Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Dario Saltari
Una serata che gli interisti non dimenticheranno
13 ott 2022
13 ott 2022
Barcellona e Inter hanno scritto un altro capitolo della loro rivalità.
(di)
Dario Saltari
(foto)
Colas Buera/pressinphoto/IPA
(foto) Colas Buera/pressinphoto/IPA
Dark mode
(ON)

Il 28 aprile del 2010, al Camp Nou, Mourinho e Guardiola portano all’apice la loro rivalità. Non c’è nemmeno bisogno di dirvi di cosa sto parlando, avrete già in mente l'allenatore portoghese che corre al centro del campo con il dito puntato verso le tribune, Valdes che lo insegue, Busquets a terra che sbircia tra le mani. Sapete già che da quel giorno Barcellona e Inter sono legate da quel bruciore che senti sotto il diaframma quando vedi una persona che non sopporti nemmeno nominare. Quella partita, che fu decisiva nel percorso che portò i nerazzurri al Triplete, ci ha illuso che il calcio potesse essere davvero uno scontro manicheo tra bianco e nero, tra difesa e attacco, tra le idee e l’istinto, aggiungete voi tutte le contrapposizioni che volete. Ma anche se effettivamente Barcellona e Inter sono rimaste rappresentanti di una contrapposizione biblica tra calcio proattivo e calcio reattivo, la contemporaneità ha iniziato a mischiare tutto, mettendo una caratteristica dell’uno sull’altro.

L’ultima volta che Barcellona e Inter si erano incontrate al Camp Nou prima di ieri sera era il 2 ottobre del 2019, e anche in quel caso segnò Lautaro Martinez. In panchina per i nerazzurri c’era però Antonio Conte, che a distanza di mesi ha riutilizzato parti di quella partita sul proprio profilo Instagram per dimostrare la sua lontananza dal calcio all’italiana, baricentro basso e contropiede. Nel febbraio di quest’anno, dopo uno scoppiettante Manchester City-Tottenham 2-3, Guardiola lo ha apparentemente provocato dichiarando che non è facile battere una squadra che attacca in contropiede e Conte è ritornato sull’argomento, nuovamente su Instagram, pubblicando dei video di lunghe e ragionate costruzioni basse del suo Tottenham accompagnate dalla caption: Counterattacks?!? Maybe not. Il loro scontro dialettico passivo-aggressivo era in realtà ancora Barcellona-Inter?

Ieri questo fiume carsico di passione e idee è riemerso per un’altra volta al Camp Nou mischiando nuovamente le carte. Il Barcellona aveva alzato i toni già dal giorno successivo alla partita d’andata, vinta dall’Inter con uno strascico di rancore, polemiche e veleni per quel tipo di decisioni arbitrali che in Italia potrebbero riempire romanzi interi. Il 5 ottobre il club blaugrana ha pubblicato sui propri profili social una foto del Camp Nou strapieno con scritto: «Mercoledì prossimo sarete il dodicesimo uomo». Molti tifosi catalani non vedevano l’ora di sentirselo dire, soprattutto dopo la pubblicazione su Instagram da parte di Bastoni di una foto della partita d'andata in cui sembra portare Gavi in pugno come una ventiquattrore. Qualche giorno dopo il Barcellona ha annunciato il divieto di poter vestire i colori dell’Inter dentro il proprio stadio, ad esclusione del solo settore ospiti. Un inno al tribalismo in realtà parzialmente rinnegato il giorno della partita con la vendita di sciarpe celebrative con i colori di Inter e Barcellona, ultima resistenza del consumismo.

Ieri sera quindi Simone Inzaghi entrava al Camp Nou - questa Scuola di Atene del calcio europeo trasfigurata da una rivalità che sembra uscita dal Sudamerica - come quegli ospiti che si ritrovano nel mezzo delle più violente liti familiari altrui. Lui, che di certo non si distingue per frasi memorabili in conferenza stampa, che la scorsa stagione tra gli allenatori italiani ha espresso forse il gioco più catalano di tutti, nel momento di massima difficoltà aveva già prima di questa partita ricominciato a riabbracciare un gioco più difensivo e diretto, come se la forza di gravità di Barcellona-Inter lo avesse spinto gradualmente a indossare i panni dell’allenatore all’italiana. Eppure le due parti continuavano a comunicare e a contaminarsi, come in Annientamento in cui tutto si mischia con tutto e la differenza tra gli alberi e le persone a un certo punto svanisce. Forse era l’agitazione di Xavi, il figlio prediletto di Guardiola, che in panchina si agitava come un Simeone o un Mazzarri, o forse era il fatto che le due squadre, per ironia della sorte, si disponevano in campo in maniera incredibilmente simile. 3-5-2 per l’Inter, lo stesso che adottò Antonio Conte tre anni fa; 3-4-3 a rombo in fase di possesso per il Barcellona, con Sergi Roberto che si alzava moltissimo dalla posizione solo nominale di terzino destro, fino a occupare il mezzo spazio di destra nella trequarti avversaria, e Pedri, che si piazzava alle spalle di Lewandowski da numero 10 di fatto, anzi praticamente da seconda punta dato che l’attaccante polacco spesso si defilava sulla sinistra per ricevere e lui finiva per inserirsi in area come se fosse un attaccante vero e proprio.

