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(di)
Giovanni Fontana
Tornare quindicenni
03 ott 2015
03 ott 2015
Un racconto di quando la Fiorentina era prima in classifica e in attacco c'erano Batistuta ed Edmundo.
(di)
Giovanni Fontana
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Nella mia intermittente carriera di tifoso della Fiorentina lontano da Firenze c’è stata una sola stagione nella quale ho fatto la follia di abbonarmi al Franchi e montare su un treno ogni due settimane: quella del 1998-99. Quella Fiorentina fu in testa alla classifica per 21 giornate, laureandosi campione d’inverno: io andavo allo stadio e la mia squadra vinceva (10 vittorie su 10 in casa). Poi, all’undicesima partita al Franchi, Batistuta s’infortunò, Edmundo andò al carnevale, e perdemmo lo scudetto.

 

Questa, almeno, è la storia che si raccontano i tifosi fiorentini: un osservatore più imparziale riconoscerebbe che, probabilmente, quella Fiorentina non avrebbe comunque vinto lo scudetto, che la squadra non aveva gioco e si affidava solo alle giocate dei suoi campioni, che il rendimento in trasferta era inferiore a quello di squadre di metà classifica come Bari e Bologna, che anche prima dell’infortunio dei suoi due attaccanti le inseguitrici le stavano mangiando punti.

 

Io, però, non so quale di queste due storie voglio raccontare, temo di essere più attrezzato a raccontare la prima, ed è proprio questo il punto. Certo è che, nei diciassette anni che sono passati, non ho più visto la Fiorentina in testa alla classifica, ed è per questo che—mio malgrado—vedo i parallelismi: come alla sesta giornata di quel campionato la Fiorentina è a 15 punti, con cinque vittorie e una sconfitta (rocambolesca), è andata in vantaggio in tutte le partite che ha giocato, ha fatto della tenuta difensiva il proprio punto di forza, ha mostrato qualche difficoltà nel creare gioco. Diversamente da quell’anno, questa Fiorentina non ha tre dei calciatori più forti del mondo.

 


La sguaiatissima maglia Fila di quell’anno è quanto di più opposto ci possa essere all’elegante maglia Le Coq Sportif di quest’anno. Eppure mi piacciono entrambe, sarà per lo sponsor hipster.


 

Era la Fiorentina di Toldo, Rui Costa e Batistuta. C’erano anche Edmundo, Oliveira, Heinrich, Torricelli, Repka, ma era la Fiorentina di Toldo, Rui Costa e Batistuta. Gran parte delle vittorie di quella squadra prevedevano—non contemplavano, ma proprio prevedevano—un miracolo di Toldo. Se qualcuno recuperava un pallone da qualche parte lo dava a Rui Costa, che con quell’incedere inconfondibile avrebbe scelto il momento giusto per servire Batistuta e farlo tirare. Batistuta tirava e faceva gol; se non lo facevano tirare prendeva un calcio di punizione e faceva gol su quello.

 

Ma era soprattutto la Fiorentina di Trapattoni, e quindi dopo aver fatto quel gol ci si chiudeva in difesa e si faceva catenaccio, spesso lo si faceva anche prima di essere andati in vantaggio. Il mio più chiaro ricordo di quella stagione non è il primo posto, non sono le prodezze di Batistuta, ma è la sofferenza patita ogni volta che la mia squadra stava vincendo e gli avversari avevano il pallone: a cercare di allontanarli col pensiero, a controllare compulsivamente l’orologio che invece rallentava a ogni occhiata.

 

In realtà tutto cominciò con tre convincenti vittorie di fila, di cui due in trasferta (in tutto il campionato, rimarranno le uniche due vittorie lontane dalla provincia di Firenze). In tutte e tre le partite la Fiorentina era già in vantaggio dopo 6 minuti, e mostrò una superiorità alla quale non eravamo abituati. Alla prima giornata un 2-0 all’Empoli, poi un 1-2 a Vicenza che lasciò Fiorentina, Milan e Juventus in testa alla classifica.

