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Semiotica dei calzettoni
19 nov 2021
19 nov 2021
Da arrotolati alla caviglia a tirati su fino alla coscia.
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In principio fu Omar Sivori. L’argentino neanche ci provava a tenerli almeno un po’ su, i calzettoni intendo. Li arrotolava fino alla caviglia per lasciare impudica la tibia, alla mercé degli avversari perché tanto quelli poi non lo prendevano. Sivori raccontava di giocare con i calzettoni abbassati «per far capire ai difensori avversari che anche se ero piccolino, nessuno davvero nessuno mi faceva paura». Sul calcio insolente e sensuale di Sivori - uno che ti dribblava anche al bagno - ci stavano alla perfezione. Era un po’ il gioco del torero con il toro: ti faccio vedere la carne, il punto in cui infilare le corna, ma poi ti frego.

Arrotolati alla caviglia o "alla cacaiola"

È stato probabilmente lui a creare il gancio, l’idea intramontabile per cui calzettoni abbassati uguale talento. In Italia, dove Sivori giocò con le maglie di Juventus e Napoli fino alla Nazionale da oriundo, venivano chiamati calzettoni alla cacaiola, un termine del dialetto toscano. Non ho trovato spiegazioni etimologiche, ma in toscano lo stesso termine significa anche incutere una gran paura, e allora magari il senso è quello e se vedete dei calzettoni abbassati, occhio.

Dopo arrivò, per emulazione, Mario Corso. Innamorato di Sivori, lo si poteva vedere ciondolare per San Siro con i calzettoni abbassati e il genio un po’ maudit dei mancini. Le punizioni a foglia morta, il sinistro di Dio, il calciatore odiato da Herrera e amato dai tifosi (e da Moratti padre): anche lui ha aderito in pieno all’idea del calzettone abbassato come segno inequivocabile del talento degli artisti che giocano a pallone. In un’epoca in cui i parastinchi non erano obbligatori - ci arriviamo - potevi veder spuntare qualche tibia nuda qui e lì, ma erano una manciata i calciatori che potevano farne un tratto distintivo, quasi politico.

Negli anni ‘70 a farsi alfieri del calzettone abbassato sono tre calciatori entrati nella leggenda per il loro carattere romantico e rivoluzionario. Li portavano giù George Best, l’ideale perfetto di genio maledetto del pallone; Gigi Meroni che del sette dello United ne è la versione italiana, ancora più maledetta se possibile visto il tragico destino, e poi Ezio Vendrame, il calciatore scapigliato.

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Il calzettone abbassato diventa, insieme ai capelli lunghi e la barba, il simbolo di una rivoluzione dei costumi che infuria. Senza elevarsi al grado di questi tre, altri calciatori li adottano su palcoscenici mondiali, mentre la rivoluzione della tv a colori rende il calzettone abbassato ancora più evidente e insolente. Lo indossa in bianco e nero Gerd Muller, capello lungo e fiuto da cane di tartufo dell’area di rigore, nei mondiali in Messico del 1970. È lui a portarli negli incubi degli italiani - incubi poi a lieto fine - con la doppietta segnata nei supplementari di Italia-Germania 4-3 (Müller, che durante in 90 minuti aveva tenuto i calzettoni alzati, doveva esserseli abbassati per la stanchezza).

Sul tetto del mondo li porta Mario Kempes, un altro che giocava sempre con i calzettoni abbassati. Anche lui con i capelli lunghi, a vedere le foto - a colori - della finale del Mondiale del 1978 contro l’Olanda, per tutta la partita i suoi calzettoni fanno su e giù (a volta anche alternati), come se fosse un problema proprio di elastico.

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Peter Robinson/EMPICS via Getty Images.

Ma come per i capelli lunghi, anche il calzettone abbassato negli anni ‘80 perde la sua carica anti-sistema per diventare un vezzo glam come un altro. In Italia li portano, ad esempio, Ciccio Graziani, Aldo Serena e, soprattutto, Nicola Berti. Il centrocampista dell’Inter ne fa un tratto distintivo, ideale per sottolineare ancora meglio il fisico slanciato e la corsa leggera e potente. Anni dopo anche lui giustificherà la sua scelta come Sivori: «Non indossavo i parastinchi, non erano obbligatori. Il fatto è che all’Inter non li usava nemmeno Serena, il quale, come me, portava i calzettoni abbassati e arrotolati. Io però lo facevo per un motivo preciso: volevo dimostrare di essere coraggioso, volevo sfidare tutti». Altri a indossarli in quegli anni sono Toninho Cerezo, che era sicuramente un professionista, ma anche uno che amava lasciare libere le sue lunghe leve, e Gianluca Vialli, forse - invece - per far respirare i potenti polpacci.

