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(di)
Giovanni Fontana
Batigol
24 feb 2015
24 feb 2015
Un amore non corrisposto.
(di)
Giovanni Fontana
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Uno dei miei primi ricordi d’infanzia è quello di mio zio che indica il poster di Roberto Baggio, poi indica mia sorella neonata, e mi domanda: «a chi vuoi più bene?». Era la primavera del 1990, Baggio doveva ancora

la Fiorentina per la Juve, ed era il giocatore più amato dai tifosi fiorentini. Risposi: «a lei». Se, soltanto qualche anno dopo, mi avessero fatto la stessa domanda a proposito di Batistuta avrei dato la risposta giusta.

 

Il primo coro che ho imparato allo stadio diceva: “mi innamoro solo se / vedo segnar Batistuta / correre alla bandierina / bomber della Fiorentina”. Ma mentre apprendevo che era mio dovere innamorarmi di lui, e mentre il calcio si innamorava di lui, mi sono reso conto che lui non era innamorato del calcio.

 

Batistuta racconta che cominciò col calcio perché le squadre scolastiche di basket e pallavolo erano già piene di giocatori più bravi di lui. Il suo primo soprannome fu

, perché era anche piuttosto grasso. Questa, però, non è la storia di una passione tardiva, magari frustrata dalla cattiveria di qualche compagno o dalla cecità di un insegnante insensibile. Né quella di un bambino sudamericano costretto dalla povertà a giocare per strada con un pallone fatto di stracci e qui notato da un mecenate calcistico (la famiglia di Batistuta non era ricca ma neanche poverissima, il padre Osmar fa l’allevatore,

c’è un suo discorso in qualità di presidente della società rurale di

). Né quella di un’epifania liberatoria rispetto a una disciplina autoimposta: «devo studiare legge, non posso fare il calciatore».

 

È uno degli aspetti più indecifrabili di Batistuta se non si vuole credere alla spiegazione più semplice. La spiegazione più semplice è che Batistuta abbia fatto il calciatore come si fa legge: realizzando gradualmente di essere capace, molto capace, a giocare a pallone senza che a questo si accompagnasse una passione vorticosa per il gioco. Per tanti di noi è difficile concepire questa distinzione: quando ci chiediamo «cosa ci piacerebbe fare da grandi» diamo per scontato che ciò che ci piace è ciò in cui siamo bravi. “Talento”, in italiano, vuol dire entrambe le cose (“i peccator carnali / che la ragion sommettono al talento” è la descrizione che Dante fa dei lussuriosi).

 

http://youtu.be/PerOS8-0e-4?t=10m58s

Un vano tentativo di far dire a Batistuta che è innamorato del calcio, che è sempre stata la sua passione. Qualche minuto prima ha raccontato che non aveva mai pensato di fare il calciatore. Gli chiedono: «e poi ti è piaciuto giocare?», «beh, quando capii che potevo sopravvivere di calcio, sì: presi il calcio come un lavoro», che non è esattamente quello che intendeva la domanda. Nel passaggio qui sopra racconta: «giocai a calcio perché all’inizio fu un’entrata economica importante, e successivamente perché mi avrebbe dato la possibilità di vivere tranquillo per tutta la mia vita». L’intervistatore non si dà per vinto e domanda: «e la passione? La passione quando arrivò?» Batistuta risponde quasi senza capire: «beh, la passione venne fuori quando mi resi conto che questo poteva essere il mio lavoro, e quindi ci misi tutto».


 



Questo mese Batistuta ha compiuto 46 anni. Quando arrivò in Italia, nell’estate del 1991, ne aveva 22. A Firenze andò a vivere proprio nella casa che era stata di Roberto Baggio, sostituendolo anche sulle pareti di tante case fiorentine. Non arrivò giovanissimo alla Fiorentina, del resto aveva cominciato tardi a giocare. Entrò in una squadra a sedici anni, ben oltre la scuola calcio; due anni dopo, già diciottenne, venne chiamato nella Primavera del Newell’s Old Boys, che gioca nella

argentina. Per avere un termine di paragone, Lionel Messi - che è anche il secondo marcatore della storia dell’Argentina, dopo Batistuta - fu tesserato per la prima volta a cinque anni, e arrivò al Newell’s Old Boys a otto.

