) ma nella sola stagione intera giocata lì, quella 2011/12, ha portato il Liverpool in finale di FA Cup segnando il gol del 2-1 nel derby con l’Everton. Jamie Carragher, che aveva causato il gol del vantaggio dell’Everton con un errore, a fine partita ha detto che quel gol, in cui Carroll sovrasta un’altra leggenda del calcio per giganti come Marouane Fellaini, da solo valeva 35 milioni di sterline e che i tifosi del Liverpool lo avrebbero ricordato per sempre. Carroll ha segnato anche in finale, contro il Chelsea, con una bomba pazzesca che per poco non strappa la rete dai ganci sotto la traversa, ma il Liverpool ha perso quella partita 2-1.

 

Dopo i sette anni al West Ham, in cui tra un infortunio e l’altro ha vissuto anche dei bei momenti, oltre a quelli già raccontati (la tripletta all’Arsenal nel 2016, per esempio), è tornato a Newcastle. A quel punto aveva trent’anni e non giocava a calcio dal febbraio. Dopo altre due stagioni è rimasto senza squadra. Ha accettato un contratto di due mesi col Reading in Championship, da novembre 2021 a gennaio 2022, poi ha finito la stagione con il West Bromwich e quella dopo (la scorsa) è tornato di nuovo al Reading dove ha segnato 9 gol (la sua miglior stagione dal punto di vista realizzativo da quella 2015-16), che però non sono bastati a evitare la retrocessione al terzo livello del calcio inglese. Su Instagram, Carroll si è scusato con i tifosi. «Le persone, il posto, vi amo tutti. Mi dispiace molto non essere stati all’altezza questa stagione. Ma so che mi darò da fare quest’estate per riportare questo club fantastico dove era e ancora oltre». Poco dopo però ha chiesto al suo agente di trovargli una squadra all’estero. Ed è così che è finito ad Amiens. 

 

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«Mi sono operato sei volte alla caviglia. Continuava a ri-fratturarsi», ha ricordato Andy Carroll, che si è rotto anche i legamenti del ginocchio in uno scontro con Chris Smalling, contro il Manchester United, ma ha continuato a giocare: «Sono qui per la squadra», pensava. Di lui però si diceva che facesse una vita poco professionale e che si infortunasse salendo sui tavoli da ping-pong per esultare dopo una partita vinta.

 

Quando si è trasferito al Liverpool a ventun anni è finito al centro dell’attenzione mediatica nazionale e non ne è più uscito. Mentre era in vacanza con i figli sulla neve un tifoso gli si è avvicinato dicendogli di stare attento a non infortunarsi sul ghiaccio. «Al West Ham c’è stato un momento in cui ho perso l’amore per qualsiasi cosa. Ero così depresso che non uscivo neanche di casa». Se a Newcastle girava tranquillo per la città, a Liverpool ha dovuto imparare a camuffarsi con dei cappelli: «Probabilmente ho un cappello per ogni giorno dell’anno. Credo di averne otto o nove in macchina». Ammesso che un cappello sia sufficiente a nascondere un atleta di un metro e novanta famoso per la sua coda di cavallo. «Non è colpa mia», ha detto dei suoi infortuni, in un’intervista che si svolgeva in palestra mentre si allenava da solo. «Le persone pensano che finché ti pagano non importa. No, non è così. Non faccio questo lavoro per lo stipendio. Sì, è un ottimo stipendio, ma faccio questo lavoro perché lo amo, è diverso. Non mi piace stare in palestra. Tutti quelli che mi conoscono sanno che odio la palestra, è la cosa peggiore che ci sia».

 

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La squadra in cui è rimasto più tempo è il West Ham, in cui si è sentito a casa come a Newcastle. Forse non è un caso che l’inno della squadra I’m forever blowing bubbles, cantato dai tifosi col cuore in mano da più di cento anni (in origine era una canzone di Broadway, arrivata ad Upton Park – lo storico stadio del West Ham, ora abbandonato – tramite un giocatore del campionato scolastico locale soprannominato “Bubbles”), dica: “I’m forever blowing bubbles/ Pretty bubbles in the air/ They fly so high/ They reach the sky/ And like my dreams they fade and die!” (Soffierò bolle per sempre/ Belle bolle nell’aria/ Volano così in alto/ Arrivano fino al cielo/ E come i miei sogni svaniscono e muoiono!). Anche i sogni di Andy Carroll sono arrivati fino al cielo, prima di svanire nel nulla. Quasi nel nulla, anzi.