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Qui nella stagione 1988/89 insieme a Mancini, anche lui senza parastinco e a tibia scoperta (Alessandro Sabattini/Getty Images)




Abbassati con il parastinco

Se il parastinco esiste dal 1874, invenzione neanche troppo geniale di Samuel Widdowson del Nottingham Forrest, è alla fine degli anni ‘80 che perdono il loro carattere aleatorio per apparire fissi sulle tibie dei calciatori. È la Fifa a porsi il problema, non per il motivo che ci si poteva aspettare però: alla ricerca di metodi per tenere lontano dal campo lo spettro dell’Hiv, la commissione medica ritenne che «come misura profilattica contro la trasmissione dell’Aids, è indispensabile che l’uso dei parastinchi diventi obbligatorio». Questo perché le ferite lacero-contuse alla tibia erano uno degli infortuni più comuni in quegli anni, infortuni che in campo venivano trattati con spugne bagnate, di certo non il metodo più igienico e sicuro possibile.

L’obbligo arrivò definitivo ai Mondiali del 1990, segnando un prima o dopo. Tra l’affermazione dei parastinchi e la scomparsa dei trequartisti indolenti, i primi anni ‘90 non sono un grande periodo per i calzettoni abbassati. Iniziano a nascere però altri tipi di vezzi, come ad esempio il nastro adesivo per tenere lontano dalla caviglia il parastinco - a dire il vero già usato da Bruno Conti negli anni ‘80 e ancora oggi molto in voga. A farsi notare, forse perché legato all’ascesa repentina del calciatore, sono i laccetti che Alessandro Del Piero si lega alla fine del calzettone, appena sotto il ginocchio. Ben visibili mentre il numero 10 della Juventus segna a giro tirando dall’angolo destro verso l’incrocio sinistro, rimarranno con lui negli anni migliori - almeno fino all’infortunio al legamento - rimanendo forse proprio per questo nell’immaginario di tutti i tifosi. Anni dopo, parlando dei suoi laccetti, Del Piero fu piuttosto criptico: «non c’è un motivo particolare per cui non me li vedi indosso ancora oggi, anche perché non è detto che non li porti nel risvolto dei calzettoni stessi o da qualche altra parte. Semplicemente un giorno è successo che non li ho portati più ed è finita lì».

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Ci vuole un po’, ma alla fine tornano i trequartisti indolenti e capiscono pure come arrotolare il calzettone intorno al parastinco. La riscoperta del polpaccio in Serie A è merito di un 10 serafico e olivastro arrivato dal Portogallo. Rui Costa e la Fiorentina si incontrano in un matrimonio di stile perfetto: capello lungo, chewing-gum di ordinanza, catenina d’oro, maglia viola e calzettone a metà polpaccio che lascia intravedere il parastinco.

In un calcio che inizia a tendere all’ipertrofia, il genio compassato di Rui Costa è perfetto per riaffermare l’idea che il calzettone abbassato è segno di talento. E se negli anni ‘70 era maledetto, nella seconda metà dei ‘90 è stiloso e un po’ retro. A Genova la moda la porta un argentino magrolino dal piede magico. Juan Sebastian Veron attraversa la Serie A - Sampdoria, Parma, Lazio poi Inter dopo un passaggio allo United e al Chelsea - sempre con quei calzettoni bassissimi, che non si sa come facciano a tenersi a non sbrodolare, e una fascia bianca sotto il ginocchio, come a voler dare un ulteriore tocco di unicità al suo stile già inconfondibile.

È grazie a loro due se tantissimi iniziano a imitare questo stile, non solo sui campi dei professionisti, ma ovunque ci sia bisogno di indossare un calzettone e un parastinco insieme. Ma ogni campionato ha il suo: nella Premier operaia degli anni ‘90, si distingue per il suo stile dal calzettone basso Steve Claridge, attaccante sgraziato che galleggiava tra la prima e la seconda serie, lasciando scoperta la tibia come se non gliene importasse nulla della durezza di quel calcio.

