Chiunque abbia visto un film d’azione o abbia letto qualche antico libro di mitologia lo sa benissimo: non può esistere un vero eroe senza un cattivo da combattere. Anzi, è proprio l’esistenza di un villain, di un’incarnazione del male nella sua distillazione in purezza, a richiedere l’intervento di un salvatore che trionfi nella battaglia risolutiva e ristabilisca la pace. E la NBA, seguendo alla lettera questo canovaccio, mentre è ancora alla ricerca dell’eletto al quale mettere al dito l’anello, ha nel frattempo già incoronato Trae Young a perfetta nemesi di chiunque volesse farsi eroe.
Il folletto degli Atlanta Hawks infatti non ha solamente già spezzato i sogni di gloria dei New York Knicks e dei Philadelphia 76ers, entrambe convinte di regolare senza troppi patemi la franchigia della Georgia, ma lo ha fatto con la sfacciataggine e la sicurezza nei propri mezzi di chi preferisce di gran lunga i fischi agli applausi.
I quali non sono mancati fin dalla prima palla a due al Madison Square Garden, il palcoscenico dove si sono consacrati i grandi campioni ma anche i grandi antagonisti dei Knicks a suon di prestazioni vincenti e canestri decisivi. E dopo Michael Jordan, Reggie Miller e Kobe Bryant, a questo giro è toccato a Trae Young ricevere l’investitura di Spike Lee grazie al canestro sulla sirena con il quale ha gelato il pubblico newyorkese mimando anche l’arrivo della stagione fredda.
È nata una stella (oscura)
In quel preciso momento, alla sua prima partita di playoff, Trae Young ha indirizzato la propria narrazione e la propria percezione verso il lato oscuro della forza, nella quale sembra trovarsi particolarmente a proprio agio. D’altronde Young è abituato a sedersi dalla parte del torto fin dalla pubertà, che lo ha tradito non facendolo crescere quanto desiderava e costringendolo a costruirsi un gioco che superasse gli evidenti limiti fisici. E al quale ha associato un atteggiamento per nulla timido, apertamente canzonatorio e provocatorio che ha contraddistinto le prime apparizioni della sua squadra di AAU (nella quale divideva i riflettori con Michael Porter Jr.), diventando immediatamente una figura polarizzante per scout e tifosi. Condizione che non è cambiata di molto anche quando è arrivato a Norman, al campus dell’università di Oklahoma, come una delle migliori point guard della sua classe per la sua unica stagione NCAA chiusa come miglior realizzatore della nazione a 27.4 punti di media.
Nonostante tutti i suoi precoci successi, Young ha avuto sempre una coltre di dubbi ad annebbiare il suo futuro. Spesso definito come troppo basso, troppo leggero e troppo lento per essere un vero giocatore NBA, Trae ha usato queste etichette per motivarsi fino ad abbracciare questa sua natura antagonista, fatta di vendette e eliminazioni servite fredde. E quale periodo migliore che quello dei playoff per prendersi le rivincite sui suoi tanti, troppi detrattori che continuano a fare l’errore di sottovalutarlo?
Dopo la sconfitta sulla sirena subita per mano sua in gara-1, i tifosi dei Knicks sono tornati al Garden preparati per la successiva partita nella partita contro Trae, coordinando il coro da intonare per infastidire la stella degli Hawks. Sulle poltrone è stato lasciato un foglietto con le parole da scandire, un “Trae is balding” che assomigliava sinistramente a “Trae is balling” e che spesso è stato sostituito con un più diretto “Fuck Trae Young”.
— kat (@mankattan) May 26, 2021
In qualche modo però il calore dei tifosi newyorkesi ha rallentato gli Hawks, che non sono riusciti a ripetere l’impresa di gara-1 e hanno permesso a New York di impattare la serie. Ma dopo le due vittorie casalinghe piuttosto convincenti sono tornati nella Grande Mela per chiudere i conti e smentire gli esperti di ESPN che avevano dato quasi all’unanimità il favore del pronostico ai Knicks. Atlanta però si è dimostrata squadra superiore sia nelle individualità che nel collettivo, esponendo i tanti limiti della formazione di Tom Thibodeau quando si trattava di fare canestro e ridimensionando la stagione da giocatore più migliorato dell’anno di Julius Randle. Così anche gara-5 ha seguito lo spartito delle precedenti sfide, con gli Hawks che sono riusciti ad accumulare un sensibile vantaggio e Knicks che hanno arrancato dietro a Trae Young, che con una manciata di secondi sul cronometro si è preso la libertà di segnare una tripla dal logo blu-arancio e subito dopo si è inchinato verso il pubblico come un direttore d’orchestra alla ricerca dell’applauso.
Solo che il pubblico newyorkese non ha chiesto il bis, anzi avrebbe voluto indietro i soldi del biglietto e lo ha fatto presente in modo non proprio educato. In gara-2 un tifoso era stato allontanato e poi bandito a vita dal MSG per aver sputato verso Young, ma a serie finita nessuno aveva voglia di giocarsi le future partite dei Knicks e il disappunto è stato, fortunatamente, solo verbale. A volte bisogna accettare che vincano i cattivi.
