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Giulio Di Cienzo

Teocrazia

L'assurda, pazza carriera di Teofilo Gutierrez.

Se alle Olimpiadi ti chiamano da fuoriquota, ti danno il numero 10 e la fascia di capitano di solito significa che non sei un giocatore normale, ma qualcosa di più vicino a un simbolo, un emblema, un leader carismatico che possa e sappia guidare dei giovani talenti in un’avventura che, più o meno, si presenta una volta nella vita. Nel Brasile, per dare la misura del paragone, è il ruolo che ha avuto Neymar, che ha saputo ripagare la fiducia portando la Seleçao alla vittoria finale (l’unica Nazionale capace di trionfare in ogni competizione a cui abbia partecipato). Ma è stata anche un’assunzione di responsabilità faticosa perché fortemente criticata, con l’effetto di far desistere O’Ney dal voler indossare la fascia di capitano in futuro.

 

Nella Colombia, invece, l’onore e la responsabilità sono ricaduti su Teófilo Gutiérrez, un giocatore dal profilo completamente diverso rispetto al brasiliano di Catalogna, con un nome ancora sconosciuto al grosso del pubblico europeo nonostante rappresenti al meglio quella generazione di calciatori colombiani nati negli anni ’80 su cui ha puntato Pékerman negli ultimi anni. Ma Teo è un giocatore particolare, la cui unicità ha dei pro ma anche dei contro, e come insegna la mitologia greca i due aspetti sono inscindibili.

 

L’unicità di Teo.

 

Teófilo Gutiérrez è nato il 17 maggio 1985 a Barranquilla, Colombia caraibica, nel barrio La Chinita. Se inserite il nome del quartiere in un motore di ricerca non troverete notizie (o immagini) di calcio, ma solo cronaca nera legata a scontri tra narcos rivali. È scontato, quindi, che Teo sia cresciuto giocando per strada a piedi nudi con gli amici, sempre pronto a scappare se, ma più che altro quando, succedeva qualcosa di pericoloso.

 

Il padre, Don Teófilo, faceva il portiere nel Junior prima di lavorare al mercato di Barranquilla. Il figlio, Teófilo Antonio, aiuta il padre a scaricare il pesce e la nonna a preparare degli snack da rivendere per strada. Nel 1992 inizia a giocare nella squadra giovanile del campo “La Mona”, praticamente una distesa di terra con due porte, senza un filo d’erba.

 

Oggi Teo ha fondato una scuola calcio nel suo quartiere d’origine, si chiama Teogol.

 

Attraverso un documentario prodotto in Colombia per raccontare la sua storia in vista dei Mondiali si scopre che la prima svolta arriva a 15 anni, quando William Knight, ai tempi allenatore delle giovanili dell’Atlético Junior, che lo teneva d’occhio da qualche tempo, decide di reclutarlo. Teo giocava da attaccante centrale e dimostrava già alcune delle sue caratteristiche tipiche: un ottimo controllo e quei movimenti incessanti che lo distinguono dallo stereotipo del talento sudamericano fermo ad aspettare la palla. Lui si muove, crea spazi, taglia, scarica la palla e punta i difensori alle loro spalle. «Tutti i suoi gol vengono dal movimento» dice Knight nel docufilm. «È un numero 9 che viene incontro alla palla e che ha la meglio sul suo marcatore prima di tutto muovendosi in anticipo».

 

Così, inizia a trovare i suoi primi gol ufficiali, anche contro ragazzi più grandi. A quanto pare ne ha segnati oltre cento, sempre stando al racconto un po’ retorico del reportage. Il suo debutto nel calcio professionistico avviene nel 2006: nel Barranquilla, la squadra di sviluppo del Club Deportivo Popular Junior (la prima squadra della Colombia caraibica) che milita nella seconda divisione. E si presenta con 16 gol nelle prime 40 partite. Il talento è evidente, ma l’allenatore del Junior non lo ritiene ancora pronto per il salto. Nel 2007 passa alla squadra principale, ma resta spesso in panchina e il suo esordio dura appena cinque minuti.

