Con il weekend di Belgrado si è chiusa la stagione di Eurolega: il secondo anno della formula extralarge ha portato in dote il decimo successo continentale per il Real Madrid e la definitiva consacrazione di Luka Doncic come MVP del vecchio continente. Le quattro squadre protagoniste del fine settimana serbo sono state, con merito, le migliori di una stagione che per loro e per le altre dodici migliori squadre d’Europa ha lasciato più di una indicazione.
La decima – Real Madrid
di Davide Bortoluzzi
I playoff, e in particolare i tabelloni ad eliminazione diretta, sono di fatto croce e delizia degli sport di squadra. E se da un lato rappresentano l’acme e l’esaltazione di una stagione regolare che per l’Eurolega prevede la bellezza di trenta partite, dall’altro ne sono anche un elemento di discontinuità. In questo la pallacanestro, sport di inerzie e di ritmo per definizione, trova la sua esegesi.
Così può capitare che una squadra giochi una stagione regolare altalenante, qualificandosi senza troppo incantare ai suddetti playoff, per poi appunto cambiare ritmo e inerzia nel momento topico della stagione. Se poi in questa squadra gioca anche il più giovane MVP della storia dell’Eurolega, allora il tutto assume un senso più compiuto, con i tratti dell’epica che spesso accompagna la narrazione sportiva. Luka Doncic ha da poco vinto la sua prima Eurolega da protagonista solo otto mesi dopo aver vinto uno storico oro europeo con la nazionale slovena. A diciannove anni e tre mesi l’Europa è già ai suoi piedi, e dal prossimo 21 giugno si va alla conquista dell’America.
MVP.
Il Real Madrid visto a Belgrado ha giocato con il coltello tra i denti, senza incantare per spaziature e letture, ma sfruttando in maniera esemplare la capacità di creare e di accendersi dei suoi giocatori di maggior talento, con un Sergio Llull irreale in semifinale con il CSKA e Luka Doncic a sconvolgere ogni logica per maturità e personalità. Se poi Fabien Causeur gioca un terzo quarto fenomenale per scavare un solco decisivo in finale, vuol dire che le congiunzioni astrali sono tutte dalla tua parte.
Contro la miglior difesa dell’Eurolega, il Real ha messo in campo a sua volta un’intensità tale nella propria metà campo da mettere in crisi gli uomini di Zalimir Obradovic, che raramente sono riusciti a costruire tiri semplici piedi per terra. E con i granelli di sabbia in salsa “blancos” che bloccavano gli ingranaggi, non è bastato un Nicolò Melli alla miglior partita in carriera per completare la rimonta sul filo di lana al Fenerbahce.
Il Real conquista così la sua decima Eurolega, la prima di un capoverdiano (Eddy Tavares), la prima di uno svedese (Jeff Taylor), e la prima della carriera del nuovo fenomeno del basket mondiale, che non avrebbe potuto presentarsi al Draft del prossimo mese con un curriculum migliore..
La decima mancata – Fenerbahce Istanbul
di Ennio Terrasi Borghesan
A un passo dalla leggenda, Zeljko Obradovic e il Fenerbahce si sono arresi soltanto negli ultimi secondi della finale di Belgrado. Bisogna parlare di leggenda perché i turchi sarebbero diventati la terza squadra dell’Eurolega moderna – dopo il Maccabi 2004-2005 e l’Olympiacos 2012-2013 – a conquistare il back-to-back. E leggenda, ancor di più, sarebbe stata quella dell’allenatore serbo, in procinto di conquistare la decima Eurolega della sua carriera straordinaria e di raggiungere un traguardo del genere prima di qualsiasi altra squadra europea.
La finale di Belgrado, invece, passerà alla storia come la seconda – o per meglio dire terza, contando anche la Suproleague 2001 – finale persa da Obradovic in Europa, con il Fenerbahce che ha mancato solo in finale l’occasione del bis come già capitato al CSKA nove anni fa. Un risultato comunque incoraggiante e significativo per la squadra turca, ripartita in estate dopo le partenze alla volta dell’NBA di Bogdan Bogdanovic e quell’Ekpe Udoh che fu MVP delle Final Four vinte a Istanbul. A rinforzare i turchi sono però arrivati giocatori di qualità come l’emergente serbo Marko Guduric, l’ex NBA Jason Thompson, l’ex Pistoia Brad Wanamaker e soprattutto il nostro Nicolò Melli, che in caso di vittoria turca avrebbe meritatamente vinto il premio di MVP delle Final Four.
