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Come ci è venuto in mente il Golden Goal?
24 lug 2019
24 lug 2019
Breve storia di una cattiva idea.
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Arrivò di colpo anche il golden gol, senza che nessuno ne avesse davvero sentito il bisogno, così come arrivano cose spiacevoli, a volte anche imbarazzanti, un brufolo in piena fronte nel giorno della tua festa di diciotto anni, un ospite indesiderato che suona alla porta la vigilia di Natale, o come sarebbe arrivato in quegli stessi anni un Batman interpretato da Val Kilmer dopo i due capitoli con Michael Keaton e regia di Tim Burton.

Arrivò in mezzo a un decennio di calcio spesso ruminato, schiavizzato dalla prudenza tattica, dalla dittatura dei reparti stile calciobalilla e dall'importanza economica sempre maggiore delle poste in palio. Il compito dei grandi pensatori applicati al calcio era scovare soluzioni che rendessero il Gioco sempre più spettacolare e appetibile per le televisioni, le vere dominatrici dell'epoca, con l'ammontare dei diritti che cresceva esponenzialmente di torneo in torneo, competizioni sempre più ricche e sempre più gonfie di partite come la rana di Fedro: i Mondiali da 24 a 32 squadre, gli Europei da 8 a 16...

Il frutto migliore di quest'epoca di frenetiche rivoluzioni era già entrato in vigore il 25 luglio 1992, quando era stata tolta al portiere la possibilità di toccare il pallone con le mani sul retropassaggio di un compagno, migliorando velocità e spettacolo. Poi vennero aumentate le sostituzioni (prima due, poi due più il portiere, entro fine decennio direttamente tre), il numero di giocatori in panchina, e al 45' e al 90' su un tabellone luminoso iniziò a essere dichiarato il numero esatto di minuti di recupero concessi dall'arbitro. E poi, però, il golden gol.

Il tarlo che scava dentro gli alti papaveri di UEFA e FIFA riguarda le partite decisive dei grandi tornei internazionali, spesso ammorbate da una paralisi inaccettabile. Si prende a esempio la piattezza del Mondiale italiano, che ha fatto registrare il nuovo record di partite finite ai rigori (quattro, tra cui le due semifinali); o la tremenda finale di Coppa Campioni del 1991 tra Stella Rossa e Olympique Marsiglia, deliberatamente scivolata verso la sparatoria finale dal dischetto già da metà primo tempo. Nella primavera del 1992 iniziano a metterci le mani Lennart Johansson e Gerhard Aigner, presidente e segretario generale dell'UEFA.

Si arriva all'Europeo di Svezia che l'idea di un cambio di regolamento sembra davvero a un passo, tanto che se ne parla addirittura a torneo già iniziato come antidoto ai match soporiferi della fase a gironi, per l'eufemistica freddezza di calciatori e allenatori. Per la verità l'idea è ancora più efferata: si pensa di introdurre supplementari a oltranza, il primo che segna vince, senza limiti di tempo, nella speranza di terrorizzare i giocatori con l'eventualità di rimanere in campo anche tre ore. Ma la prima obiezione è già quella fatale: insorgono le TV, che non vogliono correre il rischio di trasmettere massacri infiniti stile Non si uccidono così anche i cavalli?, il film di Sydney Pollack che parlava di una gara di ballo di sopravvivenza nell'America della Grande Depressione – e non finiva benissimo.

Tutto rimandato al 1993, quando scende in campo anche la FIFA e il golden gol fa ufficialmente il suo debutto al Mondiale Under 20 in Australia. Ha ancora la sua definizione originaria, quella molto più macabra di “sudden death”, termine mutuato dall'hockey su ghiaccio e dal football americano, dove com'è noto il pareggio non è culturalmente concepito. Il primo uomo d'oro nell'era moderna non è dunque – come spesso si scrive erroneamente - il nostro Pierluigi Orlandini, ma un altro giovane di origini italiane: l'australiano Anthony Carbone, che gioca in patria nel Perth Italia e incenerisce di testa l'Uruguay al nono minuto del primo supplementare del quarto di finale di quel Mondiale, imponendo alla Celeste la brutale “muerte sùbita”.