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Allsport UK /Allsport

Ai Mondiali francesi qualcuno osa. Zamorano, per esempio, ma anche difensori come Sol Campbell e Laurent Blanc, che con il calzettone rosso a mezz'asta lo porterà in cima al mondo, sollevando la Coppa da capitano (ma doveva essere un vezzo dei francesi, dato che anche Barthez se li è abbassati per vedere il rigore di Di Biagio schiantarsi sulla traversa).

Dalla stagione 2001/02 il calzettone abbassato lo adotta anche un altro numero 10. Il fisico meno filiforme di Rui Costa e Veron, Totti lascia intravedere i polpacci scolpiti da gladiatore facendolo diventare un tratto distintivo che non abbandonerà per i restanti 15 anni di carriera, tanto che - in una versione minimale e perfezionata rispetto alla prima che lasciava intravedere il laccio del parastinco - era presente anche nell’ultima partita giocata dal capitano della Roma.

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Calzettone sopra al ginocchio

Nike via Getty Images

Ma se in Italia i trequartisti tengono viva la moda insolente del calzettone abbassato, non più arrotolato alle caviglie come Sivori, ma lavorato intorno al parastinco, dall’altra parte della Manica Thierry Henry ribalta completamente l’idea del calzettone abbassato, brevettando il calzettone alzato fin sopra le ginocchia. Apparso prima sporadicamente, il binomio Henry/calzettone alto sopra il ginocchio diventa indissolubile a partire dal 2003, complice anche le modifiche apportate dalla Nike ai suoi modelli, come si vede bene nell'immagine qui sopra, per la promozione del kit dell’Arsenal per la stagione 2003/04.

Parlando in una live su Instagram con Kevin Prince-Boateng - uno di quelli che fieramente adotterà il look del calzettone alto proprio emulando il francese - Henry dirà di averlo preso da Sonny Anderson (anche se è molto meno evidente, proprio perché i calzettoni prima erano più corti). Racconterà anche come all’inizio all’Arsenal questo suo vezzo era molto poco ben visto, che gli riservava parecchi calci e il soprannome di “ballerina”. Se doveva essere un vezzeggiativo offensivo, in campo con i calzettoni sopra al ginocchio e l’eleganza di un levriero, Henry diventa un'icona di stile. In poco tempo la sua intuizione viene seguita da una sfilza di calciatori, anche perché se il calzettone abbassato aumenta il rischio per la propria incolumità, alzato sopra il ginocchio fornisce un'ulteriore protezione, almeno da quei fastidiosi sgraffi al ginocchio che conoscono tutti quelli che hanno giocato a calcio almeno una volta.

Li adotta anche John Terry, per dire, una persona all’esatto opposto dello spettro dello stile sul campo da calcio rispetto ad Henry. In Premier diventano quasi la maggioranza, li adotta addirittura Cristiano Ronaldo, ancora non l’azienda Cristiano Ronaldo, ma già giovane fenomeno pronto a lanciare l’estetica predominante degli anni 2000. Il calzettone basso resiste nei primi dieci anni del 2000, mentre la Premier rivoluziona la propria estetica e il proprio valore fino a diventare il campionato più importante al mondo, sugli stinchi di un calciatore che avremmo pensato sarebbe diventato un fenomeno, ovvero Aljaksandr Hleb. Se la sua carriera sarà una triste parabola discendente, in pochi saranno in grado di portare i calzettoni con il suo stile, abbassati di un quarto, non a metà quindi, come le maniche di camicia quando fa freddino ma non vuoi tenerle abbottonate al polso. Un modo di portarli che sembra spiegare il gioco di Hleb meglio di Hleb stesso.

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Alex Livesey/Getty Images




Calzettoni su

In qualche modo, forse senza volerlo, negli ultimi anni i calzettoni sono diventati un modo per dividere i calciatori in due categorie. Da una parte quelli con i calzettoni su - sopra al ginocchio - che sono quelli svelti, di piede e di pensiero. L’esponente principale, tra quelli ancora in attività, è ovviamente Neymar, che se li alza all’inverosimile sulle gambe graciline fino a farli somigliare a una calzamaglia. Lì indossa così anche il compagno del PSG Mbappé, ed è facile forse intuire il perché: immaginate cosa può voler dire scivolare a terra sulle ginocchia a quella velocità? Deve essere simile a una caduta dal motorino.

