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Marco D'Ottavi
Alzati e cammina!
02 apr 2016
02 apr 2016
Da Adriano a Federico Macheda: giocatori a cui serve un miracolo.
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Marco D'Ottavi
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Risurrezione

ri·sur·re·zió·ne/

sostantivo femminile

Il termine resurrezione può avere un doppio significato. Uno più mistico e soprannaturale, legato alla vicenda di Cristo; un altro più umano, di carattere beneaugurante, quando legato alle piccole faccende della nostra vita.

Per dire, loro risorgevano un sacco.

Comunque la si voglia intendere, come concetto, la resurrezione è forse il più trascendente tra tutti quelli aggregati dall'uomo: in una vita che non ha nulla di scontato se non la fine, pensare che si possa ritornare dalla morte, reale o metaforica che sia, è davvero rivoluzionario. La resurrezione di Cristo, oltre a essere l'elemento fondativo della fede cristiana, ha in sé anche un messaggio motivazionale bello grosso per chi si sta lasciando andare. Che ci crediamo o meno, la possibilità di tornare è veramente l'atto di resilienza più grande, un qualcosa che dovremmo tutti imparare. Non è da escludere che se un giorno Cristo decidesse di tornare sulla terra si prodigasse, nel tempo libero, a motivare le persone sulla base di questo suo risultato personale con frasi del tipo “Se io sono morto e POI RISORTO, perché voi non cercate di dare ancora qualcosa?” Essendo Gesù Cristo molto appassionato di calcio (come potrebbe non essere altrimenti?), me lo sto immaginando andare a trovare quei giocatori che hanno smesso di dare il massimo perché oramai si considerano finiti, e motivarli nel percorso verso la resurrezione.

I'm back, bitch!

Fabio Quagliarella Fabio Quagliarella è un povero Cristo in croce, solo che è ancora un po' più povero di Cristo. Ama tutte le tifoserie d'Italia, perché sono state le sue tifoserie, ma poi quelle lo odiano. Onora il gioco segnando solo gol assurdi, ma poi segna solo quei gol. Lotta ogni giorno contro i prestiti, la panchina, il suo ruolo indefinito e indefinibile. Lotta contro chi lo crede sopravvalutato, contro chi lo ritiene sottovalutato. Lotta pure contro le borse sotto gli occhi, ma non vince mai. Fabio Quagliarella è un buon Cristo, solo più scaramantico, più devoto alla Madonna, al pallone, alla possibilità di fare gol anche quando non è possibile. https://www.youtube.com/watch?v=uFMYltUHbSQ

Fabio Quagliarella è un povero Cristo perché deve farsi dire queste cose da Aronica.

Quagliarella è un Cristo sulla croce del calcio di provincia. Inchiodato a una carriera da 12/13 gol a stagione, come se dovesse espiare tutti i peccati delle punte non troppo prolifiche. A 33 anni è tornato alla Sampdoria e ora ha due possibilità: fare di nuovo quello che ha già fatto, andando a morire lentamente, oppure risorgere come Cristo o una fenice, se preferite, e darci due anni di grandezza. Due anni fatti di 60 gol sempre più belli e impossibili, strappare a Higuaìn lo scettro di attaccante che può segnare in Serie A quando vuole. Fabio Quagliarella è il tipo di Cristo che segna gol bellissimi mentre tutto intorno a lui sta crollando. Mirko Vucinic «Mirko accanna l'Al-Jazira e vai a far vincere lo scudo all'Inter» Quello che Gesù Cristo direbbe a Vucinic è più o meno quello che gli diremmo tutti. La carriera del montenegrino fin qui è stata una continua tensione tra il talento e la pigrizia, e la scelta di trasferirsi all'Al-Jazira non ha fatto altro che spostare definitivamente l'ago verso quest'ultima. Nella prima stagione negli Emirati Arabi Vucinic ha segnato 27 gol in 24 partite, dimostrando di trovarsi perfettamente a suo agio in un contesto di calcio totalmente inadeguato, dove tra il caldo e la sabbia nessuno si stupirebbe decidessero di sostituire gli scarpini con le infradito, calzatura preferita di Vucinic. 24 partite, 27 gol, i capelli di uno dei The Pills. Questa è la vita di Vucinic oggi. Veramente Vucinic, che ci stai a fare lì a soli 33 anni (come quelli della morte e resurrezione di Gesù Cristo)? Ma non ti si stringe il cuore a pensare al gol al 90° per battere il Real Madrid? Non provi il bisogno fisico di eliminare di nuovo il Milan con un destro da 30 metri dopo esserti portato avanti il pallone con la suola? Toglierti i pantaloncini per esultare, portare baffi sempre più hipster, vendicare il rigore sbagliato contro l'Arsenal superando un turno di Champions da protagonista. Davvero Mirko, se hai delle emozioni, dove le tieni? Come fai ad accontentarti di compiacere quattro sceicchi dopo aver avuto ai tuoi piedi due delle tifoserie più importanti d'Italia? Risorgi Vucinic e torna a casa. Nel 2017 - quando Higuain e Dybala non ci saranno più – la vetta della classifica capocannonieri non te la toglie nessuno.

