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Federico Sborchia
Top XI: Premier League 2022/23
02 giu 2023
02 giu 2023
I migliori giocatori del campionato inglese, scelti ruolo per ruolo.
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Federico Sborchia
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IMAGO / PA Images
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La Premier League 2022/23 è stata una delle più insolite egli ultimi anni. Lo è stata perché sono crollate non una ma ben tre delle big six: lo ha fatto il Liverpool, che ha chiuso fuori dalle prime quattro, il Tottenham che, nonostante i 30 gol di Kane, non giocherà in Europa la prossima stagione e, più di tutti, il Chelsea, che ha chiuso dodicesimo, con due allenatori licenziati e il peggior risultato della sua storia in Premier League. A prendere il posto del Liverpool nella lotta per il titolo è stato un Arsenal brillante come non mai, guidato da Mikel Arteta e con una delle squadre più giovani e divertenti del panorama europeo. Non meno sorprendente è stata la stagione del Newcastle, arrivato al quarto posto grazie a un lavoro fantastico di Eddie Howe e a investimenti incredibilmente intelligenti sul mercato e diventato la prima squadra fuori dalle big six a qualificarsi in Champions League dai tempi del Leicester nel 2016. Proprio il Leicester ha visto la sua stagione naufragare in modo spettacolare, chiudendo con una triste retrocessione dopo una lotta salvezza tiratissima e che, a tratti, ha coinvolto quasi 10 squadre. Ci sono state anche grandi sorprese, come il sesto posto del Brighton di De Zerbi e l’incredibile rimonta dell’Aston Villa, che Unai Emery ha preso in zona retrocessione e ha trascinato fino alla qualificazione in Conference League. Non meno sorprendenti sono state le salvezze delle tre neopromosse – per la prima volta dalla stagione 2001-02 – ma anche i quattordici allenatori esonerati, che hanno resto questa la stagione peggiore della storia della Premier in questo senso. Questa stagione ha cambiato molto della geografia della Premier League ma, con poca sorpresa, non ha visto cambiare il vincitore. Per la terza volta di fila e la quinta negli ultimi sei anni, ha vinto il Manchester City, con una rimonta straordinaria da -8 sull’Arsenal e segnata da 12 vittorie consecutive tra febbraio e maggio. Inevitabilmente, in un campionato che ha espresso due dominatrici assolute – Manchester City, appunto, e Arsenal – una Top XI avrebbe dovuto raccogliere molti dei loro giocatori. Per premiare la varietà, però, abbiamo deciso di non inserirne più di due per squadra. Come modulo abbiamo scelto il 4-3-3, anche quest’anno il più rappresentato – nelle sue declinazioni – tra le prime della classifica. Portiere: Alisson (Liverpool) Per la prima volta in sette anni, il Liverpool non chiuderà tra le prime quattro in Premier League. La squadra di Klopp ha avuto molte criticità – tra infortuni e scelte sbagliate sul mercato – ma, soprattutto in difesa, ha dato l’impressione di essere drammaticamente a fine ciclo. In un contesto del genere, Alisson si è visto molto più coinvolto ed è tornato a doversi caricare molte più responsabilità. Rispetto alla scorsa stagione, il Liverpool ha concesso 23 expected goals in più e, nonostante questo, Alisson ha mantenuto la porta inviolata per 14 volte, peggio del solo De Gea. Generalmente, da chi ottiene così tanti clean sheets ci si aspetta un numero di parate abbastanza contenuto; il portiere del Liverpool, invece, è quarto in Premier League per parate effettuate – il dato più alto tra le prime sette in classifica – e, soprattutto, ha fatto registrare un differenziale tra post-shot expected goals e gol subiti – che ci offre un dato ideale dei gol prevenuti – di 8.1, che rendono questa la miglior stagione della sua carriera a cinque anni dall’ultima volta che lo si era visto così coinvolto tra i pali. E, in effetti, abbiamo rivisto un Alisson più simile alla versione quasi eroica della sua ultima stagione a Roma, capace di parare con qualsiasi parte del corpo e con una rapidità che sembra confliggere con il suo fisico, sempre più massiccio e apparentemente rigido con gli anni. Se la stagione del Liverpool non è totalmente naufragata come quelle di Chelsea e Tottenham molto del merito va al suo portiere.

Nella sua stagione c’è stato spazio anche per un assist contro il Manchester City.

