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Foto di Ezra Shaw / Getty
NBA Nicolò Ciuppani 5 giugno 2017 10'

Scontro impari

I Cavs sono migliorati sotto molti aspetti in gara-2, ma alla fine il risultato è stato lo stesso.

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Nei risultati concreti, la gara-2 delle Finali NBA giocata ieri tra Golden State Warriors e Cleveland Cavaliers è stata la ripetizione della gara-1 andata in scena tre giorni fa, sebbene con alcune sostanziali differenze. I Cavs stanno crescendo e stanno provando a ridurre il divario tra le due squadre, ma lo sforzo per riuscirci è tale da finire inevitabilmente per naufragare nel corso del secondo tempo. Alle soglie di gara-3 che è ormai una must-win per Cleveland, i canoni della finale sembrano già indirizzati: se questa serie si combattesse in una metaforica battaglia medievale, in campo aperto gli Warriors spazzerebbero via le forze dei Cavaliers. Perciò se Cleveland vuole avere una speranza di vincere la serie deve pensare al di là dello scontro principale, ma concentrarsi sui piccoli duelli che può vincere e massimizzare i risultati in essi, sperando che la somma porti poi alla vittoria finale.

 

 

(Re)imparare a difendere

 

Come scritto prima di gara-1, e alla luce di quanto successo nelle precedenti serie tra le due squadre, era normale aspettarsi da Cleveland un periodo di aggiustamento per (re)imparare a difendere correttamente contro Golden State. A prescindere dalle difficoltà intrinseche della sempre labile solidità difensiva dei Cavs, Golden State costringe chiunque li difenda a cambiare completamente spartito, adattandosi a ritmi e regole che impongono solo loro. Cleveland è migliorata in maniera sostanziale dal punto di vista difensivo rispetto a gara-1 e ha stravinto la battaglia delle palle perse (9 contro le 20 degli Warriors) dopo aver abdicato nel primo atto delle Finali (20 contro 4). Gli aiuti difensivi sono stati chirurgici per tutta la partita, le linee di passaggio erano lette con anticipo e, complice una certa superficialità dei padroni di casa, già a metà primo quarto Golden State aveva superato le palle perse commesse in tutta gara-1. Analizzando ancora più nel dettaglio: sono più che triplicate le deviazioni rispetto alla precedente partita (da 8 a 28) e sono state addirittura 15 le palle rubate, a differenza del precedente scontro dove non erano riusciti a rubare palla nemmeno una volta.

 

 

Si cominciano ad intravedere dei dettami difensivi molto più specifici per questa serie: Tristan Thompson si fa battere da Curry, ma prova a rimanere incollato fino a quando non arriva fulmineo l’aiuto di Irving che forza la palla persa e apre il contropiede di LeBron.

 

Prima della partita coach Tyronn Lue aveva ribadito di voler aumentare il ritmo e il numero di possessi della partita – in una mossa che poteva sembrare contro-intuitiva, visto che i ritmi alti sono il pane quotidiano dei Dubs. Ma la scelta dei ritmi elevati ha portato, assieme alle numerose palle recuperate, a molti punti facili in contropiede (31 a fine gara). Di base qualunque giocatore dei Cavs si trova maggiormente a suo agio ad attaccare la difesa avversaria quando non è schierata, e LeBron ha un controllo del corpo e una forza fisica tale in transizione da dare sempre l’impressione di segnare o quantomeno di costringere l’avversario al fallo.

 

 

Qui LeBron legge alla perfezione il passaggio di Curry e spacca il ferro in transizione su Iguodala, che sarebbe comunque tra i migliori difensori possibili di tutta la lega sul Re.