 

Per questo la carriera di Batistuta è stata relativamente breve. Ha cominciato tardi, quando era troppo forte per non giocare, e ha finito presto, quando ha smesso di esserlo. Il suo primo allenatore al Newell’s Old Boys fu Marcelo Bielsa, che è tuttora riverito come uno dei migliori tecnici sudamericani (lo stadio degli Old Boys oggi si chiama “Estadio Marcelo Bielsa”). Batistuta ha smesso già da dieci anni.

 

In diverse interviste Batistuta fa la figura del bravo ragazzo, quasi da libro

, raccontando l’inizio della sua carriera calcistica. La sua priorità è

: «ho sempre avuto paura di fare il calciatore perché avevo paura di non potere studiare». E

: «quando andai al provino con il Newell’s lo feci più per senso del dovere che per un vero desiderio, perché così potevo continuare a studiare, dato che il club aveva promesso di pagarmi gli studî». Sui suoi anni successivi

: «da giovane giocavo tanto per giocare, ora lo faccio anche per divertirmi, ma soprattutto per mandare avanti una squadra. (…) Noi dobbiamo fare del nostro meglio, siamo professionisti, siamo pagati, e quindi dobbiamo impegnarci facendo anche qualche sacrificio se necessario».

 

Batistuta esordì da titolare con il Newell’s Old Boys in una semifinale di Coppa Libertadores, la Coppa Campioni sudamericana. Gli Old Boys erano una squadra che aveva appena vinto il campionato, con giocatori provenienti solo dal proprio vivaio: Batistuta andò a sostituire Abel Balbo, passato a metà competizione al River Plate, che successivamente diventerà suo amico e compagno in diverse squadre. In quella squadra ci sono Sensini e Gerardo Martino, attuale commissario tecnico dell’Argentina. Giocherà anche il ritorno di quella semifinale, facendo gol grazie a una deviazione di un difensore, e le due finali, perse.

 

http://youtu.be/yu5Qp2XocW0?t=18s

Anche in un gol così rocambolesco, di un Batistuta neopromosso in prima squadra, non riesco a non riconoscere quell’eleganza statuaria di Batistuta che si coordina per tirare. La verità è che non so dire se quella cosa lì sia davvero eleganza, perché probabilmente per me “essere elegante” vuol dire essere come Batistuta.


 



Tre mesi dopo Batistuta viene per la prima volta in Italia. Il Newell’s Old Boys lo manda in prestito al Deportivo Italiano, piccola squadra fondata da emigranti italiani in Argentina, per partecipare al Torneo di Viareggio. La sua squadra gioca quattro partite: tre 0-0 e un 4-0. Nel 4-0 Batistuta fa una tripletta che gli basta per diventare capocannoniere del torneo. Durante quel viaggio lo portano per la prima volta in uno stadio italiano: l’Artemio Franchi, quello che per tanti anni diventerà il suo; a vedere Fiorentina-Roma, partita fra le due squadre importanti della sua carriera. Finisce 2-2, con

di Borgonovo, l’attaccante a cui soltanto due anni dopo Batistuta ruberà il posto.

 

https://www.youtube.com/watch?v=eCjAWmHIx4s

Un Fiorentina-Roma 2-2 d’altri tempi, per il modo di giocare, per il dilettantismo del commentatore, per la schiettezza delle interviste. Gli allenatori sono entrambi svedesi, Eriksson e Liedholm. Fa uno strano effetto, guardando il video, immaginare un giovane Batistuta da qualche parte nelle tribune che, ancora ignoto, guarda per la prima volta una partita del calcio italiano. (Ma quanto è più piacevole una cronaca in cui il commentatore non fa finta di stupirsi ed esaltarsi, come fosse in diretta, per azioni che conosce già?).