Terzino destro: Kieran Trippier (Newcastle) Nonostante la Premier League ospiti molti dei migliori esterni destri del panorama europeo, la presenza di Kieran Trippier in questo ruolo non è mai realmente stata contestata, né dai big come Alexander-Arnold e James, né da sorprese come Ben White o Diogo Dalot. E, in effetti, la stagione di Trippier è stata semplicemente straordinaria. Lo è stata per la sua capacità di far uscire brillantemente il pallone – è quarto per passaggi progressivi in Premier League, il primo tra i difensori – con lanci in verticale e in diagonale ma, soprattutto, per la sua capacità di creare occasioni. Trippier è al secondo posto in Premier League per expected assists (11.8) e passaggi chiave (110) dietro, rispettivamente, a De Bruyne e Bruno Fernandes, prendendo possesso del mezzo spazio con un’efficacia straordinaria. Ha offerto solo sette assist ma su questo dato ha evidentemente influito una fase di finalizzazione non proprio brillante da parte dei suoi compagni. A questo ha aggiunto anche una stagione positiva sul piano difensivo, in cui la sua aggressività ha aiutato molto il sistema di pressing del Newcastle, e, soprattutto, una presenza caratteriale formidabile. Pur non essendo formalmente il capitano, Trippier ha avuto quasi sempre la fascia in campo e ha mostrato una grande leadership, facendosi spesso sentire da arbitri e avversari. Se il Newcastle, dopo appena diciotto mesi dal cambio di proprietà, è già tornato in Champions League lo deve anche e soprattutto a Kieran Trippier che, per sua stessa ammissione, sta probabilmente giocando il miglior calcio della sua carriera. Centrale destro: Lewis Dunk (Brighton) Lewis Dunk è stato un esempio di continua e costante evoluzione: è arrivato in Premier come il classico difensore inglese grosso e disposto a tutto per impedire i gol e in cinque anni si è raffinato sempre più, fino a diventare uno dei centrali più eleganti in possesso dell’intero campionato. L’arrivo di De Zerbi a Brighton non ha fatto altro che esaltare le qualità di Dunk con il pallone, rendendolo il giocatore con più passaggi riusciti in Premier League e migliorandone anche le sue esecuzioni sia sul corto che sul lungo. Che il rapporto tra De Zerbi e Dunk potesse funzionare era abbastanza scontato: Dunk ha mostrato continuamente di essere un difensore brillante a manipolare la pressione, ad attrarla e giocarci attraverso. Ha mostrato di saperlo fare con passaggi taglia-linee; conduzioni incredibilmente eleganti o con lanci lunghi pesati alla perfezione per trovare i tagli alle spalle delle difese avversarie. Ne hanno beneficiato spesso gli esterni: Mitoma quando Dunk ha giocato a destra della coppia centrale e March quando ha giocato a sinistra. Il senso della stagione di Dunk si trova anche in questo: ha saputo cambiare tranquillamente lato di campo senza soluzione di continuità e senza che le sue prestazioni ne risentissero. Chiaramente, Dunk è anche il capitano di questo Brighton e tutti i suoi compagni gli riconoscono delle doti di leadership eccezionali e un atteggiamento impeccabile: Adam Webster, suo compagno di reparto, ha detto di ispirarsi a lui sin da quando erano avversari in Championship. In estate diventerà anche il primo capitano del Brighton a guidare la squadra in una partita europea; un riconoscimento meritato per tutto ciò che Dunk ha rappresentato in questi anni. Centrale sinistro: Ben Mee (Brentford) Per undici anni, il nome di Ben Mee è rimasto indissolubilmente legato a quello del Burnley, di cui era stato difensore, a lungo capitano e, per un paio di mesi, addirittura allenatore. La retrocessione lo ha portato via dal club che lo ha cresciuto, facendolo arrivare al Brentford, dove ha giocato forse il miglior calcio della sua carriera. Il Brentford, in effetti, per lui era forse la squadra ideale in cui inserirsi: in un’intervista a Sky ha detto di essersi trovato subito bene, sottolineando come abbia avuto la possibilità di cercare di più i duelli con gli avversarsi, difendere più aggressivo e non dover rimanere costantemente in area. In effetti, la gestione dei duelli è sempre stata il punto di forza di Mee e non è un caso che il suo inserimento in una squadra molto orientata ai duelli come quella di Thomas Frank sia stato così immediato. Il rapporto tra Mee e il suo club è stato di reciproco miglioramento: Frank gli ha messo a disposizione un sistema che valorizzasse il suo gioco al meglio – addirittura facendolo migliorare con il pallone tra i piedi – e Mee lo ha sfruttato al meglio, aggiungendo qualità a un reparto largamente costruito da giocatori più da Championship che non da Premier League. Inoltre, l’esperienza e la leadership dell’ex Burnley sono state fondamentali: il modo in cui ha saputo guidare la difesa del Brentford ha aiutato a far salire il livello dei suoi compagni di reparto – Pinnock su tutti – e ha dato a Frank una squadra più solida difensivamente, consentendogli anche di variare dalla sua tradizionale difesa a tre e arricchire la presenza offensiva con giocatori prima di quest’anno poco sfruttati, tra cui l’ex Sampdoria Mikkel Damsgaard. L’acquisto di Ben Mee è stato l’ennesimo successo della direzione sportiva del Brentford: la sua capacità di migliorare la squadra sia sul piano tecnico che caratteriale si è mostrata decisiva per trasformare definitivamente questo club in un club di Premier League.

