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Serie A Daniele Manusia 22 febbraio 2022 8'

Con Bremer attaccato alla schiena

Uno dei migliori difensori del campionato.

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Forse la Serie A non è il campionato dove si difende meglio in Europa, forse non è vero che le difese italiane sono più dure che negli altri campionati, come si pensava fosse una volta (ammesso che lo fosse), ma di sicuro è il campionato dove gli attaccanti vivono la presenza dei difensori con maggiore ansia, come se attaccare fosse un crimine, un furto, un peccato capitale da compiere con la paura che la giustizia, terrena e divina, si abbatta su di te sul più bello. Con alcuni difensori, almeno, funziona così. E che cosa sono le marcature a uomo se non il Minority Report che permette alla polizia di intervenire prima ancora che il reato avvenga, punendo l’intenzione stessa, mentre sei ancora a centrocampo e stai semplicemente provando a controllare un pallone lungo?

 

Concentrandoci solo sull’ultimo week-end di calcio gli spettatori hanno potuto assistere alla meticolosa opera di distruzione di Afena-Gyan e Abraham ad opera di Ceccherini, Casale e Gunter, ai tentativi di Altare, Lovato e Goldaniga di estinguere ogni slancio vitale di Elmas, Petagna e Mertens, all’incontro di MMA a tutto campo due contro due di Demiral e Djimsiti contro Piatek e Nico Gonzalez, alla violenza gratuita di Becao su Zaccagni, che a un certo punto dopo essere rotolato a terra con Becao sopra si è rialzato indicandolo e inveendo con l’arbitro, come si indica e inveisce contro il padrone di un cane che ti ha appena morso. E poi, ovviamente, c’è stato il ratto di Dusan Vlahovic da parte di Gleison Bremer, con il Corriere dello Sport che lo mette in copertina il giorno dopo: «Poco Vlahovic», aggiungendo che il suo arrivo «non ha risolto i problemi offensivi».

 

Prima del derby, Bremer aveva detto che i giocatori del Torino sarebbero dovuti essere «ancora più cattivi», venendo da due sconfitte nelle precedenti partite di campionato. L’ultima volta che aveva giocato contro Vlahovic, poco più di un mese fa nella vittoria per 4-0 con la Fiorentina, lo aveva cancellato dal campo, per cui ci si aspettava un’altra serata difficile per il serbo. Così è stato, e Allegri, dopo averlo sostituito a dieci minuti dalla fine, subodorando forse le critiche che stavano per arrivare ha detto che Vlahovic si è trovato davanti «un difensore importante», aggiungendo che non è abituato a giocare tre partite in pochi giorni e già dalla partita prima, con l’Atalanta, era stato «meno brillante». Insomma, poca esperienza o magari e non è un caso che, anche nella partita prima, a marcarlo sia stato un altro sadico torturatore come Demiral? 

 

Dopo il derby anche Juric si è complimentato con Bremer, in un clima idilliaco da viaggio di nozze reso possibile dal recente rinnovo contrattuale, che se non altro protegge il Toro dai ricatti di agenti e direttori sportivi: «Bremer è un ragazzo fantastico, ha fatto una grande partita, a Vlahovic, veramente, lo ha annullato completamente». Il che è vero in parte, perché anche se il bello dei sistemi difensivi con le marcature a uomo è che semplificano il più possibile il calcio in una questione di duelli individuali, il calcio non è mai solo una questione di duelli individuali. Vlahovic, anzi, qualche duello lo ha anche vinto, non è vero che non ha toccato palla. L’azione che porta Rabiot dentro l’area di rigore del Torino dopo dieci minuti nasce da una sua bella sponda di destro per Zakaria, giocata con Bremer incollato alla schiena. Come in quasi ogni azione.

 

Un esempio piuttosto classico di anticipo bremeriano. Notate una cosa però: Vlahovic si sporge e cerca il contatto per tenerlo dietro, Bremer si sfila di lato e mette la gamba nello spazio che Vlahovic stesso ha creato tra sé e il pallone. È tecnica anche questa.

