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A chi serve Danilo Gallinari?
31 gen 2017
31 gen 2017
I possibili scenari di trade del nostro connazionale.
(articolo)
13 min
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Dopo sei anni e cinque stagioni, il rapporto tra Danilo Gallinari e i Denver Nuggets ha raggiunto forse il punto più basso della sua parabola. Poche settimane fa davanti ai giornalisti statunitensi per la prima volta Danilo ha contraddetto e criticato l’allenatore Michael Malone uscendo dall’abituale tracciato di dichiarazioni tipiche di un professionista molto attento alla propria immagine e alla propria reputazione in riferimento alle accuse, poi ritrattate, rivolte da Malone ai veterani della squadra per lo scarso contributo portato alle voci leadership e difesa.

Capire come, perché e per colpa di chi si sia arrivati a questo punto conta il giusto: il nodo della questione resta che Gallinari ha una player option per liberarsi e diventare free agent alla fine di questa stagione, che quasi certamente eserciterà per cercare un contratto più remunerativo, e probabilmente una diversa destinazione. Già solo per questo, potrebbe essere nell’interesse della dirigenza dei Nuggets anticipare i tempi e scambiare Danilo prima della trade deadline (giovedì 23 febbraio, alle 21 ora italiana), per ottenere qualcosa dalla cessione anziché perderlo senza ricevere compensazione - uno scenario che a Denver non apprezzano sin dai tempi di Nene, rifirmato e scambiato appena possibile pur di non perderlo a zero.

I potenziali acquirenti non mancano, ma va anche considerato che sul mercato è stato disponibile - anche se ora gli Atlanta Hawks hanno ritrattato - Paul Millsap, che è un pari ruolo (per l’NBA attuale e la propria situazione fisica, Gallinari va considerato a tutti gli effetti un 4 in grado di aprire il campo, più che un 3 a cui viene richiesto di giocare entrambe le metà campo) più consistente, più affidabile, migliore in ogni aspetto del gioco e nella medesima situazione contrattuale (player option per uscire dall’accordo con gli Hawks, contratto pesante da firmare altrove in estate). E potrebbero esserci - anche se per vari motivi non è probabile succeda - anche Blake Griffin e Serge Ibaka, altri due “4” di livello pari o superiore a Danilo che saranno free agent a luglio. Volendo, perfino Carmelo Anthony ricade nella stessa categoria, pur avendo il coltello dalla parte del manico in altra maniera grazie alla no-trade clause del suo contratto.

È estremamente difficile quindi che qualcuno “si sveni” per avere il Gallo finché le situazioni di Millsap, Griffin e Ibaka non saranno definite. E in ogni caso resta complesso immaginare che Denver possa ottenere molto da un giocatore che per gli acquirenti rappresenterà la seconda/terza/quarta scelta e un noleggio per qualche mese oppure un giocatore inevitabilmente da pagare in estate, dato che è facile prevedere che il suo nuovo contratto sarà molto ricco (presumibilmente abbastanza vicino ai 100 milioni di dollari totali), ma anche piuttosto indigesto se i problemi fisici dovessero continuare a tormentarlo. Detto questo, a chi può servire Danilo Gallinari?

L.A. Clippers

A questo punto della carriera (28 anni compiuti), per Gallinari la soluzione migliore a livello sportivo sarebbe entrare in una squadra già collaudata, con un impianto di gioco definito e con l'obiettivo dichiarato – oltre alle possibilità concrete – di fare strada ai playoff. Questo perché il passato NBA del Gallo è fatto di pochi per non dire di nessun risultato di squadra, ed è arrivato il momento quantomeno di giocare la post-season in un contesto più competitivo di quello che può offrire Denver (per quanto al momento sia ottava nella Western Conference, che incide sulla situazione ma solo fino a un certo punto). Magari in una squadra che nel ruolo di 3/4 ha soluzioni poco convincenti. Tipo gli L.A. Clippers.

