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(di)
Gianluca Ciucci
Velocisti
13 ago 2016
13 ago 2016
Come saranno i 100, 200 e 400 metri. Bolt a parte.
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Gianluca Ciucci
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Nel 2016 Justin Gatlin è stato il più veloce in stagione: 9’’80 sui 100 metri e 19’’75 sui 200. L’uomo dei record, Usain Bolt, quando va in pista prova a nascondersi, nonostante ciò quando riappare davanti ai microfoni lascia dichiarazioni spavalde con il solito leit-motiv: «Il migliore sono io». Intanto, ha corso tre volte i 100 metri e il suo miglior tempo stagionale (9’’88 a Kingston) lo ha fatto inciampando in partenza. I 200, li ha provati solo a Londra (19’’89).

 

Per quanto possa sembrare tutto parte di un copione ormai noto, il tempo passa e Gatlin ha compiuto 34 anni, Bolt va per i 30 e qualche scricchiolio vero comincia a farsi sentire: il bicipite femorale gli ha fatto saltare i Trials (oltre che

, al suo rivale storico) e la concorrenza si fa avanti con una nuova generazione di velocisti affamati e ben dotati. Quest’anno ci sono dieci sprinter che per la prima volta sono scesi sotto i 10’’. Due nomi su tutti: il canadese Andre De Grasse, e lo statunitense Trayvon Bromell (prima volta nel 2015 in verità), entrambi ancora ventunenni e con un bronzo mondiale in bacheca.

 

«Quando hai un certo potere all’interno dell’atletica a volte ti viene voglia di usarlo», così Justin Gatlin ha commentato la qualificazione alle Olimpiadi di Bolt nonostante abbia saltato la finale dei Trials giamaicani. «Si è fatto male e gli hanno preparato un passo medico, da noi non succede». Da parte sua, Bolt l’ha presa «come uno scherzo, una mancanza di rispetto» che non si sarebbe aspettato, «soprattutto da Gatlin».

 

Le gare di velocità ai Giochi olimpici promettono scintille,

, ed è quel che conta, stando alle parole di Bolt sul

: «I record passano mentre le medaglie restano».

 



 



 

Usain Bolt contro Justin Gatlin è, una volta di più, una rappresentazione in forma sportiva dell’antico scontro tra Bene e Male. L’atleta pulito e sempre sorridente, che (quasi) tutti amano e vogliono vedere vincere contro quello sporco e cattivo, squalificato due volte e che a 34 anni ha ancora i tempi migliori e proverà l’ultimo disperato tentativo di affossare il divo. L’americano anche quest’anno è andato più forte di tutti ma il suo treno sembrava più quello dello scorso anno, quando ai Mondiali di Pechino Bolt è riuscito a cogliere una delle vittorie meno attese della sua carriera.

 

«In Cina mi ha impegnato proprio perché ero reduce da mesi difficili. E ha perso perché non era abituato a confrontarsi con uno mentalmente tosto come me. Ma ora non credo sarà alla mia altezza. E non mi serviranno gli ultimi metri per avere la meglio».

 

Gatlin arrivò in Cina vantando i quattro migliori crono mondiali stagionali, con tanto di un 9”74 (resta il miglior tempo degli ultimi quattro anni) e Bolt con non più di un 9”87, sesto tempo stagionale. Finì con Bolt in trionfo e Gatlin rigidissimo negli ultimi metri e con un tempo peggiore rispetto alla

(dove aveva pure rallentato).

 



 

Quando alle 22:25 di domenica 14 agosto (le 3:25 di lunedì 15 agosto per noi, mettete la sveglia) gli otto finalisti della gara più seguita dell’evento sportivo più atteso degli ultimi quattro anni si accomoderanno sugli stalli di partenza le cose però potrebbero essere molto più complicate di così. Da una parte possiamo stare certi che Bolt ci sarà: lui stesso ha detto che la finale Olimpica è quella cosa che: «Usain Bolt is running. Turn over and let’s watch». Dall’altra Gatlin è, come detto, il più veloce dell’anno, ma con un tempo di 9’’80.

 



 

Lo scorso anno in questo periodo, prima di arrivare al Mondiale cinese, l’americano aveva fermato il cronometro una manciata di volte sui 9’’70, dando una sensazione di controllo della gara che quest’anno non ha mai mostrato.

 

Quindi ci sono due possibilità: Gatlin ha imparato la lezione di non esporsi troppo, a maggior ragione visto il grave infortunio alla caviglia rimediato in off-season; oppure, più semplicemente, a 34 anni compiuti è arrivato ormai nella fase discendente della sua carriera.

