Sarà l’aria da fine del mondo, ma in questi tempi tendiamo a interrogarci sull’essenza delle cose, calcio compreso. Cos’è davvero, in profondità, il calcio? Tecnica individuale, cooperazione, struttura collettiva, istinto innato, intelligenza razionale, inconscio? Una parte di noi sa che, probabilmente, per come funzionano le cose umane, anche non considerando la reale possibilità della fine del mondo per come lo conosciamo, quasi certamente non si giocherà per sempre a calcio come si gioca oggi. Tra cinquecento anni i calciatori migliori saranno ancora dei super-atleti coperti d’oro come fossero divinità greche? Tra cinquecento anni esisteranno ancora il pressing e il gegen-pressing, la costruzione dal basso, il VAR e tutte quelle cose su cui litighiamo ogni settimana? Non è detto, cinquecento anni sono molti. Sapete invece cosa esisterà ancora tra cinquecento anni? Giocatori come Franco Vazquez.
Forse è questa l’essenza del calcio. Quella singola cosa che in qualsiasi condizione storico-sociale, spogliandolo di tutte le sovrastrutture e con le regole che vi pare a voi, resterà intatta. Quella cosa è, almeno per quel che mi riguarda, ma senza ombra di dubbio da parte mia, il dribbling. Dribbling inteso non come numero, trick – più o meno facilmente riproducibili in contesti non competitivi, ma rari all’interno di partite di alto livello – ma come l’arte di far sparire la palla davanti a un avversario e farla ricomparire alle sue spalle. E Franco Vazquez, a 33 anni, in Serie B, eccelle ancora in quell’arte come pochi altri in Italia.
L’anno scorso, pur in una stagione mediocre per il Parma, ha seminato perle degne di palcoscenici migliori, ed è un po’ tutta la sua carriera che è stata giocata a un livello forse non così alto come avrebbe meritato, anche se si è tolto parecchie soddisfazioni, tipo battere il Manchester United all’Old Trafford, con il Siviglia, e vincere l’Europa League.
Qui sotto ho scelto cinque giocate dalla passata Serie B che secondo me rappresentano al meglio il suo talento luminoso – Franco Sabatini una volta paragonò Totti, già nella parte finale della sua carriera, al sole che tramonta sui tetti di Roma, ed è un’immagine che secondo me vale per tutti i giocatori con quel tipo di tecnica visionaria quando l’atletismo comincia a mancargli.
Vorrei però cominciare, prima, da una palla persa.