La prima occasione che ha fatto percepire ai tifosi interisti il senso del pericolo è nata proprio da un suo inserimento alle spalle di Lewandowski, nello spazio aperto tra de Vrij e Skriniar. Nell’immagine qui sopra sono chiare tutte le mosse con cui Xavi aveva intenzione di scardinare il blocco basso dell’Inter, che in effetti è stato messo molto in difficoltà dai diversi compiti dati ai due terzini blaugrana: Marcos Alonso, che rimaneva bloccato agli altri due centrali ed era chiamato a raccogliere le palle che venivano sputate fuori dall’area interista in fase di recupero immediato del possesso, e Sergi Roberto, che non solo riceveva nel mezzo spazio di destra ma andava anche ad inserirsi nella faglia che si apriva tra Bastoni e Dimarco, che doveva uscire su Raphinha larghissimo a destra. Il gol dell’1-0 alla fine del primo tempo nasce così, e di questo va dato atto a Xavi: Marcos Alonso cambia gioco verso Raphinha, che vince un duello aereo difficilissimo con Dimarco, e poi serve Sergi Roberto proprio in quello spazio, mentre Bastoni era già rintanato a difesa dell’area piccola. L’azione viene poi conclusa da Dembele, su cui Dumfries è in ritardo per la diagonale difensiva.

I compiti opposti dati ai propri esterni di difesa da Xavi e Inzaghi è ciò che più ha definito Barcellona-Inter, soprattutto nel primo tempo. Se i blaugrana li stringevano, uno accanto ai centrali per difendere il centro l’altro sulla trequarti per attaccarlo, i nerazzurri li allargavano per difendere e attaccare l’ampiezza. In particolare a Dumfries Inzaghi ha lasciato qualche libertà in più di rimanere alto e largo, ad occupare quello spazio lasciato libero da Marcos Alonso, ancorato ai due centrali, e dalla posizione molto alta e spregiudicata di Dembélé a sinistra. La clamorosa traversa di Dzeko al 17' nasce proprio da un fallo a destra su Dumfries, forse il miglior giocatore del mondo a farsi tamponare da dietro, così come l’altra enorme occasione per l’Inter del primo tempo, quando al 28esimo l’esterno olandese ha calciato forte addosso a ter Stegen da dentro l’area dopo un lunghissimo contropiede portato avanti da Barella, che ha fatto fare a Gavi la figura della ventiquattrore per la seconda volta in una settimana. Anche quando l’Inter non è effettivamente arrivata a calciare in porta, Dumfries superato il centrocampo aveva quasi sempre questo tipo di libertà.

Dentro le geometrie e i piani degli allenatori, poi, si sono gradualmente infiltrati l’emotività e le disattenzioni. In questo senso, Barcellona-Inter è stata una partita tra due squadre imperfette piene di grandi giocatori. Emblematico come sia girata la partita tra la fine del primo tempo e l’inizio del secondo, un momento in cui la squadra di Xavi sembrava perfettamente in controllo e quella di Inzaghi sempre più in difficoltà. Pareva una situazione inesorabile, scolpita nella pietra, e invece è bastato una disattenzione quasi comica di Piqué a ribaltare il piano emotivo della partita. Il difensore catalano si è prima dimenticato di tenere la linea del fuorigioco, poi ha lasciato sfilare una palla su cui ci si stava avventando come un condor Barella. Il tipo di amnesie che porta i tifosi italiani a fare paragoni improbabili con difensori nostrani tipo Moris Carrozzieri. Va detto, però, che il vuoto di Piqué non sarebbe stato molto senza il successivo controllo di coscia seguito da un tiro di controbalzo di Barella, una giocata all’altezza dello stadio in cui è stata eseguita.

Il pareggio dell’Inter è sembrato svuotare di energia la partita del Barcellona. I passaggi dei giocatori di Xavi sono diventati un pochino più sporchi, i controlli più lunghi, i tiri più fiacchi. Quante volte è successo nella storia del Barcellona, per esempio, che Busquets sbagliasse un passaggio come questo?

Anche in questo caso si farebbe un torto alla prestazione dei giocatori di Inzaghi se si parlasse solo dell’errore del giocatore blaugrana. Il passaggio di Busquets è prevedibile anche per la grande reattività di Calhanoglu che, posizionato nell’inusuale ruolo di vertice basso di centrocampo, ha coronato con questo intercetto una partita difensiva di primissimo livello (5 intercetti vinti su 7, un intercetto, 2 spazzate). È strano dirlo per una partita in cui l’Inter ha subito tre gol ma è un discorso che si potrebbe estendere a molti compagni di Calhanoglu, primo fra tutti de Vrij, che in una stagione difficile ha fatto passare una brutta serata a Lewandowski, almeno fino alla spazzata goffa con cui ha regalato all’attaccante polacco l’occasione per il gol del 2-2.

