
Valentin Vacherot ha 26 anni ed è numero 204 del mondo. È nato e cresciuto dove i tennisti si trasferiscono per allenarsi meglio e pagare meno tasse, ovvero Monte Carlo. In carriera non ha mai vinto una partita nel tabellone principale di uno Slam e i suoi migliori risultati li ha ottenuti nei Challengers, tornei che non fanno nemmeno parte della ATP.
Ora, cosa pensereste se vi dicessero che questo giocatore si è qualificato in una finale Slam battendo in semifinale Novak Djokovic, ovvero il più vincente tennista della storia?
Ora, cosa pensereste se vi dicessero che ha vinto il torneo battendo in finale SUO CUGINO?
Domenica è andata in scena la prima finale tra cugini nella storia del tennis, tra Valentin Vacherot e Arthur Rinderknech, e lo capite bene: è stato il torneo più improbabile dell’anno. Che dico, forse uno dei più improbabili della storia. Nonostante si tratti di un Masters 1000, ovvero la seconda classe di eventi più importanti del circuito, in finale ci sono arrivati appunto due giocatori fuori dalla Top-50, uno addirittura fuori dalla Top-200. Nessuno dei due particolarmente giovane, anzi; nessuno dei due che aveva dato particolari segnali di potersi spingere verso un traguardo sportivo così prestigioso.
Il 16 settembre Vacherot aveva perso in tre set da un giocatore oltre la posizione 300 del mondo al Challenger di Saint Tropez, dove era arrivato solo grazie a una wild card. A Poznań, a giugno, aveva perso in due set da Lorenzo Giustino.
Non sono naturalmente i primi membri di una stessa famiglia ad affrontarsi in una finale, ma gli altri erano gente come John e Patrick McEnroe, Venus o Serena Williams, che si qualificano abbastanza spesso alle fasi finali dei tornei da rendere l’evento probabile. Rinderknech e Vacherot hanno giocato la loro PRIMA finale importante l’uno contro l’altro. Era altamente improbabile che si qualificasse Rinderknech, praticamente impossibile ci arrivasse Vacherot. E ci sono arrivati entrambi.
Vacherot non avrebbe nemmeno dovuto giocare il torneo. È riuscito a entrare nelle qualificazioni solo grazie al forfait di Joao Fonseca. Però ha deciso di partire e presentarsi, e non è poco. Vacherot, in qualche modo, ci credeva. Nelle qualificazioni ha perso il primo set da Basaraveddy ed è stato molto vicino a perdere da Draxl al secondo turno delle qualificazioni. È riuscito a vincere il secondo set in un tiebreak combattuto, e a girare la partita.
I due sono cresciuti in una famiglia di tennisti. Vacherot è nato a Cap Ferrat e ha sempre vissuto a Montecarlo. Si dice che il principe Alberto di Monaco vada pazzo per lui. Possono vantare un antenato che è stato vice-presidente della federazione tennis francese all’inizio del novecento, Jehan Louis Kuntz.
Nonostante questo pedigree aristocratico, i due cugini hanno una storia lontana dai riflettori. Entrambi sono stati ignorati dalla potentissima federazione francese, e a 18 anni Rinderknech ha deciso di prendere una borsa di studio all’Università del Texas, trascinando poi suo cugino. Hanno giocato insieme lì sei anni, spalla a spalla. Rinderknech, più grande, se lo è portato dietro. «L’ho sempre trascinato, fin da quando eravamo piccoli. Sulla neve, lo trascinavo. In bici, lo trascinavo. Nel tennis, lo trascinavo. L’ho sempre spinto, l’ho fatto venire in Texas. L’ho spronato durante i due anni che abbiamo passato insieme lì, quando è arrivato, come avevo fatto io prima di lui, nel bel mezzo del nulla. Quando sono arrivato io, ero solo. Quando è arrivato lui, c’ero io. Mi sono preso cura di lui». Sui social in questi giorni ha circolato un video di vita quotidiana americana, i due in palestra mentre Arthur sembra aiutare Valentin a sollevare il peso.
