Nel 2016 Justin Gatlin è stato il più veloce in stagione: 9’’80 sui 100 metri e 19’’75 sui 200. L’uomo dei record, Usain Bolt, quando va in pista prova a nascondersi, nonostante ciò quando riappare davanti ai microfoni lascia dichiarazioni spavalde con il solito leit-motiv: «Il migliore sono io». Intanto, ha corso tre volte i 100 metri e il suo miglior tempo stagionale (9’’88 a Kingston) lo ha fatto inciampando in partenza. I 200, li ha provati solo a Londra (19’’89).
Per quanto possa sembrare tutto parte di un copione ormai noto, il tempo passa e Gatlin ha compiuto 34 anni, Bolt va per i 30 e qualche scricchiolio vero comincia a farsi sentire: il bicipite femorale gli ha fatto saltare i Trials (oltre che i nervi, al suo rivale storico) e la concorrenza si fa avanti con una nuova generazione di velocisti affamati e ben dotati. Quest’anno ci sono dieci sprinter che per la prima volta sono scesi sotto i 10’’. Due nomi su tutti: il canadese Andre De Grasse, e lo statunitense Trayvon Bromell (prima volta nel 2015 in verità), entrambi ancora ventunenni e con un bronzo mondiale in bacheca.
«Quando hai un certo potere all’interno dell’atletica a volte ti viene voglia di usarlo», così Justin Gatlin ha commentato la qualificazione alle Olimpiadi di Bolt nonostante abbia saltato la finale dei Trials giamaicani. «Si è fatto male e gli hanno preparato un passo medico, da noi non succede». Da parte sua, Bolt l’ha presa «come uno scherzo, una mancanza di rispetto» che non si sarebbe aspettato, «soprattutto da Gatlin».
Le gare di velocità ai Giochi olimpici promettono scintille, anche se pochi record, ed è quel che conta, stando alle parole di Bolt sul Corriere della Sera: «I record passano mentre le medaglie restano».
100 metri – lunedì 15 agosto ore 3.25
Usain Bolt contro Justin Gatlin è, una volta di più, una rappresentazione in forma sportiva dell’antico scontro tra Bene e Male. L’atleta pulito e sempre sorridente, che (quasi) tutti amano e vogliono vedere vincere contro quello sporco e cattivo, squalificato due volte e che a 34 anni ha ancora i tempi migliori e proverà l’ultimo disperato tentativo di affossare il divo. L’americano anche quest’anno è andato più forte di tutti ma il suo treno sembrava più quello dello scorso anno, quando ai Mondiali di Pechino Bolt è riuscito a cogliere una delle vittorie meno attese della sua carriera.
«In Cina mi ha impegnato proprio perché ero reduce da mesi difficili. E ha perso perché non era abituato a confrontarsi con uno mentalmente tosto come me. Ma ora non credo sarà alla mia altezza. E non mi serviranno gli ultimi metri per avere la meglio».
Gatlin arrivò in Cina vantando i quattro migliori crono mondiali stagionali, con tanto di un 9”74 (resta il miglior tempo degli ultimi quattro anni) e Bolt con non più di un 9”87, sesto tempo stagionale. Finì con Bolt in trionfo e Gatlin rigidissimo negli ultimi metri e con un tempo peggiore rispetto alla semifinale (dove aveva pure rallentato).
Quando alle 22:25 di domenica 14 agosto (le 3:25 di lunedì 15 agosto per noi, mettete la sveglia) gli otto finalisti della gara più seguita dell’evento sportivo più atteso degli ultimi quattro anni si accomoderanno sugli stalli di partenza le cose però potrebbero essere molto più complicate di così. Da una parte possiamo stare certi che Bolt ci sarà: lui stesso ha detto che la finale Olimpica è quella cosa che: «Usain Bolt is running. Turn over and let’s watch». Dall’altra Gatlin è, come detto, il più veloce dell’anno, ma con un tempo di 9’’80.
Lo scorso anno in questo periodo, prima di arrivare al Mondiale cinese, l’americano aveva fermato il cronometro una manciata di volte sui 9’’70, dando una sensazione di controllo della gara che quest’anno non ha mai mostrato.
Quindi ci sono due possibilità: Gatlin ha imparato la lezione di non esporsi troppo, a maggior ragione visto il grave infortunio alla caviglia rimediato in off-season; oppure, più semplicemente, a 34 anni compiuti è arrivato ormai nella fase discendente della sua carriera.