Le circostanze sono ancor più grottesche dal momento che alcuni giocatori sudamericani sono all'oscuro della nuova regola: «Eravamo tutti distrutti per terra», ricorda il centrocampista Rodrigo Lemos, «quando il Canario Nelson Olveira venne verso di noi con il pallone e cominciò a incitarci: "Dai ragazzi, andiamo a pareggiare"». Gli uruguagi sfogheranno la frustrazione per essere entrati nella storia dalla parte sbagliata riversando la loro proverbiale garra charrùa su armadi, sedie e suppellettili dello spogliatoio ospite.

Com'è noto, l'Italia scopre la nuova regola all'alba del 1994. Prima ancora del buon Orlandini, tocca nientemeno che al 19enne Alessandro Del Piero introdurre il golden gol su suolo italico come Cristoforo Colombo con le patate e i pomodori, risolvendo su rigore la finale del Torneo di Viareggio contro la Fiorentina.

La novità non scalda i cuori. La prima obiezione è di carattere storico: con la “morte improvvisa” - argomentano le grandi penne non senza ragione - non avremmo mai vissuto l'epica e la mistica di Italia-Germania 4 a 3, e anzi ce ne saremmo tornati a casa con le pive nel sacco dopo il 2 a 1 tedesco, beffati da Gerd Muller prima che Burgnich e Riva confezionassero il sorpasso, eccetera eccetera. La seconda obiezione, ancora più fondata, è di ordine logico: ma se già con la vecchia regola le squadre non avevano troppa voglia di prendersi rischi, perché dovrebbero scoprirsi ora che al primo errore sei morto?

La logica è la grande assente di una delle più bislacche applicazioni della nuova regola: la partita Barbados-Grenada, valida per le qualificazioni alla Caribbean Cup 1994, diventata negli anni piccolo oggetto di culto per la norma irripetibile e irripetuta secondo cui i pareggi non esistono neanche nella fase a gironi e i gol ai supplementari valgono doppio. Una norma che porta le Barbados a farsi volontariamente autogol per andare sul 2-2, solo per segnare ai supplementari il golden gol che vale quella vittoria con i due gol di scarto che serviva per passare il turno.

In attesa che le magagne della modernità vengano a galla, tocca all'Under 21 di Cesare Maldini, impegnata nell'Europeo francese del 1994, raccogliere i primi dividendi. La minaccia del golden gol era serpeggiata già nella semifinale contro la Francia, vinta ai rigori dopo 120 minuti senza reti. La finale contro il Portogallo di Figo e Rui Costa è letteralmente una questione di attimi.

Orlandini, subentrato a Pippo Inzaghi a sei minuti dalla fine dei regolamentari, non è esattamente il prototipo del calciatore intenso che va di moda negli anni Novanta. Traccheggia da mezzapunta nell'Atalanta che sta retrocedendo in B, si sostiene abbia talento ma scarsa applicazione ed è comprensibile che non vada troppo a genio a un tecnico prudente come Cesarone. Ma è proprio lui a sfiorare il bersaglio dopo dieci secondi del primo supplementare, pochi istanti dopo l'ultima raccomandazione di Maldini con il sorriso sulle labbra: «Oh, ricordatevi che chi segna per primo ha vinto».

La seconda occasione è portoghese: una punizione di Figo troppo centrale e bloccata facilmente da Toldo. La terza è quella giusta: Cherubini recupera un bel pallone a centrocampo e lo indirizza verso Orlandini, che si accentra per una decina di metri fino a scaricare una saetta all'incrocio imprendibile per il portiere (un certo Brassard). Culturalmente addestrati da decenni di sofferenza e “aspettiamo, non è ancora finita”, milioni di italiani rimangono piacevolmente spiazzati da un finale così fulminante. Purtroppo per noi, avremo modo di assaporare anche l'amaro di questa nuova regola tanto sciagurata.

I sette minuti supplementari di Italia-Portogallo. Il telecronista Carlo Nesti, che chiama Figo “Figu” non si sa per quale motivo, al momento del gol si concede una piccolissima pausa prima di caricare l'urlo della vittoria.