Dopo aver battuto Daniil Medvedev in semifinale, Rinderknech è crollato sulle ginocchia, mentre cercava di prendere consapevolezza che avrebbe affrontato suo cugino in finale. Quello era in tribuna, con la testa affondata tra le braccia. Una scena surreale.
In questi giorni Vacherot ha dovuto cercare di raccontare in qualche modo questo fatto talmente incredibile che è pure difficile considerare in qualche modo “emozionante”: «Non posso dire che questo è un sogno, nella nostra famiglia nessuno ci pensava neanche». Anche a guardarle, queste scene, l’incredulità supera l’emozione. Ci mancano i riferimenti, quando il mondo va alla rovescia così chiaramente è pure difficile stupirsi. Lo stesso padre di Rinderknech ha commentato con questi toni l’exploit: «Non ci sono veramente spiegazioni, alcuna spiegazione razionale». In queste ore Rinderknech ha postato sui social una foto dei due cugini abbracciati da bambini, minuscoli, sorridenti.
Prima della partita Rinderknech aveva detto che «Non ci saranno sconfitti, ci saranno due vincitori. Ci divertiremo come quando avevamo dodici anni». La fiaba non poteva che concludersi con l’epilogo più fiabesco possibile, e quindi con la vittoria di Vacherot. Una fiaba tipicamente tennistica, e quindi con protagonista un ricco belloccio nato tra le rocce spioventi sul mediterraneo di Cap-Martin.
Dopo essersi quasi spezzato per l’emozione, Vacherot è andato a firmare la telecamera scrivendo: «Nonno e nonna sarebbero fieri». Si è aggiudicato la finale in rimonta dopo aver perso il primo set. Ha giocato un tennis più completo, più solido, complessivamente migliore rispetto a suo cugino. Un tennis platealmente superiore nel terzo set. Nonostante fosse il giocatore sulla carta più debole, ha giocato come quello più forte.
Probabilmente ha pesato una condizione poco brillante di Rinderknech, che ha avuto un giorno in meno di riposo e che veniva da un torneo devastante: «Ho giocato tante partite in un lasso di tempo molto breve, senza contare che le condizioni umide e calde hanno richiesto uno sforzo pesantissimo al nostro corpo». Vacherot, però, ha giocato con consapevolezza crescente lungo il torneo, non fermandosi alla soddisfazione di un torneo che per lui sarebbe stato storico anche dopo qualche turno superato.
La scorsa settimana Vacherot era numero 204 del mondo, oggi è numero 40: 164 posizioni scalate in pochi giorni. Si è portato a casa più di un milione di dollari: quasi il doppio del montepremi vinto in carriera. Quale migliore dimostrazione di quanto in fretta possano cambiare le cose nel tennis. Un’aleatorietà che rende eccitanti le settimane di chi ha la forza per crederci. Un amico di Vacherot ha raccontato a L’Equipe che per messaggio qualche giorno fa gli aveva confidato la sua fiducia: "Proverò a qualificarmi a Shanghai. Una grande corsa può arrivare prima di quanto ti aspetti".
I paradossi statistici sono numerosi. Vacherot è diventato il giocatore col ranking più basso ad aver vinto un Masters 1000. Prima di lui era stato Borna Coric che nel 2022 aveva vinto Cincinnati da numero 152. Coric però è stato anche numero 12 del mondo e aveva raggiunto i quarti degli US Open prima. Era insomma un giocatore di un altro calibro. Vacherot ha vinto prima un Masters 1000 di una partita nel tabellone principale di uno Slam.
Il suo successo rischia di far passare in secondo piano l’impresa di Rinderknech, che in carriera si era limitato a giocare una finale piuttosto casuale nel 250 di Metz e che a dirla tutta sembrava avere il meglio alle proprie spalle. Cinque mesi fa era sul punto di ritirarsi, poi è arrivato Lucas Pouille sulla sua panchina e la sua carriera ha preso nuova linfa. Ha giocato contro Sinner al Roland Garros con l’atteggiamento ironico di chi crede di non avere chance, ma poi nel terzo set è riuscito a vincere alcuni game consecutivi e da quel momento forse ha capito che è ancora un tennista di alto livello.
