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Marco D'Ottavi
A calcio si dovrebbe giocare scalzi?
09 mag 2024
09 mag 2024
Un'idea meno scema di quello che sembra.
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Marco D'Ottavi
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IMAGO / ZUMA Press
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Lo dico subito: da regolamento a calcio non si può giocare senza scarpe. Ma i regolamenti, come le società, la tecnologia e il progresso sono fatti per evolversi e non sempre evolversi vuol dire andare avanti, aggiungere strati. Togliere le scarpe, infatti, avrebbe un inequivocabile carica passatista, una specie di luddismo della stringa, un ritorno alle origini, dove per origini si intende a oltre 9000 anni fa, prima che l’uomo iniziasse anche solo a pensare al concetto di scarpa. Perché, quindi, il calcio dovrebbe eliminare le scarpe, o meglio gli scarpini? La mia non è una proposta olistica, non c’è nessuna connessione con madre terra da sviluppare, non si tratta di filosofia naturale, di gimnopodismo o pauperismo. È una semplice constatazione: lo scarpino è il nemico della tecnica, il calzettone ostruisce la creatività. Ho iniziato a pensarlo una decina di anni fa quando, dentro uno spogliatoio, mentre mi preparavo a indossare un paio di calzini sotto il calzettone regolamentare venni redarguito dal nostro numero 10. Se cito il numero, quel numero, è perché mi avete capito: quasi 40 anni o più, barba, pancetta, era - spero lo sia ancora - uno di quei calciatori che vivono sparsi qui e lì sui campi di tutto il mondo e toccano il pallone come tu non lo farai mai. Quel giorno, con semplicità ma anche fermezza, mi disse che tra piede e pallone ci devono essere meno strati possibili per avere sensibilità lì fuori, dove la sensibilità è un valore. E quindi, non potendo eliminare il calzettone e lo scarpino, avrei dovuto eliminare almeno il calzino sottostante. Quel giorno, e per qualche settimana, provai. Andò male. Il calzettone da pochi euro che avevamo in dotazione non funzionava bene a contatto diretto col piede, sfregava e strideva, e poi era anche inverno, col freddo, la pioggia, i campi gelati, un calzino in più sembrava prima di tutto una forma di protezione della mia salute e, se poi toccavo meno bene il pallone, che fosse. L’idea però è rimasta, perché sono le idee a rimanere. Ho provato qualche altra volta, sempre con scarsi risultati, ma - mi sono detto - il problema sono io. Ho provato anche a fare quello che fanno i calciatori moderni: tagliare il calzettone alla caviglia, per indossare sotto dei calzini con il grip, ma niente da fare, tutto quello che ottenevo era un po’ di stabilità in più. Allora mi sono convinto: bisogna togliere tutto. Via gli scarpini, via i calzettoni, via i calzini. Se sono tornato a pensarci, addirittura a scriverne, è perché qualche settimana fa mi è capitato sott’occhio questa giocata. È il 26’ di un recente Palmeiras-Flamengo e Aníbal Moreno perde lo scarpino destro in un contrasto. Moreno - argentino, cresciuto nel Newell's Old Boys come Messi e Banega - non se ne cura e, dopo essersi liberato dell’avversario con un tocco, un tocco con il piede scalzo, o meglio solo calzato dal calzettone e chissà se un calzino sotto, si porta avanti la palla e poi fa uno di quei lanci ipnotici, a tagliare il campo.

Volete dirmi che il lancio avrebbe avuto lo stesso taglio, la stessa perfezione formale ed estetica, anche se Moreno avesse avuto lo scarpino al piede? Non credo. Breve storia del gioco da scalziCi torneremo, ma intanto: di che cosa parliamo quando parliamo di giocare scalzi? Giocare scalzi, ovviamente, non è una mia idea rivoluzionaria. Il calcio da scalzi è esistito, esiste e forse esisterà per sempre. Senza fare troppi sofismi: si gioca a scalzi per scelta o per mancanza di scarpe. “Si giocava scalzi a quell'epoca, le scarpe te le mettevi solo al militare o alla prima comunione [...] In campagna e per le strade si andava sempre scalzi e quindi scalzi anche a pallone, che era uno di quei palloni di cuoio di una volta, pesantissimi”, ha scritto Antonio Pennacchi in Canale Mussolini. Non è però certo l’Italia il primo Paese che ci viene in mente, se pensiamo al gioco da scalzi. Se pensiamo a giocare scalzi come forma di pietismo, il primo paese a cui pensiamo è addirittura un continente: l’Africa. “Ha cominciato a tirare i primi calci al pallone a piedi scalzi, in mezzo alla strada, come tutti quei bambini africani che non sono riusciti a realizzare quel sogno”, è l’incipit di questo articolo del Gazzettino su Jerry Mbakogu mentre cresceva in Nigeria e non credo di dover aggiungere altro.

