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Gian Marco Porcellini
Luca Toni, pepperoni, numero uno
29 lug 2020
29 lug 2020
Ricordo della stagione in cui divenne il primo italiano a vincere la Scarpa d'oro.
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Gian Marco Porcellini
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Com'è noto, la Scarpa d’Oro è un trofeo assegnato dall’European Sports Media, un'associazione europea di pubblicazioni sul calcio, assegnato al miglior marcatore in Europa fin dal 1968. Dal 1996/97 non viene più preso in esame solo il semplice numero di gol: il dato viene infatti moltiplicato per un coefficiente di difficoltà pari a 2 per i primi 5 campionati del ranking UEFA (cioè Liga, Bundesliga, Premier League, Serie A e Ligue 1), 1,5 per i campionati dal 6° al 22° posto e 1 per tutti gli altri.


 

Il primo giocatore italiano in assoluto a conquistare questo riconoscimento è stato Luca Toni, che nel 2005/06 ha totalizzato 31 gol e quindi, ai fini della classifica per la Scarpa d'oro, 62 punti. Un’annata incredibile per il centravanti della Fiorentina, probabilmente la migliore della sua carriera, che gli ha consentito di uscire dalla dimensione del bomber di provincia e consacrarsi a 29 anni come un profilo di caratura internazionale. Ciò che adesso ci sembra naturale alla luce della sua carriera successiva, allora era in realtà impronosticabile: Toni stava sì attraversando una fase ascendente della sua carriera, ma era difficile aspettarsi un salto in alto così repentino a quell'età.


 

L’arrivo alla Fiorentina


Nell’estate del 2005 Luca Toni ha infatti già 28 anni e viene da 50 gol in due campionati con il Palermo, 30 in B, poi 20 in A. L’anno precedente ha esordito in Nazionale, trovando la rete alla sua seconda presenza, dopo appena 11 minuti dal suo ingresso in campo. Un gol fondamentale per battere la Norvegia per 2-1 in una partita valida per le qualificazioni ai Mondiali del 2006. In realtà, però, rimane sempre un po' ai margini della Nazionale, giocando titolare solo nelle amichevoli. Certo, è un candidato credibile per la spedizione azzurra ai Mondiali del 2006, ma in quel momento sembra utopistico considerarlo un titolare.


 

Secondo i giornali, Toni in quell'estate cerca di strappare al Palermo aumento di ingaggio senza successo, probabilmente perché il DS Rino Foschi non crede sia in grado di ripetersi un altro anno, ma forse alla base della sua irrequietezza c'è anche la volontà di avvicinarsi alla sua Pavullo, un comune in provincia di Modena. La società di Zamparini, comunque, sembra già dell'idea di doverlo sostituire: mentre fissa a 15 milioni il prezzo dell’attaccante emiliano, tratta i più giovani Caracciolo e Makinwa, che dovrebbero sostituirlo in seguito. Alla fine il club rosanero dovrà accontentarsi degli 11 milioni scarsi della Fiorentina (a conferma di quanto nel campionato italiano in Toni ci credessero in pochi) mentre Toni verrà marchiato a fuoco per la sua scelta da una parte del tifo palermitano, che non gli risparmierà una valanga di fischi al ritorno al Barbera.


 

Il passaggio alla Fiorentina, poi, non è del tutto un salto di carriera. Certo, Toni rappresenta la punta di diamante di un progetto ambizioso che comprende, tra gli altri, gli arrivi di Frey, Fiore e Prandelli in panchina, ma nella stagione precedente, la prima in A dopo il fallimento del 2002, la squadra dei Della Valle si è salvata a fatica. Anche per questo la rosa viene rivoluzionata, mantenendo soltanto 5 titolari della stagione precedente: e cioè Dainelli e Ujfalusi in difesa, Jorgensen a centrocampo e Pazzini e Bojinov in attacco. Questi ultimi si alterneranno al fianco di Toni, l'unico punto fisso in attacco, che infatti sarà titolare in tutte e 38 le partite e verrà sostituito soltanto in 7 occasioni.