In un’intervista ha anche spiegato come è riuscito a fermare Haaland.

Terzino sinistro: Nathan Aké (Manchester City) Nathan Aké è stato uno dei simboli dell’evoluzione del City di Guardiola dopo l’inserimento di Guardiola. A inizio stagione era partito come centrale sinistro della difesa a quattro ma l’eccessivo sbilanciamento del City ha spinto Guardiola a riformulare la sua posizione. Ora Aké è, nominalmente, il terzino sinistro del Manchester City, nonostante la sua posizione bloccata lo faccia rimanere spesso in linea con Ruben Dias e Akanji. L’uso di Aké come terzino non è proprio un inedito, lo aveva fatto anche in gioventù tra Chelsea e Watford, ma le sue qualità si prestano perfettamente alle richieste di Guardiola. Aké è un passatore fantastico: riesce a giocare il pallone con una tranquillità fuori dal comune e a farlo in modo pulito ed elegante, non sbagliando quasi mai – è, ovviamente, tra i difensori che tentano e completano più passaggi e tra quelli che fanno progredire di più il pallone. L'olandese è perfettamente complementare agli attaccanti del Manchester City: giocando in posizioni così aperte può usare il suo sinistro come una macchina spara-palloni per cercare gli isolamenti di Mahrez – o, talvolta, Bernardo – a destra o addirittura per imbeccare le corse di Haaland in profondità. L’unicità di Aké, però, sta nel fatto che, oltre alle sue qualità tecniche, ha una rapidità di passo non indifferente per uno con la sua struttura fisica e ciò gli consente di sostenere senza problemi i duelli individuali anche con esterni di altissimo livello – Saka, per esempio, ne ha fatto le spese in coppa di Lega a fine gennaio. Dopo la cessione di Cancelo nel mercato invernale, Pep Guardiola ha detto che il City non può giocare bene senza Aké in campo, questi mesi non hanno fatto altro che dargli ragione. Mediano: Bruno Guimaraes (Newcastle) L’acquisto di Bruno Guimaraes nel gennaio 2022 è stato forse il primo grande statement della proprietà saudita del Newcastle. Il suo è stato un acquisto pesante ma che ha reso praticamente da subito, eseguendo alla perfezione quello che Eddie Howe si aspettava da lui. Bruno Guimaraes è, in effetti, un giocatore perfetto per il sistema di Howe: la sua intensità e la sua aggressività lo rendono un fuoriclasse nel recupero del pallone e, abbinate alla presenza di altri formidabili pressatori come Joelinton, rendono il Newcastle una delle squadre più difficili da affrontare sotto questo aspetto. Quello che più colpisce del gioco di Bruno, tuttavia, è soprattutto la sua completezza: è un centrocampista che, oltre a saper portare benissimo la pressione, riesce a resistervi altrettanto bene e ha i mezzi, sia fisici che tecnici che atletici per farlo nei modi più disparati. Le sue conduzioni sono un mix continuo di falcate potenti e tocchi raffinati e la sua struttura fisica lo rende perfettamente in grado di sostenere i duelli con gli avversari. Alle sue qualità, Bruno aggiunge una grande intelligenza: sa scegliere sempre bene come muoversi e come gestire il pallone. Nel suo bagaglio ha giocate minimali e conservative ma anche una visione non banale, che lo rende capace di incidere anche con passaggi risolutivi negli ultimi metri. In un’intervista, qualche anno fa, si è definito un giocatore che “porta il pianoforte” ma a Newcastle ha mostrato, con 4 gol e 5 assist, anche di saperlo suonare.

Contro il Brentford ha disputato forse la sua partita più completa da quando è a Newcastle.