 

A vederlo sembra ancora molto giovane, molto lontano da quello che arriverà in Serie A di lì a un paio di anni. Vale la pena scorrere qualche foto di quella sua prima esperienza italiana: la prima bisogna scorrerla per davvero, due o tre volte, prima di

nella foto di squadra. Poi c’è lui,

, con un abbozzo di dentoni alla Fonseca e quello stemma italiano sul petto (quanti problemi di coscienza mi avrebbe risolto poter tifare per l’Italia

per Batistuta ai Mondiali). Infine c’è l’

, probabilmente a margine di un Pisa-Napoli all’Arena Garibaldi, in posa da foto-e-autografo con l’idolo di qualunque ragazzo argentino, Diego Armando Maradona. Batistuta racconta che la spinta definitiva a giocare a calcio era stato un poster di Maradona regalatogli da un amico. Sembra la parabola del predestinato: comincia a giocare alla luce di un poster del suo idolo; tre anni dopo, da giovane promessa, lo incontra e ci si fa una foto assieme; tre anni dopo diventa titolare nel campionato in cui Maradona è diventato leggendario; tre anni dopo supera Maradona come massimo marcatore nella storia dell’Argentina. La degna conclusione è ciò che Maradona

qualche anno dopo: «Batistuta è stato il più grande goleador che ho visto in tutta la mia vita».

 



Dopo quella esperienza Batistuta passò a una delle due grandi d’Argentina, il River Plate, dove andò nuovamente a sostituire Balbo, partito per l’Italia. Al River cominciò facendo diversi gol (notevole

), ma la squadra non andava bene. A metà stagione fu eletto un nuovo presidente che diede l’incarico di allenatore a Daniel Passarella. Passarella era stato una bandiera del River Plate, e dopo aver giocato per diversi anni in Italia – prima alla Fiorentina, poi all’Inter – era tornato al River per chiudere la carriera. Si era ritirato da pochi mesi quando fu richiamato per sostituire Merlo e Alonso, la coppia di allenatori che avevano voluto Batistuta: era la sua prima esperienza da allenatore, e Batistuta cominciò subito a non andargli a genio.

 

Passarella

di gran lunga il minor estimatore di Batistuta nel mondo del calcio, anche da commissario tecnico dell’Argentina, finì spesso per non chiamarlo (non lo chiamò per quasi un anno, neppure per la Copa América del ’97: Batistuta era stato due volte capocannoniere e una volta vice-capocannoniere nelle tre edizioni precedenti). Maradona disse che solo grazie a tutto il trambusto che fecero lui e gli altri sostenitori di Batistuta Passarella si arrese a convocarlo per Francia '98, competizione di cui Batistuta fu capocannoniere fino all’eliminazione dell’Argentina ai quarti.

 

Il perché di questa idiosincrasia non è mai stato chiaro. Al tempo si parlò del lato militaresco di Passarella: del fatto che

Batistuta a tagliarsi i capelli per essere convocato in Nazionale (altri tempi, eh?). Di Batistuta, Passarella

che «aveva i piedi quadrati, e una tecnica in tono». È un tema discusso. Molti giocatori ne hanno parlato in termini simili, c’è quasi un filone di ex compagni che parlano del primo allenamento con Batistuta e di come si sono poi ricreduti. Massimo Orlando

come tutta la squadra pensava che Batistuta fosse tecnicamente inadeguato. Anche Brian Laudrup, nel mettere assieme il suo 11 ideale (Batistuta è il centravanti),

: «al mio primo allenamento con lui alla Fiorentina ero in uno stato di shock: era proprio scarso!». Poi anche lui ebbe l’epifania: «qualcuno dello staff mi disse di aspettare che si rimettesse in forma. Lo feci, e scoprii un finalizzatore chirurgico. Era spietato davanti alla porta e forte come un toro. Semplicemente, non gli potevi togliere il pallone».

 

https://www.youtube.com/watch?v=5cMRClXkw24

Fiorentina-Ancona 7-1. Segnano sia Orlando che Laudrup (doppietta). Non segna Batistuta. Il commentatore dice: «Batistuta, superstar all’Olimpico, oggi concede tutta la ribalta ai compagni». Oscar Ruggeri, storico difensore della Nazionale Argentina, racconterà che prima di quella panchina l’allenatore dell’Ancona - Vincenzo Guerini, oggi club manager della Fiorentina - gli aveva detto «tu marca Batistuta» e lui aveva risposto «va bene, però marco solo Batistuta».