 

Poi l’1-3 a San Siro contro il Milan che, con la contemporanea sconfitta della Juve, portò la Fiorentina sola in cima alla Serie A. Fu il Milan-Fiorentina di Lehmann più che di Batistuta, nel senso che Batistuta fece una tripletta grazie a Lehmann più che grazie a Batistuta.

 

https://www.youtube.com/watch?t=5&v=7Zs19SVWrjk

Batistuta sbagliava tutti i rigori e segnava tutte le punizioni (anche da 40 metri). Quando l’arbitro fischiò questo calcio di punizione a due in area, il pensiero del tifoso della Fiorentina fu: «Possono metterne anche 11 in barriera (ci andarono vicini), siamo già 0-3».


 

Io vidi quella tripletta di Batistuta in un circolo di tifosi della Fiorentina che aveva sottoscritto l’abbonamento a Telepiù e più o meno abusivamente faceva pagare l’ingresso. Avevo quindici anni, ero lì con lo stesso zio fiorentino che, anni prima, di fronte a mia sorella neonata

se volessi più bene a lei o a Roberto Baggio. Fu con lui che strinsi il patto diabolico dell’abbonamento allo stadio, del treno ogni due settimane per raggiungerlo, dei riti scaramantici (sbagliavamo sempre piano dell’ascensore, avendolo sbagliato alla prima vittoria).

 

Mi sarebbe piaciuto aggiungere, come ricordavo io, che ebbe un ruolo anche l’esistenza di una fidanzata toscana che—pur impegnandosi tanto—non sarebbe riuscita a farmi soffrire più della Fiorentina di Trapattoni; ma l’ho contattata e le date non tornano. Quindi no, fu solo la passione adolescenziale di trovare, per la prima volta, la propria squadra in testa alla classifica.

 

La settimana dopo, alla prima partita da abbonato, ero già convinto di portare male. Fiorentina-Udinese, brutta partita, 0-0 per 90 minuti, l’Udinese prende un palo, alla Fiorentina annullano un gol regolare. Poi, al 92' Edmundo combina con Rui Costa, e segna l’1-0. Io non porto sfortuna, e la Fiorentina non perde il primato solitario. Fino a qui tutto bene.

 

Anche la domenica successiva sono allo stadio, questa volta all’Olimpico, per Roma-Fiorentina: la Fiorentina va in vantaggio con Batistuta, poi nel secondo tempo ci sono tre espulsioni, due per la Roma. Si gioca in 10 contro 9, Zeman mette in campo un argentino: saranno gli unici 12 minuti in carriera nella quale Gustavo Bartelt si dimostra un giocatore di calcio.

 

In due azioni fotocopia fa un imprecisato numero di dribbling e la mette in mezzo, la prima volta segna Alenichev al 90', la seconda Totti al 94' su ribattuta di Toldo. La Fiorentina perde, rocambolescamente, la sua prima partita, ma resta in testa alla classifica. Le cosiddette “sette sorelle” sono tutte lì: Juve, Roma e Inter a due punti, Lazio, Milan e Parma a tre punti.

 

La partita successiva è Fiorentina-Salernitana, la Salernitana rimane in 10 dopo pochi minuti, ma la Fiorentina non segna. Poi, al 50' Edmundo sblocca, e finisce 4-0, con due gol del brasiliano e due di Batistuta. In quella partita mi innamoro di Edmundo e mi convinco, sempre col criterio del quindicenne tifoso, che sia il miglior dribblomane al mondo.

 

Quando gioco a pallone con i ragazzini (rigorosamente più piccoli) dico “ora faccio Edmundo”, e li scarto tutti. A margine della partita c’è anche un altro fatto: complice una squalifica del Franchi risalente a diversi anni prima, la Fiorentina decide di giocare Fiorentina-Grasshoppers allo stadio Arechi di Salerno, e vuole organizzare una specie di gemellaggio con la Salernitana. I tifosi salernitani vengono però accolti dagli acerrimi nemici veronesi, a loro volta gemellati con la Fiorentina, ne vengono fuori tafferugli e scene poco educative. I tifosi della Fiorentina, sul 4-0, augurano “Serie B! Serie B!” ai salernitani che rispondono “A Salerno non si entra! A Salerno non si entra!”. Non c’è che dire, come gemellaggio.