Lungo il torneo Rinderknech si è preso lo scalpo di quattro top-20 consecutivi e ha fatto fuori anche il numero tre del mondo, Alexander Zverev. Del tedesco è la bestia nera, la sua nemesi tennistica. Col suo stile offensivo, intransigente, aperto a tutti i rischi, Rinderknech pare esistere soprattutto per mostrare a Zverev cosa non è. Il suo tennis si regge sempre su un filo sottile, tra l’impossibilità e la gloria. Ha bisogno di essere perfetto: servire benissimo, verticalizzare subito, cercare il vincente, precipitarsi a rete come chi ha bisogno di strozzare lo scambio fin dalla sua nascita. Un tennis che in fondo si presta anche a corse impreviste e spericolate come quella di questa settimana. Ha servito 61 ace lungo il torneo e ha fatto giocare i suoi avversari dentro una pressione difficile da sostenere.
Nel suo discorso di premiazione Vacherot ha ringraziato il cugino: la persona che gli ha permesso di arrivare a giocare quella finale. La stessa persona che ha dovuto battere in quella finale. Devo metterlo per iscritto perché è da non credere. «Se non entravo a Texas A&M nel 2017 grazie a te non sarei qui oggi. Sognavo di raggiungerti nella top-100, ci ho messo un po’ ma ora ci siamo insieme». Arthur nel frattempo era chinato come chi non riesce a stare in piedi, e che cerca in modo goffo di non scoppiare dall’emozione. Si è mai visto uno sconfitto così felice?
Steve Denton, allenatore della squadra di college tennis del Texas, ha raccontato che quando Rinderknech ha lasciato il campus si è raccomandato: «Steve, mi raccomando: prenditi cura di mio cugino come hai fatto con me».
Come si fa a leggere in maniera razionale la vittoria di Vacherot? Questo risultato improbabile è stato reso possibile dal clima estremo in cui si è giocato a Shanghai. Forse il torneo che ha mostrato le condizioni climatiche più dure, in un’annata piena di tornei giocati in condizioni impossibili. Partite giocate dentro un bagno turco, con l’aria così umida che i giocatori sembravano correre in un mondo di mezzo tra acqua e aria. Condizioni ancora più toste da sopportare in un periodo dell’anno in cui i migliori giocatori arrivano spremuti.
Vacherot ha innanzitutto mostrato una resistenza fisica migliore degli altri. Ha approfittato del ritiro di Thomas Machac, poi ha battuto uno stanco Griekspoor, un Rune pieno di crampi e un Djokovic in crescente difficoltà fisica. Il serbo ha confermato di essere un nobile perdente, e dopo la partita si è rifiutato di parlare dei suoi acciacchi per non distogliere l’attenzione dai meriti di Vacherot - che ha pregato Nole di non ritirarsi. Del resto Vacherot ha sempre ottenuto grandi risultati nei tornei asiatici a livello Challenger: segno che le condizioni calde e umide gli piacciono.
Un simile exploit si può leggere in due modi divergenti. Come la conferma che nel tennis il livello è più alto di quanto si racconti, se il numero 204 del mondo può vincere un Master 1000 mostrando un gioco assolutamente adeguato; oppure come la conferma di un livello complessivamente scrauso, proprio perché può vincere un giocatore così basso in classifica. Sono discorsi astratti, ma chiaramente la vittoria di Vacherot è anche la conferma dell’incapacità quasi patologica di alzare trofei per tutti quei tennisti che non sono Alcaraz e Sinner e che aspirano a contestarne il dominio.
La sconfitta di Holger Rune, che continua a perdere contro giocatori dalla classifica modesta; la sconfitta di Alexander Zverev, che perde sempre; la sconfitta di Novak Djokovic, che non riesce proprio a reggere fino in fondo la durezza atletica di un torneo lungo; la sconfitta di Daniil Medvedev, che ha offerto incoraggianti segnali di ripresa ma che si è spezzato proprio nel momento in cui il ritorno sembrava alla portata.