 

La verità è che ciò che si è sempre detto di Inzaghi, cioè che avesse dei limiti tecnici notevoli a cui sopperiva con uno strepitoso “senso del gol”, non si è mai potuto dire di Batistuta perché Batistuta aveva un tiro pazzesco (come fai a dire che uno che la mette sotto l’incrocio da 40 metri non ha tecnica?). Però Batistuta non era né un palleggiatore, né un velocista, né un dribblomane: se andava via all’uomo lo faceva di potenza. E il suo tiro portentoso era un’arma anche quando non tirava: Batistuta che finta il tiro è molto più persuasivo degli altri. Batistuta ha le due caratteristiche che un difensore deve temere: sai che

davvero e che non bisogna lasciarlo tirare perché

. Per fare un parallelo con due giocatori di oggi, Guarin è uno che gioca sull’

del proprio tirare in continuazione e spesso riesce a saltare un giocatore a quaranta metri dalla porta fintando il tiro: è Guarin,

. Pirlo ha l’altra caratteristica: al contrario di quanto si crede, non tira molto da fuori (in tutto il campionato dello scorso anno è il 153° giocatore della Serie A, assieme a Sestu (!), per numero di tiri da fuori area: 0,43 a partita. Diamanti, il primo, ne ha 2,53 a partita) però è Pirlo,

farlo tirare, ed è in questo modo che mette spesso a sedere i giocatori avversari. Tutti abbiamo presente il «palla tagliata, messa fuori, c’è Pirlo, Pirlo, ancora Pirlo, Pirlo di tacco» (se ci fate caso, in quell’

Caressa nomina solo Pirlo, e per quattro volte. Non nomina “palla tagliata” Del Piero che batte l’angolo, non nomina “tiro” Grosso che segna). Batistuta aveva entrambe queste componenti: potrebbe tirare da ovunque, e se lo facesse sarebbe pericoloso. In un vecchio

su Robert Pirès, Daniele Manusia distingueva fra i gol di cui ci si chiede “ma come ha fatto?” e quelli di cui ci si chiede “ma come gli è venuto in mente?”. Batistuta era un giocatore che dava una risposta a queste due domande: rispettivamente “è Batistuta” e “sa di essere Batistuta”.

 

https://www.youtube.com/watch?v=AXC88WPwFQU

Su YouTube c’è una serie di video come questo di gente che fa gol spettacolari a Winning Eleven, l’antenato di Pro Evolution Soccer, spesso da dietro centrocampo. Batistuta è il giocatore scelto per questo tipo di tentativi perché è l’unico giocatore del gioco ad avere il massimo (9) in “potenza” e “precisione”, le due caratteristiche legate al tiro.


 



Al mondo c’è un

, fra Real Madrid e Barcellona, e un

, fra River Plate e Boca Juniors. Batistuta, messo fuori squadra in un River Plate che vince il campionato, passò al Boca Juniors. Complice l’inattività dei mesi precedenti, non comincia bene: viene schierato da "numero 7”, sulla fascia destra, e fa solo un paio di gol. Il Boca Juniors arriva soltanto ottavo nel campionato di Apertura, che si disputa per la prima volta. Nel gennaio del '91 l’allenatore del Boca diventa Óscar Wáshington Tabárez. Tabárez mette Batistuta al centro dell’attacco e lui fa 11 gol in 19 partite, diventando capocannoniere del torneo di Clausura, che il Boca Juniors stravince senza sconfitte. Perde però contro gli Old Boys nella finalissima (abolita l’anno dopo), fra le vincitrici dei tornei di Apertura e Clausura. Fino al 2013, quel Boca Juniors sarà l’unica squadra ad aver vinto un campionato argentino senza essere proclamato campione nazionale.

 

Nei fatti, Batistuta vince un campionato senza fare nulla per la squadra, e ne perde uno facendo un sacco di gol ed essendone il giocatore simbolo: la seconda cosa capiterà molto più spesso della prima nel resto della sua carriera che, lui stesso dice, comincia realmente qui. Questa sarà la prima di undici stagioni consecutive in cui Batistuta risulterà il miglior marcatore della propria squadra.

