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Con Regragui è iniziata una nuova era per il calcio africano
14 dic 2022
14 dic 2022
Con il suo percorso ancora prima che con i successi del Marocco.
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Rodolfo Buhrer/IPA
(foto) Rodolfo Buhrer/IPA
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Qatar 2022 si porta dietro questioni problematiche. In questo articolo abbiamo raccolto inchieste e report che riguardano le morti e le sofferenze ad esso connesse.

Sono ormai più di due decenni che in Europa ci chiediamo perché non si sia ancora avverata la profezia di Pelé, che nel 1990 aveva pronosticato una Nazionale africana sul tetto del mondo entro il 2000. A che punto è il calcio africano? Da questa domanda partono tutte le analisi delle partecipanti africane alla vigilia di ogni edizione della Coppa del Mondo. L’argomento che raramente è stato toccato, però, è che ruolo giocano gli allenatori africani nel processo di crescita delle proprie selezioni. La risposta è ancora in parte sconfortante.

Oscurati dall’ingombrante presenza di molti allenatori occidentali che intraprendono veri e propri percorsi turistici nel continente ottenendo risultati discutibili, i tecnici africani sono spesso relegati ai margini dalle loro stesse federazioni e dirigenze. Queste, inconsapevolmente o meno, perpetuano il secolare complesso di inferiorità di cui soffrono gran parte delle popolazioni africane e che vuole, nel contesto specifico del calcio, i professionisti originari del continente necessariamente meno preparati dei colleghi europei. In questo senso i Mondiali 2022, a cui tutte le Nazionali africane si sono presentate con CT provenienti dal proprio Paese, rappresentano una sorta di rivoluzione. Una prima volta che ha squarciato il velo di invisibilità che avvolgeva gli allenatori africani.

Se il CT del Senegal Aliou Cissé, in carica dal 2015, è da considerarsi un pioniere e il primo tecnico intorno a cui una federazione africana ha costruito un progetto a lungo termine, è il CT del Marocco Walid Regragui ad aver aggirato lo scoglio che più di tutti, agli occhi del mondo, era necessario oltrepassare per certificare il definitivo salto di qualità dell’Africa calcistica. Regragui è il primo allenatore africano ad aver raggiunto le semifinali della Coppa del Mondo. Ma in realtà il suo Marocco aveva superato ogni aspettativa già prima di eliminare Spagna e Portogallo. Con i sette punti che sono valsi il primo posto in un gruppo che comprendeva il Belgio e i vicecampioni del mondo della Croazia, i "Leoni dell’Atlante" hanno stabilito la miglior prestazione per una Nazionale africana nella fase a gironi, battendo il record della Nigeria all’edizione di Francia ’98.

Ma da dove esce fuori Walid Regragui, che è stato presentato come nuovo CT del Marocco solamente lo scorso 31 agosto, a meno di tre mesi dal fischio di inizio dei Mondiali?

È nato nel 1975 in Francia a Corbeil-Essonnes, a circa 30 chilometri a sudest di Parigi da genitori marocchini. La famiglia paterna appartiene alla sottotribù amazigh arabizzata dei Regraga, che a sua volta fa capo alla confederazione tribale dei Banu Masmuda, una delle più numerose dell’intero Maghreb. I Regraga, nello specifico, sono una delle tre tribù che costituivano la popolazione di Essaouira, una città che si affaccia sulla costa atlantica a cui sono giunti partendo dalle montagne di Jebel Hadid e da cui hanno diffuso l’Islam nella regione. La parola Masmuda sarebbe la contrazione delle parole arabe mass e amud e sta per “colui che possiede i semi della cultura”. Il termine regraga, invece, deriva dal tachelhit, una lingua amazigh parlata perlopiù nella parte sudoccidentale del Marocco, e si riferisce a coloro che sono intrisi della forza spirituale della baraka, una benedizione emanata da Dio che può essere trasmessa ad altre persone anche attraverso il contatto fisico con un profeta o un uomo ritenuto santo.

Walid Regragui sembra incarnare alla perfezione il significato di entrambe le espressioni. In qualità di figlio della diaspora tornato a vivere nel paese di origine dei propri genitori ha dimostrato di conoscere e comprendere le differenze culturali che intercorrono tra i calciatori nati in patria e coloro che il Marocco lo hanno ritrovato grazie alla Nazionale, accettando di non poter trattare gli uni e gli altri alla stessa maniera. L’entusiasmo che ha riportato nell’ambiente dei "Leoni dell’Atlante" in poche settimane appare realmente come una benedizione, simboleggiata dalle pacche sulla testa che i calciatori sono autorizzati a dargli come gesto portafortuna. Una testa calva che lui stesso ironicamente chiama ras l’avocat (testa di avocado). L’entusiasmo e una più sana gestione del gruppo sono due aspetti cruciali che erano venuti a mancare durante l’èra di Vahid Halilhodžić, il CT bosniaco che ha qualificato il Marocco a questo Mondiale ed è stato poi esonerato per divergenze con la federazione, in particolare in merito all’esclusione di Hakim Ziyech.

