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Foto di Marco Bertorello / Getty Images
Calcio Fabio Barcellona 4 maggio 2018 10'

La visione del calcio di Allegri

Una riflessione sul dibattito generato dalle parole del tecnico della Juventus ai microfoni di Sky Sport.

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Nel 2014, in un’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica, Massimiliano Allegri aveva parlato della sua maniera di intendere il calcio e il mestiere di allenatore. A rileggerla oggi, a quattro anni di distanza, si ritrovano esattamente gli stessi concetti espressi nell’intervista televisiva per Sky nel post-partita di Inter-Juventus: c’è persino il paragone tra calcio e basket.

 

È una conferma che, al di là dell’impeto del momento, le idee di Allegri sono ferme e radicate e le sue parole, che hanno generato una grande polemica, non dovrebbero sorprendere più di tanto. Certo, i toni utilizzati e il contesto in cui sono state espresse vanno contestualizzate. In questa stagione c’è stato un lungo dibattito sul gioco della Juventus, solido e pratico ma i cui risultati sono figli più della sua forza difensiva e delle giocate individuali dei suoi campioni che di un impianto di gioco strutturato e, perché no, bello da vedere.

 

Sembra questo il punto di vista di Allegri. Tuttavia vorrei provare a mettere da parte il quadro entro cui le idee di Allegri sono state espresse, e il fatto che lasciando in maniera brusca l’intervista abbia troncato ogni discussione affermando implicitamente che la “sua verità” sia sostanzialmente l’unica possibile. Considerando anche che qualcuno ha sintetizzato i commenti di Allegri come: «La tattica – quantomeno in fase d’attacco – non conta nulla e si vince coi campioni», mi sembra più interessante riflettere sul senso delle sue parole e definire meglio il suo orizzonte di pensiero.

 

Allegri ha detto davvero che la tattica non serve, che bastano Messi e Cristiano Ronaldo? Soprattutto, conoscendo il suo calcio, è possibile abbia detto e pensi davvero una cosa del genere?

 

Le premesse emotive

Il monologo di Allegri nasce da una domanda di Daniele Adani. L’opinionista di Sky premette che secondo lui il campionato verrà deciso «più sulle giocate che sul gioco»; quindi chiede al tecnico se la Juve «può giocare meglio, può riuscire a essere padrona del proprio destino…», se può arrivare «a meritarsi la giocata decisiva… più che a trovarla».

 

La premessa sembra contenere una dicotomia tra giocate e gioco che vengono però riconciliate nella domanda successiva, in cui la giocata può e deve diventare una conseguenza del gioco.

 

Rimane sottinteso che per giocata si intenda il gesto determinante e puntuale di un giocatore che risulta decisivo per orientare i destini di un match, mentre per gioco sembra intendersi una dimensione maggiormente collettiva e generale di conduzione tattica di una partita.

 

Inizialmente Allegri risponde ribadendo alcuni concetti espressi poco prima, dialogando con Massimo Ambrosini sulla partita appena conclusa con l’Inter: lamenta che la sua squadra avrebbe dovuto creare le condizioni per generare un 2 vs 1 sulle fasce tramite le ricezioni sul corpo di Mandzukic (esterno sinistro del 4-2-3-1) che, impegnando Cancelo, avrebbe liberato spazio esterno ad Alex Sandro e ai tagli interni di Douglas Costa (esterno destro), propedeutici alle sovrapposizioni di Cuadrado.

 

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Mandzukic riceve un pallone lanciato dall’altra fascia da Cuadrado creando, insieme ad Alex Sandro, un 2 vs 1 contro Cancelo. Secondo Allegri la Juventus ha usato troppo poco questa situazione tattica

 

In questa fase, cioè, Allegri si rammarica che la sua squadra non abbia messo in difficoltà gli avversari attraverso soluzioni di gioco che possano essere ricondotte alla definizione di “tattica collettiva”. Un termine con cui si intende il movimento organizzato di due o più giocatori (quindi anche di un intero reparto e/o dell’intera squadra) finalizzato al raggiungimento di uno scopo comune, difensivo o offensivo.

