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Marco D'Ottavi
Started from the bottom
12 dic 2016
12 dic 2016
Non tutte le storie di calciatori poveri si somigliano. Abbiamo scelto le più povere.
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Marco D'Ottavi
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Foto di Alejandro Pagni/Getty
(foto) Foto di Alejandro Pagni/Getty
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Esiste una connessione tra povertà e talento? Quando si parla del background di un calciatore si pone spesso l'accento sulle sue origini e come fosse un’equazione fin troppo scontata per essere provata si ripete che più un calciatore è stato povero, più fame avrà avuto di arrivare in alto - come se invece crescere nella mediocrità borghese fosse un'esperienza appagante, o come se il mestiere di calciatore non esercitasse il proprio fascino su ventenni tutti così lucidi da preferire puntare su, che ne so, la professione di lobbista. Crescere in quartieri pericolosi, giocare per la strada, magari anche scalzi, o dover lavorare fin da piccoli per aiutare la famiglia sono tutte esperienze che i calciatori una volta diventati professionisti rivendicano come una medaglia al valore, una specie di modificatore positivo in un ipotetico gioco di ruolo il cui obiettivo finale è il successo sportivo.

Per tutti loro la povertà è stata paradossalmente un vantaggio, o almeno la rivendicano come tale, il motore principe dei sacrifici necessari a diventare un calciatore professionista; il calcio è pieno di atleti che vanno davanti ai microfoni e raccontano il loro passato di povertà come se fosse unico e imbattibile. Ma quali sono i calciatori ad aver attraversato il percorso davvero più disagiato? Soprattutto, chi più di tutti ha usato la povertà come una leva con la quale sollevare il proprio mondo? Ho scelto 9 calciatori moderni che non solo hanno attraversato la povertà per arrivare al successo, ma hanno anche storie personali assurde che devono essere state necessariamente un fattore nel loro sviluppo umano e sportivo. https://www.youtube.com/watch?v=u_FwiosNP4Y Rafael Van Der Vaart (povertà nomade +1) Rafael Van Der Vaart è nato in una famiglia nomade: suo padre è un olandese di etnia Jenisch, una popolazione di nomadi europei presenti principalmente in Germania ed Olanda. Rafael è cresciuto in un “caravan park” in quel di Beverwijk, comune a nord di Amsterdam, e la sua casa era una roulotte stanziale, l'abitazione una volta mobile in cui il padre era nato. Van Der Vaart non ha mai preso le distanze dall’educazione gipsy ricevuta, anzi, l'ha sempre considerata alla base delle sue conquiste da calciatore. L'olandese va particolarmente fiero delle sue origini: «Tanti mi chiedono: Ma non era strano vivere in quel modo? Magari non era uno stile di vita normale, ma a me piaceva. E mi ha aiutato perché mi faceva sentire come un guerriero della strada. E ho imparato che bisogna lottare per conquistarsi il proprio spazio quando si cresce».

Il centro di Beverwijk, il luogo difficile dove Van der Vaart ha dovuto farsi strada fino a diventare un calciatore talentuoso e scostante.

Lui stesso racconta di come abbia affinato la sua tecnica dribblando le roulotte dei vicini, e non deve essere stato difficile farsi strada tra i difensori olandesi dopo averlo fatto tra oggetti ben più mobili. L'aneddoto che però più di tutti mette in prospettiva la sua infanzia è che usava bottiglie di birra vuote come pali, un immagine molto distante dalle felpe della Pickwick al parco che usavo io. Questo scenario, perfetto per un film di Guy Ritchie, è durato molto poco in realtà: a 10 anni infatti viene notato dall'Ajax che se lo porta nella sua accademia. Vista la piega presa dalla carriera di Van der Vaart, uno di quei giocatori per i quali non è sbagliato dire che abbiano sprecato parte del loro talento, viene da chiedersi cosa avrebbe potuto andare peggio se fosse cresciuto in una normale noiosa famiglia olandese. https://www.youtube.com/watch?v=K5BVNZwWasA

Questo immagino sia il tipo di cose che si imparano vivendo in un caravan park.