Tutto molto bello, se non fosse per un piccolissimo particolare: cosa possono offrire i Clips per prendere Gallinari? Periodicamente nell'ultimo anno è venuta fuori l'ipotesi di trade con Blake Griffin, che va in scadenza nel 2018 ma che può - come detto nell'intro - esercitare la player option già a giugno. Pare difficile però che Doc Rivers ceda il nativo dell’Oklahoma (che peraltro pare intenzionato a rifirmare) puntando su un pari ruolo molto diverso tecnicamente, con qualche incognita fisica di troppo e che a giugno potrebbe salutare la compagnia. Per questi ultimi due dati, risulta inoltre improbabile che venga svuotata la panchina. Peccato: con un creatore di gioco come Chris Paul, un rim protector come DeAndre Jordan, un attira-difese come J.J. Redick e un’ala difensiva come Mbah a Moute, il Gallo avrebbe trovato probabilmente la dimensione ideale per esprimere il proprio attuale basket.

Oklahoma City Thunder

In otto stagioni di NBA, Danilo Gallinari non ha mai avuto la possibilità di giocare a fianco di un’autentica superstar. Lasciando il Colorado per emigrare giusto un po’ più a sud, avrebbe modo di rifarsi con gli interessi. Considerate le sue caratteristiche, poi, l’inserimento dell’azzurro nella squadra di Russell Westbrook non dovrebbe rappresentare un problema: il repertorio tecnico portato in dote da Gallinari consentirebbe a coach Donovan una duttilità tattica ad oggi impensabile per i Thunder, facendo presumibilmente scalare a OKC qualche posizione nella griglia degli inseguitori dietro all’inarrivabile duo Warriors-Spurs.

Utilizzato da stretch four il Gallo, equipaggiato con abilità realizzative nemmeno paragonabili a quelle dei vari Domantas Sabonis e Jerami Grant, aumenterebbe di non poco la pericolosità della squadra sul perimetro, aprendo così l’area alle zingarate del candidato MVP con il numero zero. La capacità di cambiare difensivamente, unita a un IQ cestistico non comune, permetterebbe a Donovan di schierarlo anche da 3 in un quintetto super-big che preveda la contemporanea presenza di Adams e Kanter, magari affidando l’esterno più pericoloso alle amorevoli cure di Andre Roberson. Con quella conformazione tattica, a dir poco vintage considerata la moderna interpretazione del gioco, i Thunder hanno avuto la meglio su San Antonio e sono andati molto vicino ad annientare Golden State negli ultimi playoff. Certo, in quella squadra risplendeva lo sconfinato talento di Kevin Durant, giocatore in tutto e per tutto insostituibile, tuttavia l’affidabilità di Danilo da dietro la linea dei tre punti (62% di eFG% nelle situazioni piedi-per-terra, 90° percentile) e la possibilità di poterlo utilizzare come secondo ball handler in aiuto a Westbrook (opzione non percorribile con Roberson o Abrines nel medesimo spot) garantirebbe ai Thunder un’imprevedibilità ora come ora chimerica. Un vantaggio non di poco conto per una squadra che vive o muore delle incursioni da ‘don’t try this at home’ del proprio giocatore franchigia.

Il problema di questo scenario è l’offerta che i Thunder possono mettere assieme: OKC potrebbe mettere sul piatto Abrines e Singler, titolari di contratti modestissimi ma giocatori di scarso d’interesse per Denver (perché anche capire di cosa avrebbero bisogno i Nuggets è un bel mal di testa), e a far quadrare l’operazione dal punto di vista salariale dovrebbe esserci il veterano in scadenza Nick Collison. Sulla carta, insomma, sembrerebbe una trade poco probabile, non fosse altro per il piccolo particolare che il monte stipendi di OKC dalla prossima stagione registrerà l’aggravio dei nuovi contratti di Oladipo e Adams (34 milioni di incremento complessivo, centesimo più, centesimo meno). In quel contesto, il rinnovo a cifre di mercato per Gallinari sarebbe di fatto impossibile, anche perché vorrebbe dire addentrarsi nella Luxury Tax - uno scenario talmente inconcepibile da convincerli a cedere perfino James Harden... L’approdo ai Thunder rappresenterebbe quindi per Danilo un salto al volo su un treno in corsa dal quale, anche in caso di un improbabile trionfo finale, sarebbe costretto a scendere dopo poche fermate. E, mettendosi nei panni di OKC, pur con tutto l’affetto e la stima per il fulcro della nostra Nazionale, pensare di riuscire con Gallinari laddove si è fallito con Durant potrebbe rivelarsi azzardo eccessivo anche per un temerario come Sam Presti.

