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Marco D'Ottavi
Alzati e cammina Vol. IV
07 apr 2023
07 apr 2023
Calciatori a cui servirebbe un miracolo.
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Marco D'Ottavi
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Seguitemi perché il concetto potrebbe essere un po’ complicato: resurrezione, ma calcistica. Non vogliamo essere blasfemi, o violenti, mettere Gesù Cristo e Cristiano Ronaldo sullo stesso piano, tuttavia quale momento migliore per giocarsi questa similitudine? Se infatti come concetto letterale la resurrezione è un mistero di fede, come metafora si sposa bene con il calcio, uno sport dove ogni opinione è definitiva, almeno fino a quando non lo sarà più.Come il gallo prima dell’alba, abbiamo già scrittotre voltedi resurrezione. Parole di speranza per giocatori apparentemente finiti. In alcuni - molti - casi questa preghiera è andata a vuoto, ma qualche volta si è rivelata benaugurante. Con questo spirito ci riproviamo, scegliendo 7 giocatori la cui carriera meriterebbe di rinascere, se non in maniera divina come Gesù, quanto meno spettacolare come una fenice. Romelu Lukaku Chi più di lui avrebbe bisogno di una Pasqua di resurrezione? Passare dal comico liscio contro la Fiorentina a essere decisivo contro il Benfica. Cambiare il proprio destino in poco più di tre giorni, liberarsi almeno del fardello psicologico che si sta portando dietro e che non può essere risolto da un rigore segnato in Coppa Italia.Cosa è successo a Lukaku è un mistero, non della fede, ma di quelli che succedono nello sport: un giorno sei in cima al mondo, quello dopo nella polvere. Vederlo giocare fa quasi tenerezza, confrontarlo con il ricordo che avevamo piangere. Dove è finito quell’attaccante che spostava le montagne, che distruggeva le difese, che sembrava semplicemente troppo per la Serie A?

C’è qualcosa di cristologico nella sua parabola: mai veramente amato quando trasformava l’acqua in vino (sempre in senso metaforico), facilmente odiato da tutti mentre Ponzio Pilato (Marotta?) chiede al popolo se preferiscono lui o Barabba (Dzeko?). È difficile dire cosa possa fare per riscattarsi, tornare a essere quello splendido centravanti di due stagioni fa, ripresentarsi tirato a lucido davanti a San Tommaso (i tifosi dell’Inter). C’è sicuramente un problema fisico: Lukaku è troppo grosso. Per paradosso dovrebbe allenarsi meno, perdere un po’ di quella ingombrante fisicità che gli permette di oscurare i difensori, per guadagnare un po’ in agilità e rapidità. Gli errori sottoporta di questi mesi mostrano un attaccante troppo impacciato per essere vero, poco a suo agio con la propria coordinazione. C’è poi una leggerezza mentale da ritrovare. Sì, ma come? Lukaku è lontano dall’Inter, schiavo del suo contratto con il Chelsea. In estate sarà di nuovo un pacco fermo a Londra, da spedire chissà dove. Un grande finale di stagione potrebbe cambiare le cose. Certo, immaginarselo è difficile. Lukaku non dovrebbe iniziare a giocare meglio, dovrebbe proprio risorgere (appunto). Come si fa però, non lo sa nessuno, neanche i guru di Tik-Tok. Dele AlliSe a Gesù Cristo sono bastati tre giorni, a Dele Alli non sono bastati tre anni. Senza che quasi non ce ne accorgessimo, è caduto così in basso che vale forse la pena ricordare chi era, ovvero uno dei talenti più eccitanti del calcio mondiale. Uno che nel 2018, a 22 anni, era valutato 100 milioni e che oggi non vale niente. Che a 19 anni era diventato titolare del Tottenham di Pochettino come se fosse la cosa più naturale del mondo, che aveva segnato 10 gol e servito 11 assist, ma che soprattutto era fico, nel senso più totale del termine. Dentro e fuori dal campo Dele Alli sembrava un manifesto generazionale, la parte migliore dei millenials, capaci di vivere con leggerezza e vestirsi in maniera impeccabile mentre il mondo implode intorno a loro.