Adriano Se c'è uno che è stato quasi il più grande, ma che davvero non sembra poter risorgere, quello è Adriano Lete Riberio. Troppo profonda la fossa che si è scavato giorno dopo giorno da solo, troppi i colpi inferti alla sua carriera dall'alcool e dalla depressione. Eppure proprio per questo, Adriano sarebbe il miglior Cristo possibile: come lui è sceso agli inferi, come lui porta nel corpo i segni di quelle ferite. È notizia recente il suo ritorno al calcio giocato, come tesserato del Miami United, formazione partecipante alla NPSL, quella che possiamo definire la quarta lega per importanza del calcio a stelle e strisce. Anche se non è la prima volta che si parla di un suo ritorno, e forse non sarà neanche l'ultima, per la prima volta sembrano esserci degli appigli, dettagli che ci fanno sperare che Adriano possa tornare a splendere ancora una volta, anche se per poco, che alla fine pure Cristo non è tornato per molto. Il suo profilo instagram è pieno di speranza: possiamo vederlo mentre si allena impacciato, ma molto più in forma degli ultimi anni, fidarci dei sorrisi meno tristi del solito che sembrano volerci dire “ci sto provando davvero”, sentirlo affermare che “il calcio gli mancava troppo”, una frase che non può essere di circostanza quando sei stato uno dei migliori.