Career-high in Eurolega in una finale: ottime notizie per la Nazionale.
Proprio la crescita di Melli, che ha dato seguito alle due stagioni strepitose vissute in Germania con il Bamberg, rappresenta uno dei punti più incoraggianti per il futuro della squadra di Obradovic: il nativo di Reggio Emilia è sotto contratto con i gialloneri per altre due stagioni, e sicuramente la coppia con Jan Vesely sarà protagonista della prossima stagione.
Dopo una grande stagione, il lungo ceco non ha disputato delle Final Four all’altezza.
Il futuro è dalla parte della squadra turca: degli undici giocatori in campo scesi in campo nella finale di Belgrado, soltanto in tre ad oggi hanno più di 30 anni: il nostro Gigi Datome, in ombra in finale dopo una gran semifinale contro lo Zalgiris; Thompson, praticamente incolore nell’atto decisivo; e il 35enne Bobby Dixon/Ali Muhammed, che con un paio di canestri importanti ha provato a dare una chance di rimonta alla sua squadra.
Segnali che supportano la futuribilità di una squadra che potrebbe avere davanti a sé altre stagioni in cui dire la sua, e provare a riconquistare quel titolo abdicato nelle scorse ore.
La consacrazione di Saras – Zalgiris Kaunas
di Dario Ronzulli
Essere stati grandi giocatori non implica in automatico saper allenare: la visione del gioco è totalmente diversa, la preparazione delle partite è totalmenta diversa, le responsabilità sono totalmente diverse. C’è bisogno di un passaggio mentale oltre che tecnico non automatico per chiunque.
Ecco, tutti questi discorsi non valgono per Sarunas Jasikevicius. Lui, per il quale la definizione di allenatore in campo era validissima già quando giocava, non ha sofferto per nulla il passaggio in panchina. Un anno e mezzo di apprendistato da vice e poi il bastone del comando gestito subito con autorità e competenza. Perché lui è Jasikevicius, l’uomo che stava per far piangere gli USA a Sydney 2000, che ha vinto quattro volte l’Eurolega con tre squadre differenti, uno che trasuda carisma ad ogni passo. È facile che i giocatori lo seguano come fosse un Messia.
The tough guy reduced to tears…
This is what sport can do pic.twitter.com/yE1ZDNBZ52
— EuroLeague (@EuroLeague) 26 aprile 2018
Freddo e glaciale durante la partita, umano quando l’obiettivo Final Four è stato raggiunto.
Lo Zalgiris è arrivato alla Final Four di Belgrado – la seconda della sua storia – non avendo a roster nessun top player, con il mercato che aveva portato via Westermann, Motum, Lima e Lekavicius e con un budget lontanissimo da quello di altri team che invece si sono fermati molto prima. In un contesto del genere risulta ovvio che il lavoro fatto in palestra abbia permesso alla squadra di andare oltre i propri limiti. E in quel lavoro c’è altrettanto ovviamente tanto Jasikevicius. C’è una statistica che emerge con forza e che racconta tanto dell’annata dei biancoverdi: lo Zalgiris è primo per percentuale da 3 (42%), ma ultimo per tiri dalla lunga distanza tentati a partita (16.6).
Qualità nelle esecuzioni, movimenti continui, ricerca costante e paziente del tiro migliore: Jasikevicius ha costruito una squadra moderna, capace di allargare il campo e muoversi all’unisono in attacco e in difesa, adeguandosi alle situazioni che l’avversario propone. Saras ha dato le chiavi della squadra in mano a Kevin Pangos, uno cresciuto nel mito di Steve Nash e che è l’unico dello Zalgiris presente in una Top 5 statistica dell’Euroleague, al terzo posto per assist. A testimonianza di come la Squadra, il Collettivo sia venuto prima di ogni cosa perché solo così lo Zalgiris poteva fare strada e poteva esaltare le qualità dei singoli. Prendete Vasilije Micic, che a 24 anni ha già girato mezza Europa e che a Kaunas ha trovato un coach e un sistema in cui mostrare ad alto livello ciò che con il Mega Vizura da adolescente gli riusciva senza troppi problemi. Oppure Aaron White e Brandon Davies, reduci dalla loro stagione più efficace non solo per i numeri ma anche per come hanno migliorato il loro bagaglio tecnico. Senza parlare di cosa sia diventato Edgaras Ulanovas, ora un tiratore affidabile come mai era successo in carriera.