Oggi invece Dele Alli è al Besiktas, dove è finito fuori dai convocati. In una delle ultime presenze è stato fischiato dai suoi stessi tifosi e poi sostituito a fine primo tempo. Senol Gunes, l’allenatore del Besiktas, ha giustificato il suo accantonamento dicendo che Dele Alli «non riesce a essere incisivo come potrebbe, sia in fase di rifinitura che di finalizzazione». Cosa pensare di un calciatore che a vent’anni andava in doppia cifra di gol e assist in Premier League e adesso non è abbastanza consistente da giocare nel campionato turco?Dele Alli non ha solo perso il suo talento, ma anche tutta la sua coolness. Con i capelli sfatti, un pizzetto che non gli dona, i lineamenti affaticati e una forma fisica carente sembra la versione calcistica del guardate com'eri… guardate come sei… me pari tu zio! Solo che qui non sono passati 30 anni, ma appena 3. Cosa l’ha ridotto così? E chi lo sa. Sicuramente l’esonero di Pochettino non lo ha aiutato, qualche infortunio di troppo lo ha limitato, ma non basta per spiegare il suo crollo. Una spiegazione, forse, possiamo intuirla tra le pieghe di All or Nothing: Tottenham Hotspur il docu-reality che ha seguito la stagione del club di Londra nel 2019/20. Dele Alli è nervoso, colpito dal perdere l’allenatore che lo aveva plasmato. Spesso i suoi interventi riguardano domande spiritose o comunque momenti surreali. È famosa una sua conversazione in cui Mourinho ne viviseziona i difetti con la freddezza di un sicario. Frasi che oggi suonano, più che come un monito, come una triste predizione. Un video che continuerà a tormentarlo per sempre, presente a ogni ricerca su di lui, in tutte le salse.

Come si risorge dopo essere stati battezzati negativamente da Mourinho? Certo, le colpe non sono tutte dell’allenatore portoghese, ma devono essere principalmente di Dele Alli. Forse era troppo bello per essere vero e infatti non lo era. C’è spazio per una sua resurrezione sportiva? Chissà: in estate tornerà all'Everton, dove però non lo stanno aspettando a braccia aperte. Con le valigie in mano, c’è un posto dove la resurrezione è celebrata ancora come merita. È un posto dove si festeggia con messe solenni, grandi pranzi e lunghe scampagnate (a meno che non sei una Partita Iva). Insomma, un paese dove magari la bellezza la odiamo, ma sappiamo riconoscerla. Un posto dove risorgere è un piacere (almeno per il clima).Paul PogbaChi in Italia ci è venuto appositamente per risorgere è Paul Pogba. Sembrava tutto anche troppo giusto: il ritorno alla Juventus da figliol prodigo, il numero 10 indossato come non se ne fosse mai andato, la necessità di essere leader in un contesto più adatto a lui. Dal suo arrivo, però, tutto è andato storto. Ancor prima che la stagione iniziasse, Pogba si è infortunato al menisco. Un infortunio che ha provato a risolvere in maniera conservativa, per provare a partecipare al Mondiale in Qatar, ma che ha finito per peggiorare e costringerlo all’operazione, facendogli perdere sia la possibilità di difendere la Coppa del Mondo che del tempo prezioso. Una scelta non del tutto apprezzata dai tifosi della Juventus. Per Pogba, però, l’infortunio non è stato neanche il problema più grande dell’ultimo periodo. Il francese, si è scoperto in estate, è stato ricattato da una banda di malviventi tra cui il fratello Mathias. A marzo l’avrebbero trascinato in un appartamento di Parigi e minacciato con le armi in mano chiedendogli 13 milioni di euro. Nel tempo sarebbero tornati dalla madre e dal calciatore stesso, in uno dei suoi primi allenamenti con la Juventus. A quel punto Pogba si è rivolto alla polizia. Oggi Mathias è in carcere e c’è un'inchiesta ancora aperta, molti dettagli raccontati dalla stampa sono così assurdi da sembrare finiti, da film. La realtà però cela una storia terribilmente triste: immaginate di venir ricattati da vostro fratello. E che il motivo del ricatto siano le prove che avreste chiesto a un marabutto, una figura dell’Islam a metà tra il predicatore e il mago, di tramare contro Kylian Mbappé, per puri motivi di gelosia.In questo scenario - che è uno scenario tremendo, qualcosa di cui lui non parla ma che non può farlo stare bene - Pogba deve rimettere in piedi la sua carriera, che in questo momento sembra declinare senza fine. Sotto Natale, ancora infortunato, aveva pubblicato una foto mentre se ne stava sorridente in montagna, sulla neve. Era sembrato uno screzio a tutto il mondo Juventus: un giocatore che guadagna tutti quei soldi, che non ha giocato un minuto, sceglie di passare il suo tempo libero in vacanza divertendosi sugli sci. Le risposte erano così risentite che poco dopo Pogba si è sentito in dovere di pubblicare un video in cui faceva finta di sciare in maniera ironica, per far capire che era sì in montagna, ma non per praticare un’attività che sarebbe stata pericolosa per un ginocchio sano, figurati per uno infortunato. Pogba è tornato tra i convocati solo a fine gennaio contro il Monza, senza però entrare in campo. Poi è arrivato un altro problema fisico e un mese di stop. L’esordio è avvenuto solo il 28 febbraio: 22 minuti con il Torino che lasciavano ben sperare. Pogba ha fatto in tempo a giocare altri 13 minuti con la Roma, saltare la partita col Friburgo per un ritardo, prima di infortunarsi di nuovo, questa volta agli adduttori. Appena uscito dal J Medical al termine degli esami che confermavano l’ennesimo stop, Pogba si è allontanato con lo sguardo cupo e la testa bassa. «Scusate, non ci sto con la testa» avrebbe detto ai tifosi che lo aspettavano.