 

Gleison Bremer è l’Huggy Wuggy della Serie A. Il personaggio del videogioco indie Poppy Playtime, una specie di pupazzo mostruoso, alto e con le braccia lunghissime, di un bellissimo blu peloso ma con una bocca piena di denti affilati. Il videogioco consiste nello scappare da Huggy Waggy, che spunta da dietro gli angoli bui con sorprendente velocità. Nel giro di poco tempo è diventato virale e su YouTube si trovano molti video di reazioni esageratamente spaventate, per usare le parole di Vincenzo Marino (che ne ha scritto nella sua newsletter “Zio”) Huggy Wuggy è «il nuovo cattivo dell’Internet», «la bestia spaventosa dalla quale non si può scappare, davanti cui reagire incontrollabilmente. Un incubo».

 

In comune con Huggy Wuggy, Gleison Bremer ha il fatto che, a guardarlo, non è veramente spaventoso. Hanno entrambi qualcosa di dolce, tenero. Nel caso di Bremer si tratta con grande probabilità della sua personalità, effettivamente da ragazzo simpatico e tranquillo, che contrasta con il suo stile di gioco asfissiante, appunto da mostro horror. 

 

Ma Bremer è anche molto pulito e, come dire, tecnico. Sì perché anche se sembra una pura questione di concentrazione, l’applicazione costante di una pressione, l’ostinazione di chi è disposto a finire in galera pur di non lasciarti giocare tranquillo a calcio, nel caso di Bremer – diverso praticamente da tutti gli altri difensori che giocano con uno stile simile – parliamo anche di un rapporto diretto con la palla, della manipolazione del corpo dei suoi avversari e di una continua lettura dello spazio. 

 

Due esempi di come Bremer ricorra alla propria capacità di leggere il gioco, oltre che all’atletismo. Nel primo caso vede l’inserimento di McKennie e per un attimo resta in equilibrio tra difendere l’americano e Vlahovic, quando McKennie fa un tocco in più per andare verso l’area accorcia immediatamente e gli mura il cross. Nel secondo caso, con Morata a palla scoperta Bremer deve difendere il taglio alle sue spalle di Kean, ma anziché cercare il contatto e il duello in velocità taglia la linea di passaggio deviando la propria corsa e anticipando.

 

Secondo Statsbomb (via fbref) in questa stagione di Serie A Bremer è primo per anticipi, palle respinte e spazzate. Terzo per duelli aerei vinti e anche tra i primi dieci per pressioni portate su un avversario in possesso della palla. In assoluto, confrontato con tutti gli altri difensori dei primi cinque campionati europei, è nell’1% di quelli che fanno più anticipi (nell’ultimo anno solare) e nel 2% di quelli che portano più pressioni (ed è anche nell’1% dei difensori che generano più xG, ma in questo pezzo mi concentrerò solo delle sue qualità difensive). 

 

La sua eccezionalità sta nel volume e nella qualità del gioco, ma anche nel modo in cui ha affinato negli anni le sue doti naturali (due anni fa, nella stagione 2019/20, era primo in Serie A per dribbling contrastati) adattandole quest’anno al gioco aggressivo e rischioso di Juric, che richiede personalità e capacità decisionali di alto livello. 

 

Allegri ha detto, sempre dopo il derby, che Vlahovic avrebbe potuto provare a mettere in difficoltà Bremer «portandolo a giro per il campo» ma – a parte che dipendeva anche dal tipo di palloni con cui i compagni cercavano Vlahovic e dall’occupazione degli spazi di tutta la Juventus – non è detto che sarebbe cambiato granché. 

 

Anche contro attaccanti più mobili, come Osimhen contro cui ha giocato lo scorso ottobre (o nei duelli in cui si è trovato a difendere Okereke, o Immobile), Bremer ha giocato comunque una partita asfissiante, negando tutto quello che poteva negargli. La sua abilità in marcatura è tale che difende aggressivamente sia in avanti, quando c’è da anticipare, sia all’indietro, quando deve accompagnare la corsa del centravanti palla al piede o i tagli con cui prova a ricevere nei mezzi spazi o nei corridoi laterali. 

 

Quando mette pressione – cioè ogni volta che il “suo” uomo entra in possesso del pallone – la fa sempre tenendo presente la palla. Là dove non può anticipare, Bremer comunque spinge da dietro per spostare l’avversario (e lo fa senza usare le mani, come fanno i difensori ingenui) sporcandogli il controllo e portandosi avanti per conquistare il pallone immediatamente dopo. Viene da pensare che ci sia un collegamento a quando da ragazzino, a Bahia, lavorava nella fattoria del padre «badando agli animali che allevava: vitelli, mucche, maiali», come ha ricordato lui.