Di certo, però, Regragui possiede anche notevoli competenze a livello tattico. Dopo un’esperienza in Nazionale come assistente di Rachid Taoussi, durata meno di un anno tra il 2012 e il 2013 a causa dell’esonero di quest’ultimo, Regragui ha iniziato la sua carriera da primo allenatore al FUS di Rabat. In un primo periodo ha adottato un classico 4-2-3-1 per poi passare a un 4-3-3 simile a quello che abbiamo visto nelle amichevoli di preparazione che il Marocco ha disputato a settembre contro Cile e Paraguay, in cui ha cercato di dominare il possesso contro avversari qualitativamente inferiori rispetto a quelli che ha affrontato fin qui in Qatar. Questo schieramento è stato sostituito spesso dal 3-5-2 in partite che necessitavano di un assetto maggiormente difensivo.

Nella stagione 2018/2019, specie nelle gare contro il Raja di Casablanca, si è schierato anche con il 4-1-4-1 e il 5-3-1-1 messo in mostra col Marocco in questi Mondiali. «In sostanza, lo si potrebbe definire un allenatore che si adatta ai calciatori che ha a disposizione e all’avversario che ha di fronte», sostiene Benjamin Hajji, ex osservatore del Famalicao per il Nordafrica ed esperto di calcio marocchino. «Generalmente preferisce un 4-3-3 equilibrato. È un po’ il sistema di gioco che avrebbe voluto ricreare in questi Mondiali, anche se ha finito per optare per un più prudente 4-1-4-1 con Ziyech e Boufal che si abbassano molto sulla linea dei centrocampisti».

Regragui è stato una scoperta anche per molti suoi connazionali, nonostante tra gli addetti ai lavori fosse considerato uno dei migliori allenatori marocchini in circolazione ancor prima di firmare per il Wydad di Casablanca, con cui ha conquistato la Champions League africana e il campionato. Tant’è che come sottolinea Mohamed Amine El Amri, giornalista di Le Matin Maroc, “le voci sul potenziale ingaggio di un altro CT straniero per sostituire Halilhodžić erano probabilmente infondate”. Si parlava di Regragui sulla panchina dei "Leoni dell’Atlante" già nel corso della passata stagione, motivo per cui i rumour su André Villas-Boas, Walter Mazzarri e altri allenatori europei sarebbero serviti per distogliere l’attenzione da un tecnico di cui i dirigenti federali intravedevano le qualità già da tempo.

Gli highlights della finale vinta dal Wydad di Regragui a maggio.

Regragui è stato uno dei primi tecnici nella storia del campionato marocchino a convincere il proprio club a concedergli tempo e fiducia per lavorare con serenità a un progetto a lungo termine. Aveva già vinto il premio di allenatore dell’anno in Marocco nel 2016 dopo aver guidato il FUS al titolo. Al FUS è rimasto sei anni, facendo esordire diversi giovani calciatori come Nayef Aguerd, difensore centrale del West Ham e attuale colonna portante della retroguardia del Marocco. Non ha mai vissuto una stagione fallimentare nonostante abbia spesso dovuto fare i conti con risorse limitate rispetto alle concorrenti. Aver posizionato il FUS, che prima dell’arrivo di Regragui non aveva mai vinto il campionato, stabilmente nella parte sinistra della classifica è infatti un grande risultato. A questo vanno aggiunte una coppa Nazionale vinta nel 2014 e un’altra finale di coppa persa l’anno successivo. «È un traguardo quasi senza precedenti per un allenatore marocchino aver ottenuto tanti successi per un periodo di tempo così lungo», ammette Hajji. Quest’anno, inoltre, Regragui si è diplomato al primo corso della CAF (la Confederazione africana di calcio) per allenatori professionisti insieme ad Aliou Cissé e tanti altri tecnici che stanno scrivendo la storia del calcio africano.

Si potrebbe discutere per ore dello stile di gioco implementato da Regragui, che a causa del poco tempo avuto a disposizione rimane inevitabilmente legato al pragmatismo lasciato in eredità da Halilhodžić, ma il contributo chiave apportato dall’attuale CT è stato il cambio di mentalità nella testa dei giocatori e dell’opinione pubblica. Nelle varie conferenze stampa di questi Mondiali ha tentato a più riprese di far svanire il complesso di inferiorità che aleggia in Africa e ha invitato la stampa marocchina a fare altrettanto. Regragui ha modificato modo e tempo verbale delle aspirazioni di un paese e di un intero continente che ora appoggia all’unisono i "Leoni dell’Atlante". Ha trasformato il “forse un domani potremmo vincere i Mondiali” in “possiamo vincerli quest’anno”. Ha convinto i suoi calciatori che è arrivato il momento di far avverare la profezia di Pelé. Il fisico e le gambe dei calciatori non hanno fatto altro che seguire la rinnovata ambizione inculcata nelle loro teste dal CT e oggi si ritrovano a sfidare i campioni del mondo in carica della Francia per l’accesso alla finale.

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