 

https://www.youtube.com/watch?v=p2xk-B9JgAA

Quello che già si riconosce essere l’abbozzo di un gol “alla Batistuta”. Stop al limite dell’area, palla a seguire sull’interno, e pallone sull’angolo opposto. In questa partita, Boca Juniors-Huracán, ne segnò due: anche il secondo non è male.


 

Batistuta conserverà sempre un forte legame con i tifosi del Boca Juniors, che era anche la squadra per cui tifava da bambino. Durante la sua vita da calciatore ha detto spesso che avrebbe chiuso la carriera al Boca e poi si sarebbe ritirato nella tenuta di famiglia. È una risposta particolare quella di dire di non essere interessato a una carriera nel calcio, tanto meno a fare l’allenatore, perché ci sono troppe pressioni. È una risposta tanto inconcepibile che chiunque l’abbia intervistato negli anni gliela ripropone, e ultimamente Batistuta sembra vacillare.

 

Però rimane sempre Batistuta, quando gli parlano di avere qualche incarico di rappresentanza, più d’immagine che effettivamente tecnico,

: «Non vengo a fare qualsiasi cosa, pur di essere nel mondo del calcio». È un fatto raro, sono pochi i giocatori a dire, e praticare, una cosa simile.

 



A giugno di quell’anno Batistuta riceve la prima convocazione. Si gioca un’amichevole Argentina-Brasile in preparazione alla Copa América del ’91. Il CT Alfio Basile lo schiera subito titolare. La settimana successiva Batistuta esordisce in una competizione ufficiale con una doppietta nel 3-0 al Venezuela. Due giorni dopo l’Argentina batte 1-0 il Cile padrone di casa, segna ancora Batistuta. Nella terza partita ne fa un altro. Nel girone finale segnerà nella vittoria contro il Brasile e in quella contro la Colombia. L’Argentina vince la coppa, Batistuta è capocannoniere con 6 gol in 6 partite. Con soli 6 mesi di grande calcio alle spalle, lo compra la Fiorentina.

 

In quella Argentina giocano, oltre a Batistuta, Diego Latorre e Antonio Mohamed. Saranno tutti coinvolti nell’ enorme garbuglio del passaggio di Batistuta alla Fiorentina. Mohamed è un giovane attaccante dell’Huracán, che avrà una carriera anonima. Latorre, numero 10 dall’ottima tecnica e dagli inevitabili paragoni con il Diego più quotato, è il compagno d’attacco di Batistuta al Boca Juniors: è esploso l’anno precedente e la Fiorentina l’ha già acquistato per la stagione a venire. Vittorio Cecchi Gori, allora vicepresidente, racconta di essersi messo a guardare la Copa América per conoscere il prossimo acquisto della sua squadra ed essere invece rimasto folgorato da Batistuta. La Fiorentina, già proprietaria di Latorre, si accorda con il Boca Juniors per avere Batistuta a partire dall’anno successivo e nei giorni della finale di Copa América annuncia l’affare. Ma Cecchi Gori ci ripensa: vuole Batistuta immediatamente. Il Boca, al contrario, non vuole privarsi subito dell’attaccante, perciò si arriva a un accordo ancora più complicato. Il Boca Juniors ottiene: altro denaro, la permanenza di Latorre in prestito, e Mohamed in prestito, comprato dalla Fiorentina e girato al Boca per rimpiazzare Batistuta. La Fiorentina ottiene: soltanto Batistuta.

 


Mohamed, Batistuta e Latorre. Tre giocatori acquistati (e stipendiati) dalla Fiorentina, quell’estate a Firenze arriva solo Batistuta. L’anno dopo Latorre giocherà due partite prima di essere ceduto, Mohamed neanche una. L’affare, nelle battute dei tifosi, diventa noto come “l’1 x 3 di Cecchi Gori”, paghi tre e prendi uno. Quell’uno, però, è Batistuta. Nei primi mesi di campionato, in cui Batistuta non carbura, la confusionaria trattativa sarà spesso oggetto di ironie e critiche spietate: Batistuta è “un nuovo Dertycia”? Conosco un tifoso della Fiorentina che conservava in una sorta di teca un articolo (di Franco Rossi) che definiva Batistuta il «bidone dell’anno, forse del decennio o addirittura del secolo». È divertente pensare che, nonostante tutto, questa si sia rivelata la migliore operazione di mercato della storia della Fiorentina.