Mezzala destra: Martin Ødegaard (Arsenal) La presenza di Kevin De Bruyne e Martin Ødegaard nello stesso ruolo rendeva questo uno dei punti più difficili nella costruzione di questa Top XI. Alla fine, la scelta, agevolata dai paletti iniziali, è ricaduta su Martin Ødegaard, sia per la brillantezza della sua stagione sia per quanto ha rappresentato, come capitano e miglior giocatore, nella sfortunata corsa al titolo dell’Arsenal. La stagione di Martin Ødegaard si può leggere in tanti modi. Partendo dal più banale: i 15 gol e 7 assist in 36 partite rendono il norvegese il centrocampista con più gol segnati nei principali campionati europei. Sempre in Europa è tra i primi centrocampisti per tocchi nel terzo finale di campo e nell’area avversaria, ma anche per passaggi progressivi e conduzioni progressive. Tuttavia, il senso di Ødegaard in campo non si legge tanto nei numeri quanto nel modo in cui riesce a combinare continuamente con i suoi compagni in tante zone del campo, che sia affiancandosi a Thomas Partey per offrire appoggi; associandosi con Saka e White sulla destra o, addirittura, dettando in prima persona i movimenti per concludere l’azione – in quest’ultimo caso ne ha fatto le spese soprattutto il Chelsea a inizio maggio. Come se non bastasse, Ødegaard è anche un giocatore che imprime la sua presenza anche senza palla sia quando deve contribuire in fase di non possesso – è il giocatore con più recuperi nel terzo finale in Europa – che quando può ordinare i movimenti dei suoi compagni, un po’ come De Bruyne nel Manchester City. Quando ancora non si affrontavano regolarmente, Haaland lo ha definito un giocatore che trasmette ai compagni la sensazione che tutto vada al suo posto. Nei fatti, Ødegaard ha rimesso a posto anche l’Arsenal, facendolo tornare a competere per il titolo dopo quindici anni – e in Champions League dopo sette – grazie a una stagione fenomenale.

Mezzala sinistra: Jacob Ramsey (Aston Villa) A settembre 2022 Steven Gerrard ha detto di voler costruire l’Aston Villa intorno a Jacob Ramsey. Da allora sono passati quasi nove mesi, Gerrard è stato licenziato; l'Aston Villa è tornato in Europa dopo anni e Jacob Ramsey ne è, effettivamente, diventato un uomo chiave. Ramsey ha tutte le caratteristiche di un box-to-box britannico: sa muoversi benissimo senza palla e che sa attaccare bene l’area – ha segnato 6 gol, meno solo di Watkins nell'Aston Villa – ma ha anche tante qualità a tutte le altezze del campo. Per esempio, è un eccellente portatore di palla – è tra i primi centrocampisti per conduzioni progressive – soprattutto grazie alla sua capacità di gestire i duelli fisici con gli avversari. Da un giocatore dal fisico abbastanza esile come Ramsey non ci si aspetterebbe una grande resistenza nei duelli, lui però riesce a piantarsi molto a terra e a proteggere il pallone, sfruttando poi la sua leggerezza e la sua falcata per girarsi e prendere velocità. Come tutti i box-to-box che si rispettino, Ramsey calcia molto bene: ha trovato gol quasi esclusivamente in area ma molti dei suoi 7 assist sono originati proprio dalla sua capacità di prepararsi tiri e passaggi molto rapidamente anche in spazi stretti. È oggettivamente difficile individuare una qualità dominante nel gioco di Ramsey perché, pur senza avere picchi di brillantezza ancora così sfolgoranti, effettivamente è molto efficace in tutto quello che fa. Anche grazie a delle buone qualità di lettura del gioco e degli spazi lo si vede muoversi sempre bene e fare quasi sempre le scelte giuste. È anche discretamente intenso, con una buona abnegazione in pressione e nei raddoppi sulla sinistra. Capire dove potrà andare il talento di Jacob Ramsey è difficile; sicuramente giocare in Europa lo aiuterà a maturare ulteriormente ma, già ora, la qualità che riesce a offrire in campo giustifica pienamente le parole di Gerrard di inizio stagione.