John Collins, lo scagnozzo perfetto
Se contro i Knicks gli Hawks partivano sfavoriti, nel secondo turno contro i Sixers dovevano già essere battuti in partenza. Ma il memo non deve aver raggiunto lo spogliatoio di Atlanta, dato che i giocatori hanno iniziato fortissimo la prima partita al Wells Fargo Center facendo a fette la difesa dei Sixers e segnando 74 punti nei primi 24 minuti di gioco. Rivers aveva deciso di far marcare Trae Young da Danny Green, ma il veterano possesso dopo possesso era stato messo in imbarazzo dall’abilità del playmaker degli Hawks di batterlo senza neanche usare un blocco.
Gli Hawks sono volati anche a 26 punti di vantaggio prima che i Sixers provassero una rimonta disperata nell’ultimo quarto, infranta però sull’alley-oop alzato da Trae per John Collins. I due – tra i quali giusto sei mesi fa si rumoreggiava ci fosse qualche dissidio – hanno una connessione speciale, che si accende soprattutto quando c’è da umiliare qualcuno sia dentro che fuori dal campo. Solitamente è Young che inizia e subito dopo Collins lo segue, con un meccanismo di imitazione che ricorda i primi anni del liceo, e insieme formano un tandem diabolico che ha come unico scopo quello di far impazzire gli avversari.
Il lungo è il compagno preferito da Trae, quasi una sua estensione, e a volte sembra proprio che lo telecomandi a distanza come se fosse un suo mecha con le braccia e soprattutto le gambe che non ha mai avuto. Il che spiegherebbe perché appena gli passa il pallone per una schiacciata salta contemporaneamente insieme a lui.
I due combineranno per un altro alley-oop in gara-6, con Collins in volo sopra Joel Embiid in una posa iconica che finirà successivamente sulla sua maglietta indossata in conferenza stampa post gara-7. Una partita nella quale gli Hawks hanno trovato l’ennesimo colpo gobbo della loro stagione, sorprendendo i Sixers sul campo di casa per la terza volta in quattro partite nella serie dopo che in regular season Philadelphia aveva perso solo 7 volte davanti al pubblico di casa, a fronte di 29 vittorie.
La ciurma di capitan Trae Young
Con Trae Young limitato a 5/23 dal campo sono stati i suoi compagni a guidare l’arrembaggio decisivo, con Kevin Huerter e Danilo Gallinari autori rispettivamente di 27 e 17 punti. Al di là di quanto sia straordinario il suo capitano coi capelli radi, gli Hawks sono una ciurma di bucanieri a bordo di una goletta troppo stretta per affrontare i mari della Eastern Conference, ma perfetta per questa guerra di corsa. Sanno approfittare di ogni minimo spiraglio lasciato incustodito e non si fanno problemi ad assaltare la partita agli ordini del loro mefistofelico leader. Perché alla fine cos’è un supercattivo senza i suoi scagnozzi a coprirgli le spalle?
Contro i Sixers hanno dimostrato quanto sia importante avere in campo tanti giocatori in grado di costruirsi il proprio tiro e attaccare l’anello debole della difesa avversaria ad ogni occasione. Mentre nell’ennesima vittoria in una gara-1 in trasferta, questa volta in casa dei Milwaukee Bucks, è stato proprio Trae a condurre i suoi a una affermazione corsara (la sesta in otto partite di playoff disputate lontano da casa) con 48 punti e una scrollata di spalle già leggendaria prima di una tripla nel terzo quarto.
Ma anche dopo un terzo quarto in cui Young e Collins erano saliti di livello, gli Hawks erano comunque sotto di 7 lunghezze con 4 minuti ancora da giocare. Eppure, come spesso è accaduto in questa postseason, hanno lasciato sfogare gli avversari, affrontato quasi con nonchalance i momenti caotici della partita e li hanno inesorabilmente piegati a proprio vantaggio, trovando un modo per finire davanti al suono della sirena senza sbagliare neanche un momento topico, anzi prendendo tutti i rimbalzi offensivi necessari per rimanere in partita (4 negli ultimi 4 minuti, 12 alla fine).
Finora hanno vinto sei delle otto partite in cui la distanza tra le due squadre era entro i 5 punti di distacco negli ultimi tre minuti di gioco, e nelle 13 partite di playoff giocate fino a questo hanno un differenziale complessivo di +18 (+1.4 per partita). Per dare un contesto, le restanti tre squadre sono invece a +109 (Phoenix Suns), +80 (L.A. Clippers) e +59 (Milwaukee Bucks): dire che la scampano per un pelo non rende l’idea, il che li rende ancora più maledettamente insopportabili per i loro avversari e irresistibili per gli spettatori neutrali.
Non che a questi Hawks i numeri interessino più di tanto. Avevano un record di 14 vittorie e 20 sconfitte quando Nate McMillan ha preso in mano il gruppo non più tardi dello scorso marzo e ora sono a tre vittorie dalle Finals. Hanno ribaltato la loro stagione abbracciando la religione di Trae Young fatta di tiri due metri oltre l’arco, floater impossibili e lob alzati ogni volta che il lungo avversario fa un passo di troppo o uno di meno. Ma soprattutto l’attitudine di grattare fischi arbitrali in ogni modo consentito (in alcuni casi ancora per poco) e immediatamente dopo lamentarsi per fischi simili, impersonando un personaggio uscito da Il Labirinto del Fauno.
Trae Young e gli Atlanta Hawks, nonostante la loro improbabile presenza alle Finali di Conference, non hanno alcuna intenzione di passare come la favola di questi playoff. Anzi stanno facendo di tutto per essere i cattivi perfetti in attesa che arrivi qualche eroe a rovinargli la festa. Per ora non si è ancora visto nessun cavaliere bianco all’orizzonte.