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Il duopolio Sinner-Alcaraz è un problema?
04 nov 2025
Hanno messo insieme il doppio dei punti del terzo e il quarto in classifica nel 2025 e non sembrano esserci avversari.
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11 min
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Foto IMAGO / Xinhua
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Domenica Jannik Sinner è tornato numero uno del mondo. Ci è riuscito vincendo per la prima volta il Master 1000 di Parigi, un torneo in cui non ha mai brillato. Sinner non ha solo vinto, ha dominato, non perdendo nemmeno un set lungo il percorso verso quello strano trofeo arboreo. Ha raggiunto la cifra paurosa di 26 vittorie consecutive su campi indoor.

Sinner resterà numero 1 per una sola settimana. Le ATP Finals di Torino seguono una regola per cui i punti vinti l’anno prima vengono detratti a inizio torneo e non alla fine, calcolando la differenza di risultati. Dunque Sinner tornerà numero 2 quando gli verranno scalati i punti della vittoria dello scorso anno, e poi avrà bisogno di un incastro di risultati particolarmente complicato per tornare in vetta. Non per questo il risultato va sottovalutato, come del resto molti tifosi italiani ci stanno ricordando. Essere tornato alla posizione numero 1 senza giocare tre mesi a causa della squalifica è un risultato che manda un messaggio inequivocabile: senza quella squalifica non ci sarebbe stato verso di scalzarlo.

È un altro dato quello su cui però dovremmo concentrarci, e cioè il numero di punti assoluti raggiunti da Sinner: 11.500. Stiamo parlando di una delle quote più alte di sempre nella storia del tennis, all’interno di una top-10. Per capirci, Djokovic chiuse la leggendaria stagione 2011 con 13630 punti. Certo: Sinner chiuderà con quella quota punti solo se vincerà le ATP Finals senza perdere una partita, ma lo scenario a questo punto non è implausibile. Tutto questo, ripetiamolo, senza giocare tre mesi. Sinner ha raggiunto quei punti disputando appena 11 tornei (escluse Finals). Djokovic nel 2011 ne giocò 16; Nadal, che ha sempre avuto una programmazione più economica rispetto agli altri campioni, nel 2013 ne giocò 13 per arrivare a 12 mila punti. Insomma: abbiamo assistito a una delle migliori stagioni di sempre. Negli undici tornei giocati solo in due non ha disputato almeno la finale. In tutto questo il suo rivale rischia di chiudere il 2025 con ancora più punti. Se Carlos Alcaraz dovesse vincere a Torino senza perdere un match arriverebbe a 12550 punti.

Più che concentrarci sulla sfida tra Sinner e Alcaraz, allora, dovremmo forse guardare alla distanza che li separa dal resto del circuito. I punti del numero 3 e 4 in classifica - Zverev e Djokovic - non bastano per raggiungere il numero di punti di Alcaraz, e cioè del numero due. Come riportato qui, attualmente c’è più distanza tra il numero tre (Zverev) e il numero due (Alcaraz), di quanta ce ne sia tra Zverev e il numero 1000 del mondo. Spaventoso, no?

Sono assurdità statistiche che provano a rappresentare la rigidità del duopolio che abbiamo visto andare in scena nel 2025. Ci sono altri dati meno appariscenti ma che restituiscono ancor di più la misura di un circuito che non riesce a proporre competitività al di fuori di Sinner e Alcaraz. Per esempio, come fa notare Ben Rothenberg, quest’anno non c’è stato alcun torneo in cui hanno partecipato entrambi i fenomeni e che ha vinto un terzo giocatore. La parte di stagione più incerta è stata quella in cui Sinner era squalificato, e Alcaraz è sembrato spaesato, privo di riferimenti competitivi. Ne hanno approfittato Jack Draper e Casper Ruud, che tra marzo e aprile si sono portati a casa due Master 1000, uno ciascuno. Da quel momento nessuno dei grandi tornei - quindi Master 1000 o Slam - è stato vinto da qualcuno al di fuori di Sinner e Alcaraz.

L’eccezione è stata la vittoria di Valentin Vacherot, che addirittura da riserva della qualificazione è riuscito a vincere l’Hunger Games di Shanghai - in mezzo a giocatori che cadevano come mosche sotto ai colpi del caldo e dell’umidità. Un evento talmente eccezionale che Alexander Bublik lo ha portato come esempio della scarsa competitività del circuito - come a dire: se non ci sono Sinner e Alcaraz può vincere pure Vacherot.

Del resto, chi può batterli?

Djokovic è sembrato molto lontano da Alcaraz nel loro ultimo confronto agli US Open, e non batte Sinner dalle Finals del 2023.