Ora sembra che sia di nuovo abile e arruolabile. La Juventus si gioca tanto in questi ultimi mesi: l’Europa League, la Coppa Italia, la possibilità di arrivare tra le prime quattro anche con la penalizzazione (se verrà confermata e se non ne arriveranno altre). Nonostante gli screzi, i tifosi non vedono l’ora di vederlo in campo, di sancire con i loro boati la resurrezione di Pogba. Loro sono pronti a diventare discepoli, Pogba sarà pronto a essere servitore di uomini?Roberto Gagliardini Correva l’anno 2016 e Gianpiero Gasperini era sicuro: «Con le dovute proporzioni può diventare un Paul Pogba bianco». A sette anni di distanza possiamo dire che la sua profezia si è avverata: con le dovute proporzioni anche Gagliardini avrebbe bisogno di risorgere come il francese.

Vi ricordate di questo stupendo esemplare di centrocampista? A Gagliardini erano bastate 13 partite con l'Atalanta per stupire tutti, passare dall’essere uno sconosciuto a essere titolare in Nazionale e nell’Inter, che lo aveva acquistato a gennaio per oltre 20 milioni di euro. Sembrava l’inizio di una bella storia, e invece era la fine. Le stagioni di Gagliardini con l’Inter hanno finito per sovrapporsi l’un l’altra fino a creare un’unica grande delusione. 180 presenze che scompaiono dietro un paio di momenti ridicoli, un tempismo sbagliato che lo ha trasformato in un meme vivente. A Milano Gagliardini ha rappresentato tutto quello che non è andato negli ultimi anni: progetti tecnici fallimentari o abbandonati troppo presto, giocatori riempiti di responsabilità oltre il loro valore reale. È vero, Gagliardini si è rivelato essere un centrocampista molto lontano da quello visto a Bergamo ma forse in un contesto meno caotico avrebbe trovato la sua dimensione e non sarebbe ricordato principalmente per cose così.

Recentemente si è lamentato del suo scarso minutaggio e Inzaghi gli ha risposto solo «L'importante è che faccia bene in campo», che è sembrata una risposta anche troppo ironica, per un giocatore che il campo lo vede così poco. Sembrava potesse partire titolare in Coppa Italia con la Juventus, ma alla fine Inzaghi ha preferito continuare con i soliti noti. Gagliardini continua a sedersi in panchina con una pazienza quasi zen, mentre i tifosi sono terrorizzati dal rischio che debba entrare in campo prima o poi, per qualche motivo. https://twitter.com/misspiaze_/status/1642973874504495105 In estate, finalmente, Gagliardini e l’Inter si libereranno uno dall’altro: il suo contratto scade a giugno. Sarà questo il momento della sua resurrezione? Impossibile dire quale sia il suo livello oggi, cosa può ancora dare al calcio. Il Monza sembra molto interessato a dargli un’occasione, nel suo tentativo di raccogliere tutti i giocatori italiani di medio livello. La scelta romantica sarebbe tornare all’Atalanta dove c'è ancora Gasperini. Dimostrare che non era un abbaglio, ma è difficile immaginare Gagliardini tornare indietro nel tempo in tutti i sensi. In ogni caso, almeno, tra pochi mesi smetterà di essere un meme e tornerà a essere un giocatore. Non sarà la resurrezione di un campione, ma è già qualcosa. Eden HazardLa resurrezione di Eden Hazard, mi sembra, sarebbe un regalo a noi e un torto a lui. Difficile trovare un calciatore più sereno per il proprio declino, che dice senza nostalgia «credo che non tornerò come prima». Alla fine che vogliamo dirgli? Per alcuni anni è stato tra i migliori al mondo, poi puff: più niente. Hazard ha convinto - con il suo talento, non con un coltello alla gola - il Real Madrid a spendere 160 milioni per il suo cartellino e pagargli 15 milioni di stipendio fino al 2024 (il più pagato della rosa) per poi diventare la versione calcistica di Bartleby lo scrivano, il protagonista del racconto di Melville che a ogni richiesta rispondeva semplicemente "preferirei di no".I racconti sulla pigrizia di Hazard sono leggendari, ma anche quelli sulla sua capacità di cambiare totalmente quando si trattava di scendere in campo. Oggi però è rimasta solo la versione pigra. Su internet si discute sul suo peso, le immagini di lui con una pancia da trentaduenne normale, normale nel senso non un atleta professionista, si rincorrono tra verità e fotomontaggi. Ci sono video di lui che ride come se fosse uno scherzo quando Ancelotti gli fa segno di entrare, dei compagni che non gli passano il pallone, di un calciatore che è già sostanzialmente ritirato, che continua a giocare solo perché non ha trovato ancora di meglio da fare.