 

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L’undici gennaio del 2022 non è un giorno da ricordare per i tifosi del Reading che ha ricevuto in casa il Fulham, che non vinceva da cinque partite, e forse per l’eccessiva accoglienza ha finito col perdere 0-7. Una di quelle partite che gli sconfitti ricordano più a lungo dei vincitori, concentrandosi sui dettagli, sull’assurdità delle coincidenze che devono allinearsi per dare vita a un risultato tanto raro. Se questo è vero anche per Andy Carroll, arrivato a vivere una simile esperienza pochi giorni dopo aver compiuto il suo trentatreesimo compleanno, dopo una carriera che sembra lunga il doppio di quella che è stata – «Ma sei ancora vivo, perché non sei morto?», chiede una bambina a Christopher Lambert in Highlander, in cui Lambert interpreta un personaggio immortale che, come tutti gli immortali, porta i capelli lunghi: «Sai», risponde lui dopo che un nazista gli ha sparato da pochi metri «È una specie di magia» – se anche per Andy Carroll, dopo tutto quello che ha passato, i dettagli ancora un qualche tipo di valore, allora nessuno ricorderà più a lungo di lui la sconfitta del Reading dell’undici gennaio 2022. 

 

Ancora sull’1-0 dopo mezz’ora di gioco, Carroll riceve in area di rigore un cross di Hoilett. Il cross – di destro, da sinistra, quindi a rientrare – è leggermente arretrato per Carroll, che si coordina e segna in rovesciata. Meno bella, meno atletica (gli infortuni lo hanno lentamente irrigidito, come strati invisibili di gesso, o come bende per le mummie), ma pur sempre una rovesciata a 33 anni. Carroll però era in fuorigioco, anche per questo il cross era arretrato, e l’arbitro ha annullato subito. Quello che succede un minuto dopo però è davvero incredibile. Sempre Hoilett da sinistra, stavolta con una palla tagliata di collo, cerca di pescarlo sulla fascia opposta. La palla è corta e Carroll deve cambiare direzione della sua corsa e tornare indietro, dando quasi le spalle alla porta avversaria. Robinson, il terzino avversario, sembra in vantaggio, Carroll però gli si piazza davanti muovendosi incontro alla palla, e anziché farla scendere sui piedi se la alza con un movimento in fuori del petto. Se la alza e contemporaneamente con il controllo di petto ruota verso destra, girandosi in direzione della porta. Da lì, da più di venti metri di distanza, calcia al volo in porta. Il piede sinistro di Andy Carroll disegna un arcobaleno che finisce dritto nella porta del Fulham, sul palo più lontano per il portiere che non si muove, forse perché sente l’arbitro fischiare il fuorigioco (di rientro, meno evidente del primo), forse perché in ogni caso non avrebbe potuto farci niente.

 

Sarebbe stato un gol incredibile, per il controllo di petto, per l’audacia che ci vuole a pensare di calciare in porta al volo da così lontano, perché a farlo sarebbe stato Andy Carroll. E invece quello che è successo è questo: Andy Carroll ha segnato la più bella doppietta di gol annullati della storia del calcio. Non ci fosse stato il gol da centrocampo con l’Amiens, sarebbe stato questo il momento più incredibile della parte finale della sua carriera.

 

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Pochi giorni prima del gol da centrocampo (il suo secondo stagionale) un giornalista del Daily Mail è andato a trovarlo ad Amiens. Carroll lo ha portato nel suo appartamento con vista sulla cattedrale, nel pub in cui ha guardato il Newcastle battere il PSG in Champions League. Ha giocato a freccette, ha detto che finalmente in Francia può essere se stesso, può portare i figli allo zoo senza che nessuno gli chieda un autografo o una foto – chissà, aggiungo io, magari non si è neanche portato dietro i suoi cappelli. Ha ricordato i tempi in cui giocava a Newcastle e la sera prima usciva tranquillamente con i genitori o con gli amici per il centro della città.

 

Non si andava in ritiro a quei tempi, dice lui, il giorno della partita se si giocava alle tre ci si vedeva all’una al campo. Lui pranzava al pub: sunday roast, yorkshire pudding e «litri di salsa gravy». Poi improvvisamente è stato proiettato nel calcio professionalizzato dove «ti dicono cosa mangiare e quando mangiare». A un certo punto ha detto: «Sono deluso per non aver colto l’occasione. L’ho data per scontata». Stava parlando di quel periodo in cui è passato nel giro di poco dal giocare con la squadra riserve del Newcastle alla prima squadra, poi al Liverpool, poi in Nazionale. Ma quello che dice potrebbe andar bene anche per il resto della sua carriera. «Tutto quello che toccavo si trasformava in oro. Forse mi ha dato alla testa. Mi sentivo infallibile, o qualcosa del genere. Non so davvero cosa sia andato storto. Forse non ero abbastanza bravo… non lo so. Mi sarebbe piaciuto ricavarne qualcosa di più».  

 

 

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Daniele Manusia, direttore e cofondatore dell'Ultimo Uomo. È nato a Roma (1981) dove vive e lavora. Ha scritto: "Cantona. Come è diventato leggenda" (Add, 2013) e "Daniele De Rossi o dell'amore reciproco" (66th & 2nd, 2020) e "Zlatan Ibrahimovic, una cosa irripetibile" (66th & 2nd, 2021).