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Foto di Ezra Shaw / Getty Images
NBA Dario Ronzulli 2 giugno 2017 5'

Senso di impotenza

Se esiste un modo di competere con Golden State, non è quello mostrato da Cleveland in gara-1.

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Il primo episodio della serie per il titolo NBA ha fornito molte delle indicazioni attese in sede di preview. Golden State va sull’1-0 grazie a un’eccellente prestazione difensiva di squadra, esaltata dalle perfomance in attacco di Stephen Curry e Kevin Durant. Le due stelle degli Warriors hanno combinato per 66 punti passandosi di fatto il testimone: “KD” devastante nel primo tempo, Steph semplicemente immarcabile nel terzo quarto – prima di un’ultima frazione di pura accademia.

 

Più che per meriti propri, Cleveland è rimasta in partita per un tempo grazie agli errori nell’ultimo metro di campo degli avversari e per l’assenza parziale di Draymond Green nel primo quarto per i due falli raccolti. I madornali orrori tattici sia nella propria che nell’altrui metà campo sono stati troppi per pensare anche solo di competere fino alla sirena: venti palle perse di cui dieci nel solo secondo quarto e zero, dicasi zero recuperi: con questi numeri si fa fatica ovunque contro chiunque, figuriamoci contro questi Warriors alla Oracle Arena.

 

 

 

Se questa è la difesa di transizione dei Cavs – ed è stata questa per gran parte della sfida – la serie promette di essere molto corta.

 

Nella nostra Guida ci eravamo chiesti come i Cavs potessero ovviare alla più grossa differenza rispetto alle scorse Finals, ovverosia la presenza di Kevin Durant. La risposta iniziale di Tyronn Lue è stata mettere su di lui LeBron James, con tutti i rischi del caso. Il Re – che continua con la sua allergia alle Gare-1 delle Finals: quella di stanotte è la settima persa su otto disputate – ha lasciato spesso margine di iniziativa all’avversario per non disperdere troppe energie a inizio gara e non rimanere fuori dalla partita in attacco. L’alternativa provata da Lue è stata Richard Jefferson, che a 37 anni semplicemente ha fatto ciò che ha potuto. Di fatto il rebus Durant è rimasto irrisolto per i Cavs: l’ex Thunder ha trovato spesso praterie incontaminate davanti a sé e raccolto numeri – 38 punti dei quali 20 nel solo primo tempo, con 8 rimbalzi e 8 assist e zero palle perse – che in una Gara 1 di finale non si vedevano dai tempi di Shaq al suo picco assoluto. Ma non può essere sottovalutata la prova in difesa del numero 35, che insieme ai compagni ha limitato i punti di forza dei campioni in carica e ha punito ogni singola mancanza.

 

Gli Warriors sono andati con aggressività a rimbalzo (11 in attacco nel solo primo tempo), hanno fatto un eccellente lavoro sul lato debole (limitando le triple aperte degli avversari) e soprattutto forzato tante palle perse (8 solo di James, di cui 6 nel secondo quarto), chiudendo allo stesso tempo l’area alle penetrazioni: tutti elementi che hanno consentito di creare molte situazioni di contropiedi primari – che hanno portato ben 27 punti – e allo stesso tempo di togliere ritmo all’attacco dei Cavs. La difesa di Golden State è stata una piovra dai mille tentacoli e dai mille occhi: una bestia capitanata da Draymond Green (straordinario nel parziale di inizio terzo quarto) che in questi playoff non ha fatto sconti a nessuno. E vale la pena sottolineare l’apporto di Klay Thompson: fuori ritmo al limite del dannoso in attacco (3/16 al tiro), ma un vero guerriero in difesa, con closeout e letture dal tempismo perfetto al di là della brutta serata al tiro.

 

Se il primo tempo chiuso sul -8 poteva lasciare qualche speranza a Cleveland, ci ha pensato Steph Curry a rispedire al mittente qualunque velleità.

 

 

 

Qui la “difesa” di Cleveland copre lo spazio alla penetrazione di Durant che saggiamente scarica su Curry. Irving, già in ritardo, ha un’esitazione di troppo e per Steph è fin troppo facile segnare. Notare l’atteggiamento sconsolato di LeBron dopo il canestro subito.

 

 

 

Passare dietro a un blocco per Curry: fatto. Arrivare in enorme ritardo sull’aiuto: fatto. Veder festeggiare mamma Sonya: fatto.

 

 

 

L’azione che riassume lo strapotere degli Warriors: KD difende benissimo sulla penetrazione di LeBron non lasciando il minimo spazio vitale; Curry prende il pallone e si catapulta dall’altra parte. Questa volta la difesa dei Cavs copre il pitturato e difende il ferro, ma la coperta è risibile più che corta: Curry in palleggio arresto e tiro da 3 è una sentenza. Poi magari sorvoliamo sul balletto…

 

Da una parte dunque un piano partita eseguito alla perfezione, dall’altro una sequela di errori e di gravi disattenzioni che hanno ingigantito oltremodo la differenza tra le due squadre. Cleveland non è riuscita a mettere in difficoltà Curry in difesa e non ha trovato un piano alternativo; non ha saputo affrontare la second unit avversaria con regolarità (anzi, ha subito dei parziali quando Curry e Durant erano in panchina); non ha forzato palle perse e di conseguenza non ha abbassato il numero dei possessi degli Warriors. Stendiamo un velo pietoso sulla produzione offensiva da 8 punti complessivi di Thompson, Smith, Williams, Korver e Shumpert che ovviamente rappresentano un problema da risolvere e in fretta. LeBron e Irving hanno fatto la loro parte – e Kyrie anche con canestri al limite dell’impossibile -, ma lo stesso non si può dire per tutti gli altri compreso Love, tanto è vero che gli Warriors a un certo punto hanno preferito battezzare l’ex T-Wolves al tiro e raddoppiare Thompson per forzare recuperi e non dargli vantaggi a rimbalzo.

 

La sensazione che i Cavs hanno lasciato dopo gara-1 è quasi di impotenza rispetto a quello che succedeva sul campo. Ad ogni azione – Pachulia che sfrutta la libertà concessagli dopo il pick and roll, Curry che tiene e/o viene coperto in difesa, palle vaganti conquistate quasi sempre dagli Warriors – la reazione del corpo era del tipo “E ora che facciamo?”. La mancanza di un piano B – o se preferite l’incapacità di attuare un piano B – è stata la cosa più preoccupante per Lue in vista del proseguimento delle Finals e a cui dovrà mettere mano prima che sia troppo tardi.

 

Siamo ovviamente solo all’inizio della serie e l’esperienza della passata stagione è un ricordo troppo fresco per considerare già morte e sepolte queste finali. Però Cleveland deve giocare molto meglio di come ha fatto stanotte all’Oracle Arena, deve essere più concentrata e meno arruffona, concedere meno allo strapotere tecnico e atletico di Golden State. Altrimenti per Curry e i suoi la strada verso la redenzione dello scorso anno potrebbe trasformarsi in una marcia trionfale fino a un 16-0 senza precedenti.

 

 

Tags : cleveland cavaliersfinali nbagolden state warriorsnbanba 2016/17

Dario Ronzulli è nato a Foggia nel 1982 e da bambino sognava di fare il giornalista sportivo. Ora che è cresciuto lo fa davvero: anni di preziosissima gavetta in radio locali, poi cinque anni a Radio Sportiva e due a Radio Montecarlo Sport. Ora collabora con la redazione basket di Tuttosport e bazzica l'etere bolognese.

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