What a game by @KPangos! #Zalgiris guard Kevin #Pangos scored 15 points on 6/7 FG and dished out 11 assists in the victory vs @cskabasket! #ZALCSK pic.twitter.com/DauJJem380
— BC Zalgiris Kaunas (@bczalgiris) 30 marzo 2018
Gli highlights della gara di Pangos contro il CSKA in regular season. È un compendio di cosa abbia combinato il canadese quest’anno e di come l’attacco dello Zalgiris abbia fatto venire il mal di testa a tutti.
Il terzo posto di Belgrado rischia di essere la fine del ciclo di questo Zalgiris. Il coach potrebbe partire attirato dalla possibilità di allenare un team di caratura superiore – ad esempio il “suo” Maccabi -, Pangos fa gola a tanti e via discorrendo. Solitamente per un coach chiamato in una squadra che vuole vincere subito si fanno ipotesi su come la pressione del successo possa condizionarlo: ma, anche in questo caso, è un discorso che per Sarunas Jasikevicius non vale. Lui, la vittoria, l’ha sempre cercata e spesso ottenuta. La pressione gli fa un baffo.
Il centesimo mancante – CSKA Mosca
di Ennio Terrasi Borghesan
Il classico centesimo mancante per fare il dollaro. Potrebbe riassumersi così la stagione del CSKA Mosca, autentico rullo compressore della lunga e logorante regular season (24 vittorie su 30 partite, meglio del Real della scorsa stagione, mai due sconfitte consecutive) e alla fine prima delusa del weekend serbo.
A dire la verità qualche segnale d’allarme della fragilità dei russi si era già visto nel corso del derby ai quarti di finale con i rivali cittadini del Khimki. Una serie condizionata dall’infortunio a Nando De Colo – poi recuperato per le Final Four – ma in cui la squadra di Itoudis ha lasciato intravedere quelle crepe poi emerse nella semifinale persa col Real Madrid.
Abituato nel corso della stagione a rotazioni larghe, Itoudis in semifinale ha deciso di puntare su un nucleo più ridotto di giocatori – ben 4 giocatori con meno di 5 minuti sul parquet, meno del giocatore meno impiegato del Real – cambiando le gerarchie. In una partita dove gli uomini chiave hanno tenuto percentuali insufficienti (De Colo, Rodriguez e Clyburn hanno combinato per 12/39 al tiro in tre), i russi sono stati incapaci di trovare soluzioni alternative.
A un attacco che, dopo l’exploit dei 30 punti nei primi 10 minuti, è stato poco efficace nel fare circolare il pallone (soltanto 14 assist su 28 canestri di squadra), il CSKA ha aggiunto una difesa non all’altezza, soprattutto nel confronto diretto con la second unit avversaria che in apertura di secondo quarto ha propiziato quel parziale di 8-0 che ha cambiato l’inerzia dell’intera semifinale.
Nell’inutile finalina contro lo Zalgiris, il CSKA ha quantomeno ritrovato l’orgoglio di riaprire la partita una volta finito a -24, ma la vittoria è poi andata ai lituani. Nella sfida contro la squadra di Sarunas Jasikevicius ha ben impressionato Mikhail “Mike” Kulagin, fratello di quel Dmitry passato la scorsa estate al Lokomotiv Kuban, e giocatore che potrebbe essere il futuro del CSKA e della nazionale russa.
A questo punto, i moscoviti dovranno intraprendere una riflessione seria in estate: l’età dei giocatori chiave è ben avanzata – Rodriguez, De Colo, Hunter, Hines e due veterani russi come Vorontsevich e Frizdon sono tutti oltre i 31 anni d’età – e l’estate potrebbe portare con sé una rivoluzione in grado di dare nuova linfa all’eccezionale continuità di una squadra che nelle ultime sedici stagioni soltanto in un caso ha mancato l’accesso alle Final Four.