 

Non è chiaro se Lue continuerà a chiedere ai suoi di alzare il ritmo, anche perché il costo energetico richiesto ha finito col crocifiggere i Cavaliers ieri notte, ma non è stato tanto il numero di possessi quanto un paio di leggerezze difensive (specie per quanto riguarda i falli sui tiri da 3 punti e in generale sui closeout) a permettere a Golden State di scrivere 40 punti a referto nel solo primo quarto – mentre i 34 di Cleveland, che normalmente sarebbero un avvio favoloso, sono stati di fatto vanificati. I miglioramenti difensivi che sono richiesti a Cleveland in vista di gara-3 non devono comunque perdere quelli fatti finora: costringere i Dubs a 20 palle perse è il minimo indispensabile per provare a batterli.

 

 

Il ritorno di Klay Thompson

 

Gara-2 verrà ricordata come la gara in cui Steve Kerr è tornato ad allenare i suoi, visto che mancava da gara-2 contro i Portland Trail Blazers. Ma non dovrebbe passare in secondo piano il ritorno di Klay Thompson ai suoi livelli abituali: oltre all’ottima difesa mostrata finora in queste finali, entrando sottopelle a Irving con l’andare del tempo, Thompson è tornato a fornire una prestazione offensivamente prolifica che mancava da troppo tempo, chiudendo la sua serata con 22 punti, 8/12 dal campo e un eccellente 4/7 da 3.

 

 

Questo è il primo canestro della serata: dopo l’ennesima tripla sbagliata in queste settimane, Klay è bravo a prendere il rimbalzo e segnare in sospensione all’altezza del tiro libero. Dopo questo canestro è sembrato tornare il Thompson chirurgico a cui siamo abituati.

 

Le triple di Thompson sono state ancora più preziose data la serata “storta” al tiro di Steph Curry: il due volte MVP non ha avuto una brutta prestazione in generale (si è procurato tantissimi viaggi in lunetta e ha chiuso con 14/14 ai liberi), ma prima del 3/4 dall’arco nelle fasi finali della gara si era esibito in un primo tempo da 1/6 da 3 punti e 6 palle perse che non è propriamente il ritratto dell’efficienza. Le triple di Thompson sono andate a coprire quelle mancate di Curry non solo nel punteggio, ma nella fondamentale creazione dell’inerzia: Golden State è una squadra che vive di parziali in cui sembra essere semplicemente inarrestabile, e se Cleveland potesse decidere di che morte morire, preferirebbe certamente che i 30 serali di Curry arrivino da tiro libero piuttosto che da quelle conclusioni che accendono tutte la squadra. Thompson è stato fondamentale nell’accendere la Oracle Arena e guadagnare in swag, che è il carburante naturale degli Warriors tra le mura amiche.

 

 

Ogni volta che Cleveland è stata costretta al timeout c’era lo zampino di Klay: qui LeBron si addormenta in attacco dopo una palla persa e Thompson approfitta dello spazio lasciato libero per infiammare il pubblico sugli spalti. Il suo +24 di plus-minus, il migliore della serata, non è ovviamente un caso.

 

 

Scegliere le battaglie giuste

 

Per la seconda partita consecutiva i Cavaliers sono rimasti a contatto nel primo tempo, ma si si sono sfaldati completamente nella ripresa. I problemi di stamina si sono manifestati nel terzo periodo, quando LeBron ha smesso di attaccare il ferro (dopo un primo tempo a caricare a testa bassa) accontentandosi di quattro jumper: a fine periodo è andato in panchina sul -14 con una vera e propria maschera di sudore e sofferenza dipinta sul volto, stravolto dallo sforzo fisico richiestogli anche solo per rimanere vicini.

 

Il quarto periodo è stato un vero e proprio massacro, con Curry definitivamente in partita assieme a Durant e Thompson, inanellando una serie di canestri davanti ai quali non si poteva far altro che alzare le spalle e applaudire, mentre i Cavs avevano solo la forza di limitare i danni con gli isolamenti di Kyrie (mai realmente entrato in partita con 8/23 dal campo). Provare a colmare il divario tecnico comporta un costo di energie che fin qui si è rivelato sanguinoso: a differenza dell’anno scorso, non solo Golden State è sana, ma sembra particolarmente in forma e vivace dal punto di vista mentale e atletico.