 

Sarò uno dei pochi tifosi della Fiorentina ad andare davvero all’Arechi, assieme a un amico salernitano che mi salverà la vita (o giù di lì): a partita in corso, un tifoso della Salernitana lancerà una bomba carta che esploderà accanto al quarto uomo. Partita sospesa. Date le ripetute minacce di morte, da una parte e dall’altra, i tifosi della Fiorentina vengono trattenuti per diverse ore dopo la sospensione della partita. Conoscendo lo stadio, il mio amico riesce a trovare una via per farci uscire, passiamo davanti a Oliveira che sta parlando al telefono con qualcuno, e usciamo dal retro dell’Arechi.

 

Sul viale dello stadio un gruppo di ultrà in motorino si accosta a noi due e ci chiede: «Uagliù aro stat jenn?», l’amico risponde: «A cas», «Ma sit i Saliern?», «Si nun ce crir' vir' cà!» (dove andate? A casa? Ma siete di Salerno? Se non ci credi guarda qua), e mostra loro il portachiavi con il cavalluccio della Salernitana. Io sto zitto e la scampo, la Fiorentina no: 0-3 a tavolino per responsabilità oggettiva, ed eliminazione dall’Europa.

 

https://www.youtube.com/watch?v=9nzoHRh1nFQ

La bomba carta dell’Arechi, quando le radioline spiegano ciò che è successo, dal settore fiorentino comincia il coro “Quinto uomo perché no?”.


 

La domenica successiva arriva un’altra sconfitta, a Parma, e si comincia a capire che questo trend di vittorie in casa e pareggi/sconfitte in trasferta è destinato a durare. 2-0 per il Parma di Malesani, e sorpasso in testa da parte degli odiati campioni in carica della Juventus.

 

La settimana successiva a Firenze c’è il Venezia. La partita è senza storia, 4-1, ma allo stadio sono tutti collegati con Udine, dove gioca la Juve, e formano capannelli intorno ai pochi fortunati provvisti di radiolina. La Juventus è in vantaggio 0-2, ma al 65' accorcia Bachini. Al 94', al Franchi la partita è già finita, comincia un brusio che diventa un boato: El Pampa Sosa ha segnato il 2-2 e, lanciata via la maglia, si è

sulla recinzione a esultare.

 

Tutti cercano conferme, e quando finalmente il maxischermo mostra il risultato “Udinese-Juventus 2-2” c’è un nuovo boato. Probabilmente disorientato dal secondo boato, l’addetto al maxischermo va in confusione e sul tabellone appare “Udinese-Juventus 3-2”. Nuovo boato. Qualcuno verifica, è 2-2, appare ancora sul maxischermo. Generale delusione. Tanta è la confusione che lo speaker fa un inedito annuncio: «Comunichiamo che la partita Udinese-Juventus è terminata 2-2». Nuovo boato. La Fiorentina è di nuovo prima.

 

Ancora una trasferta e ancora sconfitta, questa volta addirittura a Piacenza («Batistuta e Rui Costa

, mentre Stroppa fa ciò che vuole»). Ma perde anche la Juventus all’Olimpico, e la Fiorentina rimane in testa: un punto su Juve e Roma, due sul Parma.

 

Si torna al Franchi e si torna a vincere, 3-1 all’Inter. Poi un’altra trasferta, a Bari, ed è 0-0. La Fiorentina continua a rimanere in testa soltanto grazie al rendimento casalingo, ma anche perché una Serie A bellissima e combattuta, ogni settimana alle sue spalle si alterna una squadra diversa: la Juve, il Parma, l’Inter, il Milan, la Roma, la Lazio.

