Nel calcio il tempismo è decisivo per ottenere qualunque risultato: per costruire un’azione, per terminarla, per difendersi, per rubare il pallone, bisogna sempre saper dominare il tempo. Allo stesso modo, il tempismo è fondamentale anche fuori dal campo: si arriva tardi sul giovane Cristiano Ronaldo, e quello va allo United; si arriva al momento giusto su Batistuta, e Firenze guadagna un altro monumento. La storia di Montella al Siviglia si sta giocando tutta sulla capacità di inclinare il tempo dalla propria parte: poterlo piegare, cioè, alle sue volontà e soprattutto alle sue necessità.
Potrebbe essere l’uomo giusto per il compito che gli è stato assegnato a Siviglia: è l’allenatore italiano da più tempo sensibile ai richiami del gioco di posizione, che a Firenze aveva implementato grazie a una piccola colonia di calciatori spagnoli o provenienti dalla Liga. Ha un discreto curriculum europeo, nelle poche occasioni in cui ha disputato competizioni continentali: non è un neofita, anche se è arrivato in un paese e in un campionato nuovi. Ma non basta essere adatti ad un ruolo per poterlo esercitare: bisogna assumerlo nel momento giusto.
Atterrato nella città andalusa a fine 2017, Montella ha trovato una situazione disastrata: una società che aveva perso il suo cardine, l’uomo che l’aveva portata dalla Segunda alle vittorie internazionali, Monchi; una squadra lasciata orfana da un grande allenatore come Sampaoli, che aveva abbandonato dopo appena una stagione (comunque ottima) per allenare la Nazionale argentina; una rosa che aveva perso uomini fondamentali come Iborra, il capitano, e Vitolo, rimpiazzata da una serie di nomi sul cui reale valore da elite aleggiano ancora dubbi (da Muriel a Kjaer).
A tutto questo, va aggiunto che Montella è stato chiamato in sostituzione di un allenatore, Eduardo “El Toto” Berizzo, appena rientrato in panchina dopo un tumore alla prostata: due partite ed ecco l’esonero pre-natalizio, in un mondo calcistico che non può fermarsi a riflettere neppure nei momenti più difficili per un essere umano.
Atterrato in questo mondo assurdo, Montella ha iniziato a lavorare con tutto il 2018 davanti: adesso ha bisogno di andare il più veloce possibile, per fare in modo che non sia il tempo a remargli contro, in una società che ha già dimostrato di non saper aspettare.
Problemi di equilibrio
Per capire i margini di intervento di Montella, bisogna risalire alle motivazioni dell’esonero di Berizzo: il Siviglia era una squadra con equilibri molto precari e con una fase difensiva poco convincente. In 17 partite di Liga aveva subito 22 gol, la peggiore difesa tra le prime sei in classifica; in Champions League addirittura 12 gol in 6 partite, la peggior difesa tra le squadre qualificate agli ottavi.
Per il tecnico argentino, allievo di Bielsa, la fase difensiva è una dinamica prosecuzione di quella offensiva, con riaggressione immediata in zona palla, ma si basa soprattutto su marcature individuali a tutto campo, che richiedono grande intensità mentale e fisica. Inoltre, richiedono molto tempo per essere elaborate: sebbene nel Siviglia il sistema sembrasse più accorto, nei 90 minuti si verificavano continui errori nelle uscite da parte dei singoli.
In un sistema basato su marcature individuali, qualunque falla può portare all’affondamento della nave: e così il Siviglia si ritrovava ad imbarcare 5 gol (Spartak Mosca, Real Madrid) o 4 (Valencia) senza praticamente essere mai in partita.
