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L'ultima sfida di Junior Messias
03 set 2021
03 set 2021
Al Milan il brasiliano dovrà salire gli ultimi gradini di una scalata incredibile.
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Se è vero, come ha scritto Rory Smith sul New York Times, che siamo entrati in un’era in cui il calciomercato ha smesso di essere un mezzo ed è diventato un fine, dove gli acquisti sono già trofei, allora cosa ha vinto il Milan acquistando Junior Messias? Maldini e Massara in questa sessione di mercato hanno continuato a seguire le loro idee senza indietreggiare di un millimetro: nessuna eccezione ai limiti imposti sul monte ingaggi e sulle relative commissioni agli agenti, nemmeno per due dei migliori giocatori della squadra, e acquisti a costi relativamente contenuti ma che potessero comunque titillare le endorfine dei tifosi, anche se in maniera diversa. Da una parte, seguendo la strada tracciata inizialmente da Zlatan Ibrahimovic, attaccanti esperti dal passato glorioso come Olivier Giroud: in questo caso il trofeo è un viaggio nel tempo, la prospettiva che con una nuova avventura possa tornare agli antichi fasti, rispolverando la brillantezza di qualche anno fa. Dall’altra, seguendo la via aperta da Theo Hernandez, giovani promesse come Brahim Diaz (di cui è stato rinnovato il prestito), Fikayo Tomori (riscattato definitivamente) o Mike Maignan (acquistato dal Lille per sostituire Donnarumma): anche in questo caso il trofeo è un viaggio nel tempo, ma in avanti anziché all’indietro, il sogno lucido che diventino adesso ciò che il loro talento ha già promesso.


 

Junior Messias, però, non è né l’una né l’altra cosa. È avanti negli anni - si avvicina alla soglia dei 31 - ma non ha alcun passato glorioso: fino a sei anni fa non era nemmeno un professionista e questa sarà appena la sua seconda stagione in Serie A. Può considerarsi una promessa - alla fine è stata una delle rivelazioni dello scorso campionato - ma come detto è tutt’altro che giovane e per questo motivo non ci si può permettere il lusso di aspettare che cresca e non si può aspettare del tempo a fantasticare cosa diventerà un giorno. Cosa ha vinto il Milan acquistando Junior Messias, quindi? Il fatto che non si possa rispondere in maniera immediata e chiara, come si può fare per quasi tutti gli altri acquisti, ha mandato in crisi una parte del tifo milanista, che dopo la partenza di Calhanoglu e il suo immediato exploit con la maglia dell’Inter forse si aspettava un altro curriculum.


 

C’è da dire che, dando per buoni i rumor circolati, il Milan non ha mai provato a sostituire Calhanoglu con un giocatore già del suo livello - d’altra parte anche il trequartista turco era arrivato in Italia dal Bayer Leverkusen quando aveva ancora 23 anni. Tra Junior Messias, Yacine Adli, Romain Faivre, Adam Ounas e Jesus Corona l’unico a potersi dire davvero esperto quanto il suo predecessore - in quanto a minuti giocati ad alto livello - era l’ala messicana del Porto, forse non a caso il giocatore più completo tra questi, per cui il Milan però non è sembrato nemmeno avvicinarsi a una vera e propria trattativa. Maldini e Massara, insomma, non sembravano voler colmare il vuoto di esperienza, e, a guardare le caratteristiche dei giocatori usciti, nemmeno quello tecnico: d’altra parte, quanti altri trequartisti con le caratteristiche futuristiche di Calhanoglu ci sono in Europa?


 

Il club rossonero, forse cosciente di non poter sostituirlo facilmente in ogni caso, ha deciso di seguire un altro filo rosso che, leggendo i nomi fatti, sembra essere quello della capacità di saltare l’uomo in dribbling. Ovviamente parliamo di giocatori diversi: c’è chi utilizza il dribbling prevalentemente in spazi stretti per entrare dentro al campo, chi invece ha uno stile più torrenziale e supera l’uomo per arrivare più velocemente in porta, e infine c’è chi ama utilizzare la suola per dribblare anche in orizzontale e mettere più facilmente il gioco in pausa. Forse l’unico profilo che si allontana davvero è quello di Yacine Adli, che chissà forse il Milan ha acquistato (e lasciato poi un’altra stagione in prestito al Bordeaux) proprio perché pensava potesse essere un profilo complementare rispetto a quello che poi avrebbe preso nell’immediato.


 

Fatto sta che se davvero il Milan ha seguito quel filo rosso allora era logico trovarci alla sua estremità anche Junior Messias. La scorsa stagione in Serie A tra i giocatori con almeno 300 minuti di gioco solo sette hanno fatto meglio di lui in quanto a dribbling riusciti (2.9 per 90 minuti su 4.6 tentati), e tra questi ci sono sia Ounas (4.2 su 5.6) che Ilicic (3.3 su 5.8), un altro per cui a un certo punto di questa estate si è parlato di un possibile passaggio in rossonero. Messias, tra loro due, si pone quasi esattamente a metà in quanto efficienza, portando a termine il 63% dei dribbling contro il 75% di Ounas e il 57% di Ilicic. Messias però è diverso da entrambi ben oltre le sfumature statistiche: non ha la determinazione seria di Ounas nell’affermarsi, la sua capacità di schivare gli avversari con la palla attaccata al piede come se sciasse tra delle bandierine, né il talento malinconico di Ilicic, la sua varietà di colpi sulla trequarti.


 

Proprio come Ounas e Ilicic, però, anche Messias vive e gioca (da queste parti non c’è grossa differenza) per il momento in cui si lascia alle spalle l’avversario. «Sono felice di essere considerato un dei giocatori più divertenti del campionato», ha dichiarato una volta «Non è più come una volta, quando la gente smetteva di fare qualunque cosa per vedere una partita. Oggi il gioco è molto tattico, ci sono pochi dribbling e poche giocate spettacolari. Mi piacerebbe che il calcio tornasse quello di un po’ di tempo fa». Le parole di Messias sono particolarmente vere in Serie A, che ha un problema atavico con chi cerca di saltare l’uomo in dribbling. E anche se non lo dice esplicitamente (sulla sua umiltà ci torneremo), lui è uno dei pochi negli ultimi tempi che è riuscito a renderlo un campionato meno ingessato, più imprevedibile. In definitiva: più divertente. Non ci credete? Eccovi quattro momenti, i miei preferiti tra i tanti della scorsa stagione, in cui ha provato a strapparci un sorriso.


 


 

 

Giocata classica di Messias: parte leggermente defilato a destra, controlla palla con il sinistro, poi la scopre per un attimo per attirare l’avversario e quando quello si allunga per prenderla lui se la sposta lungo linea. La cosa bella è che in questo caso l’avversario è Insigne che, come abbiamo imparato tutti dopo l’ultimo Europeo, fa sempre ridere. Con la testa rivolta verso il cielo e le braccia tese verso la terra, il numero 24 del Napoli assume la postura più teatrale possibile per dire: ma come ho fatto a cascarci. Ma non è Insigne che è poco abituato a difendere, in Serie A ci cascano quasi tutti.


 


 

 

Sempre contro il Napoli, ma all’andata (scusate napoletani). Messias mette a terra un rilancio di Cordaz direttamente con l’esterno sinistro per lanciarsi in verticale e con il tocco successivo, velocissimo e impercettibile, aggiusta la traiettoria per aggirare Koulibaly. Superato il cerchio di centrocampo sta per incrociare la corsa di Mario Rui, che con la solita ansia esistenziale sta cercando di recuperare come se stesse perdendo l’ultimo autobus, ma con la suola Messias mette per un attimo in pausa il gioco - palla indietro, palla avanti - lasciando sfilare l’avversario proprio come farebbe qualcuno che non vuole intralciare la corsa di chi sta perdendo l’ultimo autobus.


 


 

 

Manipolare il tempo della giocata, utilizzare la pausa, è come avrete capito una delle cose preferite di Messias. Al Dall’Ara contro il Bologna, per esempio, prima finta di venire incontro per mettersi alle spalle Tomiyasu. Poi gli basta aspettare un attimo, piegare in maniera impercettibile la gamba come una gru per mandare a terra il difensore giapponese. A quel punto Messias ha la strada spianata per entrare in area, mentre Tomiyasu fa la figura di chi è alla prima volta al palazzetto del ghiaccio.


 


 

 

Tomiyasu però non è il giocatore che ha fatto la figura peggiore di fronte ai numeri di Messias. Contro il Benevento, Dabo finisce a terra senza nemmeno l’alibi del prato bagnato o dell’essere in corsa. Messias fa il gioco delle tre carte con il pallone, lo sfiora velocemente un paio di volte con la suola in direzione opposta, e l’avversario cade in una botola come nei cartoni animati.