 

Già da questo dato si intuisce la centralità dell'attaccante modenese nel 4-4-2 di Prandelli: il numero 30 è il fulcro di una fase offensiva basata principalmente sui lanci lunghi per le punte, abili a favorire la risalita della palla e a combinare tra loro. Gli attaccanti sanno dialogare e spartirsi gli spazi, mostrando buona mobilità e dinamismo. Lo stesso Toni riceve spesso in posizione decentrata, isolandosi con il centrale, con l'obiettivo di portarlo fuori posizione. 


 


L’azione che porta al gol di Toni contro il Cagliari: Pazzini svuota l’area e Toni, imbeccato da Fiore, attacca lo spazio liberato dal compagno.    


 

Le punte si connettono a loro volta con gli esterni, cioè Fiore a destra e Jorgensen a sinistra, i due fantasisti da 13 gol complessivi chiamati a creare superiorità numerica e occupare la zona centrale del campo per rifinire l’azione o liberare la fascia alle sovrapposizioni dei terzini, Ujfalusi a destra e Pasqual a sinistra. La Fiorentina di Prandelli sovraccarica le catene laterali allo scopo di esaltare i propri esterni, in particolare un grande crossatore come Pasqual (che avrà forse la sua miglior stagione di sempre), ma soprattutto le caratteristiche degli attaccanti. Nel mercato di gennaio arriverà infatti anche Jimenez per rinforzare ulteriormente il reparto, ma il cileno non diventerà un titolare inamovibile, inserendosi nelle rotazioni con Pazzini e Bojinov.


 

I 31 gol


Toni parte subito a razzo: segna in 11 delle prime 13 giornate, realizzando 16 gol. La sua prolificità impressiona almeno quanto la sua profondità di repertorio. Il numero 30 segna infatti in tutti i modi: di destro, di sinistro e di testa. La sua fisicità sembra fuori scala rispetto alla Serie A. Non parlo solo dell'altezza, o della forza - il campionato italiano era più che abituato a prime punte forti fisicamente - il fatto è che Toni utilizzava il corpo in maniera unica. Nonostante fosse il giocatore di movimento più alto del campionato con i suoi 196 centimetri, infatti, Toni aveva una capacità unica di proteggere palla e aprirsi il campo in spazi congestionati, unita a una mobilità sorprendente per una persona con quel fisico. La somma di queste caratteristiche l'ha reso un glitch irrisolvibile per le difese avversarie, alla pari degli altri grandi attaccanti del campionato italiano, come Ibrahimovic, Shevchenko e Adriano.


 

Per Prandelli costituisce quindi una facile scorciatoia attraverso cui risalire il campo. Nei casi in cui non sbagliava il primo controllo, l'attaccante viola non giocava solo di sponda ma riusciva anche a girarsi con l’uomo vicino, che sfruttava per fare perno, per puntare da solo l'area avversaria. Tutto questo ovviamente con il suo stile, e cioè nella maniera più scomposta e sgraziata possibile - ingobbendosi sulla palla, sbracciando e allargando la gamba dal lato in cui voleva andare (o in alternativa toccandola con l’esterno) per guadagnare spazio. Fisicamente Toni era talmente dominante che a un certo punto i difensori avversari hanno smesso di provare a contendergli palla, limitandosi a temporeggiare per non essere superati. 



Una delle migliori azioni del suo campionato. Da notare la velocità di esecuzione dei suoi gesti.


 

Toni era anche abile a sfruttare le zone grigie del regolamento, accendendo diverse polemiche. Alla quarta giornata sigla una doppietta all’Udinese di notevole fattura - soprattutto il primo gol, in cui protegge la palla con il corpo, la fa sfilare tra le gambe mandando a vuoto Zenoni e di sinistro la incrocia sotto la traversa – e a fine gara il tecnico bianconero Serse Cosmi si lamenta: «Gli arbitri devono studiarlo e fischiargli qualche fallo in più (...) su questo campo due allenatori sono stati espulsi per lo stesso motivo (lui e Novellino, allontanato alla prima giornata in un Fiorentina-Samp 2-1, ndr)». L’attaccante però ribalta completamente la prospettiva: «Credo che se gli arbitri mi studiassero bene capirebbero che sono più i falli che subisco di quelli che faccio».