 

Cominciano le partite della sofferenza, è il periodo nel quale si va allo stadio consapevoli che il proprio, fondamentale, compito è quello di patire con la squadra. L’epitome di questo periodo è Fiorentina-Bologna 1-0. È una partita a senso unico, nel senso che gioca solo il Bologna di Mazzone.

 

La Fiorentina riesce solo a conquistare dei calci di punizione da trenta o quaranta metri, ovviamente Batistuta tira, ne segna uno. Poi ci si affida a Toldo, che fa sei o sette super interventi. La partita dovrebbe finire qualcosa come 0-6, ma finisce 1-0.

 

https://www.youtube.com/watch?v=wuxMTk32bY4

Mi sono domandato se c’è una partita per la quale ho sofferto di più di questa. Non la rabbia, non la rassegnazione. Proprio la sofferenza. E per quanto mi renda conto che non suona molto eroico dire che la partita per la quale si è sofferto di più nella propria vita sia un Fiorentina-Bologna di inizio dicembre, è la verità.


 

Finisce 1-0 con gol di Batistuta anche la settimana dopo, sempre al Franchi, contro la Juve, e il fatto che non mi soffermi oltre su una vittoria sulla Juventus dimostra quanto sia stata inedita ed esaltante quella stagione.

 

Poi c’è un nuovo pareggio fuori casa, 2-2 a Perugia, nel quale la Fiorentina torna a subire gol dopo 357 minuti. Naturalmente quando si torna al Franchi tornano anche le vittorie: un altro 1-0, questo alla Sampdoria, molto simile agli altri. È quasi superfluo dire che, a questo punto, io sono convinto di essere il fattore determinante nei successi della Fiorentina: da quando ho fatto l’abbonamento, con la romanzesca eccezione dell’Olimpico, tutte le volte che sono allo stadio, la Fiorentina vince. Tutte le volte che non sono allo stadio, la Fiorentina non vince.

 

Convinto dei miei mezzi torno all’Olimpico, questa volta per Lazio-Fiorentina, addirittura assieme a mia madre e mia sorella nel settore ospiti. Non è una buona idea, durante la partita cominciano a piovere monetine dalla curva laziale, tante: ci arrampichiamo verso la parte più alta della gradinata, dove non arrivano le monete, mentre mia sorella (di otto anni) suggerisce di andare a raccogliere il denaro perché «potremmo diventare ricchi».

 

Anche la partita è una disfatta, 2-0 per la Lazio senza storia («

fin dalle prime battute che sarà la Lazio a fare la partita, gioca infatti con una certa prudenza la Fiorentina»), con Toldo che viene martellato di tiri. A fine incontro sul maxischermo dell’Olimpico mostrano la classifica, che dice “Fiorentina (e Parma) 32, Lazio 29”, a questo punto i tifosi fiorentini cominciano a gridare: «Serie B! Serie B!» ai laziali. Pur nella mia tifosaggine quindicenne, mi rendo conto di quanto sia ridicolo, ed evito di farlo. La brutta notizia è che ho scoperto di non essere io a far vincere le partite alla Fiorentina. Tutti i riti scaramantici, coi quali militarmente mi presento allo stadio la domenica, cominciano a perdere di valore.

 

La partita successiva è l’ultima del girone d’andata, e la Fiorentina vince 4-2 con il Cagliari: ancora una volta il risultato è l’unica nota positiva, perché la Fiorentina gioca male. «Il Cagliari va sotto nella prima e unica discesa dei Viola, da quel momento si gioca a una porta sola»,

il commentatore, che a fine servizio aggiungerà: «Difficilmente la squadra del Trap potrà vincere il campionato, ha un attacco strepitoso, ma non c'è ombra di una seppur minima organizzazione di gioco».

 

Effettivamente è l’ennesima partita nella quale la Fiorentina dimostra la completa dipendenza dalla sua coppia di attaccanti, Batistuta-Edmundo (tre gol il primo, uno il secondo). Trapattoni

recentemente che quell’anno ha “passato le notti” a conferire con i due per tentare di farli coesistere, e non è difficile credergli.