 

Come detto nell’introduzione, se Cleveland spera di vincere la serie deve imparare quali battaglie lasciar perdere, quali combattere indipendentemente dal risultato e quali deve necessariamente stravincere. Le prime scelte strategiche di Lue sono balzate agli occhi di tutti ieri notte: la prima e più semplice da individuare è stata la scelta di quali giocatori battezzare e quali no. L’allenatore dei Cavs in conferenza stampa aveva detto che era comunque preoccupato per Thompson nonostante il suo slump al tiro – e aveva ragione da vendere, visti i risultati. Cleveland ha deciso quindi di battezzare Draymond Green e Andre Iguodala per tutta la partita, visto che il primo è sicuramente il peggior tiratore tra i 4 tenori degli Warriors e Iguodala è reduce da una sola tripla segnata in tutti i playoff. I risultati di queste scelte sono stati altalenanti: Green è riuscito a piazzare un 3/6 da 3 punti che è un campanello d’allarme, mentre Iggy si è fermato a 1 sola realizzazione su 4 tentativi che rende comunque il computo totale di un accettabile 4/10 dall’arco da parte degli “altri”. È probabile quindi che su Iggy si prosegua come fatto finora e occorre vedere se a Cleveland si continuerà a scommettere contro Green o se proverà a limitare i danni anche lì.

 

Nel primo quarto, con l’ingresso ormai consueto di JaVale McGee, Lue ha trovato minuti a un Channing Frye finito nel dimenticatoio nelle ultime settimane. Da quel momento in poi i Cavs non hanno fatto altro che mettere LeBron e Frye nei pick and roll con McGee, ottenendo discreti dividendi in attacco ma pagando tremendamente lo scotto in difesa. Nel quarto periodo invece, con l’ingresso di Ian Clark, i Cavs hanno mandato continuamente al lavoro Kyrie in isolamento, mandando il povero Clark al bar ogni singola volta. In generale ogni volta che entra uno dei giocatori “minori” degli Warriors, Cleveland sembra via via trovare delle risposte immediate per sfruttare il vantaggio – un fattore cruciale per il resto della serie.

 

Quella che per ora sembra la scelta tattica migliore è quella di servire continuamente Love in post. Potevano esserci dubbi a inizio serie sulle possibilità di impiego continuativo dell’ex T’Wolves nella serie, data la sua allergia a difendere nei pick and roll contro i piccoli (ed in effetti Curry lo ha messo in mezzo a una giostra quando era affiancato a Irving), ma il suo rendimento offensivo finora è stato più che accettabile – anzi, forse anche superiore alle attese.

 

 

Ieri i Cavaliers lo hanno servito il più velocemente possibile in post, sfruttando la differenza di peso con Durant e di altezza con Green per fargli accumulare falli: Love ha risposto con un 7/11 vicino al ferro, pur andando scemando nel corso della gara fino a subire una terrificante stoppata da KD nell’ultimo quarto.

 

Se Love riuscirà anche nel corso delle seguenti partite a far male ai Dubs vicino al ferro, magari costringendoli a raddoppiare, ecco che improvvisamente potrebbero aprirsi gli spazi in attacco per i tiratori di Cleveland – e potremmo ricordarci tutti che l’attacco di Cleveland è ancora uno dei migliori di sempre.

 

 

Kevin Durant is on a mission

 

È ormai considerata opinione diffusa che LeBron James sia in grado influenzare da solo o quasi l’esito di una finale. Anche ieri la sua ottava tripla doppia alle Finals (eguagliando Magic Johnson) ha fatto pochissimo rumore, abituati come siamo alla sua grandezza. Ciò che è passato sottotraccia è che anche Kevin Durant potrebbe essere un giocatore di quel livello, ovvero uno dei primi due giocatori al mondo, e non un semplice upgrade rispetto a Harrison Barnes come spesso è stato definito per rimanere nei canoni della narrativa della trilogia tra le due squadre. Durant, semplicemente, fa ricominciare tutti i ragionamenti da capo.