Ciò che ci rimarrà negli occhi della partita di Calhanoglu è però il lancio chilometrico ma esatto per Lautaro, che sull’1-2 fa uno di quei gol che si sognano a occhi aperti da bambini e anche dopo, quando non si riesce a prendere sonno. Anche in questo caso alla grande giocata dell’attaccante dell’Inter fa da contraltare l'intervento poco fortunato di Eric Garcia, che crolla di fronte a uno stop di petto piuttosto elementare. Come tutte le grandi rivalità, anche quella tra Inter e Barcellona sembra avere al cuore un rapporto di simbiosi tra opposti, come Batman e Joker che ridono insieme nel finale del leggendario The Killing Joke. E così nella concitata seconda parte di secondo tempo, dopo la sbavatura di de Vrij che ha propiziato il pareggio del Barcellona, così poco degna della tradizione difensiva italiana, l’Inter ha riacquisito un vantaggio inatteso all’89esimo con un’invenzione dell’ultimo prodotto della lunga tradizione olandese di portieri-liberi, che in Catalogna conoscono bene. «Onana dice di interpretare il gioco come ha imparato a fare nella Masia», ha scritto qualche tempo fa Fabrizio Gabrielli, e chissà quindi che madeleine avrà avuto il portiere camerunese quando ha raccolto quella palla con le mani al limite dell’area piccola e poi ha lanciato Lautaro in profondità tagliando la palla con l’esterno destro. Un’invenzione tanto assurda quanto geniale che fa da contraltare ancora una volta alla sciatteria difensiva di Piqué, che recupera in ritardo Lautaro solo per vedersi passare accanto un passaggio filtrante orizzontale che tra qualche anno potrebbe essere esposto al Parc Güell.

Sulla partita di Lautaro si potrebbe fare un pezzo a parte. Di sicuro è principalmente merito suo se l’Inter è riuscita a battere gli Expected Goals 3-2, facendo ottenere alla sua squadra un punto d’oro. Soprattutto facendola passare per la formazione più esperta tra le due. Di sicuro c’è un’ironia sottile nel fatto che abbia fatto proprio al Camp Nou, lo stadio che per diverse estati è sembrato pronto ad accoglierlo, una partita all’opposto dello stereotipo dell’attaccante pieno di potenzialità ma a tratti inconcludente che si è costruito in questi anni. Lautaro ha toccato il pallone appena 30 volte, meno della metà di Onana, ha vissuto per lunghi tratti una partita difficile fatta di scatti a vuoto, eppure gli sono bastati una manciata di palloni per fare una delle partite che di sicuro rimarranno tra le migliori di tutta la sua carriera.

Sul finale rocambolesco si sarebbe discusso di più se l’Inter non si fosse comunque riuscita a mettere, nonostante il pareggio finale di Lewandowski, in un’ottima situazione per passare il turno. Magari avrebbero fatto discutere di nuovo i cambi di Inzaghi che ieri, già al 73', con l’ingresso di Bellanova per Dzeko, si è privato della sua arma migliore, cioè Dumfries alto a destra, ancorando l'esterno olandese ai tre centrali in un 5-4-1 che spesso pur di difendere ripiegava in un esasperato 6-3-1 e di sicuro non aveva nessuna intenzione di uscire dalla propria area. Forse la stanchezza dell’Inter non permetteva molto altro, ma questo cambio ha permesso al Barcellona di alzare ulteriormente il baricentro facendo collassare la resistenza centrale nerazzurra negli ultimi minuti. Di certo avrebbe fatto discutere l’incredibile errore finale di Asllani, servito da un filtrante dolce e crudele del solito Lautaro. Il centrocampista albanese avrebbe potuto portare subito la qualificazione a casa con un semplice passaggio a Mkhitaryan e invece ha messo un’altra tacca nel video Skills & Incredible Saves dedicato a Marc ter Stegen.

Se saranno decisivi o meno per la qualificazione dell’Inter lo sapremo solo tra qualche settimana, di sicuro questi momenti rimarranno indelebili per un po’ nella memoria dei tifosi interisti, che ancora una volta tornano dal Camp Nou con una serata memorabile nonostante siano stati rimontati all’ultimo secondo. L’Inter ha vinto una sola volta sul campo del Barcellona, nel 1970, nella Coppa delle Fiere, ma cosa importa? Anche in quel leggendario 28 aprile del 2010 in fin dei conti si esultò per una sconfitta. Forse nessun'altra squadra come quella nerazzurra, per il Barcellona, significa amarezza anche senza sconfitta, che alla fine se ci pensate è amarezza doppia. Come ha detto Inzaghi nel post-partita, con una frase che avrebbe potuto pensare Mourinho: «Il problema del Barcellona è che ha trovato l’Inter».

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura