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L’irresistibile sfacciataggine di Tyler Herro
08 dic 2020
08 dic 2020
Nel suo primo anno in NBA, il 20enne dei Miami Heat si è guadagnato il soprannome di “Baby GOAT”. Ma cosa bisogna aspettarsi dal suo secondo anno?
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Quando un rookie supera le aspettative che c’erano su di lui, è sempre interessante andare a rileggere quello che si diceva sulle sue possibilità prima del Draft. Nel caso di Tyler Herro, poi, diventa davvero irresistibile: quanti di voi — vedendolo inanellare una striscia di 20 partite in doppia cifra negli ultimi playoff nella bolla — hanno pensato “ma come ha fatto uno così a finire alla 13”? Immagino tanti, per non dire tutti.

Quando un talento così luccicante come quello di Herro esplode sul palcoscenico più importante — un palcoscenico che un rookie non dovrebbe nemmeno calcare, figurarci fare la differenza — è facile pensare che ci sia qualcosa di sbagliato nella capacità di riconoscere il talento delle dirigenze NBA, che tutti quei professionisti non capiscano niente. Ma la verità è che Tyler-Herro-il-prospetto è andato probabilmente nella posizione giusta per lui, anzi era forse un filino alto: Sporting News e The Athletic lo indicavano come 18° miglior prospetto della sua classe, ESPN come 17°, e Sports Illustrated come 15°.

La sua capacità di fare canestro da ogni posizione del campo e la sua sfacciataggine erano caratteristiche ben note a chiunque lo avesse analizzato al liceo e nella sua unica stagione a Kentucky, così come le sue limitazioni difensive per via di un fisico molto gracile e di un’apertura di braccia sottodimensionata unita a una certa lentezza negli scivolamenti laterali. Tutti tratti che ha confermato nella sua prima stagione in NBA, se si provano a includere nella sua valutazione complessiva anche i mesi prima della sospensione della stagione, nei quali grazie a un ottimo inizio si era guadagnato un po’ di “credito” agli occhi del pubblico mainstream, coprendo le difficoltà evidenti nei mesi di dicembre e gennaio (culminate poi con l’infortunio al piede che gli ha fatto saltare praticamente un mese intero).

Se la prima annata in NBA di Herro si fosse conclusa lì, la sua scelta alla numero 13 sarebbe stata perfettamente giustificabile, e lo sarebbe stata anche l’inclusione “solamente” nel secondo quintetto All-Rookie. A dirla tutta, Herro non è nemmeno stato il miglior rookie della sua stessa squadra, visto che Kendrick Nunn pre-COVID ha avuto una regular season migliore (e più sorprendente) della sua. È quello che ha fatto dopo la ripartenza della stagione a essere completamente fuori dal normale.

L’eroe della bolla

Dopo la sospensione della stagione, a Orlando Tyler Herro ha mostrato il salto di qualità che ci si aspetta da un giocatore tra il primo e il secondo anno, e unita alle difficoltà di Nunn si è preso tutti i suoi minuti e le sue responsabilità, ascendendo sempre di più nelle gerarchie degli Heat che sono volati fino alle Finals NBA.

Herro è diventato un giocatore di culto sui social (dove ormai è chiamato “Baby GOAT” senza nemmeno più usare le dovute cautele per un giocatore di appena 20 anni) e si è imposto sempre di più con prestazioni scintillanti, culminate con i 37 punti segnati in gara-4 delle finali di conference contro i Boston Celtics per andare sul 3-1 nella serie. Era dai tempi di Magic Johnson nel 1980 — una prestazione talmente leggendaria da meritarsi un pezzo anche su queste pagine, a 40 anni di distanza dalla sua realizzazione — che un rookie non segnava così tanto in una partita di playoff, e il record di franchigia per una matricola appartenente a Dwyane Wade di 27 punti è stato semplicemente polverizzato.

Un clinic di realizzazione ai tre livelli del gioco (ferro, media distanza e arco), con e senza palla, contro tutti i difensori esterni dei Celtics: semplicemente impressionante.

Herro gioca ogni partita come se fosse un esibizione di H-O-R-S-E, cercando sempre di realizzare un canestro più difficile di quello precedente. Il suo gioco è un inno alla tecnica: sa sempre quanti palleggi e quanti passi servono per arrivare nei punti del campo a lui più congeniali, e possiede la capacità innata di fermarsi in una frazione di secondo per alzarsi per un tiro in sospensione, compensando con la rapidità di esecuzione e di pensiero ciò che non può (ancora) ottenere solamente dal fisico. Anche nelle situazioni in cui non riesce a creare separazione con il palleggio e con le finte, Herro possiede una sensibilità nel tocco semplicemente straordinaria, che gli permette di creare un tiro con buone percentuali praticamente dal nulla — come ha dimostrato per tutti i playoff.

Due palleggi andando a sinistra contro il closeout di LeBron James, arresto a centro area contro Anthony Davis, anticipando la conclusione per metterla di qualche millimetro sopra le dita protese del miglior difensore in aiuto della lega, floater a 6 metri di altezza, canestro: quanti punti sarebbe valso questo canestro in una partita di H-O-R-S-E?

Il perfetto giocatore da Miami Heat

Sarebbe però ingiusto analizzare le prestazioni di Herro senza prendere in considerazione il contesto tattico in cui è stato calato, pressoché ideale per quelle che sono le sue caratteristiche al momento. La strutturazione degli Heat, sia dal punto di vista tattico che dal punto di vista “gerarchico”, lo hanno aiutato enormemente a emergere: se in squadra non ci fossero stati altri playmaker del calibro di Goran Dragic, Jimmy Butler e soprattutto Bam Adebayo a prendersi le responsabilità di “far girare” la squadra, forse le sue (naturalissime) mancanze nel coinvolgimento dei compagni sarebbero state esposte maggiormente. E se il leader della squadra fosse stata una superstar diversa da Jimmy Butler — che fin dal primo giorno lo ha preso sotto la sua ala protettrice —, forse al terzo o quarto tiro forzato e sbagliato malamente gli sarebbe arrivata un’occhiataccia o un urlaccio durante un timeout tale da portare l’allenatore di turno a farlo sedere.

Invece fin dalla Summer League (quando ancora si disputava la Summer League) i Miami Heat sono stati convinti di aver pescato una gemma, forse non tanto in senso assoluto ma in termini di cosa cercano loro in un giocatore. Herro è perfetto per portare avanti la #HeatCulture in cui si crogiolano a South Beach: «È estremamente ambizioso e noi adoriamo questa caratteristica, se uno ha anche l’etica del lavoro per pareggiarla» disse Erik Spoelstra a inizio stagione, dopo una prestazione da 14 punti e 6/16 al tiro alla sua seconda partita in NBA, peraltro nella sua natìa Milwaukee (dove viene costantemente fischiato perché al College ha scelto di andare a Kentucky rimangiandosi la parola data all'università di Winsconsin. «Ha ancora molto da fare, dobbiamo tenere a mente che è un teenager. Ma ha un gioco molto maturo e quel tipo di etica lavorativa che porta a grandi miglioramenti nel corso di una stagione. E noi lo cavalcheremo fino all’ultimo. Ci saranno alti e bassi, ma non vediamo l’ora di rimboccarci le maniche e metterci al lavoro su di lui. È speciale e ha quel DNA da Miami Heat che piace al nostro dipartimento di scouting».

Le parole di Spoelstra sono state quasi profetiche, visti i miglioramenti che sono poi arrivati dopo la sospensione della stagione. Herro ha aumentato la sua percentuale nei tiri da due punti in maniera sensazionale, diventando un realizzatore enormemente più efficiente rispetto alla regular season con un uso della mano sinistra avanzato per un giocatore della sua età. Pur avendo in testa per prima cosa soprattutto l’obiettivo di segnare e mettere pressione alle difese, è anche riuscito ad aumentare il suo numero di assist (da 3.9 a 5.5 su 100 possessi tra regular season e playoff) aggiungendo pepe e imprevedibilità a un attacco in cui doveva fungere da terzo trattatore di palla dietro Dragic e Butler, punendo le difese quando cercavano di nascondere su di lui i difensori meno attrezzati.

Ciò che rende Herro diverso dagli altri

A tutto questo ha aggiunto poi la caratteristica che con ogni probabilità vi ha fatto innamorare di lui o vi ha portato a odiarlo: la sua — perdonate il francese — irresistibile faccia di merda. Ogni giocatore NBA ha bisogno di una “irrational confidence” per poter sopravvivere nella lega più competitiva del mondo, ma Herro gioca con una fiducia nei suoi mezzi che flirta pericolosamente con l’arroganza. Quel tipo di sicurezza nella propria capacità di fare canestro in ogni situazione e contro qualsiasi avversario che ricorda sinistramente la lucida follia del primo Steph Curry.

Che personalità ci vuole non solo per prendersi questo tiro con la propria squadra sotto di 2 a pochi secondi dalla fine, ma anche per avere la lucidità di mettere i piedi dietro l’arco?

Herro si fida talmente tanto delle sue possibilità da portarti a credere che possa segnare ogni tiro che prende, come se non possa esistere altro risultato che il fondo della retina per ogni pallone che lascia le sue mani. È una dote rara, quasi intangibile: Herro non è un tiratore generazionale come Curry (ha chiuso sotto il 40% da tre punti sia in regular season che ai playoff e la percentuale effettiva è solo del 52%) ma non può essere perso di vista neanche per un istante, il che risulta difficile visto che in campo è in moto continuo secondo le tracce disegnate per lui (e per Duncan Robinson) da coach Erik Spoelstra.

Herro è l’epitome della differenza che esiste tra uno shooter e uno shot-maker: il primo è uno che sa tirare anche in tante situazioni differenti, ma che ha bisogno di qualcuno che gli procuri quelle opportunità per mettere in mostra il suo talento nel rilasciare il pallone verso il ferro; il secondo è uno che quelle occasioni se le crea in proprio, anche a costo di prendersi tiri più difficili e con percentuali di realizzazione peggiori, ma che davanti alla spietatezza sempre maggiore dei playoff è in grado di togliere i propri compagni dai guai per quei 10 possessi a partita che possono fare la differenza. Ed è la dote più importante in assoluto nella NBA contemporanea, e che forse — questa sì — dovrebbe essere presa maggiormente in considerazione nella valutazione di un prospetto al Draft.

I lati oscuri di Herro

Se siete arrivati a leggere fino a questo punto, vi starete chiedendo se Herro abbia anche dei lati negativi o se sia tutto oro quel che luccica. Ovviamente non è così: anche lui ha finito per pagare lo scotto delle Finals, che mettono ogni giocatore faccia a faccia con i propri limiti come in una sessione psicoterapeutica. I Los Angeles Lakers sono riusciti tutto sommato a tenerlo a bada, senza concedergli neanche una partita da 50% al tiro e leggendo con sempre maggiore anticipo le sue intenzioni fino ad anestetizzarlo (7 punti e 3/10 al tiro nell’ultima partita, l’unica sotto la doppia cifra di tutti i suoi playoff). Quando i palloni non gli entrano, poi, emerge il fatto che la selezione di tiro di Herro è decisamente inefficiente, facendosi ingolosire fin troppo dalla sfida diretta con il proprio avversario per dimostrare di essere migliore di lui.

Non si può nemmeno ignorare, poi, che le difficoltà difensive già emerse nelle valutazioni pre-Draft sono state spesso confermate anche nella bolla. Nel primo turno di playoff, in particolare, Malcolm Brogdon ha esposto le sue mancanze in termini di chili e mobilità laterale (Herro ha un baricentro molto alto e un fisico slanciato che lo porta a essere spesso fuori posizione) punendolo a ripetizione in uno contro uno, andandolo a cercare quando in campo non c’era Duncan Robinson.