Il Siviglia era continuamente vittima di situazioni di incertezza difensiva, con i giocatori che non sembravano aver assimilato i meccanismi del proprio allenatore. L’immagine qui sopra viene dall’ultima partita di Berizzo sulla panchina del Siviglia: il difensore centrale della Real Sociedad, Llorente, è liberissimo di salire palla al piede mentre i due attaccanti deputati a bloccarne avanzamento e linee di passaggio si sono tranquillamente fatti superare. A quel punto nessuno sa più cosa fare: Banega è incerto se uscire per chiudere la linea di passaggio o coprire l’uomo libero alle sue spalle, su cui però sta andando anche il terzino Escudero. Allo stesso modo, Krohn-Dehli arretra lentamente con lo sguardo al pallone perché non sa bene se tocca a lui uscire in pressione: nel frattempo Odriozola, il terzino destro avversario, gli è già praticamente partito alle spalle. Llorente alla fine serve un passaggio taglialinee in verticale, tra Escudero e Dehli, su cui arriva tranquillo il terzino destro: due difensori avversari sono riusciti a costruire un’azione pericolosissima senza praticamente alcuna opposizione del Siviglia.
I problemi non si limitavano ovviamente alla fase difensiva: il sistema era squilibrato alle fondamenta. Il Siviglia aveva addirittura problemi nella creazione continua di occasioni, da un lato si predicava un calcio verticale con attacco in ampiezza, dall’altro i giocatori in campo eseguivano movimenti diversi, con difficoltà a farsi trovare tra le linee. In questo caso uno dei grandi problemi di Berizzo è stata l’identificazione del triangolo di centrocampo: chi doveva fare cosa?
Guido Pizarro da regista puro non sembrava funzionare benissimo, e il doble pivote N’Zonzi-Banega non garantiva equilibrio, soprattutto perché l’argentino deve essere più libero da compiti tattici, e aveva bisogno di giocatori con cui associarsi, per poi abbassarsi liberamente a creare gioco quando necessario. Ganso da trequartista era completamente fuori dagli schemi, spesso facendo saltare tutti i meccanismi di pressione; a un certo punto N’Zonzi è stato addirittura messo fuori rosa per problemi con Berizzo.
Insomma, funzionava poco, in questa squadra: ma era preventivabile, considerata l’esperienza dell’argentino alla prima stagione con il Celta Vigo (stagione 2014-15, 8 sconfitte in 9 partite tra novembre, dicembre e gennaio), e la difficoltà nell’elaborare un sistema che richiede assoluta sincronia nei movimenti.
E alla fine arriva Vincenzo
«I miei due anni alla Fiorentina li ho passati con lui. Gli piace molto l’ordine e curare ogni dettaglio. Mi ricorda molto Emery»: con queste parole di Joaquín, il quotidiano El País introduceva Montella al grande pubblico spagnolo. Poche parole ma già in grado di definire un’aspettativa molto alta, e di inquadrare meglio l’allenatore italiano: non un vero e proprio allenatore di toque, come già si diceva in Spagna, e cioè di possesso, bensì un allenatore maniacale e molto attento soprattutto agli equilibri di squadra, come Emery.
Ironia della sorte, a battezzarlo nel suo nuovo campionato, la Liga, è stato proprio il Betis di uno scatenato Joaquín: debutto in campionato per Montella, e brutta sconfitta casalinga nel derby per 3-5. Non c’era un modo peggiore per iniziare: ogni credito era esaurito, e il tempo non era più nel controllo dell’allenatore - era già sparito.
Il 4-4-2 senza palla del Siviglia: in questo caso Muriel scherma il regista avversario e poi va ad aggredire il portatore, mentre gli esterni sono in posizione per chiudere la linea di passaggio ai loro avversari diretti. Il doble pivote è molto stretto, la linea difensiva alta anche se sta correndo all’indietro perché si prevede un lancio lungo a palla scoperta.
Per raddrizzare la situazione, Montella ha preferito inizialmente un approccio molto soft: nessuna rivoluzione, continuità almeno nell’individuazione del modulo (il 4-2-3-1), seppur declinato in modi differenti. Per prima cosa, si è voluto sistemare il problema del centrocampo: immediatamente reintegrato N’Zonzi, a cui è stato affidato di nuovo il compito di coprire la linea difensiva e servire palloni tra le linee; Banega inizialmente riposizionato da trequartista, ma poi nuovamente abbassato nel doble pivote per aiutare un inizio azione ancora troppo fragile.