Alexander Zverev ha l’aria del numero tre più triste della storia. In questa stagione ha probabilmente digerito la verità definitiva che non è in grado di competere con quei due. Si aggira per il circuito come il fantasma di sé stesso, scuotendo la testa e ogni tanto gaslightandosi - specialità di cui è decimo dan. Si dice che magari senza infortuni, o con superfici più veloci…

Zverev non batte Sinner dal 2023 e Alcaraz dalle Finals dell’anno scorso e in questo momento sembra del tutto disarmato. L’unica volta che Fritz ha battuto Sinner c’era Mario Draghi presidente del consiglio mentre nell’unica occasione in cui ha battuto Alcaraz era la Laver Cup, non una partita seria. Alex De Minaur sta coltivando un h2h dai contorni patologici con Sinner: 12-0.

Proviamo a calcolare quante vittorie hanno i primi dieci giocatori al mondo contro Alcaraz e Sinner dal 2023 in avanti. Escludiamo Djokovic dall’equazione, perché è un giocatore ormai al di là del presente e del tempo in generale. Il conteggio generale è di 7 vittorie a fronte di 52 sconfitte. Se escludessimo Zverev, che contro Alcaraz ha un buon h2h, resterebbe una strana vittoria di Draper a Tokyo contro Sinner e due vittorie di Draper su Alcaraz (Indian Wells e Queens).

Ora ci sarebbe da interrogarsi su questo insieme di fatti, sul significato di questo totalitarismo. Intanto possiamo dire che il tennis è stato quasi del tutto privato dell’incertezza. Tenendo conto dei numeri di prima, c’è circa il 13% di possibilità che un top-10 batta Alcaraz o Sinner, poco più di una probabilità su dieci.

Nelle ultime settimane si è diffusa la velenosa teoria che questa situazione non sarebbe né casuale né dettata solo dal valore di Sinner e Alcaraz; ci sarebbe anzi un complotto dietro. Il primo a spargere la teoria è stato Roger Federer, che intervistato da Andy Roddick nel suo podcast ha suggerito che l’uniformità delle superfici è promossa dagli organizzatori per permettere ad Alcaraz e a Sinner di arrivare in fondo ai tornei. Soprattutto, rallentando i campi si ha meno possibilità che un grande servitore possa estrometterli. La tesi è stata prontamente rilanciata da Zverev, che non vedeva l’ora di trovare un altro alibi dietro cui nascondere la propria mestizia competitiva.

È un argomento che fa acqua da parecchie parti e che avrebbe bisogno di un pezzo a parte. La velocità dei campi è una delle cose più difficili da misurare. Per ora limitiamoci a dire che è falso: per quello che possiamo sapere, le superfici non hanno subito particolari rallentamenti da quando ci sono Sinner e Alcaraz, come scritto da Matthew Willis. Se prendiamo un arco temporale più vasto, diciamo gli ultimi 25 anni, effettivamente si può dire che siamo andati incontro a delle modifiche uniformanti. Non significa solo i campi più veloci sono stati rallentati, ma anche che quelli più lenti sono stati velocizzati. Questa modifica ha prodotto l’epoca di tennis unanimemente considerata la migliore di sempre. L’esistenza di tre giocatori in grado di competere in tutti gli Slam è effettivamente con pochi precedenti storici, ma ci sono altri fattori da considerare oltre alle superfici (evoluzione tecnica, atletica e dei materiali) e in più la specificità resisteva, altrimenti Nadal non avrebbe stabilito l’intoccabile record di 14 Roland Garros vinti.

Mi sono dilungato per dire una cosa semplice. L’epoca che stiamo vivendo attualmente è il prodotto e la prosecuzione di quella dei Big-3, nonostante l’intervista di Federer e alcune interpretazioni che si leggono in giro suggeriscano il contrario. Non c’è una discontinuità rilevante, attualmente, e se leggiamo alcuni ranking di questo secolo somigliano molto a quello attuale.

Tra il 2005 e il 2007 i punti di Nadal e Roddick superavano a stento, sommati, quelli di Federer. Nel 2010 il numero tre del mondo, Djokovic, aveva totalizzato la metà dei punti del primo, Nadal e 3100 meno del secondo, Federer. Nel 2013 i numeri tre e quattro, Ferrer e Murray, non riuscivano a raggiungere i punti di Djokovic secondo. Quando Murray ha chiuso il 2016 da numero uno, il terzo giocatore al mondo era Milos Raonic, che aveva oltre 7 mila punti in meno.

Sono numeri che ci servono per relativizzare il presente, anche se raccontano una verità parziale. La differenza è la presenza di più contender per i titoli maggiori. È anche l’argomento che si usa per descrivere una decadenza del presente rispetto al recente passato: la presenza di Murray, Del Potro o Wawrinka in grado di battere chiunque in una buona giornata. Ogni tanto si evoca persino il nome di Tsonga - che è stato tra l'altro uno che ha tirato fuori l'argomento nostalgico. Di recente ha dichiarato che i successi dei Big-3 hanno più valore perché dovevano affrontare avversari più forti.