 

È un tema che si continua a dibattere per tutta la stagione. Alla fine del 2005 Toni incappa in una serie di 5 gare senza gol e dopo l’1-1 in casa della Reggina Prandelli rilancia la questione, chiedendo maggior tutela per il suo giocatore. «I difensori avversari cadono anche solo avvertendo la sua presenza. Luca ha grande prestanza fisica e sa difendere molto bene la palla, ma non bisogna sistematicamente fischiargli fallo contro. In questo modo andiamo in seria difficoltà. Luca non è solo il terminale offensivo, ci serve per costruire il gioco. Ogni volta che lo chiamiamo in causa però l’arbitro interrompe l’azione». In ogni caso, la furbizia nell'utilizzo del corpo da parte di Toni era tale che in realtà il confine tra i falli fatti e quelli subiti era praticamente inesistente.


 

Quando prende posizione sulle palle alte o decide di attaccare un determinato spazio è quasi impossibile contrastarlo, un po’ come Gulliver in mezzo a tanti lillipuziani che provano a contendergli palla. Toni sembra sproporzionato rispetto agli avversari, ma anche rispetto a un campo da calcio: l’area sembra uno spazio troppo angusto per lui e si muove nello stretto spostando i difensori come una persona che si fa largo tra la folla per non perdere un autobus che sta per partire. Anche il pallone è troppo piccolo: a giudicare dalla fatica con cui lo guida (lo sguardo è spesso basso per non perdere il contatto visivo) l’impressione è che provi a domare una pallina da tennis più che un pallone da calcio, e che sia costretto a rincorrerlo dopo ogni tocco.


 

Forse è per questo che negli stop e nella conduzione può commettere errori grossolani - anche perché di base è a disagio nel gestire la palla, soprattutto lontano dall’area - però in quel 2005/06 in cui tutto gli gira bene anche gli errori si trasformano a volte in un’opportunità per un compagno. Erano proprio le imperfezioni tecniche di Toni a renderlo così imprevedibile da leggere, dato che a ogni tocco di palla poteva inventare un’azione irreale come incespicare malamente.


 

Il contenuto prima della forma


In quell’annata, insomma, riesce a piegare la realtà alla propria volontà in qualsiasi modo, tanto che a fine 2005 la sua convocazione ai Mondiali dell’anno seguente non è più in discussione (anche perché da settembre è diventato titolare in pianta stabile). In quel periodo la Gazzetta dello Sport parla addirittura di una cospicua offerta del Barcellona, che vorrebbe offrirgli il doppio dell'ingaggio percepito in Toscana. Un trasferimento che sarebbe stato epocale per un club come quello catalano, così storicamente affezionato al talento tecnico. Toni, di certo, non era un giocatore elegante, e anzi spesso sembrava inciampare sugli avversari - e non è un caso che a Roma lo chiamavano l’intruppone. Per Toni, insomma, il contenuto tecnico sembra inversamente proporzionale alla forma.


 

Prendiamo per esempio questa semirovesciata alla Reggina: Toni esegue un gesto atletico notevole, ma impatta la palla con la caviglia. In questo goffo colpo di tacco al Torino con il destro, invece, la palla sbatte sulla gamba sinistra (e senza quella deviazione fortuita non sarebbe entrata). Persino il gol più bello del suo campionato è preceduto da una preparazione macchinosa: riceve palla sul centro-sinistra, si libera di Zanchi e D’Agostino grazie a un’efficace sterzata sul destro, ma porta avanti la sfera con l’interno come se trascinasse una palla medica. Se ciò non bastasse, i passettini che precedono il tiro (una conclusione di collo interno sul secondo palo) tradiscono un attimo di esitazione, forse perché si allunga troppo la palla ed è costretto a modificare la rincorsa.



Al Messina, tra l'altro, segna una delle 6 doppiette di quella stagione.


 

Nel suo calcio non sembrava esserci nulla di naturale. Ogni gesto era costruito, frutto di un processo di apprendimento costante. Un po’ come i personaggi dei videogame acquisiscono abilità ed esperienza livello dopo livello, la sua carriera ha rappresentato una tensione continua al miglioramento, al punto che negli ultimi anni i suoi gesti sembravano più puliti e lineari. Nel corso degli anni il suo repertorio è cresciuto in termini qualitativi ma anche quantitativi: davanti al portiere ha acquisito sempre più confidenza con l’esterno destro per incrociare il tiro sul secondo palo, mentre con il sinistro preferiva l’interno piede. Toni è riuscito a migliorare anche sui rigori: se nel 2005/06 ne ha sbagliati 3 su 5, di cui tre consecutivi dopo i due segnati nella prima parte di campionato a Sampdoria e Roma, nel triennio al Verona (2013/16) ne ha realizzati ben 9 su 12. Persino il colpo di testa, il suo pezzo forte, è un aspetto del suo gioco che ha sgrezzato con gli anni, migliorando nell’esecuzione del gesto e nel tempismo. «Sono alto di statura», ha raccontato nel 2001, «Ma devo migliorare nel colpo di testa. A fine allenamento faccio del lavoro supplementare per migliorare elevazione e scelta di tempo. Cross a ripetizione e io mi avvento. Ho voglia di crescere e di migliorare».