Toronto Raptors

Da un punto di vista del roster, il buco nel ruolo di 4 dei Toronto Raptors è palese: né Paskal Siakam né tantomeno Jared Sullinger sono delle risposte accettabili in ottica playoff in quel ruolo, e Patrick Patterson non può giocare 48 minuti filati. I tentativi di questi ultimi due anni di dare dei minuti a DeMarre Carroll come 4 sono falliti di pari passo alle condizioni fisiche dell’ex Hawks, quindi si torna alla domanda: quanto davvero vogliono andare all-in i Raptors in questa stagione?

Da un lato, le qualità di Gallinari sono ben note alla dirigenza di Toronto - il GM Masai Ujiri lo ha preso a Denver facendone il fulcro della trade per Carmelo Anthony - e riempirebbe lo spot di 4 per aprire ancora di più il campo in uno dei migliori attacchi della lega; dall’altro, partendo da titolare di fianco a Kyle Lowry e DeMar DeRozan, i suoi tocchi sarebbero inevitabilmente di meno, fungendo ancora di più da tiratore spot-up rispetto a quanto già non faccia a Denver (che sia per scelta dell’allenatore o per composizione del roster, il Gallo sta avendo lo usage rate più basso della sua carriera in Colorado: 19.3). Un impegno più massiccio con la second unit poi è fuori discussione, visto che il quintetto formato da Lowry più quattro giocatori dalla panchina - solitamente Cory Joseph, Terrence Ross, Patrick Patterson e Lucas Nogueira - è uno dei migliori della NBA.

Il problema dei Raptors nel comporre un pacchetto per arrivare a un 4 in grado di far fare loro il salto di qualità sta proprio in questo: da una parte una combinazione formata da Ross, Norman Powell, scelta e giovane (Jakob Poeltl? Delon Wright?… BRUNO CABOCLO?!?) può essere interessante per alcuni, ma non così interessante da essere considerata irrinunciabile. Oltretutto andrebbe a toccare uno dei meccanismi che funziona meglio nella squadra (la panchina) e l’equilibrio di ego che si è instaurato nello spogliatoio (Valanciunas ha rinunciato a essere qualcosa di più di ciò che è ora, ma un eventuale 4 di un certo livello prenderebbe serenamente la quantità di possessi che utilizzano le due guardie)? Una situazione intricata, e di solito le squadre in una situazione intricata fanno fatica a muoversi.

Boston Celtics

Allo stesso modo, anche i Boston Celtics hanno i loro problemi da affrontare nella composizione del roster. La squadra è da top 3 nella conference, ma non ha fatto il salto di qualità che ci si sarebbe potuti aspettare e appare ancora distante dall’impensierire i Cavs in una eventuale serie di playoff. La presenza intoccabile di Isaiah Thomas e Al Horford, poi, porta i suoi pregi e i suoi difetti: con loro due la squadra in attacco guadagna un realizzatore e un playmaker aggiunto di assoluto valore (66.6% di assist), ma soffre terribilmente in difesa (110 punti concessi su 100 possessi) e soprattutto a rimbalzo difensivo (sotto il 74%). Una lacuna che andrebbe colmata con un 4 più consistente rispetto ad Amir Johnson o a Kelly Olynyk (al momento il più efficace sembra essere Jonas Jerebko), ma che non sembra nelle corde di Gallinari, il quale non garantirebbe ciò che davvero serve in termini di difesa, rimbalzi e soprattutto atletismo.

Peccato, perché dal punto di vista offensivo un quintetto formato da Isaiah Thomas, Avery Bradley, Jae Crowder, Gallinari e Horford sarebbe un incubo da affrontare, potendo dare a Brad Stevens cinque tiratori sopra la media con l’IQ cestistico necessario per giocare il suo sistema. I Celtics, poi, hanno tra le mani il futuro dei Brooklyn Nets in termini di scelte, e questo è tanto un bene (il 25% di possibilità che si trasformi nella prossima prima scelta assoluta) quanto un male (ogni squadra che li chiama alla ricerca di uno scambio sostanzialmente conosce le loro carte, e attendono il momento in cui decideranno di cedere quelle pick). Prima o poi, però, Danny Ainge dovrà decidere cosa fare da grande, perché il tassametro sulle carte d’identità di Thomas e Horford è già attorno ai 30 anni e i giocatori derivanti dalle scelte dei Nets - per quanto forti e futuribili siano - non si inseriscono nelle timeline dei due giocatori più importanti della squadra.