 

Allegri prosegue sottolineando come quella precedente contro il Napoli fosse stata una brutta partita, precisando che la Juve ha giocato male ma che il Napoli non ha fatto molto meglio, «non c’è stato un tiro in porta in 90 minuti». Proprio discutendo della sfida contro il Napoli, il tecnico inizia a contrapporre la sua idea di calcio a quella che secondo lui, in maniera generica, veicolano gli opinionisti di Sky.

 

Massimiliano Allegri ritiene che quella contro la squadra di Sarri sia stata un brutta partita “in generale” altrimenti “si vede un calcio completamente diverso e allora io mi fermo e non dico niente”, definendo così l’alterità della sua visione del calcio rispetto a quella (un po’ sbrigativamente) attribuita ai suoi interlocutori.

 

Punto nell’orgoglio, rivendicando i meriti della sua squadra, vincitrice di 18 delle ultime 21 partite di campionato, Allegri evidenzia come sia quasi fisiologico avere dei momenti di pausa e inizia la parte di discussione che ha acceso il dibattito.

 

«Bisogna capire i momenti della stagione…. Purtroppo il calcio è diventato… è troppa teoria. Sento parlar di schemi, di robe, di robe, di cose».

 

Il paragone con il basket

A quel punto si inserisce il conduttore Marco Cattaneo che afferma che anche gli schemi contano, e Allegri inizia un paragone con il basket: «Fanno gli schemi…alla fine… non è venuto fuori lo schema, hai 3 secondi per pensare… a chi la danno la palla? A quello più bravo che gioca in 1 vs 1 e tira… o esce da un blocco e tira… E gli schemi non vengono nel basket…».

 

Il paragone sembra quindi ricondursi a quanto affermato in precedenza riguardo il momento della stagione bianconera. Allegri non dice che nel basket non servano gli schemi, ma che quando uno schema fallisce si tende ad affidarsi al giocatore più bravo, alla giocata individuale (1 vs 1). Introduce però un elemento di tattica collettiva, parlando dell’uscita da un blocco precedente al tiro.

 

L’allenatore della Juventus sembra voler dire che, in un momento di difficoltà della squadra, le soluzioni possano provenire dalle capacità individuali dei calciatori. Il confronto tra i due sport è però più profondo, tanto che anche nell’intervista del 2014 Allegri utilizzava le stesse argomentazioni. Il tecnico juventino prosegue affermando che in misura maggiore che nel basket, non sono gli schemi a far vincere le partite nel calcio.

 

Sia basket che calcio sono due sport classificabili come open skill, cioè discipline in cui il gesto tecnico è condizionato dall’imprevedibilità del contesto ed è fondamentale la capacità di adattarlo con estrema rapidità. Le variabili da cui ogni singolo gesto è influenzato sono praticamente infinite (posizione di compagni e avversari, posizione in campo, risultato della partita, condizioni di fatica fisica e mentale). In aggiunta, e Allegri lo sottolinea, il calcio a differenza del basket si gioca con i piedi, cioè con le estremità che non sono deputate al controllo e alle gestione di oggetti, su una superficie d gioco molto più ampia. Aumenta il numero di variabili e, in definitiva, amplifica l’imprevedibilità del risultato di ogni singolo gesto tecnico, rendendo più complesso portare a termine con successo soluzioni predeterminate (schema).

 

In definitiva Allegri, per ridurre l’importanza degli schemi nel basket, lo paragona a uno sport simile al calcio, in cui gli schemi, per le dimensioni del campo e le estremità con cui si gioca il pallone – e, aggiungo io, per la natura più discontinua del basket che aumenta la ripetibilità riducendo le variabili in gioco – possono talvolta risultare inefficaci, lasciando il campo alle soluzioni individuali degli interpreti.

 

Per rafforzare il concetto, Allegri, come nell’intervista del 2014, aveva sottolineato che se le qualità individuali non fossero importanti i grandi calciatori non costerebbero le cifre che costano.

 

La parte che è stata interpretata come “tattica vs tecnica”

A quel punto Allegri vira sulla formazione dei giovani calciatori, affermando che “Bisogna cambiare… I giocatori, a cominciare da quelli piccolini, vanno fatti lavorare sulla tecnica e sulla tattica individuale”.

 

La “tattica individuale” è l’esecuzione di un gesto tecnico all’interno di un contesto di gioco e rappresenta quell’insieme di comportamenti che il singolo calciatore adotta per rendere efficace il suo gioco e la sua prestazione tecnica. All’interno del concetto di tattica individuale è presente il processo decisionale che ogni calciatore deve compiere in ogni momento della partita.