 

Toni non eccelleva in nessun fondamentale al di fuori del colpo di testa, eppure in area era un finalizzatore completo, capace di soluzioni creative e tutt’altro che banali: il suo piede debole, il sinistro, era praticamente al livello del destro e nonostante la struttura fisica possedeva una buona elasticità, che ne esaltava la reattività nel gioco acrobatico (a proposito: qui trovate il gol più bello dell’anno, annullato per fuorigioco). 



Un esempio di soluzione creativa: Toni ricicla un assist troppo arretrato di Jorgensen con un sinistro in avvitamento mentre corre all’indietro e perde l’equilibrio. In quanti avrebbero pensato a chiudere l’azione con un tiro in quel frangente?


 

«Più d’uno diceva che era forte solo di testa, balle», dice il tecnico Gianfranco Bellotto, che ha allenato il centravanti al Treviso, <«Ha un sinistro straordinario, sa proteggere il pallone come pochi ed ha il senso del gol». Toni, in effetti, sapeva risolvere situazioni statiche mettendosi in proprio, ma era capace anche di attaccare la profondità e anticipando le traiettorie della palla. Nel 2005/06 ha siglato lo stesso numero di gol di destro e di testa, 12, e i rimanenti 7 di sinistro, un rapporto similare anche su scala più ampia rispetto ai suoi 157 gol in A: 64 li ha fatti col destro, 48 col sinistro e 45 di testa.


 

Quella stagione si è chiusa in bellezza. Grazie a un filotto da 8 reti negli ultimi 10 turni, Toni ha toccato quota 30 gol, il primo giocatore a riuscirci dal 1959, anno in cui Angelillo ne segnò 33. Per eguagliarlo, l’attaccante modenese avrebbe avuto bisogno di una tripletta nell’ultima giornata con il Chievo. Ne farà solo uno, che però permette alla Fiorentina di vincere e conquistare i play-off di Champions League (un traguardo cancellato poi da "Calciopoli"), al termine di un testa a testa per il quarto posto con la Roma durato tutto il girone di ritorno.


 

Quell’annata rappresenta il grande trampolino di lancio della sua carriera: Toni sarà il centravanti della Nazionale campione del mondo in Germania e nel 2007 si trasferirà al Bayern Monaco. In Germania si impone in campo, grazie a 58 gol e 25 assist in due anni e mezzo, e diventa anche un piccolo fenomeno culturale, grazie alla hit “Numero uno” di Matze Knop, a riprova di come anche fuori dall'Italia venisse considerato, tra il serio e il faceto, un personaggio di culto.


 

La carriera di Toni si è arenata improvvisamente allo stesso modo in cui è sembrata esplodere. Ci è voluto il ritorno nel 2012 alla Fiorentina, a 35 anni, per farlo tornare a essere un fattore in Serie A. Toni, però, non riesce a imporsi tra i titolari e allora l’estate successiva si trasferisce al Verona: in Veneto si rende protagonista di un triennio oltre ogni aspettativa, da 51 reti in 100 partite più il titolo di capocannoniere nel 2015, diventando a 38 anni il più vecchio capocannoniere della storia della Serie A. Si ritira nel 2016 a quasi 39 anni con 324 gol, una coppa del mondo, una scarpa d’oro e due titoli nazionali.


 

Difficile dire che avesse più talento degli attaccanti che hanno segnato la Serie A nel suo stesso periodo, se per talento intendiamo l'eleganza. Di sicuro Luca Toni è quello che più ha dovuto migliorarsi nel tempo per rimanere a questi livelli, dimostrando di conseguenza una continuità di rendimento e una longevità superiore agli altri. 


 

 

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