A conti fatti la scalata del nomade Van der Vaart è però dolceamara: da una parte è diventato il più giovane capitano dell'Ajax di sempre, ha conquistato la Nazionale, il Real Madrid ed ha giocato stagioni davvero importanti. Dall'altra la ricchezza acquisita ha tolto lo spirito nomade della famiglia. Come lui stesso racconta, la prima cosa fatta con i soldi guadagnati è stata comprare una casa ai genitori: «È stata la prima volta in cui hanno vissuto in una casa ed è stato strano. È stata una scelta di vita, la migliore». Danilo Soddimo (povertà a rischio spaccio +2) A Roma essere di Sanba è un marchio. Sanba è il diminutivo di San Basilio, un quartiere popolare alla periferia est di Roma, famoso principalmente per essere un florido mercato della droga (e per una strana storia di palazzi che formano la scritta DUX mai del tutto chiarita). Tra le sue strade ci è cresciuto Danilo Soddimo, trequartista finito nel grigiore della fascia nell'umile Frosinone 2015/16, di cui ha segnato il primo gol in Serie A. Se ci capitate, a Sanba, non è difficile trovare ragazzini col pallone per strada tutti i giorni e a tutte le ore. Soddimo era uno di questi: «Ero un ragazzo di strada. Ho avuto paura di finire male, tipo in galera o in mezzo a giri strani». Per alcuni di loro c'è il rischio concreto di passare dal campetto al droga, sia come consumatore che come parte dell'ingranaggio che regola il mercato tra i palazzi popolari del quartiere. Soddimo in quei palazzi semidiroccati ci ha vissuto un infanzia svantaggiata: «A casa non potevamo permetterci di fare la spesa tutti i giorni. Non ho mai fatto un pasto completo, ma non mi pento della mia vita. Vivevo in una casa occupata senza luce, perché non c'erano nemmeno i soldi per pagare le bollette». Il mondo della droga di San Basilio è un mondo oscuro e violento che lo stesso Soddimo sintetizza così «Per pjià la "roba" te danno er biglietto a San Basilio».

Un abitante di San Basilio, che non è Soddimo, si riposa in strada vicino a quello che è comunemente chiamato il bar "della coltellata”.

La salvezza per lui è stata la madre, che tutti in quartiere chiamavano la negretta: «Devo ringraziare mia madre, mio fratello e Gesù se sono arrivato fino a qui. Se rimanevo per strada chissà cosa avrei fatto. Comunque non rinnegherò mai le mie origini e i posti dove sono vissuto». I sacrifici della madre quindi gli hanno permesso di emergere, diventare un calciatore, segnare il primo gol in serie A per il Frosinone e postare queste cose su Facebook per ricordare a tutti che tipo è:

La storia di Soddimo è principalmente la storia delle migliori mamme: quelle che ti vogliono bene anche se fanno una vita di sacrifici per vederti finire a giocare nel Frosinone, quindi interrompete un attimo la lettura del pezzo e mandate un messaggio alla vostra che vi vuole bene anche se potete leggere articoli su internet a mezzogiorno di un giorno lavorativo. Nolito (povertà da ragazzi dello zoo di Berlino +3) Non tutte le madri, però, sono ancore di salvezza per figli futuri calciatori: l’infanzia di Nolito è stata rovinata da una madre eroinomane che pur di rimediare i soldi per la sua dipendenza si prostituiva. Eppure nonostante un comportamento non certo irreprensibile è finita per avere un figlio calciatore del Manchester City e della Nazionale spagnola, molto più forte di Soddimo.

Il povero Nolito è cresciuto senza nessuno che gli dicesse che le tracolle da uomo sono davvero brutte.

La storia di Nolito è anche la storia di come il passaggio da povertà a ricchezza non è mai semplice, anzi è spesso traumatico: dopo un litigio su Whatsapp, Nolito ha smesso di passare soldi alla madre, che per sopravvivere si è vista costretta a mendicare fuori dai supermercati. Per denunciare questa situazione la madre ha girato due video per raccontare le condizioni di estrema negligenza in cui vive, con due gemelli di 6 anni da crescere, nonostante la ricchezza del figlio. https://www.youtube.com/watch?v=FeM_ZyY8b94

Il primo dei due video promozionali della madre di Nolito: presenta la casa occupata in cui vive, in uno stranissimo connubio tra bagni lussuosi e mancanza di porte.