Se invece pensiamo a giocare scalzi come una forma di povertà, ma anche di libertà spirituale, pensiamo all’India. Magari non ci avevate pensato, magari se pensate a essere scalzi in India pensate ai fachiri o ai Beatles dopo il 1968, ma c’è una storia qui. Sembra che la Nazionale dell’India, quella che oggi viene derisa perché non riesce a fare una squadra decente da oltre un miliardo e mezzo di abitanti, alla fine degli anni ‘40 era fortissima. Come facevano? Giocavano scalzi. Nel 1948, in tournée in Europa, stupirono tutti giocando scalzi. Persero solo 2 a 1 con la Francia mostrando un calcio spettacolare e, pare, batterono l’Ajax per 4 a 1 (su questa storia è recentemente tra l'altro uscito un film, se siete interessati). Un successo che portò la FIFA a invitarli al Mondiale del 1950. Gli indiani però rifiutarono. Il motivo? Non avrebbero potuto giocare scalzi. Almeno questo è quello che si è detto per decenni, anche se pare non fosse il vero motivo. Mai però sporcare con la verità una storia utile alla mia tesi. Comunque il concetto rimane: giocare scalzi? Meglio.

Tutti però, quando pensano a un paese dove giocare scalzi è prima di tutto una forma d’arte, pensano al Brasile. In Brasile si gioca scalzi non perché non ci siano i soldi per comprare le scarpe, anche se magari - effettivamente - non ci sono i soldi. Ci si gioca per avere un contatto più sensuale col pallone, per essere più aderenti all’idea del joga bonito, del calcio che sgorga dai piedi come acqua dalle rocce. Nelle favela si gioca scalzi perché poveri ma felici; in spiaggia si gioca scalzi perché è la spiaggia. Addirittura la Nike, che di lavoro vende gli scarpini, e che quindi dovrebbe quantomeno far finta che questa possibilità non esista, ha inserito momenti in cui i giocatori del Brasile palleggiano scalzi nella pubblicità del Brasile di Joga Bonito girata in spogliatoio, per poi far “filtrare” questo video in cui Ronaldinho, Roberto Carlos e Robinho palleggiano scalzi.

Se state pensando che questo feticismo è esaurito dal beach soccer, dove effettivamente si gioca scalzi, non è così. Per quanto nel nostro riduzionismo abbiniamo ogni sport che coinvolge piedi e palla al calcio, il beach soccer è un’altra cosa: la sabbia crea altre dinamiche, il pallone pesa meno, lo sforzo è diverso, le regole sono diverse, l’idea di gioco è diversa. Per questo non userò alcune delle cose meravigliose che fanno su questi campi per portare acqua al mio mulino. Citerò solo Josep Junior Gentilin, nazionale italiano di beach soccer nato in Brasile, che sul giocare senza scarpe ha detto: «Io sono abituato così, ho iniziato a cinque anni nella scuola calcio del Vasco da Gama e quando ho provato a mettermele mi sentivo un altro giocatore. Il contatto tra la pelle e la sabbia mi dà emozioni indescrivibili».Piedi scalzi e calcio d’éliteIl caso del Brasile dimostra che esiste una purezza implicita nel giocare da scalzi. C’è qualcosa di intimo nel toccare il pallone senza scarpe, una forza primitiva innegabile. Guardate i video di Messi che gioca a scalzo nel suo giardino col cane, di Ronaldinho che gioca scalzo sulla spiaggia, o Beckham che calcia il pallone scalzo.Ovviamente voi potreste controbattere che quello non è calcio ma gioco del pallone. Che giocare scalzi è ok in spiaggia, per ovvi motivi; oppure in giardino, con l’erba appena tagliata, al tramonto, tra amici. Quando però le cose si fanno serie, quando cioè si gioca una partita vera, con un punteggio, degli avversari, delle tattiche e dei ruoli, ci vuole la protezione del cuoio, la stabilità dei tacchetti, la sicurezza dei calzettoni. Ma è davvero così? Davvero è impossibile immaginare un calcio d’élite, il calcio dei professionisti diciamo, giocato da scalzi? Questo è un ragionamento ha una sua fallacia: se pensiamo a un giocatore scalzo in mezzo ad altri 21 muniti di scarpini e calzettoni sarebbe ovviamente un suicidio. Se però pensiamo a un calcio in cui tutti sono scalzi, la prospettiva cambia. È difficile da immaginare fuori da una spiaggia di Rio, perché dopotutto indossiamo scarpe ovunque andiamo, ma un campo da calcio per un professionista è casa, e a casa si sta meglio scalzi: è un dato di fatto. Ci sono vantaggi oggettivi e soggettivi in questa rivoluzione. Il più banale è che a scomparire sarebbe la durezza dei tacchetti. Chi gioca a calcio convive con abrasioni, ferite, lividi, unghie nere per colpa di pestoni o entrate dure con la gamba alta. È vero, non sono quasi mai infortuni gravi, sono più dei fastidi che i calciatori ogni tanto ci mostrano sui social per farci vedere come il loro sia un lavoro usurante. Ma senza scarpini i calciatori sentirebbero meno il bisogno di togliere il piede perché l’avversario non arriverebbe con un’armatura di plastica o metallo.

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Lo so, scusate, ma la rivoluzione non è un pranzo di gala.