Un suo assist nei minuti finali della recente vittoria per 6-0 contro il Valladolid ha riacceso delle flebili speranze. Hazard è ancora vivo e lotta insieme a noi? No. La partita successiva, il Clasico di Coppa del Re, è tornato in panchina. Il Real ha vinto 4-0 e tutto quello che ha fatto il belga è stato entrare in campo dopo il fischio finale per fare le congratulazioni ai suoi compagni. Da quando è a Madrid non ha giocato neanche un minuto contro il Barcellona in quattro anni. La lista degli infortuni avuti in questo lasso di tempo sembra quasi uno scherzo: sono 18, a novembre 2021, c'è scritto, ha saltato tre partite per gastroenterite. Gli infortuni spiegano solo una piccola parte di questa storia: il suo problema non è che non riesce a trovare brillantezza per i continui stop, è proprio che non riesce più a fare quello che lo rendeva tanto forte su un campo da calcio. A chi glielo chiede Ancelotti risponde banalmente che Hazard non gioca perché gli altri sono più forti. Nelle sue gerarchie è stabilmente all’ultimo posto, superato anche dal diciottenne Álvaro Rodríguez e non c'è nulla che possa fargli cambiare idea, ne Hazard sembra volerci provare. Il suo obiettivo, dice, è rimanere al Real fino alla scadenza del contratto nel giugno del 2024, poi chissà. Nel frattempo continua a vincere trofei su trofei anche se - in maniera onesta - ammette di non sentirli suoi. Soprattutto, Hazard passa le sue mattinate a giocare a calcio con Benzema, Modric, Kroos (tutti più vecchi di lui). Proprio il tedesco, qualche settimana fa, ha fatto capire che Hazard abbia scelto consapevolmente questa strada: «È in difficoltà da diverso tempo, ma dopotutto ognuno è in una certa misura responsabile della propria situazione. [...]Credo che la compassione è fuori luogo in un caso come questo. Non credo che Edin abbia avuto una brutta vita». Insomma, per Hazard, e come dargli torto, la resurrezione è un concetto sopravvalutato. Trent Alexander-ArnoldCome regola generale (che esiste solo nella mia testa) non dovrei inserire in questa lista un calciatore il cui declino è così recente e quindi, possibilmente, solo un appannamento temporaneo. In teoria per essere considerati “sportivamente defunti” ci vuole un po’ di tempo, alcune stagioni sbagliate, un infortunio grave, una cessione in qualche campionato disgraziato. La caduta di Trent Alexander-Arnold è stata però così pesante e rumorosa che mi sento di dedicargli un pensiero. Che ti è successo TAA? Dalle stelle, alle stalle. La stagione del terzino di Klopp è così inspiegabile che nei video che gli dedicano sembrano davvero riferirsi a un morto.