 

Da parte sua Bolt ha la convinzione di essere in forma, molto più che un anno fa quando si presentò a Pechino per la prima volta in carriera non da favorito. A giugno

i 100 metri in 9’’88 con una partenza disastrosa, poi ci sono state le due settimane di stop forzato a causa dell’infortunio al bicipite femorale. Molti hanno temuto che il mito avrebbe dovuto saltare Rio, ma in realtà si è solo risparmiato la finale dei Trials giamaicani, facendo infuriare Gatlin che è arrivato per questo a parlare di favoritismi.

 

Bolt dice di stare bene. Talmente bene che un giornalista che gli è molto vicino come il giamaicano

si è detto sicuro «che correrà intorno ai 9’’65-9’’68 a Rio De Janeiro. E sarà più che sufficiente per vincere la medaglia d’oro». A Pechino, Bolt ha scaricato una pressione incredibile: non ha solo vinto un Mondiale, lottando e battendo di un solo centesimo quello che tutti davano come favorito, e che allo stesso tempo non volevano veder vincere.

 

Usain Bolt ha saputo trasformare le pressioni in adrenalina, e per la prima volta nella sua carriera ha vinto una medaglia lottando e facendo un vero sprint sulla linea del traguardo. Stavolta è diverso, però. I due si sono lanciati frecciate a distanza, ma sulla pista di Rio non saranno soli. D’altronde ci sarà un motivo se l’uomo più veloce al mondo ha detto che «i 100 metri sono l’ostacolo più difficile».

 



 

Nella stagione fin qui disputata non è stato solo Bolt a nascondersi. È strano per un pre-Olimpiadi, ma nessuno è sceso sui 9’’70, figuriamoci tentativi di abbassamento del record. Detto di Gatlin, per il quale potrebbe valere il fattore declino (ma non ci scommetterei), questo livellamento verso il basso ha aiutato a venir fuori la generazione ‘90 degli sprinter, e non è una cattiva cosa. Probabilmente anche per gli sponsor che sono sempre alla ricerca di carne fresca.

 

Spulciando la classifica delle migliori prestazioni dell’anno, dietro a Gatlin, che detiene primo e secondo posto con le prestazioni di Eugene (9’’80 e 9’’83 rispettivamente in finale e semifinale dei Trials), c’è Trayvon Bromell, un corridore nato nel 1995 che ha impressionato anche Bolt, tanto da indicarlo come avversario da tener d’occhio. Bromell ha molte possibilità di mettersi in mostra ed è già il più accreditato per un futuro brillante, grazie ai due bei tempi ottenuti nei Trials, vincendo la sua semifinale in 9’’86 e poi strappando la seconda piazza in finale con un 9’’84 che eguaglia il suo record personale. Il tutto prima di compiere 21 anni: alla sua età Bolt aveva un personale di 10’’03, anche se appena un anno dopo, nel 2008, ha corso in 9’’69 la finale Olimpica di Pechino.

 

Bromell è stato il primo under 20 della storia a correre sotto la barriera dei dieci secondi, mostrando da subito il pedigree del predestinato e mantenendo le promesse anche dopo. Infatti vanta già un bronzo ai mondiali di Pechino ed è il campione in campione in carica sui 60 metri, avendo trionfato il 18 marzo scorso a Portland. Una vittoria di fronte a campioni di razza come Asafa Powell (uno di quegli atleti che vanno sempre più forte in semifinale) e il decano delle piste Kim Collins. Tra l’altro con un tempo di 6’’47 che è il suo primato personale, nonché nella top ten delle prestazioni all-time.

 



 

Asafa Powell sarà il grande assente nella gara dei 100 metri, insieme all’americano Tyson Gay. Due dei nomi più rilevanti della velocità degli anni 2000, nonché tra i più chiacchierati a causa di qualche

, i quali però non sono mai riusciti a mettersi al collo una medaglia olimpica individuale. Entrambi hanno avuto gloria prima dell’arrivo di Usain Bolt ed entrambi hanno faticosamente vissuto nella sua ombra dopo. Insieme sommano una serie di prestazioni sui 100 paradossale per un medagliere così povero. Asafa è sceso 94 volte sotto i 10 secondi e insieme sommano quindici corse sotto il 9’’80. I due sono accomunati anche nei guai: nel 2013 sono state trovate tracce di stimolanti,

dai velocisti, nelle loro analisi.