 



Anche a Firenze Batistuta ebbe bisogno di un periodo di ambientamento: nel girone d’andata segnò 3 gol in 17 partite, tutti con la Fiorentina già in vantaggio. Poi arrivò Fiorentina-Juve, la partita che ogni tifoso viola aspetta, specie in quegli anni di magre. Dopo 7 minuti Carobbi mette un pallone in area che Batistuta

di testa in rete. È da lì che Batistuta diventa

.

 

Nelle due partite successive fa 5 gol, in tutto il girone di ritorno ne fa 10. Nella classifica marcatori di quell’anno ha davanti: van Basten, Baggio, Baiano e Careca (senza rigori sarebbe secondo). Il terzo di questi raggiungerà

a Firenze, e ne diventerà il compagno d’attacco per quattro stagioni. Inizialmente le gerarchie non sono ben definite: anzi, quando ci sarà da scegliere un nuovo capitano per la Fiorentina, Ranieri sceglierà Baiano e non

. Sarà Baiano stesso, alla fine di quella stagione, a decidere di consegnare la fascia di capitano a

. Fra i due non ci fu mai una vera rivalità, come ha

lo stesso Baiano: «con Bati sono stato intelligente. Ho capito di avere a che fare col più grande centravanti del mondo, e mi sono messo a disposizione».

 

Oltre a Baiano arrivano Effenberg e Laudrup, campioni di livello europeo: la Fiorentina comincia con ambizioni da zona Uefa, ma dopo un buon inizio turbato dall’esonero di Gigi Radice, crolla. Finirà in Serie B.

fa 16 gol, anche stavolta senza rigori sarebbe a 3 gol dal capocannoniere, Signori. Questo, dei calci di rigore non tirati, sarà un tema che tornerà assillante per tutta la sua carriera, con

che perderà diversi titoli di capocannoniere per la scelta di non tirarli. Quando batterà il record di Pascutti, la madre non lo vedrà esultare

«ogni volta che tiro un rigore si chiude in bagno». In realtà, inizialmente

era considerato un tiratore, poi cominciò a sbagliarne talmente tanti - una stagione ne sbagliò 4 di fila - che decise di smettere completamente di tirarli. È un paradosso che un giocatore con una simile abilità balistica, e una freddezza dimostrata in numerose circostanze, fosse così scarso a tirare i rigori. E il paradosso è ancora maggiore perché

è stato un grandissimo tiratore di calci piazzati: soprattutto di

, ma anche di

. Nei momenti di maggiore prolificità

segnava quasi tutte le punizioni che tirava. Era il tempo in cui la curva accompagnava la rincorsa di un calcio di punizione di

con l’ "oooooh” tipico della battuta dei rigori.

 

https://www.youtube.com/watch?v=7Zs19SVWrjk

Quando Batigol cominciò a sbagliare molti rigori, a Firenze si iniziò a ironizzare sulla necessità di lamentarsi con l’arbitro al contrario, in caso di fallo al limite: «era fuori area, fuori area!». L’ironia sul fenomeno si unì a una curiosità sperimentale: «ma se gli fai battere un rigore e gli piazzi la barriera davanti, lui segna perché la considera una punizione, o lo sbaglia perché lo considera un rigore?». Qualche anno dopo, su questa punizione a due in area, arrivò la risposta.


 

La stagione in Serie B è abbastanza in discesa:

salta anche un terzo delle partite, finendo a 16 gol, ma la Fiorentina domina un campionato cadetto pieno di grandi attaccanti. Nei primi dieci posti della classifica cannonieri di quell’anno finiscono: Bierhoff,

, Chiesa, Inzaghi e Vieri. Tutta gente che farà più di 100 gol in Serie A.