Al Mondiale 1994 il golden gol non c'è, e bisogna aspettare l'Europeo 1996 per il grande debutto estivo. Qui i nodi iniziano subito a venire al pettine, perché le partite che vanno ai supplementari sono ben cinque su sette (è un'edizione particolarmente spossante per gli amanti del bel giuoco), ma la mannaia del golden gol scatta solo una volta.

Come piccolo colpo di fortuna per i notabili della UEFA si tratta però della partita più importante, la finale, vinta dalla Germania grazie a un tiraccio della super-riserva Oliver Bierhoff che piega le mani del portiere ceco Kouba, ingannato da una leggera deviazione. Le altre però (i due quarti Spagna-Inghilterra e Francia-Olanda e le due semifinali Francia-Repubblica Ceca e Germania-Inghilterra) sono state più che altro un pianto greco, in cui la paura della sconfitta ha paralizzato come da fosche previsioni le gambe e i pensieri positivi.

Le cose migliorano avvicinandosi alla fine del secolo, quando il calcio e i calciatori iniziano a sgabbiarsi dalle pastoie tattiche di cui vi parlavamo. Il Mondiale francese del 1998 è certamente il più felice e divertente del decennio, anche se sono comunque tre le partite che finiscono ai rigori (e anche lì, come vedremo, non mancheranno le sliding doors) e di golden gol ce n'è solo uno, sebbene di importanza capitale: lo mette a segno Laurent Blanc, su splendida sponda di testa di Trezeguet, e permette alla Francia di sbloccare un rognosissimo ottavo di finale contro il Paraguay del conducator Chilavert, che ormai aveva quasi traghettato la partita fino ai rigori.

Ma è all'Europeo di due anni dopo che si stabilisce la fortunatissima connessione tra la Nazionale francese e il “but en or” (si sa che i francesi francesizzano tutto). In semifinale i "bleus" si impongono in un duello di nervi contro il Portogallo, formato in gran parte dalla stessa generazione castigata da Orlandini sei anni prima: Abel Xavier, presente in entrambe le partite, devia con la mano un tiro di Wiltord destinato in rete, la squadra arbitrale concede il rigore e scatena la frustrazione dei beautiful losers portoghesi. Zidane, impassibile, trasforma da maestro. Ancora più atroce l'epilogo della finale di Rotterdam, decisa – come avrebbe detto un grande italiano - così colà dove si puote/ ciò che si vuole, e più non dimandare (significa, in sostanza, che è inutile lamentarsi contro un destino superiore), e non ci sarebbe neanche bisogno di ricordare il gol di Trezeguet che ha gelato il sangue nelle vene del pubblico e dei giocatori italiani.

Alla gente, in ogni caso, il golden gol non piace. Il calcio è uno sport a tempo e una partita non può interrompersi di colpo con un grande shock finale, senza nemmeno dare all'avversario la possibilità di provarci: sarebbe come mettere il cronometro in una partita di tennis. E nel frattempo la FIFA di Blatter, che una ne fa e cento ne pensa, sta già studiando la prossima modifica per rendere lo spettacolo ancora più circense: si sussurra di porte più grandi, traverse più alte, shoot-out all'americana, l'abolizione del pareggio!

È un calcio isterico nelle sue dirigenze e nei suoi affari sporchi: il crack dei colossi ISL e Kirch Media getta una luce sinistra sull'assegnazione dei diritti televisivi dei Mondiali 2002 e 2006; segue non casualmente il Mondiale nippo-coreano, brutto, sporco e cattivo, in cui la qualità e la trasparenza precipitano e almeno due golden gol pulitissimi vengono deliberatamente annullati per non disturbare il conducente. Di "morti improvvise" se ne vedono due, ingiuste e dolorose, che non gioveranno alla causa: il colpo di testa del coreano Ahn che pone fine alla carriera azzurra di Paolo Maldini, nella famigerata Corea del Sud-Italia, e la girata al volo del turco Ilhan Mansiz che rappresenta il capolinea del Senegal di Bruno Metsu, a un passo da diventare la prima africana semifinalista a un Mondiale.