 



 

Tra coloro che a Rio ci saranno senza dubbio, va menzionato Jimmy Vicaut, se non altro perché rappresenta la speranza (più del declinante Christophe Lemaitre e dello spagnolo Bruno Hortelano) di un'Europa che sogna un podio ormai da 12 anni.

 

Vicaut, classe 1992, ha vissuto il suo mese migliore a giugno, riuscendo

un 9’’86 in Diamond League a Parigi (uguagliando il record continentale di Obikwelu) e un 9’’88. Poi però è apparso appannato a Londra a luglio (9’’96) e soprattutto agli Europei di Amsterdam, dove si è posizionato terzo in finale con un mediocre 10’’08.

 

L’ultima medaglia di un atleta europeo è l’argento del nigeriano naturalizzato

che stupì tutti sulla pista di Atene, mettendosi alle spalle gente del calibro di Maurice Greene, Shawn Crawford e Asafa (con gli ultimi due che arrivavano da imbattuti in stagione). La vittoria manca addirittura da Barcellona ‘92 con il britannico Linford Christie, che poi

si fece espellere per due false partenze.

 

Ultimo ad essere sceso sotto il muro del 9’’90 in stagione è un altro giovane ragazzo piuttosto interessante. Si tratta del sudafricano Akani Simbine, che si allena col gruppo di Bolt e che lo stesso Usain ha più volte lodato. Nella sua migliore prestazione stagionale ha bruciato Asafa Powell sul traguardo del

, con un ottimo 9’’89 in seconda corsia. Deve ancora compiere 23 anni e ha il suo punto di forza nella partenza bruciante. Come prospetto ci si può scommettere sicuramente e un posto in finale ai Giochi è alla sua portata.

 



 

In chiusura, consiglio di tenere d’occhio la squadra giapponese, che porterà ben tre velocisti di buona prospettiva: Asuka Cambridge, Ryota Yagamata e Yoshihide Kiryū. I loro tempi non sono tra i migliori (ancora mai sotto i 10’’) ma sono giovani e in continua crescita. Sentiremo parlare di loro senz’altro nella staffetta, dove affiatamento e concentrazione nel passaggio del testimone potrebbero aiutarli, nella speranza che qualcuno venga squalificato. Non di sole

vive il Sol Levante.

 

Un capitolo a parte meriterebbe Kim Collins. Ha compiuto 40 anni ad aprile, a fine maggio ha stabilito il suo record sui 100 metri correndo in 9’’93, risultando anche l’atleta più vecchio a fare una cosa del genere. Poi si è infortunato, ma si è rimesso in sesto ed ora è a Rio a

di vita ai colleghi meno esperti.

 

Il 6 agosto ha twittato di aver perso il volo per Rio,

Ma sarà ai blocchi di partenza delle batterie della sua sesta Olimpiade, 21 anni dopo il debutto Mondiale di Göteborg ’95 e a 13 dall’unico titolo di rilievo a Parigi 2003. Vero e proprio simbolo vivente di resilienza e pulizia.

 



 



 

La gara sui 200 metri piani ha tutto per essere la gara più esaltante dell’intero programma dell’atletica leggera alla trentunesima Olimpiade moderna.

 

Non solo perché si parte in curva, ma anche perché Bolt ha corso su questa distanza una sola volta in tutta la stagione, a Londra alla tappa di Diamond League del 22 luglio, ed è stato un buon 19’’89 con 0.3 m/s di vento contrario e il freno a mano tirato. Per capirlo basta guardare quanto il collo sta incassato tra le spalle. Per la prima volta nella storia, un Bolt con in testa il pensiero di non farsi male.

 



 

È interessante che l’agente di Bolt,

, abbia confidato che il suo cliente non abbia mai corso un miglio intero in vita sua. Ma Bolt è Bolt, e i 200 sono la sua «specialità preferita». Anche con una buona prova sui 100, il suo obiettivo personale è quello di «

dei 200 metri», che significa limare oltre 70 centesimi di secondo al tempo di Londra. Bolt sa che è una missione impossibile, ma è quello che il pubblico si aspetta di sentire.

 

Ma Bolt da solo non basterebbe, forse, a rendere i 200 la gara più interessante di questa edizione. Ci vuole anche un LaShawn Merritt

di strappare tre delle prime migliori quattro performance stagionali e determinato a mettere a segno la doppietta 200-400, che da queste parti non si vede dai tempi di Michael Johnson.

