Il Chelsea ha quasi matematicamente vinto la Premier League senza una vera avversaria a contendergliela. Cosa dobbiamo aspettarci allora dalle ultime giornate? Cosa ci dice questa stagione sul futuro del campionato inglese?
Ha vinto il Chelsea o hanno perso le altre?
Dario Saltari
Sono di quelli che pensano che Mourinho vince partite e trofei facendo giocare male le sue squadre (se state già cliccando sulla X per chiudere la tab ricordatevi che anche Hazard la pensa così) attingendo a piene mani a una serie di componenti extra-calcistiche che definirei odiose. Anche il Chelsea di quest’anno non mi piace, non ha nulla di attrattivo se non i calciatori che ci giocano. Questo non vuol dire che la squadra di Mourinho non abbia meritato di vincere ma, per rispondere alla domanda, penso che siano mancati avversari di livello. Il Manchester City si è suicidato nel corso della stagione e sta probabilmente passando un periodo di rifondazione, lo United questo periodo l’ha appena iniziato, l’Arsenal non è mai stata una pretendente seria, il Liverpool ha “sbagliato” il mercato (per quanto si possa azzeccare un mercato che prevede la cessione di Suarez). Il Chelsea era l’unica squadra che aveva un impalcatura già consolidata, su cui quest’anno sono stati installati diversi campioni. Non è che l’hanno perso le altre, semplicemente non potevano vincerlo: il Chelsea sì, e l’ha fatto.
Emanuele Atturo
Il Chelsea ha superato i 250 giorni in testa alla classifica. Se dovesse proteggere il primato fino alla fine supererebbe il record del Manchester United 1993-1994, che resistette per 262 giorni. La mia teoria è questa: Mourinho è stato così bravo a convincere il mondo che avrebbe vinto il campionato che gli avversari non hanno pensato neanche per un secondo di poterlo infastidire.
Nonostante abbia detto recentemente, con sobrietà, che diventa sempre più bravo a leggere le partite, Mourinho quest’anno è sembrato meno brillante in alcune scelte tattiche (vedi suicidio champions) ma ancora più bravo a fare l’incantatore di serpenti. A far credere la propria squadra onnipotente e gli avversari inoffensivi. Il campionato l’ha vinto così: piazzando un inception nella testa di tutti quelli che pensavano di poter competere con la sua squadra. D’altra parte nel calcio attuale, per vincere, l’aspetto immateriale e mentale conta più del resto: allora Dario, siamo proprio sicuri che stiamo parlando di “componenti extra-calcistiche”? Non è che davvero ha ragione Mourinho quando dice che “diventa sempre migliore”? Forse ha trovato il modo di vincere prescindendo dal gioco, semplicemente piegando la realtà alla propria volontà.
Fabrizio Gabrielli
C’è una parola che è perfetta per descrivere il Chelsea di quest’anno, una parola dal suono esotico: Juggernaut, che viene dal sanscrito Jagannatha e significa “dio del mondo”. Lo Juggernaut è un carro rituale, una specie di tempio semovibile. Come definizione si appiccica bene ai Blues per due motivi: il primo, perché è per tutto il corso della Premier League che la squadra di Mourinho è davvero sembrata il carro più gigantiaco dello Ratha Yatra 2014/15, partito in testa e in testa destinato ad arrivare, come se non fosse una gara, come se non ci fosse gara. Il secondo, perché come ogni buon Juggernaut ha finito per stritolare fedeli e detrattori che gli si sono volontariamente gettati tra le ruote.
La partenza zavorrata del Manchester Utd, il tracollo dei cugini Citizens, le velleità da ballerina di seconda fila dell’Arsenal: la gara tra i concorrenti sembrava basata su chi avrebbe sventolato per primo la bandierina bianca della resa. L’atteggiamento di Mou di fronte ai suoi contenders era tipo quello di Cina e Masito, due rapper della scena romana dei primi anni Duemila, nel loro pezzo che diceva «nulla puoi nulla fai nulla sei / me scivoli addosso come l’acqua sur k-way». Che accadesse un tracollo era impensabile in misura inversamente proporzionale a quanto sarebbe stato schadenfreudiano. Non ci si mette contro Mou. Vi ricordate quando non incrociavamo le mani sopra la testa quando c’era Giucas Casella in tv per paura di rimanere incastrati? Ecco.
Per la Champions League e l’Europa League c’è ancora qualcosa in sospeso?
Dario Saltari
Gli unici posti davvero in ballo sono quelli meno appetitosi, e cioè il quarto (a voler esagerare) e il quinto. Nel mondo dei miei sogni il Liverpool arriverebbe quarto e il Southampton quinto, il City più in basso possibile. Ma tanto ogni volta che mi auguro qualcosa di molto romantico quel qualcosa sistematicamente non si avvera. Alla fine il City arriverà quarto, la prossima stagione assumerà un allenatore rivoluzionario spezzandoci il cuore (Klopp mi leggi?) e negli anni a venire vincerà tutto il vincibile fino a conquistare il mondo. Per il quinto posto dico Liverpool.
Fabrizio Gabrielli
Ho sperato che l’Arsenal crollasse e non si qualificasse per la Champions. Non riesco a interpretare i finali di stagione dell’Arsenal, mi fanno venire le vesciche nel cervello a forza di rimpianti. L’Arsenal è tipo la ragazza che in certi film collegiali all’inizio è bruttina, poi si slega i capelli, indossa un tubino, diventa simpaticissima e irraggiungibile al Ballo Di Fine Anno scatena sospiri.
Per il quarto posto a un certo punto il Liverpool sembrava potercela fare, tutto sommato aveva un calendario abbastanza agevole (solo uno scontro diretto, contro il Chelsea), ma comunque non più agevole di quello del City, che infatti ha tenuto botta, ha addirittura rialzato la testa e potrà presentare a Klopp (in caso) almeno un cesto di frutta con al centro un biglietto per La Competizione Europea Più Importante, e si sa quanto contino questi dettagli al primo appuntamento.
Anche la brutalità nella corsa all’Europa League sembra essersi placata come il maestrale al tramonto. La corsa a tre fra Spurs, Liverpool e Southampton ha l’agonismo di una partita tra Vecchie Glorie Over-40; alla fine i Saints rischiano più di tutti, e sarebbe stato bello—oltre che onesto—se Tintin Koeman avesse congelato il discorso e inscenato una delle fatality di Sub-Zero già nello scontro diretto del venticinque aprile contro l’ex Pochettino, gara che invece è finita in parità.
Uno slot europeo l’avrei voluto vedere occupato dal Reading, o dall’Aston Villa, perché mi piacciono le squadre retrocesse in B che fanno le trasferte europee. E invece da quest’anno il portone dell’Europa alla fine del corridoio della FA Cup si schiuderà solo in caso di vittoria (fino all’anno scorso, se la vincitrice era già in Champions, la finalista poteva andare in Europa League): un’innovazione magari pragmatica che toglie un po’ di poesia. Quindi ai Villains resta solo la possibilità di sbancare Wembley per accedere all’Europa, magari retrocedendo nel frattempo. In caso contrario, se sarà l’Arsenal a vincere la FA Cup, dato che l’Arsenal è già qualificato per la Champions, si apre un’altra posizione in classifica per l’Europa League. E dato che anche la League Cup, che garantiva un accesso in EL, l’ha vinta il Chelsea, sia Liverpool, che Southampton, che Tottenham rischiano di qualificarsi per l’EL, indipendentemente da chi arriva quinta, sesta e settima.
Con ogni probabilità rivedremo queste giocate di Sadio Mané in Europa League l’anno prossimo.
Emanuele Atturo
Senza dilungarmi, secondo me il Liverpool arriva quinto, poi Tottenham, poi Southampton. Amaramente, credo che Southampton e Tottenham, le uniche due squadre che per me hanno offerto spunti interessanti in questo campionato, sono a spartirsi le briciole.
Ma potrei essere felice per questa incredibile ascesa dell’Arsenal. Una stagione fallimentare avrebbe dato i margini per esonerare Wenger e ricominciare un progetto da zero (momento romanticismo: solo io vedo l’Arsenal e Jürgen Klopp come il cacio e i maccheroni?); invece ora ci troviamo di nuovo di fronte a una stagione dal bilancio indecifrabile. L’Arsenal è secondo, se ci fossero altre 10 partite forse riuscirebbe a insidiare il Chelsea, ed è in finale di FA Cup. Nel girone di ritorno ha avuto un rendimento dominante, un aggettivo che non avrei mai pensato di poter usare per un Arsenal di Wenger negli ultimi 10 anni.
Come sempre l’equilibrio dei Gunners passa dal suo rendimento offensivo. Le cose hanno iniziato a girare quando Wenger ha potuto utilizzare stabilmente Giroud, Cazorla e Özil, trovando un 11 stabile dopo i cambiamenti continui di inizio anno. Soprattutto i primi due sono determinanti nell’economia del gioco (Giroud a tratti sembra un golem di Wenger), permettono la giusta libertà al campione della squadra (Alexis) e incastrano le fisse wengeriane di turno, quest’anno Monreal, Bellerin e Coquelin, altro uomo chiave nell’ultimo scorcio di stagione, quasi 4 tackle e 4 intercetti a partita: un animale.
Se non ci fossimo scottati troppe volte a quest’ora diremmo che il prossimo anno i Gunners—con i due proverbiali Innesti Pesanti—sarebbero dei contender credibi… OH WAIT.
Insomma, che dovrebbero fare? Voi siete così spietati da voler esonerare Wenger nonostantetutto? Non vorreste almeno un trionfo catartico (prima o poi) che ci dica che tutti questi anni di purgatorio sono pur valsi a qualcosa?
Fabrizio Gabrielli
A differenza di quanto possa essere sembrato non sono affatto Anti Arsenal ma Anti Wengeriano; altro che trionfi catartici, a me l’eliminazione in Champions contro il Monaco sembrava proprio la soundtrack perfetta per un malinconico canto del cigno, e invece tac, eight-in-a-row. Dite che Tifare Sbraco è subdolo e ingeneroso?
Dario Saltari
No Fabrizio, sinceramente anche io lo farei. Anzi, anche io lo farò. Forse sono anche io antiwengeriano. O forse è solo un periodo che mi sento molto cinico, in cui sento la necessità di tagliare i ponti col passato per generare un cambiamento reale. Quindi io dico Wenger-out. Non reggo più l’Arsenal con tutta la sua retorica di eterna incompiutezza. L’obiettivo di Wenger sembra ormai proprio la stessa incompiutezza, senza avere in mente però un’opera d’arte come la Sagrada Familia. Il wengerismo ha prodotto un genere letterario a parte: quello che alla fine di ogni stagione si mette lì ad elencare gli alibi che quest’anno non hanno permesso all’Arsenal di fare il salto di qualità (il calciomercato, i giovani, lo stadio, i troppi francesi). Non mi ricordo nemmeno l’anno da cui l’Arsenal è diventato un avversario non credibile, sia in Inghilterra che in Europa. Mi irrita questo abbandonarsi all’irrilevanza in cambio di alcuni autocelebrativi momenti di bellezza.
Il Manchester United a che punto è?
Emanuele Atturo
Sarò troppo severo ma per me il 4-2 finale tra United e City fotografa il grande avvicendamento nella gerarchia cittadina, anche a prescindere da quanto potrà dire la classifica finale. Il City è in crisi di gioco praticamente da inizio stagione e paga alcuni giocatori in fase calante (Yaya, Zabaleta) e altri che forse si sentono a fine ciclo (Kompany, Silva, Dzeko). Non vedo una sola ragione per cui Agüero dovrebbe decidere di restare ancora a predicare nel deserto. Ora bisognerà ripartire da un nuovo ciclo con una consapevolezza: i soldi degli sceicchi, da soli, permettono di competere solo fino a un certo punto.
Lo United ai soldi invece ha aggiunto un progetto tecnico profondo, affidandolo alla visionarietà pazza di van Gaal. I cambiamenti assurdi da inizio stagione in poi—pieni di surrealismo—li ha raccontati questo masterpiece di Valentino Tola. Ora però mi pare che siamo arrivati al punto d’equilibrio, soprattutto tattico.
A mancare, secondo van Gaal, sono ancora però i gol degli attaccanti. Vedo van Persie e Falcao lontani (il primo ha perso molto smalto, il secondo ha segnato solo 4 gol) e van Gaal fare all-in su un centravantimonstre per il prossimo anno (fatemi un nome secco, ecco il mio).
Se van Gaal non impazzirà—piazzando terzini primavera al centro della difesa, ali a centrocampo e registi terzini—per la prossima stagione li metto addirittura tra i favoriti, nonostante la brutta sconfitta contro l’Everton. Una considerazione che faccio soprattutto in un confronto con le altre concorrenti: l’Arsenal è un punto interrogativo gigantesco; il Chelsea naturalmente ripartirà tra le favorite ma potrebbe essere mentalmente scarico, almeno in campionato; il City ha da ricostruire quasi da zero e il Liverpool… è il Liverpool.
https://www.youtube.com/watch?v=eY-q1tRki3I
Come il Manchester United è tornato a vincere il derby.
Dario Saltari
Secondo me ci stiamo facendo un po’ troppo trascinare dal momento contingente. È vero, probabilmente il City è alla fine di un ciclo e lo United è all’inizio di un altro ma se guardiamo ai due progetti nella loro totalità ho molta più fiducia nel primo rispetto al secondo. In questo video di circa un anno fa, il CEO del City, Soriano, è molto critico nei confronti dello United, perché secondo lui l’intero successo del club viene a dipendere da un’unica persona, l’allenatore (al minuto 59:40, per la precisione).
Soriano un anno fa parlava di Ferguson e ancora non sapeva che van Gaal avrebbe preso la guida dello United. La cosa buffa è che nello stesso video Soriano parla anche di van Gaal, per spiegare i diversi stili di allenatore (al minuto 39:49). Soriano definisce van Gaal come un authoritarian expert: «È un ottimo coach, in diversi club, ma il suo stile è molto difficile. È molto duro ma è un vincente. Il problema è che il giorno in cui non vinci tutti quelli che sono arrabbiati con te proveranno ad ucciderti. Nei film questo stile funziona, nella vita reale no». Se si guarda alla storia recente dei due Manchester non si può non dare ragione a Soriano. Lo United è crollato l’unico anno in cui non si è affidato a un nome del calibro di Ferguson, andandosi così a rifugiare in un altro grande allenatore (in tutti i sensi).
Il City, invece, ha preferito costruire una grande squadra al di là dell’allenatore (e infatti ha vinto la Premier con due allenatori diversi). Per questo motivo quest’estate paradossalmente il lavoro sarà molto più arduo per lo United che per il City. I Red Devils dovranno riuscire a disfarsi di van Persie senza svenderlo (auguri), comprare un grande centravanti (io dico Cavani), capire cosa fare con Di Maria, rifare la difesa. Il City, invece, dovrà giusto rimpiazzare adeguatamente Pellegrini affidando al nuovo allenatore una squadra praticamente chiavi in mano. Sì, va svecchiata qua e là (penso a Demichelis e Zabaleta, soprattutto) ma il lavoro da fare non è molto. Alla luce di quello che ho detto forse la scelta del City non ricadrà su Klopp ma su un allenatore meno ingombrante. Molto dipende dalle scelte estive delle due società e non mi stupirei se l’anno prossimo il City tornasse subito competitivo. Lo United ha ancora le sue ombre, soprattutto nel lungo periodo.
Il Liverpool tornerà competitivo per la corsa al titolo?
Dario Saltari
Rodgers, per me, è uno dei migliori allenatori (se non il migliore) della Premier League. Quest’anno ha dovuto fare i conti con una serie di infortuni molto pesanti (Sturridge su tutti), unita a una campagna acquisti disastrosa (pensare di sostituire Suarez con Balotelli credo sia stata una delle peggiori idee della storia del calcio). Nonostante questo, ha vissuto una grande parte centrale di stagione e adesso è lì a lottare per il quarto posto. Banalmente, quello che manca al Liverpool per poter competere sono i soldi di Chelsea, City e United (e ormai anche Arsenal, direi). La rosa che ha disposizione Rodgers è inferiore e non di poco alle altre grandi. Ma questo non vuol dire che i Reds non potranno mai più ambire al titolo. Alla fine Suarez costò “solo” 25 milioni (Balotelli è costato 20, tanto per capirci) e arrivò non certo con la fama del top player in Inghilterra. Questo vuol dire che con questo allenatore e qualche buona intuizione di mercato si può tornare grandi. Quindi rispondendo alla tua domanda direttamente: non manca tanto (la butto là: Jackson Martinez?). Qui, però, subentra il mio egoismo: vorrei vedere Rodgers alle prese con un top club. Quindi chissà che alla fine non sia proprio lui il successore di Pellegrini.
Fabrizio Gabrielli
Alla fine ogni discorso sul Liverpool finisce ineluttabilmente per sfociare sulla Grande Individualità Perduta, e quindi su Suarez. Forse dovremmo usare una lente più spessa, più che quanto manca dovremmo chiederci se il Liverpool avrà ancora gli uomini giusti per tornare a essere competitiva. E la mia arrogante opinione è che sì, ce li ha già.
Nelle ultime settimane s’è messa in moto la terrificante macchina delle nominations per il POTY 2015, e la mossa un po’ a sensazione è stata quella di John Terry, che ha votato per Philippe Coutinho. Dico a sensazione senza imprimere alcuna particolare connotazione negativa: voglio dire, JT mi pare uno onesto in modo sfacciato, e se volessimo cercare una metonimia per il Liverpool di quest’anno la scelta sarebbe abbastanza obbligata: se non Rodgers, Coutinho.
