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Marco D'Ottavi
Dusan Vlahovic è una scarica di adrenalina per la Juventus
04 mar 2022
04 mar 2022
Il centravanti serbo ha vinto il premio di calciatore del mese di febbraio dell'AIC.
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Marco D'Ottavi
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Matteo Ciambelli/DeFodi Images via Getty Images
(foto) Matteo Ciambelli/DeFodi Images via Getty Images
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Negli ultimi quattordici mesi Vlahovic avrebbe potuto essere il “calciatore del mese” più o meno ogni mese, almeno quelli in cui è stata presente la Serie A. Nessuno nello stesso periodo è stato più regolare, più scientifico nel fare bene il proprio lavoro (40 gol dal 16 dicembre 2021 a oggi). E infatti il serbo ha vinto questo premio già a novembre, quando indossava ancora la maglia della Fiorentina, grazie a una doppietta al Milan, in una bella vittoria davanti al suo idolo Ibrahimovic, e poi segnando contro Empoli e Sampdoria. Poteva vincerlo in altre occasioni, sempre grazie ai suoi gol, battuto da exploit di altri calciatori, e lo vincerà ancora in futuro, immagino: è difficile pensare che possa smettere all’improvviso di essere così decisivo, e lo farà sempre grazie al numero di reti che riuscirà a segnare.E anche questa vittoria è figlia dei suoi gol, certo, tre nelle prime quattro partite di Serie A con la Juventus (a cui, per quanto non ricadono in questo premio, non possiamo non aggiungere il gol dopo 30 secondi al Villarreal alla prima partita di Champions League e l’autogol decisivo procurato alla fine della sfida col Sassuolo in Coppa Italia con una giocata di forza brutale). Tre gol non banali, arrivati nelle due vittorie di febbraio della Juventus e che gli hanno permesso di collezionare quasi il 60% dei voti dei colleghi iscritti all’Aic, battendo nettamente Traorè, Tameze e Gaston Pereiro. Ma è anche una vittoria che va oltre i gol (anche Pereiro, per dire, ne ha segnati tre, fondamentali per trascinare il Cagliari fuori dalla zona retrocessione, anche più importanti di quelli del serbo probabilmente). Questo perché non è stato un mese qualunque per Vlahovic. Appena prima che iniziasse febbraio è passato dalla Fiorentina alla Juventus portandosi dietro una coda lunga di discussioni, più generali sul cannibalismo bianconero sul mercato italiano, ma anche personali su Dusan Vlahovic, un calciatore di 22 anni pagato circa 80 milioni per andare a indossare una maglia più pesante, giocare partite più importanti, con più occhi addosso. Ma soprattutto arrivare all’improvviso, a gennaio, e dover salvare dalla sua depressione una squadra come la Juventus, che era sembrata sul punto di cedere, almeno a livello emotivo. Una squadra che nell’ultima partita prima del suo arrivo aveva finito per fare zero tiri in porta contro il Milan, pur non giocando particolarmente male. Che era in scia al quarto posto, sì, ma più per demeriti altrui che per propri meriti, che aveva segnato meno di squadre come Empoli e Sassuolo. Non era scontato, quindi, che Vlahovic riprendesse subito da dove aveva lasciato, con una nuova squadra, nuovi problemi, un nuovo modo di giocare, e invece è successo. Col suo metro e novanta, le spalle larghe e il sorriso ampio, Vlahovic si è calato nella parte che i tifosi avevano sognato per lui con una semplicità imbarazzante. Col Verona, a 12 minuti dal debutto, si è infilato nel buco lasciato dalla difesa e una volta arrivato sul lancio di Dybala ha superato Montipò con un pallonetto in corsa di esterno sinistro non impossibile, ma così perfettamente eseguito per tempismo e traiettoria da collocarsi in quella categoria di gol che alcuni fanno e altri e no, e quelli che li fanno sono la fortuna delle squadre in cui giocano. Ma Vlahovic non è stato solo quello: sei minuti prima si era già costruito un tiro pericoloso dal nulla e alla fine, nei novanta minuti, ne avrebbe provati cinque (nessuno dei suoi compagni è arrivato a due). Inoltre aveva lottato su ogni pallone, difeso quello che poteva difendere, sbagliato quello che poteva sbagliare. Nell’azione del secondo gol di Zakaria si era mosso in maniera intelligente per liberare lo spazio al centro. https://youtu.be/3-dNS_wyxNg