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Jean Catuffe/Getty Images

In realtà, poi, a portare i calzettoni tirati fin sopra il ginocchio sono giocatori dallo stile molto diverso. Certo la fanno da padrone i brasiliani (oltre Neymar li portano Vinicius Junior, non sempre, Richarlison, Rafinha, Luiz Gustavo) e in generale i sudamericani, ma se Lautaro Martinez, a modo suo, si inserisce bene nel canone, così come calciatori tipo Dani Alves, Callejon, Ozil, Iturbe, Ashley Young, Dusan Vlahovic e Ilicic (anche se me lo sarei aspettato più tipo da calzettone giù) più difficile spiegare il calzettone alzato di Otamendi, Caceres (forse la singola persona che li porta più in alto al mondo), Timo Werner e Elseid Hysaj. Non è una lista esauriente, potete divertirvi a trovarne altri (da aggiungere ci sarebbe anche un considerevole numero di portieri, ma per loro il motivo si spiega un po’ da sé).


Calzettoni giù

Laurence Griffiths/Getty Images

Forse più peculiare e specifico il filone calciatori con i calzettoni abbassati della contemporaneità. Il primo di cui parlare è ovviamente Jack Grealish, un calciatore che ha portato l’idea di portare i calzettoni bassi a un livello a cui non era arrivato nessun altro. Per riuscirci è bastata una soluzione tanto semplice quanto geniale: parastinchi per bambini di 7-8 anni. Così Grealish riesce ad aggirare tutte le regole fisiche della convivenza tra calzettone e parastinco, riuscendo a lasciare scoperta una notevole porzione di polpacci, che tra l’altro non sono polpacci normali, ma giganti, sproporzionati, polpacci da hobbit delle montagne. Interrogato a riguardo, dopo l'ipotesi che il suo fosse un omaggio a George Best, il calciatore inglese ha raccontato che era stato un lavaggio sbagliato, quando aveva 16 o 17 anni, a rendere i suoi calzettoni troppo stretti per i suoi polpacci, costringendolo a portarli così. Quella stagione era stata un successo e Grealish non ha mai smesso. Scaramanzia, quindi. Uno stile che però non è piaciuto a Paul Gascoigne, che prima di Euro 2020 ha detto di apprezzare Grealish ma che - cito - «vorrei solo che si tirasse su quei fottuti calzettoni come un calciatore normale».

Il calzettone basso, nonostante il parere negativo di Gazza, pare aver attecchito tra i giovani inglesi: li porta così Trent-Alexander Arnold, terzino ma anche un po’ trequartista; Emile Smith Rowe, che trequartista lo è davvero nell’Arsenal (che si dimostra la squadra più impegnata nella lotta tra calzettoni giù e calzettoni su, portata avanti da Bukayo Saka). I due affrontano la stessa idea in maniera leggermente diversa: parastinco basso intorno al quale si avvolge il calzino per il giocatore del Liverpool, praticamente è il calzettone a essere dentro i parastinchi; mentre quello dell’Arsenal adotta una versione con il parastinco più alto a spuntare dal calzettone. A loro si aggiunge Tom Davies, che invece incarna lo spirito più operaio del calzettone abbassato, ovvero di chi se lo abbassa per provare a combattere in qualche modo la fatica.

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The FA/The FA via Getty Images

In Serie A negli anni '10 è stato Marek Hamsik - oltre Totti ovviamente - l'alfiere del calzettone abbassato. Coi capelli punk, la faccia pulita da bravo ragazzo e un gioco praticamente senza difetti, l'aggiunta dei calzettoni dentro i parastinchi da trequartista indolente lo rendeva un misto di stili ancora più curioso da osservare.

Oggi a riprendere la tradizione, forse sentita più da noi che altrove, degli argentini con i calzettoni bassi ci hanno pensato Rodrigo de Paul, almeno fino a che è rimasto a Udine era quello che li portava con più stile in Serie A, e Paulo Dybala. Il 10 della Juventus ha giustificato i suoi calzettoni a metà come una questione di comodità per la flessione dei muscoli del polpaccio, ammettendo di non sapere che anche Sivori li portava così e che non è un omaggio a lui. Secondo i più maligni sarebbe fatto per far vedere il tatuaggio col pallone e la corona che porta sulla gamba.