Eppure nell'arco di vent’anni i Big-3 hanno vinto circa l’80% degli Slam disponibili. Erano tre, è vero, per un breve periodo quattro, e in qualche Slam Wawrinka ha piazzato un exploit, ma non sono mancate stagioni dominate da due soli giocatori. O anche da uno solo. Nell’epoca dei Big-3 per ben quattro stagioni più del 90% dei grandi titoli è stato vinto da due singoli giocatori. Una percentuale superiore a quella del 2025, a ben vedere. Il nostro ricordo del recente passato è stato già deformato e ridotto in una storia ben precisa, espunta dei suoi angoli più problematici; quella di un circuito ricchissimo e con un livello competitivo spostato verso l'alto. Non è del tutto falso, ma non è nemmeno del tutto vero.

La differenza sostanziale è un'altra e sta nella prospettiva, in come guardiamo al futuro. Non si scorge al momento la possibilità che qualche giocatore possa nel breve periodo minare la solidità di questo duopolio. Il problema più che numerico è narrativo. Nell’epoca dei Big-3 c’era un equilibrio virtuoso tra la regolarità del successo di questi campioni e l’ingresso di fattori perturbanti. L’ingresso di Djokovic ha spezzato il duopolio Federer-Nadal appena prima che potesse diventare stancante, e prodotto persino la nostalgia di quel dominio a due. L’arrivo di Murray ha creato un’altra storia di titanismo nel circuito. Il ritorno di Federer ad alti livelli ha creato una narrazione di comeback entusiasmante e del tutto imprevista. Insomma: il circuito ad alto livello sembrava sceneggiato, per come riusciva a tenere vive le storyline dei personaggi principali senza mandarle a noia agli spettatori.

Anche la ATP sa bene che la rivalità tra Alcaraz-Sinner può essere un'arma a doppio taglio, e sembra piuttosto in imbarazzo nel registrare l’abisso che separa i primi due giocatori al mondo dagli altri. Lo dimostra la manipolazione grafica fatta pochi giorni fa.

La rivalità tra Sinner e Alcaraz è una benedizione per il tennis, ma ha bisogno di fattori perturbanti che la rendano ancora desiderabile. A nessuno piace la monotonia nello sport. Dipende però dagli altri.

Al momento i top-10 non rappresentano dei contender credibili. Ciascuno di loro spera in sostanza in una contemporanea assenza di Sinner e Alcaraz per vincere un grande titolo - se non se lo fanno fregare da un qualificato come successo a Shanghai. Non si tratta solo del loro livello complessivo, ma del fatto che non sembrano avere nelle corde un grande exploit, una giornata da pazzi, un’impennata imprevista.

I migliori giovani del circuito sembrano ancora lontani dal raggiungere il livello richiesto. Jakub Mensik ha ancora molti aspetti del suo gioco da limare e non si capisce ancora del tutto quanto profonde siano le sue prospettive. Joao Fonseca ha i colpi per contestare questo dominio: l’ingresso in top-30 alla prima stagione ATP parla di un predestinato. Però, appunto, è appena arrivato e deve ancora formarsi a livello mentale e fisico.

Quando rivivremo una giornata così?

Un calo di Sinner e Alcaraz è all’orizzonte? Per ora sembra inutile crederci. Al momento quindi ci sembra che questo duopolio non presenti alcuna prospettiva di fine. L’epoca attuale ci sembra eterna, come forse poteva apparire il presente tennistico nel 2007, quando Federer e Nadal si dividevano tutti i maggiori titoli del circuito e non sembrava esserci nessuno in grado di contestarli. Lo stesso Djokovic ha impiegato diverse stagioni - dure e formative - per salire al loro livello; stagioni in cui non sembrava poterli mai raggiungere.

Quindi non resta che proiettare le nostre speranze sull’ignoto. Nello sport il presente ci sembra spesso più immutabile di quanto non sia in realtà, e frutto di una situazione più eccezionale. Forse è il prodotto del nostro recency bias, la tendenza cognitiva a sovrastimare gli eventi del presente; o il semplice fatto che non riusciamo a concepire, a immaginare, un’alternativa a quello che stiamo vivendo, ci fa credere a una realtà più banale, meno in grado di cambiare. Siamo meno ottimisti riguardo a un futuro diverso: vale nella politica come nello sport. Del resto mentre Djokovic si prendeva gli Slam sguarniti post-covid, affrontando spesso Medvedev in finale, credevamo di poter vivere un’altra rivalità fenomenale come quella attuale? Quando Sinner perdeva in tre set da Djokovic, a Wimbledon 2023, pensavamo forse che poi avrebbe vinto quattro Slam in due anni? Esistono delle trasformazioni che non riusciamo a visualizzare. La realtà è meno banale delle nostre analisi, più incline al cambiamento di quanto siamo disposti a credere.

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