Posso ammettere che, all’inizio, fiaccati da una vita dentro le scarpe, i piedi dei calciatori potrebbero avere problemi ad assorbire i contatti. Ma quello è un aspetto che si allena. Andate a chiedere ai lottatori di arti marziali quanto possono diventare resistenti i colli dei piedi, dure le piante, flessibili le caviglie. So che sembra difficile da credere, e anche io non mi crederei, ma secondo le persone che studiano la vita a piedi scalzi, persone di cui onestamente non mi fiderei ciecamente, con il giusto allenamento i piedi possono raggiungere una forza incredibile. Anche i tiri, quindi, gioverebbero dall’abolimento dello scarpino. Non tiri più deboli, ma anzi più forti.

A quanto pare una volta in NFL i kicker calciavano scalzi, vorrà pur dire qualcosa.

Un’altra obiezione che si può fare è che gli scarpini non servono solo a proteggere i piedi, ma anche a dare stabilità, a correre più veloce. Ma siamo sicuri che oggi questo sia una cosa positiva? Lo scarpino nasce per ancorare al terreno calciatori che erano a malapena atleti e che erano costretti a giocare su campi di patate, non per fare andare ancora più veloce Mbappé sul tappeto del Santiago Bernabeu. Un tempo i migliori giocatori al mondo erano quelli che sapevano toccare meglio il pallone, oggi sono quelli che lo sanno toccare meglio andando a duemila allora. Non fraintendetemi, considero la velocità un valore e saper fare quello che fanno Mbappé o Vinicius con quella rapidità è talento, tecnica, è essere fenomeni. Togliendogli le scarpe continuerebbero a essere più veloci degli avversari, solo andrebbero un po’ più piano.

Dalle scuole calcio alle prime squadre, mi sembra ovvio, scomparirebbero gli scarpini e i calzettoni. Ci si allenerebbe scalzi sull’erba naturale dei campi più fortunati e su quella sintetica dei campi meno. Per i campi di pozzolana, è la volta buona di eliminare anche loro. Ci si allenerebbe scalzi con la pioggia e con il sole, non ci sarebbero problemi di quali tacchetti scegliere. Si scivolerebbe di più? Probabile, ma anche quella è selezione naturale. I migliori giocatori allora saranno quelli con il miglior equilibrio, in grado di reggersi in piedi. È già così ora: non pensate che, tolti gli scarpini, la distanza tra voi e Haaland si accorci. Non ho molte prove visive da portare a mio favore, ma uno dei gol più importanti e iconici della storia del calcio italiano è stato segnato senza uno scarpino. Era il 1984 e il Verona ospita una delle Juventus migliori di sempre. Passa in vantaggio, ma i bianconeri spingono, poi all’81’ Elkjaer si inventa questo gol.

Elkjaer uccella Pioli (sì, quel Pioli) che in un tentativo disperato di recupero da dietro in scivolata gli toglie lo scarpino destro. Proprio col destro, scalzo, il giocatore del Verona continua la sua splendida azione fino al clamoroso gol. Il Verona vincerà quella partita e, poi, lo Scudetto, uno dei più improbabili di sempre (non voglio spingermi a dire che, da scalzi, il calcio diventerebbe meno gerarchico).Se pensate che quello sia un passato troppo lontano per essere credibile, allora ecco a voi Messi che, scalzo, fa assist nel Clasico, la più importante partita al mondo. Ma c'è anche un gol di Matri alla Fiorentina, segnato senza scarpa, oppure, se preferite, c'è il gol annullato a Scalvini, segnato addirittura tenendo una scarpa in mano, come un atto di protesta contro il mondo che lo obbliga a indossare le scarpe.

Qui c’è un utente su Quora (un sito di domande e risposte) che si chiede “Perché posso giocare bene a calcio senza scarpe mentre non sono in grado di giocare così bene con le scarpe?” Uno gli risponde che, beh, se hai giocato sempre senza scarpe, è normale! Le scarpe sono un “filtro”, qualcosa di innaturale tra il piede e il pallone. Cita Bikila, il più famoso atleta scalzo che nel 1960 vinse la medaglia d’Oro alle Olimpiadi correndo la Maratona a piedi nudi. Quando poi lo spinsero a provare con le scarpe, i suoi risultati furono peggiori, almeno all’inizio. Su Reddit c’è un utente che cerca di vendere la mia stessa tesi, usando all’incirca le stesse motivazioni. Lui come problema maggiore pone quello del freddo. Giocare d’inverno su terreni semi-gelati da scalzi non deve essere il massimo, ma qui ci viene incontro il cambiamento climatico. Quanto freddo ci aspettiamo in futuro? Non molto. Poi, se non volete dare retta a me, ci sta, potete ascoltare Zlatan Ibrahimovic. Dopo uno dei suoi ultimi gol in carriera, un gol segnato con entrambi gli scarpini slacciati, lo svedese ha postato la foto sul proprio Instagram ricordando a tutti che non sono le scarpe da calcio a fare la differenza, sono i piedi.

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E se sono i piedi, perché coprirli? Perché contenerne la forza, ingabbiarne la magia, stritolarne la libertà? Il piede è il re del calcio e forse è ora di accorgersi che il re deve essere nudo.

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