 



Nonostante la retrocessione

rimane il centravanti della Nazionale argentina che partecipa alla Copa América del 1993. L’Argentina non domina come due anni prima, ma vince ancora il torneo. La finale è contro il Messico. Finisce 2-1 con doppietta di

, che vince quindi la sua seconda Copa América. Anche durante la stagione in Serie B

rimane titolare nella preparazione al Mondiale di USA '94. L’Argentina ha vinto gli ultimi due Mondiali giocati nel continente americano, ed è molto quotata. Per

è il primo palcoscenico veramente internazionale e il primo Campionato del mondo.

 

Se questa fosse l’altra storia, quella del bambino che ha sempre sognato di giocare un Mondiale e finalmente arriva ad afferrare il proprio sogno, dovremmo parlare dell’emozione, di come regge la pressione, di quanto è difficile presentarsi agli esami che contano. Ma non è quella storia. Per

la pressione non è mai stata un problema, perché reggerla era semplicemente uno dei compiti del mestiere che aveva scelto.

 

https://www.youtube.com/watch?v=aFToKtg3DTE

È la prima partita di Batigol in un Campionato del Mondo, Argentina-Grecia 4-0, con sua tripletta. Uno in contropiede, con una corsa di 40 metri e un tocco in anticipo. Uno “alla Batistuta”: pallone ricevuto al limite dell’area, stop a seguire per il tiro, pallone all’incrocio dei pali. L’ultimo su calcio di rigore. In mezzo c’è l’ultimo gol in Nazionale di Maradona: azione molto bella, scambio nello strettissimo Balbo-Redondo-Maradona-Redondo-Caniggia-Redondo-Maradona, tiro a girare di sinistro, corsa verso il bordo del campo e celebre urlo alla telecamera.


 

L’Argentina vince le prime due partite del girone, ma prima della terza partita Maradona viene trovato positivo all’antidoping e squalificato. Così perde con la Bulgaria e poi agli ottavi con la Romania, venendo eliminata. In questa partita

segna su rigore e finisce il Mondiale con 4 gol. Quello che sembrava essere cominciato come il Mondiale di

e dell’Argentina finisce per essere ricordato come la grande occasione mancata: in Argentina sono ancora tutti convinti che senza la squalifica di Maradona quella squadra avrebbe vinto il Mondiale. Anche

“non ha dubbî” però, e qui c’è molto di lui,

a “usarla come scusa per la sconfitta”. Qualunque aspetto autoassolutorio, anche se considerato reale, deve essere escluso: è un tratto, quello della schiettezza e della mancata ricerca di alibi, che si nota fin dalle

.

 



La stagione successiva al Mondiale è quella della consacrazione di

, per lo meno da un punto di vista personale. A Firenze arriva Rui Costa, che per tanti anni sarà il suggeritore di

, e la Fiorentina comincia bene, perdendo una sola volta nelle prime undici partite. In ciascuna di queste partite

riesce a segnare almeno un gol, battendo il record di gol consecutivi che Ezio Pascutti deteneva dai

della televisione in bianco e nero. Nel girone di ritorno, però, la Fiorentina cala e finisce decima.

conclude il campionato a 26 reti, è capocannoniere della Serie A. La stagione termina con la Copa América del ’95 in cui l’Argentina viene eliminata ai quarti di finale,

è comunque il capocannoniere della competizione.

 

https://www.youtube.com/watch?v=cgtxbbJrJT4

Lacrime 1. Batistuta eguaglia il record di Pascutti, va verso la bandierina per esultare alla sua maniera, ma finisce per inginocchiarsi e piangere. La domenica successiva supererà il record. È tuttora imbattuto.


 

È probabilmente questo il momento in cui

è costretto a misurarsi con i mezzi eccezionali che ha: le sue qualità calcistiche non sono soltanto sufficienti a renderlo economicamente indipendente o a vivere una vita agiata; può aspirare a essere uno dei giocatori più forti del mondo. È qui che si genera una tensione fra ciò che gli dice il campo - che ce ne sono pochi come lui - e quello che dice la testa, che non si lascia mai andare. Quando, per la centesima presenza in Serie A, i tifosi della Fiorentina porteranno allo stadio una statua che lo raffigura, si

estremamente sorpreso, quasi caricato della necessità di sdebitarsi (e segnerà una doppietta).

 

non si è mai

il miglio

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