 

Allegri conclude dicendo “Questo è il male del calcio italiano…” e sembra che si riferisca alla sottovalutazione dell’aspetto tecnico e individuale a vantaggio di una dimensione più collettiva e schematica. Prosegue: “Non sento una volta un gesto tecnico”, accusando l’informazione specializzata di trascurare l’importanza della tecnica nel gioco.

 

Chiude infine dicendo che “bisogna dare un’organizzazione difensiva”, lasciando immaginare una fase offensiva centrata esclusivamente sulla libertà del talento dei giocatori. Le sue ultime parole sembrano descrivere una differenza radicale tra il suo modo di intendere il calcio e quello dei suoi interlocutori: «Semplice, il calcio è molto semplice, non lo rendete complicato che poi vi intortate… Continuate con le vostre teorie che fate bene… Per me il calcio è un’altra roba».

 

Un post-gara, specie di una partita così importante e intensa come è stata Inter-Juventus, non è forse il momento migliore per rivelare il proprio modo di intendere il calcio. Allegri è apparso infastidito dalle ripetute critiche al gioco della propria squadra, ritenendole ingiuste alla luce dei risultati ottenuti.

 

Le incoerenze di Allegri

L’adrenalina della situazione ha comunque portato Allegri ad eccessive semplificazioni. Una, ad esempio, sta nell’avere appiattito la domanda posta da Adani, che chiedeva se fosse possibile trovare un modo migliore per permettere ai giocatori di esprimere il proprio talento. Allegri ha contrapposto la parola “schema”, il cui significato rimanda a soluzioni di gioco pre-ordinate, studiate a tavolino e riproposte in campo in modo rigido.

 

Che Allegri fornisca in realtà idee di natura collettiva in fase d’attacco lo rivela lui stesso nell’intervista di poco prima, parlando degli errori strategici dei suoi calciatori. L’assoluta libertà offensiva, uno dei due estremi del discorso, non è in effetti contemplata nemmeno nell’esempio della pallacanestro, in cui la giocata del singolo è successiva al fallimento degli schemi.

 

Sull’altro estremo, quello che in teoria sarebbe il calcio promosso dagli opinionisti di Sky, si lascia immaginare un gioco meccanico e privo della libera interpretazione dei singoli calciatori che, ad alti livelli, viene sempre più raramente proposto. Nella realtà il calcio è sempre più basato sui princìpi di gioco, cioè le caratteristiche che una squadra vuole possedere nello sviluppo del proprio calcio e che disegnano la struttura di gioco della squadra stessa. Esempi di principi di gioco possono essere “attaccare lo spazio lasciato libero dall’avversario uscito in pressione” o “marcare gli appoggi e aggredire il portatore di palla immediatamente dopo avere perso il possesso”. Allenando per principi si rendono chiari gli obiettivi e, in accordo con la complessità del gioco, si riducono le soluzioni prestabilite per lasciare spazio alle scelte dei calciatori che devono essere coerenti con il principio da perseguire.

 

Si passa dall’importanza quasi esclusivamente tecnica del calciatore nella qualità dell’esecuzione di uno schema, al ruolo decisivo, insieme tecnico e tattico (tattica individuale) nella scelta della migliore soluzione da attuare per soddisfare le migliori esigenze della squadra nel rispetto dei principi comuni.

 

Se un gioco totalmente libero da qualsiasi direzione preordinata dagli allenatori e uno dominato invece dagli schemi rappresentano due estremi opposti difficilmente riscontrabili nella realtà (e verosimilmente datati), la vera frontiera può forse passare tra allenatori i cui principi di gioco sono meno influenzati dal contesto (caratteristiche dei calciatori a disposizione e degli avversari) e allenatori che provano a ottimizzare le proprie chance di vittoria cucendo abiti tattici disegnati sul contesto. È una distinzione arbitraria perché ogni allenatore possiede dosi variabili di principi immutabili e prova, in misure diverse, ad adattare la propria squadra alla specificità della particolare gara.