 

 

Fioritura

 

Il suo momento arriva nel 2008, quando Julio Avelino Campaña prende la guida del club e decide di puntare su di lui. A 23 anni non è certo un baby fenomeno, ma un giocatore che si è costruito con pazienza e lavoro, mentalità e forza di volontà. Il tecnico si innamora praticamente subito di lui, ma per necessità tattiche Campaña deve provarlo in allenamento come esterno destro: l’esercitazione, solitamente di un’oretta, viene interrotta dopo 25 minuti: Teófilo si intendeva alla perfezione coi compagni, come se giocasse in quella posizione da sempre.

 

Verrà ripagato del sacrificio tattico nel 2009, quando da centravanti esplode segnando 16 gol (sui 30 totali della squadra) nel Torneo Apertura, chiuso da capocannoniere anche se perdendo la finale contro l’Once Caldas. Nel successivo Torneo Finalización ne segna 14 (su 35 totali della squadra) finendo al secondo posto nella classifica marcatori dietro a Jackson Martínez. 30 gol in un anno, in 44 partite. Tecnicamente viene descritto da Campaña come «un centravanti, con capacità da trequartista e piedi da regista».

 

I gol di Gutiérrez all’Atlético Junior. Escludendo il primo anno, sono 41 in 64 match.
Atención, atención.

 

In realtà, è molto difficile dire se Teo Gutierrez sia più una prima o una seconda punta. Ha fisico e finalizzazione del 9 e piedi da suggeritore. Il suo calcio sta tutto in una sorta di ballo con la linea difensiva avversaria: ama giocare sulla linea del fuorigioco, decidendo di volta in volta se abbassarsi o tagliare in profondità. Spesso è l’uomo più avanzato dei suoi, quello che tiene in costante allarme i difensori avversari; come un gatto che gioca col topo, può stare fermo sembrando distratto e improvvisamente muoversi verso la porta avversaria, con la costruzione del gol già in mente.

 

Nella sua avventura a Barranquilla mette a segno ben 4 triplette; in particolare a giugno 2009 ne segna due consecutive a pochi giorni di distanza, contro il Cucuta e l’Envigado. Per i tifosi in quel periodo diventa Triófilo Gutiérrez, o Teogolófilo.

 

 

Esportazione e ritorno

 

Il suo primo trasferimento fuori dalla Colombia somiglia tanto a un colpo di testa, e sarà il primo cambio di maglia apparentemente casuale e inspiegabile della sua carriera: nel gennaio 2010 il suo cartellino viene rilevato dai turchi del Trabzonspor, non esattamente una squadra di primo piano, nemmeno a livello locale. O, quantomeno, non in era moderna: si tratta di una nobile decaduta, uno dei club più vincenti in Turchia sebbene i suoi titoli risalgano per la maggior parte agli anni ’70 e ’80.

 

Un colpo di mercato per certi versi affascinante, soprattutto se si ragiona sulla dinamica: una squadra turca non di Istanbul decide di puntare su una promessa del Junior di Barranquilla senza esperienza fuori da quello che possiamo considerare il suo giardino di casa. Teo accetta il trasferimento probabilmente attratto dai soldi del calcio europeo, e percorre gli 11.189 km che separano Barranquilla da Trebisonda.

 

A giudicare dai bagagli, Teo aveva intenzione di fermarsi assai più a lungo a Trebisonda.

 

La sua avventura orientalista durerà poco: di fatto non si ambienterà mai in un contesto così diverso, e tornerà in patria dopo meno di un anno solare. Persino in quel periodo sfortunato, però, dopo un primo semestre a Trebisonda decisamente negativo, con poche presenze e nessun gol, Teo trova il modo di farsi notare segnando tre gol contro il Fenerbahçe, nella Supercoppa turca.

 

Trovarsi al posto giusto al momento giusto.