E nel 2001 un'altra cosiddetta favola come quella del piccolo Deportivo Alaves era stata brutalizzata allo stesso modo, con un autogol al minuto 114 e poi basta così, per un irripetibile 4-5 contro il Liverpool in una finale di Coppa UEFA di matrice kloppiana, profeticamente giocata a Dortmund.

Quei finali brucianti hanno intossicato un Mondiale già poco cristallino, aggiungendo carne al fuoco di chi pretende la Controriforma. Intervistato dalla Gazzetta dello Sport, il direttore tecnico UEFA Andy Roxburgh riepiloga le istanze degli anti-golden e aggiunge un'ulteriore campana, quella degli arbitri: «Pierluigi Collina mi ha detto che ha vissuto con sollievo la rimonta del Manchester United sul Bayern negli ultimi minuti della finale di Champions 1999, perché temeva che ai supplementari, con il golden gol, il minimo errore potesse rivelarsi decisivo».

Dieci anni dopo il calcio si guarda indietro e scopre che niente è cambiato, perché la sua natura non è stata minimamente intaccata da questi pastrocchi. Scollinato il fischio finale dei regolamentari, i calciatori hanno sempre addosso il logorio dei novanta minuti e l'umano terrore della sconfitta, golden o non golden. La finale di Champions del 2001 tra Bayern Monaco e Valencia, giocata a San Siro, non è stata diversa in nulla rispetto a quella vituperata di dieci anni prima: stremate e spaventate, le due squadre hanno atteso d'amore e d'accordo i rigori come si aspetta l'arrivo di Babbo Natale.

Il ritorno al passato viene perciò ammorbidito da un'ultima follia che durerà lo spazio di un mattino: il silver gol, la versione light del golden gol senza olio di palma, in cui alla squadra che ha subito una rete si dà modo di arrivare almeno fino alla fine della frazione per cercare il pareggio.

Alla prima vera applicazione di questo sgorbio si capisce subito dov'è la fregatura: in Grecia-Repubblica Ceca, semifinale Europei 2004, i greci segnano con Dellas di testa su calcio d'angolo battuto allo scadere del primo tempo supplementare e di fatto la partita finisce lì. Basta, basta, per favore: si torni subito alla casella di partenza, resa senza condizioni.

E al primo Mondiale utile, quello del 2006, troveremo subito un'altra semifinale Italia-Germania per capire limpidamente che avevamo ragione noi, perché con la castrazione del golden gol non ci saremmo mai potuti godere una delle azioni di squadra più esaltanti della storia del calcio.

E ora, per celebrare quello strano decennio fatto di schede telefoniche, modem a 56k, programmi di Albertino e dischi di Natalie Imbruglia, e anche per provare quel sano sapore di distopia che non deve mai mancare in un racconto estivo, ecco cinque grandi golden gol mancati che, in caso contrario, avrebbero indelebilmente modificato la storia del calcio e, di conseguenza, dell'umanità intera.

Marco Delvecchio in Italia-Olanda 0-0 (Europei 2000)

Già convertito da Capello in attaccante esterno di fatica per poter farlo convivere con Totti e Montella (e poi con Batistuta), Delvecchio ha un po' smarrito l'istinto del killer. Quando, all'inizio del primo supplementare della memorabile semifinale 2000, uno splendido lancio di Totti lo mette davanti a van der Sar, gli passa forse tutta la vita davanti alla ricerca della soluzione migliore per segnare il gol più importante della carriera. Alla fine decide per la botta rasoterra in diagonale, ma van der Sar allunga il piedone e mette in angolo. Meglio così: sul momento avremmo festeggiato come pazzi, ma che vita sarebbe stata senza cucchiaio?