Mens sana in corpore sano

Molto probabilmente non lo vedremo mai più abbattere la porta del Bernabeu, o seminare intere difese di Serie A. Non lo vedremo neanche tornare al suo peso forma ideale, ma questo non importa. In alcuni casi risorgere vuol dire semplicemente esserci, dare qualcosa a qualcuno, soprattutto a se stessi. Hugo Viana Hugo Viana è uno dei misteri del calcio. Come la resurrezione è uno dei misteri della fede. Hugo Viana a 18 anni vinceva il Pallone d'Oro giovanile, a 19 veniva venduto dallo Sporting Lisbona al Newcastle per 12 milioni di euro e a 33 è un calciatore finito. Uno che in un calcio pre-youtube ti era capitato di veder giocare in qualche amichevole d'agosto su rete 4 ed eri andato dritto dagli amici a dire “ammazza quanto diventa forte Hugo Viana”. Uno che poi si è fermato e oggi non fa la differenza neanche negli Emirati. Allora Hugo Viana, davanti a Gesù, che vuoi fare? È il talento una cosa che può semplicemente scomparire come in Space Jam? Oppure sei tu che avevi altro da fare, cose a cui pensare, paesi da visitare, donne da conquistare? Tutto sommato è possibile mettere su un video di quasi 12 minuti di giocate di Hugo Viana. Concentrati Hugo, compra una cassetta con tutte le partite di Pirlo da quando ha iniziato a giocare davanti alla difesa e studiatela bene. Nessuno si aspetta che tu corra molto, ma nel 2018 il tuo compatriota Cristiano Ronaldo vorrà vincere il Mondiale, e tu davvero non vuoi dargli una mano? Avresti solo 35 anni, io a 35 anni non avrò ancora versato neanche un anno di contributi, vedi te. Fernando Torres Fernando Torres ha chiuso la sua prima stagione in doppia cifra nel 2003, ad appena 19 anni, guadagnandosi il soprannome di El Niño un po' per quella faccia da bambino, un po' perché a 19 anni sei un bambino e non dovresti chiudere stagioni con 14 gol tra i grandi. Ha continuato ad andare in doppia cifra nel 2004, nel 2005, nel 2006 e nel 2007. Poi è arrivato il Liverpool, la Premier League e le maggiori pressioni, e lui ha continuato ad andare in doppia cifra: nel 2008, nel 2009 e nel 2010. Tra la fine del 2010, fresco Campione del Mondo, e l'inizio del 2011 ha segnato 9 gol, che è proprio il momento prima della doppia cifra, poi è passato al Chelsea. È andato in doppia cifra anche nel 2011, con un gol solo da sommare ai precedenti 9, e poi nel 2012 anche se ha dovuto giocare 49 partite per segnare 11 gol. Anche nel 2013 e nel 2014 è andato in doppia cifra, ma nessuno gli ha più creduto. Qual è il momento preciso in cui Fernando Torres è diventato un brocco, passando dall'essere uno dei migliori attaccanti del decennio ad essere un meme? Già quando firmava per il Chelsea? Oppure quando ha sbagliato questo incredibile gol a porta vuota con il Manchester United? O, meglio, è stato quando ha sbagliato anche questo gol e questo altro, visto che tre indizi fanno una prova? Forse lo è diventato quando ha scelto di andare al Milan, affossandosi nella peggior stagione dei rossoneri. Oppure, più semplicemente, quando è diventato più bello che forte.

Eppure Fernando Torres non sembra stare comodo nel suo sepolcro, vuole guadagnarsi un nuovo contratto con l'Atletico (in scadenza nel 2016) «Io, giocatore finito? Ma che scherziamo! Ce ne vuole prima che mi ritiri. Certo, se il club compra ragazzi giovani sono cosciente del ruolo che vuole darmi. Dal primo gennaio posso ascoltare offerte perché sono in scadenza. Ma sinceramente non mi interessa. Né riceverle, né ascoltarle». Sarebbe bello se la sua resurrezione iniziasse già sabato, contro il Betis, e poi la domenica successiva e quella dopo ancora, per guadagnarsi nuovamente la doppia cifra (è fermo a 5 gol), per ottenere il rinnovo con il suo Atletico, per conquistare l'Europeo con la Spagna, per tornare ad essere El Niño Torres, quello che ogni estate speravamo comprasse la nostra squadra del cuore. Freddy Adu Freddy Adu doveva essere il nuovo Pelè, come se fosse umanamente possibile. Doveva mettersi il calcio USA sulle spalle e portarlo ad un altro livello, doveva essere la stella della Nike che a 13 anni lo mise sotto contratto, la stella di EA Sport che a 16 lo schiaffò sulla copertina di Fifa 2006. Doveva essere tantissime cose, ha finito per essere schiacciato dalla stessa croce che portava. https://www.youtube.com/watch?v=NnPsmqQ9XaA

Da nuovo Pelè a Championship Manager Legend.

E allora chi più di Freddy Adu è vicino alla figura di Cristo morente? Si è preso tutti i peccati del mondo, o almeno tutti i peccati del mondo del calcio: i peccati dei giornalisti che lo chiamavano il nuovo Pelè, quelli di chi gli ha permesso di diventare professionista a 14 anni a 500mila dollari a stagione, di chi sperava fosse Messi prima ancora di sapere dell'esistenza di Messi, di chi gli ha creato una terra promessa senza latte e miele. In una recente intervista si è preso le responsabilità per il suo fallimento dicendo di aver sprecato un sacco di anni della sua carriera, non dedicando il tempo che avrebbe dovuto allo sport, senza mancare però di togliersi qualche sasso dalle scarpe “Ho solo 26 anni. Sì, ho avuto qualche momento difficile in carriera. Ne ho avuti anche di grandi tuttavia. Non è stata una mia scelta o decisione quella di essere paragonato a Pelè”. Oggi Adu gioca nei Tampa Bay Rowdies, una squadra della NASL nel cui stadio una curva è il pendio di una collina dalla cima della quale i tifosi, se vogliono, possono rotolarsi dopo un gol ed è passato dall'essere sponsor Nike a tweet in cui pubblicizza un aspirapolvere 2 in 1.

Il suo profilo twitter si apre con queste parole “Attitude is EVERYTHING, Never put a period where God put comma” (l'ATTITUDINE è tutto, mai mettere un punto dove Dio ha messo una virgola). E allora chi siamo noi per mettere il punto ad un 26enne che doveva essere Pelè? Freddy Adu risorgerà il giorno in cui capirà che esistono solo virgole, perché dopotutto... https://twitter.com/MLSist/status/715015631498817537

Questo tweet ci restituisce esattamente quanto sia stata cristologica la parabola di Adu.

Federico Macheda 5 Aprile 2009, è il novantesimo minuto di Manchester United – Aston Villa, il risultato è fermo sul 2 a 2 mentre il Liverpool ha già giocato e vinto, è in palio il primo posto in classifica. Tu sei appena entrato, hai 17 anni e non hai mai giocato in Premier League, ti passa una palla Ryan Giggs, cioè dico RYAN GIGGS, sei spalle alla porta e con un controllo orientato di tacco ti liberi del difensore dietro di te creando spazio sufficiente per il tiro. Calci cadendo, probabilmente con gli occhi chiusi. Fai un gol bellissimo. L'Old Trafford impazzisce, il telecronista riesce solo ad urlare MACHEDAAAAAAAAAA. Andiamo avanti veloce: marzo 2016, neanche 7 anni dopo, siamo a Nottingham, nelle Midlands orientali, più precisamente in quello che sembra il parcheggio di un centro sportivo. Ci sono gli alberi senza le foglie, come giusto in Inghilterra, ci sono gli uccelli che canticchiano in sottofondo, ma più importante di tutti c'è Federico Macheda, che di quel gol conserva solo il taglio di capelli. Nel suo inglese scolastico e sicuro allo stesso tempo sta parlando di Marcus Rashford, il nuovo gioiellino del Manchester United. Ad un certo punto gli chiedono di dargli un consiglio, anzi dicono precisamente offrirgli un consiglio. Macheda dà una risposta completamente svuotata di significato, come solo i calciatori sanno fare, ma lo fa alzando gli occhi. Quel gesto ci dice perfettamente cosa pensa realmente Macheda, che sa benissimo perché hanno fatto a lui quella domanda, e in quegli occhi leggiamo tutta la tristezza del mondo. https://twitter.com/BBCRNS/status/712355491515666432 Su youtube si trova un video, in giapponese, che riprende Macheda alla fine di quella partita. I giocatori del Manchester lo abbracciano, Cristiano Ronaldo lo abbraccia, lui si avvicina alla telecamera e la bacia. Visto oggi sembra veramente il bacio di Giuda, il momento in cui Macheda di tutti gli universi possibili sceglie quello più sbagliato per lui, fatto di stagioni con sempre meno gol, esultanze vagamente razziste, frasi omofobe e serie sempre minori in cui scendere, ma sempre con questa idea che non sia davvero colpa sua, che doveva andare così. Federico Macheda avrebbe veramente bisogno di sedersi ad un tavolo con Gesù, caffè e sigarette come nel famoso film di Jim Jarmush, e parlare un po' di sé. Liberarsi di questa aurea di eterna promessa non mantenuta e dimostrare di non essere stato un glitch nella matrice, uno la cui parabola ha toccato il punto più alto a 17 anni. Perché dopotutto tutti meritano di risorgere anche, e forse soprattutto, chi non se lo merita.

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