Washington Wizards

Fino a qualche settimana fa, gli Washington Wizards potevano essere una destinazione intrigante per Danilo: al posto di un Markieff Morris non proprio convincente e con una dirigenza sotto pressione (aspetto da non sottovalutare mai per scambi di questo genere) per tornare ai playoff in fretta dopo la pessima stagione passata, avrebbe potuto trovare il suo posto e i suoi minuti di fianco a un’ala ibrida come Otto Porter e un centro bravissimo a muoversi negli spazi come Marcin Gortat. L’esplosione degli ultimi due mesi dei ragazzi di Scott Brooks però ha rimesso in discussione tutto, perché gli Wizards sembrano aver trovato la giusta chimica di squadra - e se una cosa non è rotta (anzi, funziona proprio!), perché aggiustarla?

Inoltre si riproporrebbe il problema della convivenza con due guardie che dominano il pallone come John Wall e Bradley Beal (il 57% dei possessi di Washington passa dalle loro mani) e del pacchetto di ritorno da mandare a Denver (cosa se ne farebbero di un Markieff Morris, considerando che Otto Porter si sta rivelando sempre più un giocatore di estrema utilità?). Senza considerare che il monte salari ha già superato i 100 milioni di dollari e non accenna a fermarsi per una squadra che, per quanto in crescita, deve ancora dimostrare di poter competere sul serio anche solo nella Eastern Conference.

Olimpia Milano

Ok no.

Altre squadre in una riga

Squadre da/in lotta per i playoff:

Atlanta? Avendo scelto di tenere Millsap sono fuori dalla contesa, anche se il corso di “Teorie e tecniche dell’Ala Versatile” tenuto ogni anno da coach Budenholzer sarebbe intrigante.

Charlotte? La reunion con Marco Belinelli farebbe impazzire i media di tutta Italia, ma con Walker e Batum i posti da ball-handler sono già occupati.

Sacramento? Solo e unicamente con un max a fine anno, ma anche lì basterebbe una chiamata a Beli per dire “no, grazie”.

Memphis? Sarebbe quello che Chandler Parsons non può essere perché le ginocchia sono quelle di un novantenne, ma trovare l’accoppiamento giusto per Denver è difficile.

Chicago? Denver li ha già defraudati quando ha trasformato la scelta di Doug McDermott in Gary Harris e Jusuf Nurkic, e i Bulls non hanno nulla da offrire se non uno spogliatoio in trincea.

Portland? A qualcuno interesserebbe un Evan Turner solo parzialmente usato?

Squadre che vorrebbero fare i playoff:

Detroit? Sarebbe un 4 eccellente per il sistema di Stan Van Gundy, ma da solo non riuscirebbe a risollevare la deludentissima stagione dei Pistons.

New Orleans? #FreeAnthonyDavis ora e sempre, ma buona fortuna con gli infortuni.

Minnesota? Timeline troppo diverse (anche se sarebbe molto bello).

Philadelphia 76ers? Fino a quando non si capisce come si inserisce Ben Simmons, tutto è in fase di transizione.

Quindi alla fine?

Quindi alla fine la possibilità che rimanga a Denver fino a fine stagione è ancora quella più probabile, specialmente ora che sono in lotta per i playoff e hanno trovato un’identità tutta-attacco-niente-difesa (primi per rating offensivo nel mese di gennaio, ma ultimi in quello difensivo) attorno alla verve di Nikola Jokic. Ma a luglio, quando sarà free agent per la prima volta in carriera e potrà ricevere offerte fino a un massimo di circa 130 milioni in quattro anni da un’altra squadra (o 180 dai Nuggets se gli offrissero il quinquennale, cosa che al momento sembra fuori discussione), la situazione è destinata a cambiare - in un modo o nell’altro.

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