Fernando Morientes in Corea del Sud-Spagna 0-0 (Mondiali 2002)

In maniera ancora più efferata di Byron Moreno, l'arbitro egiziano Gamal El Ghandour e i suoi assistenti ne combinano di ogni in una delle pagine più nere dell'avventura dei Campionati Mondiali di calcio. Già nei tempi regolamentari era stato annullato un gol di testa a Baraja per motivi misteriosi, ma il fiocco sul pacco-regalo per i coreani ce lo mette al terzo minuto del primo supplementare il signor Michael Ragoonath di Trinidad & Tobago, che alza velocissimo la bandierina per segnalare che il cross di Joaquin, prima di atterrare sulla testa di Morientes e da lì in rete, ha superato la linea di fondo.

Ovviamente è un errore marchiano che fa il paio con quello dell'altro assistente, l'ugandese Ali Tomusange, che nel secondo supplementare ferma Luis Enrique solo davanti al portiere, come era capitato a Damiano Tommasi negli ottavi di finale. In entrambi i casi il fischio arbitrale arriverà prima del tiro in porta ed è a questo che si aggrapperà il CT coreano Guus Hiddink quando dirà che “non si può parlare di gol annullato”. Ma rimarrà per sempre, altroché, il cattivo odore di uno dei momenti più grotteschi nella storia recente dei Mondiali.


Patrick Kluivert in Brasile-Olanda 1-1 (Mondiali 1998)

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Quattro anni prima invece il golden gol aveva voltato le spalle a Hiddink e a tutta l'Olanda, al culmine di una spettacolare semifinale contro il Brasile che ha più svincoli del Grande Raccordo Anulare. Gli olandesi l'hanno pareggiata con Kluivert all'85' e danno la costante sensazione di poter completare l'opera, anche se devono guardarsi dalle micidiali folate di Ronaldo e Denilson. Si prosegue su un filo sottilissimo e chi va più vicino a spezzarlo è lo stesso Kluivert, che angola troppo il diagonale di sinistro che relegherebbe la Seleçao alla finale per il bronzo. Con il senno di poi, è davvero un momento spartiacque degli ultimi vent'anni: senza l'urgenza di un Mondiale da vincere, magari i medici della Nazionale brasiliana sarebbero stati più indulgenti nel trattare il ginocchio di Ronaldo, che cinque giorni dopo avrebbe passato quella famigerata domenica pomeriggio a ronfare in aereo verso Rio de Janeiro...


Darren Anderton e Paul Gascoigne in Germania-Inghilterra 1-1 (Europei 1996)

Il “football's coming home” con cui gli inglesi si sono portati iella da soli all'ultimo Mondiale di Russia è stretto discendente del mantra che imperversò nell'estate 1996, quando un'Inghilterra all'apice del proprio glamour politico e culturale pensò di potercela fare anche nel calcio, a trent'anni di distanza dal loro unico successo. Invece Lineker non parla mai a caso, sapendo bene che in quei momenti il cuore degli albionici è tanto tenero da tagliarsi con un grissino. All'alba della golden goal age, sono Anderton e Gascoigne in rapida successione ad andare vicinissimi al colpaccio nel primo supplementare. L'errore più doloroso è certamente quello di Gazza, in ritardo per una frazione di secondo all'appuntamento con la storia da lui bucato anche nella semifinale Mondiale di sei anni prima, conclusa tra lacrime amare. La fotografia dell'episodio è ancora più straziante del video e sembra il fotogramma di un film ambientato durante la guerra in Vietnam. E alla fine vincono i tedeschi.


Roberto Baggio in Francia-Italia 0-0 (Mondiali 1998)

L'estate, già crudele di per sé, ai tempi del golden gol diventò una stagione di cattiveria insopportabile, in grado di affogare l'intero periodo delle vacanze in un gorgo di malumore, inappetenza e spleen adolescenziale in soli cinque secondi. Quelli che impiegano Di Biagio a dare la palla ad Albertini, Albertini a scodellarla a centro area per Roberto Baggio e Roberto Baggio a girare intorno a Desailly e calciare stupendamente al volo di mezzo esterno destro. Fuori! Di tanto così. Guardate la reazione di Thuram che, quando si accorge che la palla è uscita, si mette le mani in testa per la paura e per il calo di pressione. Di certo gli si gela il sangue ancora oggi. Anche lui, che vita avrebbe avuto, senza poter segnare una doppietta in una semifinale mondiale?




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