 

Parliamo di un velocista che ha detto: «Odio camminare e, se devo farlo, cammino

». Assieme a Bolt forma praticamente la coppia di fulmini più pigri dell’universo. La loro forza risiede nel tenere molto alto lo standard delle prestazioni senza sforzi eccessivi. Bolt a Pechino ha piegato così Gatlin, facendolo finire fuori giri.

 

Justin Gatlin c’è, comunque, e con la sua forza e abitudine alla misura ha probabilmente più possibilità di Merritt di giocarsela con Bolt. O meglio, di portarsi a casa l’ennesimo argento perché la sensazione anche sulla doppia distanza è che il treno giusto per l’americano fosse quello del 2015. La flotta statunitense ha un terzo ottimo cavallo sul quale puntare per un piazzamento importante: Ameer Webb, al suo primo anno serio da professionista, sta andando regolarmente sotto i venti secondi. Ultraspecializzato nei 200, potrebbe rivelarsi una grande sorpresa.

 

C’è poi un terzetto interessante ed esotico: il ventenne di Antigua Miguel Francis che a giugno ha sbalordito tutti correndo in 19’’88 a Kingston, città in cui si allena; e Alonso Edward da Panama, non più giovanissimo e che a vent’anni fu secondo ai Mondiali di Berlino con 19’’81, solo che nessuno se ne accorse perché Usain stampò il suo super record a 19’’19. Alonso si è rivisto in buone condizioni a Pechino, dove è arrivato quarto, chissà che non sia la volta buona per lasciare il segno ad una Olimpiade.

 



 

Resta ancora il sudafricano Wayne Van Niekerk, che punta tutto sulla distanza doppia dove

ai Mondiali cinesi correndo in 43’’48, il quarto miglior crono della storia. Però a 24 anni sta crescendo anche sulle distanze più brevi. Dotato di una partenza fulminea, è già sceso sotto i 20’’ nei 200 e a marzo scorso ha aggiunto pure un 9’’98 sui 100 che aprono per lui prospettive infinite. Per noi italiani la speranza si chiama Eseosa Desalu da Casalmaggiore, che ha un personale di 20’’31 e quindi il passaggio delle batterie rappresenterebbe già un buon risultato.

 



 

Sarà una fantastica gara a tre: LaShawn Merritt vuole quello che gli è stato tolto un anno fa, con gli interessi maturati in una stagione 2016 corsa alla grande. Di Van Niekerk e della sua classe superiore già abbiamo detto, lui è davvero l’uomo che può stupire e non tanto alla luce di una stagione in cui ha preferito mantenersi nascosto, tesi più condivisibile di quella che non ne abbia abbastanza, ma in quanto dotato di talento e

nelle gambe.

 

Il terzo incomodo è il grenadino Kirani James che quest’anno vanta la seconda prestazione mondiale e mostra ancora margini di crescita. Merritt è ovviamente il più atteso alla rivincita, perché si deve rifare contro Van Niekerk ma ha un conto aperto pure con i cinque cerchi, lui che si dovette ritirare a Londra da campione in carica a causa di un infortunio muscolare.

 

Al resto della truppa resta ben poca speranza di rientrare nel giro delle medaglie. Certo, c’è l’ottimo Machel Cedenio di Trinidad & Tobago che ha ben figurato in Diamond League a Montecarlo, oppure l’altro atleta di Grenadine, Bralon Taplin, ma per loro il gap coi primi tre sembra ancora troppo grande. E quindi se devo scommettere una fiche sulla sorpresa la punto su Baboloki Thebe, classe 1997 dal Botswana. Fresco campione d’Africa e trascinatore della staffetta 4x400 del suo paese ai campionati di Durban.

 



 

Ai Mondiali under-20 del maggio scorso soltanto una squalifica in semifinale per aver calpestato la linea della corsia lo ha tenuto fuori da una finale che avrebbe vinto senza problemi, e dove forse avrebbe tentato di migliorare il 43’’87 di Steve Lewis (1988) che rappresenta il record di categoria. A Rio lo vedremo impegnato sia nei 200 che nella staffetta 4x400 e ci sarà da divertirsi.

 

Come speriamo di divertirci con Matteo Galvan che, arrivato a 27 anni, sembra maturo abbastanza per la ribalta olimpica. Quest’anno ha migliorato

, che resisteva da dieci anni, portandolo a 45’’12. Tempo che è anche il migliore del Vecchio Continente. Raggiungere la finale è quindi una chimera, ma sognare per Matteo non costa nulla e soprattutto conta godersela.

 

 

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