Il Milan può farci la mediana coi calzettoni abbassati: a portarli sono Franck Kessié e Sandro Tonali. I due centrocampisti del Milan non li portano sempre così e forse, più che un vezzo, lo fanno come se potesse dargli qualche ulteriore goccia di energia, visto quanto corrono nella squadra di Pioli. Abbassarsi i calzettoni, infatti, è anche un modo per cercare un po’ di sollievo dalla fatica, come i ciclisti che cercano le macchie d’ombra.

La tradizione dei calciatori italiani è portata avanti, invece, da Lorenzo Insigne, anche se ultimamente è stato piuttosto ambiguo nel suo modo di portare i calzettoni. Se l’11 settembre nella partita contro la Juventus erano inequivocabilmente bassi, il più in basso possibile per tenere il parastinco, il 3 ottobre contro la Fiorentina i calzettoni di Insigne erano alti sopra al ginocchio. Cosa sarà successo nel mezzo?

Se però bisogna scegliere un calciatore della Serie A che porta i calzettoni bassi e sembra farlo con assoluta noncuranza della cosa, quello è Antonin Barak. Alto più di un metro e novanta, capello biondo cenere tornato corto dopo una lunga fase da lungo e ribelle, il centrocampista del Verona ha quel suo stile unico tra il raffazzonato e l’elegante che riesce a esprimere bene coi calzettoni, portati bassi ma senza minimamente interessarsi a dargli una forma.

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Bruno Diodato/DeFodi Images via Getty Images.

L’enclave catalana di Barcellona, poi, ci ricorda come il calzettone basso può essere trasversale anche tra le classi sociali dei calciatori. Li portano così Memphis Depay, ala coatta e ribelle dai polpacci di granito, e Pedri, mezzala che conosce il tempo e lo spazio e non ha bisogno di muscoli. Ma anche qui ci sono delle piccole differenze: Depay li porta come se fosse proprio non volesse indossare i calzettoni ma fosse costretto dal regolamento; mentre Pedri sembra aver studiato un metodo per rendere il calzettone quasi “a sigaretta” per dare un taglio ancora più elegante al suo gioco.


Calzettoni bucati e altre amenità

Matthew Ashton/EMPICS via Getty Images

Se i calzettoni bassi affondano le loro radici negli anni ‘50 e quelli alti nei primi del 2000, negli ultimi anni un altro modo di pensare il calzettone si è affacciato nel calcio e, contro ogni previsione, è un calzettone bucato. In realtà si trova già sui polpacci di Luboslav Penev (foto qui sopra) in un Spagna-Bulgaria di Euro ‘96, ma non è stato possibile ricostruire il motivo o trovare altre foto in cui adottava lo stesso stratagemma per liberare i suoi polpacci. È capitato anche a Hugo Campagnaro ai tempi del Napoli, dovette tagliare i calzettoni perché non gli entravano a causa di polpacci troppo grossi. Tuttavia se dobbiamo dare il merito dell’invenzione a una persona, quella persona è Radja Nainggolan. Apparsi per la prima volta a Cagliari, i suoi calzettoni bucati all’altezza del gemello laterale, quello che tende a ingrossarsi di più, sono diventati un simbolo durante la sua esperienza romana.

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Enrico Locci/Getty Images.

Cresta bionda, stile da ninja, polmoni d’acciaio, il belga era il giocatore perfetto per adottare questo nuovo stile, dove il calzettone non può più contenere l’esuberanza del corpo. Come spiegato dal calciatore su Twitter, la motivazione è per far circolare meglio il sangue, anche se la scienza non sembra avere risposte di miglioramenti in questo senso. Negli anni comunque in molti lo seguiranno: Gareth Bale, forse cercando una soluzione mistica ai suoi infortuni muscolari, ma anche Neymar ai Mondiali del 2018 e Danny Rose.

I buchi sui calzettoni iniziano ad apparire sempre più di frequente. Ce li aveva Djidji Koffi in un recente Torino-Milan, Alfredo Donnarumma in Serie B e Angelino in Champions contro il Manchester City, con una precisione giottesca nel taglio a evidenziare il tatuaggio, che devo farvi vedere per forza.