Controllo del pallone, certo, ma soprattutto il tentativo di dare ordine a una squadra troppo spesso senza controllo nel corso della partita: dopo una breve fase iniziale di esperimenti, che aveva portato a due scontate vittorie in Coppa del Re contro il Cadice ma a due sconfitte consecutive in campionato, Montella ha capito di dover scegliere un blocco, rivalutando alcuni giocatori chiave prima accantonati, di cui però conosceva benissimo le caratteristiche, le qualità e i limiti. E ha capito di dover usare il sano realismo italiano: prima gli equilibri di squadra, muoversi insieme secondo direttrici semplificate, poi tutto il resto.
In particolare, è cambiato profondamente il reparto offensivo: le chiavi della trequarti sono state affidate al Mudo Vázquez, con poche tendenze ad abbassarsi per occupare spazi altrui, e con l’abilità sia di occupare le linee che di associarsi con i compagni in fascia; la punta unica è diventata Luis Muriel, già allenato da Montella ai tempi della Sampdoria, acquisto più costoso della storia del club andaluso, lentamente marginalizzato però da Berizzo; sulla fascia sinistra spazio a Correa, altro giocatore già allenato alla Samp; sulla fascia destra Pablo Sarabia, l’unico che poteva considerarsi un titolare anche con Berizzo.
L’insieme di questi giocatori serve alla squadra per garantire un set ampio di movimenti offensivi: trovare sempre l’uomo libero tra le linee, grazie all’associazione Banega-Vázquez; attaccare i mezzi spazi, con le due ali sistemate a piede invertito, e puntare l’uomo, con la stessa abilità; garantire spazio per gli inserimenti dei terzini, con Escudero regista occulto a sinistra, e la spinta di Navas a destra, retrocesso in una posizione che sembra però più adatta alle sue caratteristiche attuali (meno qualità, ma grande capacità di attacco alla profondità, velocità nei ripiegamenti); attaccare sempre la profondità con Muriel, in modo da garantire uno sbocco alla manovra e anche allungare la difesa avversaria. Tutto questo per ottenere buone capacità di attacco posizionale, con un inizio azione consolidato dalla qualità di N’Zonzi, Banega ed Escudero, e la creazione di un quadrilatero di impostazione (doble pivote più Mudo e Sarabia) per garantire uno scaglionamento ottimale. A tutto ciò va unita la capacità di dettare passaggi di Vázquez e Sarabia e il cambio di ritmo di Correa e Muriel sulla trequarti; ma anche attacco in campo aperto: perché a questo nuovo Siviglia piace molto attrarre l’avversario per colpirlo negli spazi con transizioni rapide.
Inizio azione del Siviglia, squadra schierata con un 2-4-4 per garantire ampiezza: Vázquez si è liberato tra le linee, ma per servirlo bisognerebbe prima passare su Pizarro, che dovrebbe poi servire El Mudo di prima. Lenglet decide invece di approfittare del dilemma che il Girona deve affrontare: coprire ampiezza e profondità contemporaneamente. Correa attacca lo spazio, Lenglet lo trova con un lancio perfetto, gol: per essere pericolosi bisogna dare varie opzioni al portatore.
Per valutare le possibilità della sua squadra di ridurre il controllo sul pallone ma aumentare l’efficacia offensiva, Montella si è avvalso del migliore dei test: in Coppa del Re, contro l’Atletico di Simeone. In questa specie di trial calcistico, al Cholo è stato appunto lasciato il controllo del pallone (54% all’andata, 53% al ritorno), con ottimi risultati per Montella: doppia vittoria, 4 gol su 5 segnati in transizione offensiva.
In fase di non possesso, adesso il Siviglia si sistema con un semplice 4-4-2 , con el Mudo a schermare il regista avversario (e però pronto ad abbassarsi per garantire un uomo in più a centrocampo in fase di possesso): linee strette, un blocco per difendere posizionalmente senza troppi affanni e ripartire in transizione rapida. Rendere le cose facili ai giocatori, certo, con uno dei sistemi più affidabili e semplici da interpretare: ma allo stesso tempo farli giocare tutti assieme, con N’Zonzi, Banega, Correa, Vázquez, Sarabia e Muriel dal centrocampo in su. Calciatori che parlano la stessa lingua, che riescono ad associarsi bene, con compiti naturali da interpretare, al di là delle posizioni spesso intercambiabili tra loro.