 

Batistuta è Batistuta: a questo punto della stagione ha segnato 17 gol in 17 partite, non c’è molto da aggiungere. Edmundo, detto “O Animal”, è un attaccante difficile da gestire (eufemismo). Nella stagione precedente, quando Malesani gli aveva preferito Morfeo in un paio di partite, Edmundo fugge in Brasile spiegando: «Nessuno aveva mai osato lasciarmi fuori». Celebre è l’episodio dello scimpanzé Pedrinho: ingaggiato, assieme a un intero circo, per la prima festa di compleanno del figlio. Finirà fotografato mentre Edmundo sembra cercare di fargli bere birra (lui negherà). Diversi gruppi animalisti gli faranno causa. È interessante la precisazione

l’

: «Alla festa fece ubriacare lo scimpanzé Pedrinho con birra e whisky. I due elefanti presenti si accontentarono di acqua». Esiste una frase più edmundesca di “i due elefanti presenti si accontentarono di acqua”? Non penso.

 


La “Scimmia di Edmundo”. Al contrario della scimmia di Florenzi, non è un modo di dire, ma è leggenda calcistica. A Firenze è diventata quasi proverbiale e il primo aneddoto che si racconta quando si parla di intemperanze di calciatori.


 

In ogni caso la Fiorentina è campione d’inverno. La domenica successiva, a Empoli, ottiene la sua unica vittoria fuori casa di tutta la stagione, dopo le prime due trasferte. Non è forse un caso che avvenga a qualche km di distanza da Firenze, con i tifosi viola che vanno al Castellani (riempiendolo) con una carovana di motorini. 3-0, come quello della giornata successiva, al Franchi con il Vicenza. La domenica dopo è quella che segna il corso del resto della stagione.

 

È l’undicesima partita casalinga, la sedicesima in tutte le competizioni, e sono arrivate sedici vittorie. È Fiorentina-Milan, il Milan è terzo e sembra essere molto in forma. Di lì a poco (spoiler!) vincerà il campionato. La partita, al solito, è dominata dagli avversari, e rimane inchiodata sullo 0-0. Ma la notizia peggiore è l’infortunio di Batistuta: in uno scontro di gioco casca ed esce dal campo in barella per qualche minuto. Tutto lo stadio canta il suo coro: «Bati-bati-bati-batigol-batigol-batigol-oh-oh». Lui si rialza, è Batistuta, e riprende a giocare accompagnato dall’ovazione del pubblico.

 

Ma quella caparbietà gli costa. Nel minuto successivo, rincorrendo un lancione in contropiede di quelli che Batistuta sfrutta sempre—ho provato a fare questo lavoro di togliermi dalla testa che senza quell’infortunio Bati avrebbe segnato quel gol e la serie positiva sarebbe continuata fino alla fine del campionato, ma non ci riesco—e si infortuna seriamente.

 

Nel momento in cui Batistuta crolla per terra, lo stadio affonda in un silenzio che non ho mai sentito, durante un’azione di gioco. Questa volta esce dal campo in barella e in lacrime.

in conferenza stampa con le stampelle, e dice che i compagni gli «hanno promesso che daranno tutto». Nel frattempo Edmundo è già a Fiumicino, dove sta prendendo un volo per Rio de Janeiro, come è scritto nel suo contratto: per non soffrire la nostalgia, ha diritto a tornare in Brasile per assistere al carnevale.

: «Batistuta all’ospedale, Edmundo al carnevale». Il tridente Batistuta-Edmundo-Oliveira diventa Carmine Esposito-Oliveira-Robbiati. Lì finisce la Fiorentina, e lì, contestualmente e non a caso, finiscono i miei ricordi.

 

La giornata successiva viene agganciata dalla Lazio, quella ancora successiva, superata dalla Lazio e agganciata dal Milan. Finirà a 14 punti dal Milan e a 13 dalla Lazio. La squadra che in 19 giornate aveva fatto 41 punti, 2.16 a partita, ne fa 15 in 15 giornate, la miseria di uno a partita. Anche la mia carriera di abbonato si conclude così, senza la possibilità di raccontare che la mia determinante presenza di tifoso ha permesso alla Fiorentina di vincere uno scudetto dopo decine e decine di anni.