Il comportamento della madre ha scatenato una guerra famigliare in cui i nonni di Nolito, che sono poi quelli che lo hanno cresciuto, accusano la figlia di non avere limiti e di chiamare Nolito solo quando ha bisogno di soldi. Una situazione per nulla piacevole per l’attaccante spagnolo, come se competere per un posto con De Bruyne, Sterling, Aguero, Sanè, David Silva e Jesus Navas non fosse già abbastanza stressante. Gary Medel (povertà stimolante +5) «Se non avessi fatto il calciatore sarei diventato un narcotrafficante o uno spacciatore» ha affermato Gary Medel in diverse interviste, ipotizzando che fare lo spacciatore sia un mestiere davvero facile, anche più facile di fare il centrocampista titolare nell’Inter attuale. Come se il calcio non si imparasse sul campo, con l’allenamento, per Medel la sua riuscita come calciatore professionista passa quasi esclusivamente dal suo essere cresciuto in un posto estremamente povero alle porte di Santiago del Chile, Conchalì.

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Conchalì pensavo peggio, non è per niente male.

«Nel mio quartiere ne ho viste di tutti i colori. Lì c’era la vera pressione, altro che giocare alla Bombonera. Un giorno mentre giocavo, mi hanno puntato tre pistole alla tempia!». Usare le difficoltà dell’infanzia funziona benissimo per uno come Medel che altrimenti sarebbe davvero inadeguato per il gioco del calcio. Se cattiveria, grinta e fame possono davvero essere la principale qualità per un calciatore, Medel è la dimostrazione di come queste possano raddoppiare se covate con la rabbia di chi è cresciuto in una casa con altre 30 persone, tra droga e criminalità. https://www.youtube.com/watch?v=mdhGN_dGh10

Crescere in uno dei posti più pericolosi del tuo paese per finire ad imbruttire a Xavi.

 Carlos Bacca (povertà lavori umili +5) L'idea che un top player della nostra serie A venga soprannominato the fisherman non per qualche particolare ragione tecnica, ma perché ha fatto veramente il pescatore fa letteralmente esplodere la testa. Eppure è così: a vent’anni Bacca divideva le sue giornate tra uno smarcamento sulla trequarti e la pesca nei mari della Colombia per aiutare la famiglia in difficoltà economiche.

Se possiamo ritrovare un qualche tipo di epica nel passaggio da pescatore a calciatore decisivo, è invece veramente impossibile contestualizzare una realtà in cui Bacca ha fatto il controllore di biglietti sui bus: «A vent'anni vivevo nel mio villaggio, Puerto Colombia, lavorando come assistente dell'autista del bus. La vita era tutt'altro che facile. Poi ho dovuto lavorare come bigliettaio perché vengo da una famiglia povera e ho dovuto guadagnare soldi per aiutarli». Molto probabilmente Bacca è l’unico attaccante della storia ad aver fatto il bigliettaio e viene da chiedersi perché nessuno abbia pensato ad usare questo mestiere come soprannome: the ticketman, quello che la timbra sempre, altro che pescatore. Menez (povertà da cui poteva scaturire un grande album rap + 7) Jeremy Menez è cresciuto nella banlieu 94 di Parigi, un quartiere che combatte un’eterna lotta con le banlieu 91, 92 e 93 per lo scettro di “posto più pericoloso di Parigi”.

«Il mio quartiere non era un posto facile, impari presto a vivere. Il calcio mi ha salvato, se non fosse per questo sport meraviglioso sarei potuto diventare un delinquente o finire in galera. Una volta rubai un motorino ad un pony express, ma capii che era sbagliato». Anche Menez, una volta trovato il suo posto nel mondo grazie al calcio, ribadisce il concetto che “o calcio o criminalità”. In questo i calciatori arrivati da infanzie disagiate sembrano una setta manichea che non prevede sfumature. Menez non ipotizza per lui un possibile futuro da impiegato o da elettricista - o da bigliettaio - non si concede nemmeno possibilità in altri campi creativi come la musica o l’arte, per la sua narrazione è necessario che noi – ma anche lui in fondo - crediamo che sarebbe davvero diventato un criminale se non si fosse impegnato fino in fondo per diventare un calciatore.