 

A quel punto il suo talento sembra pronto a fiorire anche in Turchia. Teo segna anche nelle prime giornate del nuovo campionato e in Coppa UEFA, ma dopo 8 reti nelle prime 9 partite inizia a inaugurare quello che diventerà un trend nella sua carriera: i colpi di testa extracampo.

 

Il rapporto con Şenol Güneş, ai tempi tecnico del Trabzonspor (oggi al Beşiktaş) non era mai stato semplice e in quegli anni Teo non era un giocatore né un uomo maturo. Più di una volta si era presentato in ritardo agli allenamenti e la relazione tra i due si è complicata al punto che Güneş a un certo punto decide di puntare su Burak Yilmaz come centravanti. Senza avvisare nessuno, Teo torna a Barranquilla, parlando di problemi di salute mai confermati dai medici. La scontata conclusione è la rottura del rapporto contrattuale tra società e giocatore.

 

Nel 2011, Teo sceglie un Paese che diventerà una sorta di seconda casa: vola in Argentina, al Racing di Avellaneda, e da qui in poi nulla sarà più come prima.

 

 

Maturo a metà

 

All’Academia arriva un giocatore ormai tecnicamente prontissimo, pienamente conscio del proprio potenziale, ma non ancora supportato da una testa da uomo formato. Teo si impone in poco tempo, ha tecnica da vendere, sa sempre dove si trova la porta, finalizza in ogni modo e i suoi movimenti sembrano un rebus irrisolvibile per i difensori avversari. La sua abilità nell’attaccare la profondità in un calcio compassato come quello argentino lo rende una costante fonte di disequilibrio per le squadre avversarie.

 

Durante il suo primo semestre al Racing segna 11 gol in 16 partite, chiudendo da capocannoniere il Clausura 2011. Nel successivo Torneo Apertura si ferma a 6 reti, risultando comunque il miglior marcatore dell squadra guidata da Simeone, molto più preoccupata della fase difensiva (complessivamente i gol di Teo in Argentina alla prima stagione completa sono 16 in 19 giornate: non male in ogni caso).

 

Un vasto catalogo di movimenti e finalizzazioni da prima punta.

 

Di pari passo emerge la sua personalità forte e sopra le righe: anche in allenamento non si tira mai indietro, si fa espellere (anche in modo infantile, se volete), arriva come al solito in ritardo agli allenamenti e litiga con la società per questioni di soldi.

 

Il massimo esempio di questo aspetto della sua personalità è dato da una partita alla Bombonera contro il Boca: Teo mette in grossa difficoltà la difesa xenéize ma quando si vede negare quello che secondo lui è un rigore solare perde la testa e aggredisce l’arbitro Pitana. Non contento, evidentemente ancora su di giri, mentre esce dal campo provoca i tifosi del Boca, facendo un segno che vuole significare «vi faccio paura, eh?».

 

Tutto passa (più o meno) in secondo piano rispetto al suo rendimento e soprattutto alla diffusa sensazione che il Racing sia alle porte di un nuovo ciclo vincente: sotto la guida del Cholo, al ritorno in patria dopo l’esperienza a Catania, l’Academia infatti arriva seconda dietro al Boca nell’Apertura 2011, un salto notevole dopo il quindicesimo posto del semestre precedente. Mai dare per scontato il calcio argentino, però, o Teofilo Gutiérrez: quando Simeone si trasferisce all’Atlético Madrid, al suo posto arriva Alfio Basile, monumento sia del club che del calcio argentino in generale, ma la sua conduzione dura 10 partite, con 2 sole vittorie. Il tecnico si dimette dopo una pesante sconfitta nel derby con l’Independiente in cui Teo mostra tutto il repertorio: segna il gol del momentaneo vantaggio e poi si fa espellere per aver insultato l’arbitro. Quale fine migliore per la sua esperienza al Racing?

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Giulio Di Cienzo nasce a Milano e studia economia. Negli anni sviluppa una passione bruciante per il calcio, specie quello sudamericano. Per dare un senso alle sue notti insonni lascia tracce scritte su Aguante Futbol.