Certo, è tutto il Liverpool a essersi spento, ma nel disastro nessuno ne sta uscendo più male di lui, in termini di percezione assoluta. Umiliato da Kvaratskhelia, da Mitoma a ripetizione, fregato nelle diagonali, in ritardo nei recuperi, imbambolato in area di rigore. In Inghilterra hanno iniziato a chiedersi se, forse, Alexander-Arnold non sappia difendere. Una questione che nessuno si era posto fino all’anno scorso, quando era il miglior terzino al mondo, almeno per quanto riguarda la capacità di creazione. Ma, quest’anno, anche la sua coperta di Linus sembra essersi sfilacciata: fin qui gli assist sono stati solo 2, l’anno scorso aveva chiuso a 19. A causa delle sue prestazioni ha perso anche il posto in Nazionale, dove sembrava inattaccabile. È riuscito a farsi convocare da Southgate più per infortuni altrui che per meriti, ma ha giocato appena una quarantina di minuti nell’ultima partita del girone. Solo pochi mesi fa avreste immaginato un Mondiale senza di lui? Su cosa possa essergli successo si rincorrono le teorie. Per qualcuno è il fantasma del gol di Vinicius Jr nella finale di Champions League che lo perseguita. In quell’occasione Alexander-Arnold si era fatto scappare il brasiliano alle spalle e il Liverpool aveva perso. Era stato l’ultimo atto di una stagione tremenda, dove il Liverpool aveva perso una Champions da favorito e la Premier League all’ultimo respiro. Una stagione logorante e lunghissima. Dal 2017 Alexander-Arnold ha giocato più di 20 mila minuti di calcio. Anche questa potrebbe essere una ragione: quante partite in un tempo limitato può fare un giocatore prima di spezzarsi, se non fisicamente proprio mentalmente? Forse Alexander-Arnold ha solo tolto il piede dall'acceleratore, abbracciato quella che è una tendenza lavorativa del mondo post-covid, il cosiddetto quiet quitting. Si tratta di “licenziarsi senza licenziarsi", smettere di dare tutto sul lavoro per dare solo il minimo indispensabile. Non ci sarebbe nulla di male: perché spremersi per essere il miglior terzino possibile quando si può essere ancora un terzino di buon livello facendo qualcosa meno?Alexander-Arnold, quindi, non ha bisogno di risorgere, quanto piuttosto di prendersi il suo tempo, trovarsi un hobby - iniziare a giocare a scacchi, mettersi a dipingere soldatini napoleonici, cose così. Riscoprire un mondo che va oltre l'universo a mille all'ora del Liverpool di Klopp, delle richieste fisiche ed emotive del calcio inglese: non di soli cross dalla trequarti vive l'uomo. Cristiano Ronaldo E quindi... Il calciatore di cui non avrei mai pensato di parlare qui, che finisce qui. Non si può dire che Cristiano non abbia cercato in tutti i modi di evitare queste righe, nonostante il nome. Per anni ha spostato il concetto di declino, lo ha nascosto dietro l'ennesima serie di addominali. Abbiamo quasi creduto potesse riuscirci, il primo calciatore ad avere un'età biologica di 25 anni per sempre. Abbiamo scoperto però che era un trucco e il tempo è venuto a chiedere il conto. Gli ultimi due anni di Ronaldo sono una lotta umana contro il concetto di decadenza, un rifiuto categorico di accettare questa umiliazione. Ronaldo ha provato a convincere il mondo che non era lui, erano gli altri, ma non ha funzionato. Il Manchester United, non senza difficoltà, lo ha messo alla porta. Troppo ingombrante per restare, troppo egoista per essere utile in un nuovo ruolo. Che fare allora? Come evitare la croce? Invece di salire sul Monte Golgota, Cristiano Ronaldo è andato in Arabia Saudita. Mossa geniale, non c'è che dire: se cercate il suo nome su internet oggi, i primi articoli dicono tutti la stessa cosa, ovvero che il portoghese è l'uomo ad aver segnato più gol nel 2023, più di Haaland e Rashford. L'altra notizia è che Al Hilal, la squadra rivale dell'Al Nassr in cui gioca Ronaldo, sta tentando Messi con un'offerta da 400 milioni. Se ci pensate, anche questa notizia non esisterebbe senza la scelta del portoghese di spostare il centro del discorso senza spostarsi dal centro.

50 anni fa, quando John Lennon disse che i Beatles erano «più famosi di Gesù Cristo» scioccò il mondo intero. Pochi però ricordano il proseguimento di quella frase: «Non so chi morirà per primo. Il Rock and Roll o il Cristianesimo». Oggi sappiamo la risposta, ma intanto la domanda è cambiata: chi morirà per primo? Il Cristianesimo o il Cristianoronaldesimo?

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