Da parte sua Bolt ha la convinzione di essere in forma, molto più che un anno fa quando si presentò a Pechino per la prima volta in carriera non da favorito. A giugno ha corso i 100 metri in 9’’88 con una partenza disastrosa, poi ci sono state le due settimane di stop forzato a causa dell’infortunio al bicipite femorale. Molti hanno temuto che il mito avrebbe dovuto saltare Rio, ma in realtà si è solo risparmiato la finale dei Trials giamaicani, facendo infuriare Gatlin che è arrivato per questo a parlare di favoritismi.
Bolt dice di stare bene. Talmente bene che un giornalista che gli è molto vicino come il giamaicano Andre Lowe si è detto sicuro «che correrà intorno ai 9’’65-9’’68 a Rio De Janeiro. E sarà più che sufficiente per vincere la medaglia d’oro». A Pechino, Bolt ha scaricato una pressione incredibile: non ha solo vinto un Mondiale, lottando e battendo di un solo centesimo quello che tutti davano come favorito, e che allo stesso tempo non volevano veder vincere.
Usain Bolt ha saputo trasformare le pressioni in adrenalina, e per la prima volta nella sua carriera ha vinto una medaglia lottando e facendo un vero sprint sulla linea del traguardo. Stavolta è diverso, però. I due si sono lanciati frecciate a distanza, ma sulla pista di Rio non saranno soli. D’altronde ci sarà un motivo se l’uomo più veloce al mondo ha detto che «i 100 metri sono l’ostacolo più difficile».
Nella stagione fin qui disputata non è stato solo Bolt a nascondersi. È strano per un pre-Olimpiadi, ma nessuno è sceso sui 9’’70, figuriamoci tentativi di abbassamento del record. Detto di Gatlin, per il quale potrebbe valere il fattore declino (ma non ci scommetterei), questo livellamento verso il basso ha aiutato a venir fuori la generazione ‘90 degli sprinter, e non è una cattiva cosa. Probabilmente anche per gli sponsor che sono sempre alla ricerca di carne fresca.
Spulciando la classifica delle migliori prestazioni dell’anno, dietro a Gatlin, che detiene primo e secondo posto con le prestazioni di Eugene (9’’80 e 9’’83 rispettivamente in finale e semifinale dei Trials), c’è Trayvon Bromell, un corridore nato nel 1995 che ha impressionato anche Bolt, tanto da indicarlo come avversario da tener d’occhio. Bromell ha molte possibilità di mettersi in mostra ed è già il più accreditato per un futuro brillante, grazie ai due bei tempi ottenuti nei Trials, vincendo la sua semifinale in 9’’86 e poi strappando la seconda piazza in finale con un 9’’84 che eguaglia il suo record personale. Il tutto prima di compiere 21 anni: alla sua età Bolt aveva un personale di 10’’03, anche se appena un anno dopo, nel 2008, ha corso in 9’’69 la finale Olimpica di Pechino.
Bromell è stato il primo under 20 della storia a correre sotto la barriera dei dieci secondi, mostrando da subito il pedigree del predestinato e mantenendo le promesse anche dopo. Infatti vanta già un bronzo ai mondiali di Pechino ed è il campione in campione in carica sui 60 metri, avendo trionfato il 18 marzo scorso a Portland. Una vittoria di fronte a campioni di razza come Asafa Powell (uno di quegli atleti che vanno sempre più forte in semifinale) e il decano delle piste Kim Collins. Tra l’altro con un tempo di 6’’47 che è il suo primato personale, nonché nella top ten delle prestazioni all-time.
Asafa Powell sarà il grande assente nella gara dei 100 metri, insieme all’americano Tyson Gay. Due dei nomi più rilevanti della velocità degli anni 2000, nonché tra i più chiacchierati a causa di qualche caduta nel doping, i quali però non sono mai riusciti a mettersi al collo una medaglia olimpica individuale. Entrambi hanno avuto gloria prima dell’arrivo di Usain Bolt ed entrambi hanno faticosamente vissuto nella sua ombra dopo. Insieme sommano una serie di prestazioni sui 100 paradossale per un medagliere così povero. Asafa è sceso 94 volte sotto i 10 secondi e insieme sommano quindici corse sotto il 9’’80. I due sono accomunati anche nei guai: nel 2013 sono state trovate tracce di stimolanti, la droga “preferita” dai velocisti, nelle loro analisi.