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Esterno destro: Bukayo Saka (Arsenal) La grande stagione di Ødegaard nell’Arsenal fa il paio con quella di Bukayo Saka, che il club ha premiato come giocatore dell’anno e che, come il norvegese, è stato candidato come miglior giocatore e miglior giovane della stagione di Premier League. Bukayo Saka è un giocatore dal talento incredibilmente sfaccettato: ha una rapidità di passo fuori dal comune e una tecnica raffinatissima ma, più di tutto, i suoi allenatori – sin dalle giovanili – gli hanno riconosciuto un’intelligenza straordinaria nelle scelte. Andando a vedere le sue partite, si nota come Saka sia sempre in movimento, cercando di attaccare costantemente la linea avversaria, ma anche capace di creare superiorità ricevendo sui piedi e dovendo accelerare in pochi passi. Saka, però, è veramente un giocatore intelligente: in campo sa che può essere decisivo ma sa anche quando non può esserlo e deve affidarsi alle giocate dei suoi compagni. È anche per questo motivo che il triangolo con Ødegaard e White è stato così efficace in tutti i suoi componenti. Inoltre, Saka è stato brutalmente efficace anche negli ultimi metri: ha chiuso la stagione in doppia cifra sia di gol (14) che di assist (11), mostrando un’incredibile varietà di colpi. Nelle sue giocate si vede tanto delle sue qualità tecniche e atletiche – col suo sinistro sa alternare soluzioni incredibilmente potenti ma anche incredibilmente eleganti – ma, soprattutto, tanto delle sue letture: Saka è un formidabile esecutore di giocate ma, prima ancora, è uno straordinario pensatore. Il premio che l’Arsenal gli ha dato – il secondo in due anni – testimonia chiaramente la sua importanza nella squadra di Arteta e, soprattutto, la sua appartenenza all’élite della Premier League.

Esterno sinistro: Marcus Rashford (Manchester United) Marcus Rashford è stato, probabilmente, il comeback player of the year di questa Premier League: quel giocatore capace di tornare ai massimi livelli dopo un anno che è stato incredibilmente difficile per le storture interne al Manchester United, aggravate dalla presenza di Cristiano Ronaldo. Ad aver riportato Rashford ai livelli più consoni è stato senza dubbio il lavoro fatto da ten Hag nel renderlo il vero finalizzatore del Manchester United. Rashford, in questo senso, è stato alleggerito da molti compiti in possesso, diventando il terminale offensivo della squadra. In questa stagione, Rashford ha toccato meno palloni che in tutte quelle precedenti ma lo ha fatto molto di più in area con, in particolare, il mezzo spazio sinistro a fargli da comfort zone per segnare e offrire assist. Nel ritorno di Rashford, però, c’è anche tanto lavoro: l’ex attaccante Benni McCarthy, che ora è uno dei collaboratori di ten Hag, lo ha spinto a migliorare i suoi movimenti senza palla, rendendo più continua ed efficace la sua presenza in area anche non partendo da posizioni centrali come fatto a inizio stagione. In questa Premier League Rashford ha segnato 16 gol e considerando anche le coppe è arrivato quasi a 30, battendo tutti i suoi record personali e venendo candidato al premio di miglior giocatore dalla Premier League. A ogni gol esulta indicandosi la testa, una forma di autocelebrazione che ricorda a tutti il grande lavoro, anche psicologico, che ha fatto per tornare a essere un grande attaccante.

Centravanti: Erling Haaland (Manchester City) A inizio stagione Erling Haaland è stato accolto in Premier League con il tradizionale hype che si riserva ai fuoriclasse ma anche con quel vago snobismo che accompagna i fuoriclasse che vengono dall’estero – la famosa Bundesliga Tax che ha reso difficile l’inserimento, per esempio, di Werner e Havertz. Non bisogna neanche dire che la realtà ha di fatto cancellato qualsiasi dubbio possibile. Haaland si è abbattuto sulla Premier League come nessun attaccante aveva mai fatto prima di lui. Parlare dei suoi assurdi numeri – 36 gol in 35 partite in Premier, meglio di chiunque altro negli ultimi 30 anni – è addirittura riduttivo. Per tutta la stagione, Haaland è stato soprattutto un senso di paura per gli avversari. Il suo cervello sembra anticipare la realtà di qualche secondo: tanto che, quando il pallone arriva dentro l’area, è praticamente certo che, prima o poi, incroci la sua corsa con quella di Haaland. Non ha quasi mai avuto bisogno di trovare soluzioni difficili: i suoi gol sono costruiti in modo totalmente razionale, grazie al suo modo di comparire dove è necessario come se potesse muoversi in una dimensione inesplorabile per i suoi avversari. Il suo peso in campo è stato talmente travolgente che oggi il City è una squadra più verticale e meno iper-collettivizzata degli scorsi anni; quasi trasformata in un sistema di esecutori, concentrati a far rendere al meglio il proprio centravanti. Haaland ha già vinto tutti i premi individuali possibili ma, più di tutto, è stato il primo giocatore capace di ridisegnare l’identità del Manchester City in un modo così radicale. Questo, forse, è il singolo segno che ci restituisce pienamente la grandezza della sua stagione.

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