 

La leggerezza con cui gioca Messias è unica in Serie A, anche perché stride in maniera evidente con il suo passato. L’ala brasiliana, che fino a sei anni fa era ancora tra i dilettanti e di lavoro trasportava frigoriferi, sembra giocare senza portarsi il peso di chi è arrivato ai massimi livelli fuori tempo massimo. Messias sembra galleggiare sull’aria quando corre, e camminare sulle punte quando aspetta l’avversario, proprio come chi si sta per preparare a uno scherzo. Non sembra voler dimostrare di avercela fatta con il sacrificio e l’umiltà, come spesso accade in questi casi, non sembra in cerca di una personale rivalsa. Non c’è abnegazione o addirittura disperazione nel suo gioco: semplicemente, per quanto possa sembrare assurdo, sembra poter riuscire a esprimere se stesso come vuole nonostante il livello intorno a lui continui ad alzarsi. Come se a un certo punto della sua vita qualcuno lo avesse semplicemente convinto che potesse fare le stesse cose che faceva tra i dilettanti anche in Serie A. «Giocare a calcio è sempre bello, ovunque sia», ha dichiarato qualche tempo fa al canale ufficiale della Serie A. Forse non è un caso che, parlando di Zidane, la prima parola che gli è venuta in mente sia stata “serenità”.



Anche quando è chiamato nelle interviste a raccontare la sua storia, Messias non ha mai suggerito di essersi sentito troppo grande per lo stagno che lo conteneva. Quando gli è stato chiesto cosa pensasse quando era in Serie B, sottintendendo che lui avesse un talento troppo grande per rimanerci, lui ha risposto di non essersi mai sentito particolarmente forte: «Anzi pensavo di essere più scarso degli altri, volevo solo migliorare». La sua umiltà, insomma, sembra sincera, mai affettata. Alla sua prima intervista da giocatore del Milan, quando ha dichiarato di essere un giocatore umile, si è sentito in dovere di precisare che almeno quello era ciò che credeva lui. Una dimostrazione di consapevolezza non banale per un calciatore e che forse spiega anche come abbia fatto a salire ogni anno di livello senza soffrire quasi mai il colpo, almeno all’apparenza.


 

La scalata al professionismo, però, è fatta di gradini via via più alti. Gli ultimi sono sempre i più difficili da salire, e i tifosi del Milan più scettici sul suo acquisto sembrano esserne perfettamente coscienti. In questo senso, bisogna scoprire il bluff e credere a Maurizio Sarri, secondo cui «per molti giocatori la differenza tra un giocatore di A e uno di C è sottile»? Oppure ci si può fidare dell’umiltà di Messias, che finora non è mai sembrato inadeguato, nemmeno in Serie A, contro le squadre migliori del campionato?


 

Di sicuro dalla risposta a queste domande passa gran parte dell’inevitabile trasformazione del Milan, che senza più Calhanoglu ha fatto all-in sulla capacità dei suoi giocatori di creare gioco superando il diretto marcatore. Messias, al Crotone, raramente ha giocato da trequartista puro al centro, dove dovrebbe giocare più spalle alla porta e farebbe più fatica a ricevere puntando direttamente la porta. Più probabile che Pioli continui a schierarlo a destra dove, in maniera inusuale per un mancino, ama dribblare lungo linea, come un funambolo sulla linea del fallo laterale. A destra, regno per adesso di Saelemaekers e Castillejo, la concorrenza è anche più battibile che al centro, dove Brahim Diaz con la sua nuova scintillante numero dieci sembra sempre più centrale. Forse nelle partite in cui mancherà lo spagnolo o in cui il Milan vorrà essere particolarmente reattivo, Pioli potrebbe addirittura passare al 4-3-3 mettendo in campo tutti i numerosi giocatori che possono andare in progressione verticale dribblando in avanti: oltre a Messias, anche Theo Hernandez, Kessié, Rafael Leão e adesso Bakayoko. Se dovessero entrare in forma tutti insieme, il Milan potrebbe diventare una valanga difficile da arginare per chiunque nel nostro campionato.


 

Per il Milan, insomma, l’affermazione di Messias significa avere una nota in più nel suo spartito. Per i suoi tifosi, anche quelli che adesso sono scontenti del suo acquisto, il successo di una stagione dopo un’estate complicata. Per tutti quelli che seguono il calcio, il compimento di una storia obiettivamente incredibile, una delle poche per cui la retorica della realizzazione dei propri sogni non sembra fuori luogo.


 

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