Quella andalusa è però una squadra con problemi ancora molto evidenti: il più pericoloso riguarda la difficoltà nelle transizioni difensive. I meccanismi di riaggressione a seguito della perdita del possesso sono ancora poco elaborati, e certe volte i giocatori sembrano confusi tra quale sia l’idea corretta: ripiegare immediatamente all’indietro o difendere in avanti. Il risultato è l’incredibile semplicità degli avversari di arrivare in porta quando riescono a rubare il pallone: nella prima immagine qui sopra, l’Eibar addirittura con un lancio lungo casuale dalla propria difesa raggiunge il centravanti, che stoppa il pallone e può servire l’inserimento di ben due compagni, che lo aiuteranno in un 3 vs 3. Del Siviglia, infatti, nessuno riesce a ripiegare. Ancora più comico il primo gol dell’Eibar, che non è ben inquadrabile in un’immagine: rilancio lungo dalla fascia, l’ala sinistra si ritrova subito 1 vs 1 con il terzino del Siviglia, lo salta e segna. Nella seconda immagine, invece, cosa succede quando il Siviglia, pur dominando numericamente in zona palla, non sa bene come riconquistarla: con un solo passaggio, il Getafe taglia fuori ben 7 giocatori rojiblancos e lancia una transizione 3 vs 3 (con Navas che saggiamente prova a ripiegare).
Futuro incerto
La squadra soffre ancora di momentanee amnesie, di debolezze improvvise tipiche della squadra incerta: il lavoro non è solo tattico, ovviamente, ma anche mentale. Per ora, da entrambi i punti di vista Montella sta lavorando molto: il suo impatto psicologico sulla squadra è perfettamente rappresentato dall’intensità dell’indolente Vázquez, che al 90esimo della semifinale di Coppa del Re punta l’avversario in velocità, lo supera e quasi cadendo riesce a piazzarla sotto l’incrocio dei pali. Potere della fiducia.
Il piano gara si aggiusta in base al rivale: qui la linea difensiva del Siviglia è a centrocampo per contrastare l’inizio azione del Las Palmas di Paco Jemez.
Montella sta puntando fortissimo sullo stesso 11 titolare, con rotazioni minime (Ben Yedder per Muriel, Corchia per Navas, Guido Pizarro per Banega): si punta a creare connessioni solide tra i giocatori, certo, ma alla lunga la squadra avrà bisogno di aggiungere altri giocatori e altre caratteristiche. Per questo a gennaio il Siviglia è intervenuto sul mercato con ben tre giocatori: il terzino messicano Layún, alternativa valida sia a sinistra che a destra; il mago del pallone pulito, Roque Mesa, che potrebbe anche sloggiare Banega dal doble pivote per mandarlo sulla trequarti (dove Vázquez in questo momento però è intoccabile); e l’attaccante Sandro Ramírez, per ora usato in varie posizioni - sia da prima punta che ala sinistra. Quando Montella ha provato un turnover spinto ne è uscito travolto: 5-1 ad Eibar, squadra umiliata. Per questo probabilmente non si discosterà dalla strada della continuità, usando quella prudenza da allenatore anni 90, che magari ha imparato proprio dal suo mentore-nemico Fabio Capello.
A dimostrazione della velocità con cui il campo abbatte stereotipi, invece di un allenatore italiano con stile spagnolo, adesso abbiamo una squadra spagnola di stile italiano: che ricerca l’equilibrio come unico faro, che alterna registro di gioco in base alle caratteristiche dei propri giocatori e a quelle dell’avversario, quasi sacchiana nella cura del dettaglio e che non disdegna affatto di attaccare in transizione.
Montella è stato saggio in un momento complicato, ha indicato la rotta ad un gruppo che sembra volerlo seguire: adesso ha un difficilissimo turno di Champions contro lo United di Mourinho, una squadra con una fisicità dominante a cui in Liga non si è abituati (è il campionato del pallone, non dei muscoli). Non può più sbagliare: questa opportunità potrebbe essere davvero quella decisiva nella valutazione del suo percorso da allenatore.
Siviglia però può essere appunto un “infierno soñado”, e se l’allenatore non riuscirà a manipolare il tempo per aggiustare una squadra con ancora diversi difetti, le fiamme potrebbero persino arrivare alla sua panchina.