 

KD ha sempre avuto quella capacità misteriosa di segnare una marea di punti senza dare nemmeno l’impressione di averli fatti: dovrebbe essere campione assoluto di “guardare la sua linea statistica a metà partita e sorprendersi che ha già 26 punti quando ad occhio pensavo ne avesse messi al massimo 12” (siamo ancora alla ricerca di un titolo più accattivante prima di consegnare il trofeo). A inizio terzo quarto di ieri notte però è successa una cosa inaspettata: Green ha raccolto il suo quarto fallo, costringendo Kerr a toglierlo dal campo in favore di Iguodala, e Durant è scalato nel ruolo di centro per la prima volta (in tutta la stagione aveva giocato solo 8 minuti in quel ruolo, per nbawowy). Da lì in poi gli Warriors non si sono più guardati indietro: la lineup con Durant da centro (5 minuti in campo, terzo quintetto più utilizzato in partita) ha avuto un Net Rating più che positivo (+16.0), ha aumentato il vantaggio fino a toccare i 14 punti e ha di fatto indirizzato la partita, mettendo il sigillo sulla 14esima vittoria consecutiva ai playoff (record ogni epoca).

 

 

Quando gioca da esterno, KD ha braccia troppo lunghe per chiunque, e ogni punto del campo potrebbe essere territorio fertile per una sua stoppata. Ieri ne ha registrate cinque passando da Kyrie a LeBron, da Frye a Shumpert fino a Love senza sentire la differenza.

 

 

D’altro canto non sembra proprio correttissimo per il resto del mondo essere in grado di stoppare chiunque e nella stessa partita riuscire anche a prendere il tempo al palleggio di LeBron James

 

Se Cleveland è alla ricerca di soluzioni, l’unico enigma su cui per ora non esistono risposte è Kevin Durant. Quest’anno la presenza di KD permette a Curry di aspettare i “suoi” tiri e di scegliersi i “suoi” momenti perché il numero 35 è in grado di sostenere l’attacco da solo, ma allo stesso modo è la capacità con cui ne copre le mancanze difendendo il ferro (anche quando Green è lontano o è in panchina) a fare la differenza. Una differenza così colossale da sembrare quasi ingiusta. Grazie alla nuova “leggerezza”, Curry ha concluso la sua serata con la prima tripla doppia della sua carriera alle Finals e gli Warriors hanno concesso solo il 54% al ferro (mentre Cleveland ha concesso l’85%): l’anno scorso, dopo un primo tempo del genere, queste cose non avrebbero avuto alcuna possibilità di esistere.

 

Gara-3 si presenta quindi come una must win per Cleveland, e sembra quasi doveroso che LeBron James risponda presente all’ennesimo appuntamento con la storia. Golden State è solita abbassare la concentrazione quando viene da una vittoria o da un periodo prolifico in partita, e le prime due gare potrebbero quasi dare la sensazione a Steve Kerr e ai suoi di poter tirare un po’ il fiato – anche se il percorso netto compiuto finora, nonché il ricordo delle scorse Finals ben impresso nelle loro memorie, non promette granché sotto questo punto di vista. I grattacapi per Cleveland invece non sono in alcun modo diminuiti, anche se si notano degli accenni di miglioramento. La serie entra ora nel vivo, con una squadra che proverà a tenerla in vita e una che, dopo 14 vittorie consecutive ai playoff, sembra già intenzionata a chiuderla per entrare definitivamente nella storia.

 

 

Tags : cleveland cavaliersfinals nbagolden state warriors

Nicolò Ciuppani: parla di basket su Ball Don't Lie, ne scrive sul Buzzer Beater Blog e programma analytics per Chartside.

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