 

A dire il vero c’è un’altra cosa che ricordo distintamente, ed è il fallo da rigore di Mirri su Salas alla penultima giornata, che tolse quello scudetto alla Lazio. Ricordo che al tempo non mi sembrò assolutamente rigore, e anzi, mi sarebbe sembrata un’ingiustizia arbitrale come le tantissime che aveva subìto quell’anno la Fiorentina (sono sicuro che sostenni questa tesi con i miei compagni di classe laziali), che contribuirono a togliere lo scudetto alla Fiorentina.

 

Poi, però, leggo che l’arbitro di quella partita, Treossi, ha

perché “quel rigore c’era”, e allora mi vengono dei dubbî: chissà che anche tutti quegli altri torti non siano stati generati dalla testa tifosa di quel quindicenne poco imparziale. E l’altra scusa? Quella del carnevale di Edmundo, quanto ha contato davvero, al di là della leggenda? Avevo un dubbio, sono andato a ricontrollare: ma, alla fine, quante partite ha saltato Edmundo per questo fantomatico carnevale? La risposta è “una”. Tutta questa storia per una partita saltata. L’infortunio di Batistuta fu sicuramente determinante, ma anche lui stette fuori un mese. È vero che accelerò il rientro, e per il primo periodo giocava con una gamba sola, ma la Fiorentina smise di giocare per quattro mesi.

 

Alla fine, mi dico, quella Fiorentina non avrebbe mai vinto lo scudetto: era quella di Batistuta ed Edmundo, Toldo e Rui Costa, ma anche quella di Padalino, Falcone e Christian Amoroso titolari. Quella in cui Carmine Esposito, Ficini e Tarozzi giocarono più di un terzo delle partite. Forse non era così forte come me la ricordavo. Ma qui mi assale un altro dubbio. Nick Hornby, in

, teorizza e racconta qual è la naturale parabola di ogni tifoso: ci si appassiona da adolescenti, la propria squadra è al centro di ogni pensiero, si vive per aspettare la domenica, e durante la settimana si parla (molto tendenziosamente) di quella partita.

 

Poi si cresce, ci si disaffeziona, si pensa alle donne, all’università, al lavoro, al diventare una persona compiuta, e ci si dimentica un po’ il tifo. Per carità: si rimane sempre amanti del calcio, ma si guadagna un po’ di distacco, di obiettività, che ci permette di saltare la visione di una partita, poi di due, delle volte finiscono addirittura per esserci impegni più importanti del calcio. Poi, però, tra i trenta e i quarant’anni si ricomincia: piano piano la propria squadra riacquisisce centralità nella propria vita, si ritorna gradualmente a essere tifosi sguaiati, a vivere un tifo più irrazionale e meno obiettivo. Si torna, semplicemente, più tifosi.

 

E allora mi chiedo: ma non è che quando penso “in fondo Padalino, Falcone e Amoroso non erano da scudetto”, io non stia in realtà pensando “a conti fatti, Gonzalo Rodríguez, Tomovic e Vecino non sono certo più scarsi” oppure “meglio avere in panchina Ficini, Bigica ed Esposito o Mario Suárez, Badelj e Babacar?”, oppure ancora “certo che con Sousa abbiamo giocato male, ma vuoi mettere quanto giocava male, e quanto era più disorganizzato, Trapattoni?”.

 

Non è che quello che appare come il tentativo di razionalizzare quella stagione è in realtà l’infido tentativo dell’irrazionalità di insinuarsi in questa, e farmi sperare in cose obiettivamente impossibili? Non è che mi sta succedendo quello che racconta Hornby, e cioè che sto perdendo la mia lucidità e tornando

? Vabbè, lo dico: non starò mica diventando vecchio e, in fondo in fondo, a questo scudetto ci credo? Non so quale delle due cose mi fa più paura.

 

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