Questo tipo di “caccia al mismatch” subito nelle partite di playoff è lo scoglio da superare per poter diventare uno che sposta definitivamente.

Per essere un rookie Herro ha retto però sorprendentemente bene, anche perché è animato da uno spirito competitivo feroce che lo porta a combattere anche laddove non dovrebbe essere in grado di competere. Non a caso è un rimbalzista difensivo assolutamente capace per quelle che sono le sue dimensioni e bisogna dire che, al netto di qualche passaggio a vuoto qua e là, è migliorato molto con l’avanzare dei playoff — tanto che i Lakers non lo hanno neanche portato così spesso al centro del ring nei pick and roll contro LeBron James.

A questo ha contribuito anche la difesa a zona di Spoelstra, che controintuitivamente schierava lui e Dragic ai lati di Adebayo nella 2-3 (con Crowder e Butler in punta) per costringere gli avversari a giocare in uno contro uno su un lato del campo, sfruttando la presenza delle linee laterali per restringere il raggio di azione. Anche sotto questo punto di vista gli Heat si sono dimostrati la squadra ideale affinché il talento di Herro potesse emergere in tutta la sua tracotanza, nascondendone il più possibile i difetti e cavalcandone il più possibile i pregi, tanto da farlo partire in quintetto durante le Finals dopo l’infortunio di Dragic e affidandogli più responsabilità di quelle che fosse lecito aspettarsi da un 20enne alla sua prima esperienza con la NBA.

Fino a dove può spingersi il talento di Herro

Quello che viene da chiedersi adesso, alla vigilia della sua effettiva stagione da sophomore, è se da lui ci si debba aspettare un ulteriore salto di qualità. Essendo reduce anche lui da una sola stagione a Kentucky, sin dai tempi del Draft si parlava di Herro come un mini-Devin Booker, e nel lunghissimo avvicinamento alla classe del 2020 tutti erano alla ricerca del “nuovo Herro”, il giocatore dotato di shot-making che per limiti difensivi scivolava fuori dalle prime 10 posizioni.

La verità, come in tutti i casi in NBA, è che ogni giocatore fa storia a sé. In uscita dal college Herro non mostrava un tipo di talento auto-sufficiente tale da poter emergere in ogni contesto e in ogni circostanza, ma ha avuto la fortuna (e gli Heat la bravura) di finire in una squadra perfetta per le sue ambizioni e le sue sbandate fuori dallo spartito. Un po’ come Jimmy Butler, anche Herro non è per tutti i palati ma è perfetto per Miami: nella bolla ha fatto intravedere le stigmate di un giocatore sul quale è impossibile non puntare per il futuro, costruendo il resto del roster attorno a lui e a Bam Adebayo, ma allo stesso tempo è possibile immaginare un passo indietro rispetto ai magici mesi di Disney World — sia a livello di percentuali che di prestazioni complessive.

Tyler Herro è il secondo rookie della Florida al quale è stato dedicato un pezzo rap, al primo non è andata benissimo.

Molto dipenderà dalla sua crescita fisica, per capire se sarà in grado di sostenere atleticamente una mole maggiore di possessi e di responsabilità offensive sulle sue spalle senza pagare pegno in difesa. Gli Heat durante questa finestra di mercato non hanno aggiunto altri portatori di palla nel roster, segno che dietro Dragic e Butler (due giocatori che in ogni caso non monopolizzano il pallone) sarà lui a gestire molti possessi offensivi a metà campo, guadagnando ulteriori possibilità di crescita in termini di esperienza.

Il resto è tutto nelle sue mani: ha il talento, il carattere e la tecnica per poter diventare un All-Star. Se ci sarà qualcosa di più nel suo futuro, lo scopriremo solo con il tempo.

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