 

Il calcio di Allegri, dal basso verso l’alto (dalla pratica alla teoria)

Per la costruzione del proprio gioco, ad esempio, Allegri ama partire dal campo e non da un’idea astratta (la teoria da lui citata?) e lavora sul campo per trovare ed affinare le connessioni tecniche tra i calciatori, con una costruzione della propria squadra che parte dal basso per giungere al disegno generale. È un calcio che si sviluppa in maniera induttiva e non deduttiva.

 

Illuminante è la definizione di Davide Nicola: «Per me Allegri può giocare in ogni modo e può allenare qualunque giocatore. Ha una maturità perfetta nella gestione della rosa, ha una lettura incredibile a partita in corso. Allegri in questo momento è al top. Sa come aggiungere imprevedibilità al suo gioco, sfruttando le caratteristiche base dei suoi calciatori, e adotta strategie differenti studiate sugli avversari».

 

Quello di Allegri è un approccio bottom-up (dal basso verso l’alto) che può essere distinto da quello top-down, di altri allenatori, in cui i principi nascono dall’alto e discendono a cascata verso la definizione del modello di gioco.

 

Ma, anche questa distinzione, in un sistema complesso come quello rappresentato dal gioco del calcio, presenta ampi margini di fluidità nella misura in cui gli sviluppi del gioco sono definiti in campo dalle scelte dei singoli calciatori che, basate sui principi generali, influenzano circolarmente la definizione e l’ evoluzione dei principi stessi.

 

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Cuadrado è in possesso di palla. Higuain (come ogni altro calciatore, compreso Cuadrado) deve compiere una scelta. Può ad esempio attaccare alle spalle Miranda, disegnando una linea di passaggio profonda o muoversi verso il pallone, utilizzando il movimento di Khedira che trascina via Rafinha per ricevere il pallone alle spalle del centrocampo interista. L’insieme delle scelte di tutti i giocatori definisce la tattica. I principi di gioco condivisi forniscono coerenza all’insieme delle scelte

 

Quindi, cosa voleva dire?

L’intervista post-gara rilasciata a Sky da Massimiliano Allegri è stata ricca di spunti di riflessione, sebbene il tecnico della Juventus abbia forzato i concetti. Oltre alle considerazioni sull’utilità degli schemi, Allegri ha sottolineato l’importanza nella formazione dei giovani di lavorare sulla tecnica e sulla tattica individuale a discapito della tattica collettiva.

 

Una considerazione generale condivisibile: i giovani devono apprendere la corretta esecuzione del gesto (tecnica) e affinare i processi di scelta e decisione che sono chiamati ad effettuare nel contesto reale della gara (tattica individuale). Senza un adeguato sviluppo delle capacità di scelta del singolo calciatore, la tattica collettiva rischia di diventare una serie di regole che il giovane segue senza capirne il senso profondo, in maniera meccanica.

 

Le forzature dialettiche di Allegri hanno trasmesso un messaggio rigido, cioè che la tattica non conti nulla e che la fortuna di una squadra risieda nei piedi dei propri campioni. Ma è proprio la natura del gioco a reclamare lo sviluppo della tattica.

 

L’alto numero di variabili in gioco, e le numerose interazioni possibili con i compagni e con gli avversari, richiedono inevitabilmente che tutti i componenti di una squadra abbiano un linguaggio comune e adottino i medesimi principi di gioco. Questa è, in maniera più profonda, la tattica, e non è possibile farne a meno senza pregiudicare l’efficacia della prestazione. Non va confusa con lo schema, una soluzione di gioco prestabilita, che rischia di diventare meccanica e che rappresenta, nella migliore delle ipotesi, solo un mezzo per tradurre in pratica i principi di gioco.

 

Tattica e calciatori non vanno visti come due entità separate, ma dovrebbero influenzarsi a vicenda. Le scelte e la tecnica degli interpreti dovrebbero concorrere al disegno, all’affinamento e all’esecuzione puntuale del quadro generale. La definizione chiara del linguaggio comune della squadra aiuta i calciatori ad esprimersi al meglio e, nel caso dei campioni, li mette nelle condizioni migliori di far vincere le partite alle proprie squadre.

 

In fin dei conti, non un concetto così diverso da quello espresso dalla domanda di Adani.

 

Tags : juventusmassimiliano allegri

Fabio Barcellona, chimico e allenatore UEFA B. Scrive di calcio per L'Ultimo Uomo.

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