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Robbie Jay Barratt - AMA/Getty Images

Come tutte le cose, la teoria del buco nel calzettone si è evoluta nella teoria dei buchi nei calzettoni. Con Kyle Walker come suo profeta, sempre di più sta prendendo piede l’idea che al calzettone non serve un unico buco nella parte del gemello, ma quanto piuttosto diversi piccoli buchi sparsi lungo tutta la superficie come se fosse una fetta di groviera. Ce li aveva così anche Ola Solbakken nella partita tra Roma e Bodo/Glimt, ma è tra Premier e serie minori inglesi che questa moda ha preso piede.

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Sam Bagnall - AMA/Getty Images

La motivazione è sempre quella che i calzettoni di nuova generazione stringono troppo e sono causa di problemi dal punto di vista cardiovascolare. In Spagna Ezequiel Garay è stato invitato dall’arbitro a cambiarsi i calzettoni bucati con dei calzettoni non bucati, come se esistesse un regolamento della buona creanza, tipo quello delle madri ai figli che vestono in maniera troppo scaciata.

In attesa di trovarli in commercio già bucati, come accade ad esempio per i jeans c’è un altro taglio ai calzettoni che va per la maggiore, così usato e ambiguo che è difficile anche fare una divisione tra chi lo usa e chi no. Molti calciatori infatti, tendono a tagliare la parte inferiore del calzettone, appena sopra la caviglia diciamo, per poi indossare solo la parte del calzettone che copre la tibia. Sotto indossano un calzino di spugna più leggero e che sulla parte del piede hanno un grip migliore. Questi calzini si chiamano TRUsox - uno di quei casi dove il marchio fa il nome del prodotto. Usciti nel 2012, compaiono sempre più spesso nello stretto spazio tra lo scarpino e l’inizio del calzettone tagliato dei calciatori. I più attenti possono notarlo per una specie di pattern a quadretti che li compone, per dare anche visivamente un’idea di migliore appiglio.

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È un modo di portare i calzettoni che è in voga da molti anni e che è anche difficile da notare dalla televisione. Qui un dettaglio del calzettone di Mattia Destro ai tempi della Roma (Giuseppe Bellini/Getty Images).




E i parastinchi?

Per chiudere questa storia del calcio per calzettoni, passiamo brevemente ai parastinchi. Abbiamo detto come siano diventati obbligatori dopo il 1990. Per anni l’unico grande passaggio era stato quello tra i parastinchi con i lacci e quelli senza. Certo poi ogni calciatore se li adornava come preferiva, arrivando a sfiorare vette di kitsch o autocelebrazione rari, ma più o meno non c’è molto da segnalare (anche i cambi di materiale hanno cambiato poco la forma). Poi è arrivato Grealish a portare i parastinchi per bambini nel mondo del calcio. Se addosso al giocatore del City può sembrare un vezzo estetico, altri calciatori stanno adottando una versione dei parastinchi sempre più ridotta. Olie McBurnie dello Swansea ha detto che li porta perché non indossandoli mai in allenamento, poi in partita non è abituato ad averli addosso. Recentemente Calvert Lewin ne ha indossati un paio così piccoli da sembrare un numero comico, una roba che potrebbe fare un clown.

https://twitter.com/CalvertLewin14/status/1375420987622187009

Forse ancora più piccoli quelli indossati da Naby Keita del Liverpool, tanto che qualcuno li ha scambiati per la custodia degli AirPods. Il regolamento dice che i parastinchi devono fornire “un ragionevole livello di protezione” e non sembra proprio questo il caso, anche se ancora nessuno li ha costretti a cambiarli in campo. Recentemente Aleix Vidal ha subito una brutta ferita lacero contusa alla tibia (15 punti di sutura per chiuderla) e nelle immagini dal campo è sembrato indossare dei parastinchi di cartoncino, spessi pochi millimetri. Il calciatore ha nicchiato dicendo che comunque il taglio è arrivato in una zona vicina alla caviglia, dove non ci sarebbe stata la protezione del parastinco. Noi comunque, nel dubbio, vi consigliamo di indossarli. Per quanto riguarda i calzettoni, invece, avete l’imbarazzo della scelta, anzi magari potete iniziare una nuova moda, anche se sarà difficile essere innovativi.




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