È stato subito chiaro che il serbo sarebbe stata un’iniezione di adrenalina dritta nel cuore di una squadra che ne aveva disperato bisogno. Semplicemente inserendolo in rosa i tifosi sono diventati più rumorosi, la comunicazione social della Juventus più allegra, i compagni galvanizzati. Morata, che doveva essere il sacrificato in questa storia, è rinato; Allegri è apparso, almeno nelle intenzioni, più deciso, varando subito il tridente con il serbo, lo spagnolo e Dybala. Insomma, Vlahovic più dei gol, Vlahovic come deus ex machina che cala dall’alto per cambiare lo scenario, trasformare il dramma in commedia. Certo, in uno sport di squadra nessuno è la soluzione, tanto più nel calcio dove 22 persone devono contendersi un pallone coi piedi in uno spazio grande, e le partite con Atalanta e Torino hanno mostrato le inevitabili difficoltà che incontra un centravanti in una squadra col gioco della Juventus. Febbraio per Vlahovic è stato anche il lottare coi mulini a vento, il vedersi sopraffatto dalla fisicità di Bremer, che secondo Allegri «avrebbe dovuto portare a giro», l’essere inseguito per tutto il campo dai difensori dell’Atalanta. Le mappe delle sue zone di gioco possono essere frustranti per chi ha ideali calcistici più proattivi, ma per Vlahovic essere un centravanti è prima di tutto un mestiere, dove se c’è da ricevere nel cerchio di centrocampo spalle alla porta con i difensori che cercano di strapparti l’anima, bisogna fare di tutto per farlo bene, e lo sta facendo bene - anche meglio di quanto si poteva credere. C’è una carica vitale nel suo gioco che va oltre i gol, che si materializza nella volontà di essere decisivo in ogni giocata, una voglia che deve imparare a gestire meglio, ma che al momento è necessaria per la Juventus. In alcuni frangenti è apparso un po’ stanco, ma stanco non di una stanchezza ipotetica, stanco per aver conteso ogni pallone, per aver cercato di trovare un pertugio per il tiro ogni volta che il pallone gli arriva negli ultimi metri di campo (è già il bianconero con più tentativi per 90’ dopo Dybala, che però tira in media da molto più lontano e centrando molto meno la porta), per essere scattato in profondità non appena un compagno alzava la testa. Guardate le partite di Vlahovic, sono piene di questi momenti in cui ci prova, in cui si sbatte lontano dal pallone, tiene impegnata la difesa avversaria. È un calcio difficile quello che deve giocare, ma le cose difficili sono quelle che vengono chieste ai grandi giocatori e, se Allegri gli chiede di spostare le montagne, lui sembra provarci volentieri.È per questo che la copertina del suo mese la prende quell’esultanza rabbiosa nel recupero della partita con l’Empoli, quando è stato in grado di guadagnare e conservare il possesso in mezzo a tre avversari facendosi fischiare fallo. Perché quello è parte del lavoro di Vlahovic ed è importante quanto il controllo meraviglioso con cui si è allungato il passaggio impreciso di Morata prima di segnare con un tocco sotto col piede debole o quanto la freddezza con cui dopo aver ricevuto nel cuore dell’area di rigore ha fintato la conclusione e accarezzando poi il pallone verso l’interno in un colpo a messo a sedere Vicario e mandato a vuoto Ismajli per poi calciare in un punto preciso della porta - al centro - vanificando il recupero di altri due difensori. https://youtu.be/7Y7KQ_Qg7dk?t=81 Non è stato il miglior mese della carriera di Vlahovic e di certo ne arriveranno di più eccezionali, ma febbraio ha detto qualcosa sul suo futuro, allo stesso giocatore credo, che in apparenza sembra sempre guardare il mondo con aria di sfida e trattare il calcio come fosse una cosa semplice, ma che avrà avuto anche lui bisogno di queste prestazioni per tranquillizzarsi, capire che il suo posto può essere quello, un posto più scomodo che prestigioso al momento, ma anche un posto che, a quanto pare, ha voluto fortemente. La sua carriera non la valuteremo in mesi e la Juventus non può limitarsi a farsi trascinare dal suo entusiasmo per risolvere le partite, si è visto a febbraio ma si vedrà anche nelle prossime settimane. Tuttavia per Dusan Vlahovic vale l’adagio scontato e banale: chi ben comincia è a metà dell’opera.

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