A 22 anni il brasiliano è finalmente entrato nel giro della Nazionale, e nei Reds ha preso il posto di Suarez in quanto a centralità nel progetto. Agendo da falso nueve nel 3-4-2-1 non ha sbagliato un colpo, specie da gennaio in avanti; ha creato 42 chances da rete (più della metà nel 2015, 27) e solo Hazard ha saputo dribblare più di lui. Ha aggiunto sostanza alla qualità.
Basta per risollevare le sorti dei Reds? Un uomo non fa la squadra, ma più individui possono rendere un collettivo molto competitivo: se Rodgers (come ha fatto prima dell’ultima pazza e travolgente stagione di LS) riuscirà a convincere Coutinho, Sturridge e Sterling a rimanere, se tutti insieme con la Sedia Del Papa porteranno Balotelli ad Heathrow per imbarcarsi destinazione NYC, chissà che il Liverpool non possa tornare a essere una contendente credibile.
Quali squadre vi hanno emozionato?
Dario Saltari
Non parlerò di tattica e prospettive dello Swansea perché l’ho seguito troppo poco. Vorrei più che altro sottolineare la sua affermazione come progetto autonomo e, direi, vincente. Dallo Swanselona di Rodgers, cioè da quando è stata promossa in PL, il club gallese non è mai sceso sotto il 12.esimo posto e nel 2013 è riuscito a vincere una League Cup. Quest’anno è attualmente ottavo, a sette punti dal Southampton dei miracoli. Ma la cosa più importante è che il club gallese ha fatto tutto ciò avendo sempre il coraggio di vestirsi con un calcio propositivo al di là degli allenatori che metteva sulla propria panchina. I cigni sono per me la speranza di una PL meno Londra-centrica, anche come idee, più variegata e magari realmente britannica.
Fabrizio Gabrielli
A cavallo di Capodanno, saranno stati i trigliceridi alti, ho passato uno di quei periodi cotta tardo-adolescenziale per il Southampton. Sono state le tre giornate di fila in cui Sadio Mané e Dušan Tadić, alternandosi come lottatori di wrestling sul ring, hanno fermato il Chelsea, battuto l’Arsenal (proprio il primo gennaio) ed espugnato l’Old Trafford. Nessuno avrebbe puntato un centesimo, a inizio stagione, sulla replicabilità di un’annata monstre come quella passata da parte di una squadra orfana di uomini tipo Lallana, Lambert, Shaw, Chambers e Lovren—voglio dire, mezza squadra—nonché del suo allenatore Pochettino. Koeman è riuscito addirittura a fare meglio, per ora. Chi lo sa se portare i Saints in Europa servirà a evitare una nuova diaspora. Se Sisifo tifasse per una squadra in Premier League, non ho dubbi che quella squadra avrebbe le maglie a strisce bianche e rosse.
Emanuele Atturo
In una Premier in cui ogni squadra si è limitata a recitare il proprio copione in modo diligente, una delle poche squadre che mi ha realmente entusiasmato è stato il Tottenham. A un certo punto della stagione sembrava poter entrare nelle prime quattro e, proprio da queste parti, ne prevedevamo una grande ascesa in Europa League. Poi c’è stato qualche passaggio a vuoto e, a voler essere cattivi, potremmo facilmente inquadrare la stagione nel “ciclo del fallimento del Tottenham”:
The Tottenham Hotspur Wheel of Failure pic.twitter.com/LfdqnSNgTJ
— Football Funnys (@FootballFunnys) 10 Novembre 2014
Eccoci qui, proprio tra “Quasi tra le prime quattro, eliminati alle semifinali di Coppa” e “I migliori giocatori vengono messi sul mercato”. Sembra la Roma.
In realtà il progetto sembra per una volta promettente anche nel medio periodo: Pochettino ha dato un’identità riconoscibile a una squadra che in alcuni momenti ha mostrato un gioco davvero iridescente per intensità e qualità offensiva (penso soprattutto al 5 a 3 rifilato al Chelsea) e i passaggi a vuoto sembrano appartenere più a un fisiologico processo di crescita che non a delle crepe destinate ad ingrandirsi.
I giocatori chiave sono quasi tutti giovani (Lamela, Eriksen, Kane, Mason) e non dovrebbero muoversi da Londra Nord. Difficile fare previsioni sulla possibile consistenza del Tottenham nella prossima stagione, ma tra tante squadre che saranno costrette a rifondare gli Spurs sembrano un passo avanti.