Shanghai ha confermato il grande vuoto che si spalanca oltre la seconda posizione in classifica. D’altro canto Vacherot dimostra anche che la distanza che separa alcuni giocatori impantanati nei Challengers dai migliori non è così ampia. Una distanza che passa da fattori spesso invisibili o comunque difficili da misurare. Più si andava avanti nel torneo e più si aveva la sensazione che Vacherot appartenesse a quel livello, che non fosse un caso o un’allucinazione che fosse arrivato lì.
Benjamin Balleret, allenatore da tempo di Vacherot, ha detto una cosa interessante. «Val gioca meglio quando l’avversario è forte. (…) Quando è favorito va con meno coraggio sulla palla. Forse si convince che mandare la palla di là sia sufficiente. Quando gioca contro i più forti però sa di non avere scelta e deve cercare per forza il vincente. E in quello tira fuori la migliore versione di sé». I giocatori migliori tirano quindi fuori il Vacherot migliore, e questo dovrebbe relativizzare le nostre idee sui livelli e le categorie nel tennis, che sono spesso contingenti a fattori impalpabili. Questo coraggio Vacherot lo ha mostrato soprattutto in quello che ha rappresentato forse il momento di svolta del suo torneo, il tiebreak del secondo set contro Holger Rune. Un momento in cui si è andato a prendere il set con un paio di vincenti eccezionali, di rovescio e di dritto.
Non è semplice lanciarsi in previsioni sul futuro di Vacherot. Il livello di tennis mostrato in questi giorni è assolutamente incredibile, all’altezza di un top-10. Ha un pregio fondamentale per un tennista nel 2025, e cioè che non ha grandi punti deboli. Ho sentito Ares Tabellini, speaker di Un podcast sul tennis, esperto di tornei Challenger, e mi ha detto che non aveva mai avuto l’impressione che Vacherot potesse vivere un exploit simile. Però: «È un giocatore alto, che ha bisogno di entrare in forma, e quando trova la settimana giusta è molto pericoloso». Di certo aver ottenuto un risultato simile dimostra il suo grande spessore mentale, e successi come quello di Shanghai aiutano da soli a definire una nuova consapevolezza in un giocatore.
Forse la struttura fortemente piramidale del circuito ci priva di storie come quella di Vacherot, che magari potrebbero essere più frequenti con un meccanismo più aperto. Ripetiamolo: senza il ritiro di Fonseca, Vacherot non avrebbe avuto il diritto di giocare un torneo che ha poi vinto. Secondo Ares Tabellini la differenza di livello tra i giocatori non è semplice da leggere. «Mi è capitato di guardare partite di ex top-40 nei tornei ITF contro gente che erano numero 400 o 500 del mondo e giocavano veramente bene. Ti fanno chiedere “come fa questo a essere così in basso in classifica?!” Come si muovono, come colpiscono la palla, preparano il servizio». Secondo Tabellini la differenza tra i livelli non si misura però tanto sulla qualità dei colpi: «Magari questi giocano meglio di un giocatore che è stato top-50, non è un fatto di qualità dei colpi. Si nota però che magari non riescono a tenere un certo ritmo in modo costante per tutta la partita. Lo scarto di livello fra giocatori sta lì». C’è un po’ di wishful thinking, nel pensare il tennis come più aperto rispetto a quello che è. La rarità statistica dell’exploit di Vacherot, raccontata dall’insieme di dati che abbiamo esposto prima, sta lì a ricordarci che difficilmente vedremo qualcosa di simile nel prossimo futuro.
Dopo la finale c’è stato un momento in cui i due cugini siedono l’uno vicino all’altro. Uno è il campione, l’altro lo sconfitto. In quella settimana hanno attraversato così tante emozioni che in quel momento sembrano solamente stravolti e increduli.
Non c’è più una prossima partita a cui pensare e ci si può concedere il lusso di guardarsi indietro. Il cugino maggiore appoggia la mano sulla schiena di quello minore.