La copertina del primo disco Rap di Houdinì Menez

Armando Izzo (povertà neorealista +10) Abbiamo imparato a conoscere Armando Izzo, prima che per le sue qualità come difensore, per le sue lacune nella lingua inglese. https://www.youtube.com/watch?v=PyEkte0S0YI Il video, diventato virale perché abbiamo sempre bisogno di sentirci moralmente superiori ai calciatori, nasconde una storia molto più cupa: Armando Izzo ha smesso di andare a scuola regolarmente a 10 anni per portare qualche soldo a casa dopo la morte del padre. Invece di andare a scuola a studiare, come dice save the children ,o al campo ad allenarsi, Armando Izzo portava l'acqua nelle case di Scampia, collocandosi in una posizione sociale inferiore agli abitanti stessi di Scampia. Izzo in pratica andava a sostituire un sistema di tubazioni insufficienti e viene facile immaginarsi questa occupazione di portare l'acqua nelle case come un mestiere neorealista che può esistere solo nel teatro di Peppino De Filippo. Invece questa era la vita di Izzo nel 2002 mentre voi giocavate a GTA: Vice City. Per Izzo il calcio è stato quello che per Ciàula è stata la luna: la speranza di finire a marcare Higuain la domenica. Godfred Donsah (povertà migrante +12) Godfred Donsah ha una storia incredibile quasi quanto il suo nome. Soprattutto ha una storia attuale, una con cui dobbiamo fare i conti, una di cui lui è il lieto fine per pochi, ma anche l’esempio che il lavoro di integrazione paga sempre. Quando Godfred è molto piccolo il padre parte da Accra per raggiungere l'Italia in cerca di un modo per far sopravvivere la sua famiglia. Viaggia per un mese e una settimana, con pochissimo cibo, prima di arrivare sulle coste libiche quasi morto. Riesce ad arrivare a Lampedusa, in un barcone stipato con altre 700 persone, per poi spingersi fino a Foggia dove raccoglie pomodori. Donsah cresce quindi in Africa con i pochi soldi che il padre riesce a mandargli facendo lo stagionale e con i soldi che guadagna lavorando nelle piantagioni di cacao in Ghana.

Donsah all'opera con il machete è già culto.

A 15 anni, però, Godfred deve rinunciare al suo sogno di diventare un talento con il machete perché il padre riesce a trovare un lavoro regolare come magazziniere vicino Como e si porta dietro la famiglia. Ripiega allora sul calcio, allenandosi con il Como, ma per problemi burocratici non riescono a tesserarlo. Passa anche un breve periodo a Palermo, dove il connazionale Acquah gli regala un paio di scarpini (classico intramontabile del canone “calciatore povero”), ma è costretto a tornare in Ghana perché non ha il permesso di soggiorno. Per sua fortuna Sean Sogliano insiste, capendo il potenziale, e riesce a regolarizzarlo e portarlo con sé a Verona dove proprio queste storie di riscatto dei clandestini le amano. Carlos Tevez (povertà che te la porti sulla faccia +15) In Argentina, se Messi è il più forte di tutti, Tevez è il giocatore del popolo, quello che ogni volta scende in campo per il riscatto dei più poveri perché la sua è la storia del più povero. Se c'è uno che il concetto astratto di fame l’ha preso, plasmato in qualcosa di reale e infine se l’è spalmato addosso, quello è proprio Carlos Tevez. Anche quello sfregio sul viso, più che una specie di sorriso, sembra uno di quegli appunti che scarabocchiamo veloci sui nostri taccuini per ricordarci le cose e per Tevez è la sua storia. Una storia che ha i crismi del romanzo di formazione incasinato, di quelli in cui ti innamori del personaggio per destinazione, perché l'autore ha deciso così: Carlos viene abbandonato dai genitori biologici a 3 mesi, dai 10 ai 12 mesi di vita rimane in ospedale a causa di un'ustione al viso su cui i medici hanno messo una coperta di nylon che si è fusa con la faccia. A 5 anni il padre che non ha mai conosciuto rimane ucciso da 23 colpi di pistola. Nel frattempo Tevez cresce con gli zii materni nel Barrio Ejército de los Andes un quartiere del comune di Ciudadela vicino Buenos Aires, famoso con il nome di Fuerte Apache, una delle ville più pericolose d'Argentina.

Crescere in un posto il cui nome deriva da un famoso massacro è evidente che ti segna. Tevez – fra tutti – è stato il più capace nell’introiettare questa infanzia difficile per renderla il motore della sua carriera e vince a mani basse la palma di calciatore che più di tutti è riuscito ad usare un’infanzia difficile per diventare un campione.

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