 

Nel primo caso Bremer segue Osimhen con la consapevolezza che anche se è più veloce deve tagliargli davanti per andare verso la porta; nel secondo lo sposta al momento del controllo .

 

Se trova un centravanti grosso come lui, o più di lui (ed essendo alto quasi un metro e novanta non ne trova molti, ma Beto ad esempio è uno di questi, o Zapata, Scamacca), comunque Bremer gli rende difficile la ricezione e appena il pallone si allontana dal corpo dell’avversario, o in protezione quello gli lascia uno spiraglio, prova a infilarci una gamba, anche solo per allontanare la palla dalla disponibilità di entrambi. Cosa che, ovviamente, è molto più facile rispetto a quello che sta provando a fare l’attaccante, ovvero proteggere la palla e girarsi verso la porta o verso qualche compagno. 

 

Ma, appunto, Bremer può giocare anche lasciando un paio di metri ai suoi avversari, scegliendo il momento in cui accorciare e usare il proprio corpo per respingere il cross o il tiro o per separare l’avversario dalla palla. Anche quando lo portano sulla fascia Bremer spinge gli avversari contro la linea laterale oppure, sempre attento a non farsi mai trovare con il corpo in orizzontale rispetto al campo, sempre in diagonale, fa da muro, da ostacolo, tra palla e porta. 

 

Qui Bremer capisce, non si sa bene come, che Cuadrado sta per passarla a Morata e accorcia in un battito d’occhi la distanza che li separa, arrivando per primo sulla palla; poi vede che, nello slancio, può arrivare prima di Arthur e prosegue la corsa, riuscendo in effetti ad anticipare anche lui.

 

Se un attaccante è tecnico ma non abbastanza fisico Bremer ne manipola il corpo e l’equilibrio, se è veloce ma in conduzione non è ipertecnico lui lavora sulle traiettorie, se è forte fisicamente ma tecnicamente non è Benzema, Bremer legge in anticipo i movimenti del tiro e glielo respinge. 

 

Non ha margini di errore, però, e basta un posizionamento sbagliato per essere punito da attaccanti di alto livello che, tanto più in partite in cui di occasioni sanno di averne poche, non si fanno deprimere dalla sua forza vitale (Bremer lo ha imparato nella partita d’esordio in Serie A, proprio in un derby con la Juve in cui Cristiano Ronaldo ha segnato il gol del pari quasi allo scadere saltandogli giusto dietro le spalle).

 

A dirla tutta, per difensori forti come Bremer spesso è una questione di centimetri: di distanze da tenere più o meno corte, di attaccanti che adesso vanno soffocati anche a costo di fare fallo e a cui adesso invece vanno presi due metri in profondità per non farsi trovare scoperti. Di tiri e cross da contrastare mettendoci la gamba, non lasciando più nessuno spazio tra sé e l’avversario. 

 

Insomma, dietro il concetto, pur semplice, di marcatura ad uomo, si nascondono in realtà interpretazioni, letture del gioco e decisioni, piuttosto complesse. Oltre a una tecnica difensiva che va dal difensore goffo e irruento che non vede neanche la palla a quelli come Bremer che recitano la loro parte con violenza ma anche sensibilità, mettendo in discussione il possesso del pallone e ribaltando i normali rapporti di forza tra chi attacca e chi difende, tra chi è attivo e passivo, mostrando un carattere che hanno solo i primi della classe.  

 

Certo, resta un giocatore più adatto a squadre aggressive, che puntano ad avere un baricentro alto – sarebbe triste vederlo difendere (di nuovo) posizionalmente all’interno della propria area di rigore – ma a venticinque anni, alla sua terza stagione da titolare in Serie A, Bremer ha preso l’ascensore che lo ha portato già dove sono i migliori nel suo ruolo, con qualità che, oltretutto, non sono spendibili solo in un contesto come quello del Toro 2021/22. 

 

Tags : gleison bremerIvan Jurictorino

Daniele Manusia, direttore e cofondatore dell'Ultimo Uomo. È nato a Roma (1981) dove vive e lavora. Ha scritto: "Cantona. Come è diventato leggenda" (Add, 2013) e "Daniele De Rossi o dell'amore reciproco" (66th & 2nd, 2020) e "Zlatan Ibrahimovic, una cosa irripetibile" (66th & 2nd, 2021).

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