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Benedetto Giardina
Storia dell'incredibile crollo dello Schalke 04
07 feb 2024
07 feb 2024
Dall'elite alla quasi scomparsa.
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Benedetto Giardina
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Foto di Tomas Pakusch / Imago
(foto) Foto di Tomas Pakusch / Imago
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Se non fai il bravo bambino, la Befana ti porta il carbone. E di carbone, da Gelsenkirchen, ne è uscito parecchio sin dal 1840, solo che questo centro della Ruhr è stato in grado di riconvertirsi nella sede del più grande impianto di energia solare della Germania. La città sa stare al passo con i tempi, mentre la squadra di calcio che l’ha fatta conoscere in tutta Europa no: lo Schalke 04 è stato per decenni il biglietto da visita di Gelsenkirchen, ma le notti di Champions League non le vive da un po’ e oggi è come i bambini che si risvegliano col carbone nella calza del 6 gennaio. È ai confini della zona retrocessione in 2. Liga e rischia addirittura di sparire dal panorama professionistico. È l’allarme lanciato nei giorni scorsi da Sky Sport Deutschland, ma più che altro è una semplice equazione: se non si risolleva dal punto di vista finanziario, potrebbe non essere in grado di ottenere la licenza per giocare in terza divisione. Dopo decenni di drammi sportivi e di campionati persi all’ultima giornata in Bundesliga, per lo Schalke si sta materializzando un incubo ben peggiore.

La maledizione dell’eterno secondo

Guten Morgen, Vizemeister! Letteralmente: buongiorno, vicecampioni. A chi passerebbe mai in mente di celebrare un titolo del genere? Beh, in Germania, quando si gioca su un campo da calcio, può valere la pena di festeggiare i secondi posti, se non ti chiami Bayern Monaco o Borussia Dortmund. Il problema, se ti chiami Schalke 04, è che vieni da un passato ante Bundesliga in cui hai dominato la scena tedesca, salvo poi trovarti senza un Meisterschale da esporre in bacheca al fianco delle Gauliga di un’epoca oscura. Tra gli anni ’30 e ’40, la squadra simbolo di quella Germania era proprio lo Schalke, al punto da scatenare teorie postume su un presunto tifo da parte di Hitler - tutt’altro che confermato, anzi. Da allora, finita la guerra e con la Germania spezzata in due, per la squadra della Ruhr è arrivata solo una sfilza di piazzamenti d’onore, con undici campionati chiusi non al di sotto del terzo posto e campagne europee un minimo più soddisfacenti, con la vittoria della Coppa Uefa del 1997 battendo l'Inter in finale ai rigori.

Quando l’admin della pagina Facebook dello Schalke ha scritto quel buongiornissimo lì era il 13 maggio 2018. L’altro ieri, in pratica. Era la didascalia di una foto per certi versi imbarazzante, quella di tutti i giocatori sotto una gremita Nordkurve che espongono uno striscione con su scritto: “Deutscher Vizemeister S04”. Stavano davvero festeggiando un secondo posto in Bundesliga a -21 dal Bayern Monaco del redivivo Jupp Heynckes. Quel secondo posto che per decenni è stato l’incubo di tutta la tifoseria di Gelsenkirchen e qui vale la pena di fare un excursus sulla più incredibile tragedia sportiva di sempre del Fußball tedesco, al massimo emulata dall’harakiri del BVB della passata stagione.

Bundesliga 2000/01, penultima giornata: lo Schalke e il Bayern Monaco sono prime a pari punti (59), ma i Königsblau hanno il vantaggio della differenza reti (+29 a +24) e vanno in casa di uno Stoccarda in piena lotta per non retrocedere, accompagnati da 15 mila tifosi con in mano le copie in cartone del piatto d’argento dei campioni. Molte di queste voleranno via all’annuncio dei risultati dagli altri campi, perché dopo cinque minuti il Bayern va sotto, in casa, contro il Kaiserslautern. In avvio di secondo tempo, Jancker pareggia i conti, ma a Stoccarda cambia poco: lo Schalke attacca, il VfB resiste. Fino al 90’, quando i pianeti si allineano. Zickler trova il gol della vittoria per il Bayern e lo Stoccarda realizza l’impossibile con un sinistro dal limite di Krasimir Balakov, l’uomo che portava il 10 sulle spalle della Bulgaria di Stoichkov in un gelido novembre parigino del ’93, quando Ginola capì che Bog e bulgarska e a USA ’94 ci andarono i bulgari.

Finisce qui? Macché. Vero, la classifica dice Bayern 62, Schalke 59, ma la differenza reti dà ancora speranza ai blu con tre gol che pendono dalla loro parte. Il Parkstadion è stracolmo per la sua ultima partita di sempre in Bundesliga, lo Schalke affronta un Unteraching alla disperata ricerca di punti salvezza, capace di sfruttare lo shock collettivo per portarsi sul 2-0 in neanche mezz’ora. Il tutto, mentre in quel di Amburgo, il Bayern rimane inchiodato sullo 0-0. Lo Schalke riemerge, pareggia già sul finire del primo tempo, ma a venti minuti dal termine è di nuovo sotto, 2-3. Da Amburgo, nessuna notizia. L’ultimo quarto d’ora è ciò che nessun tifoso di calcio vorrebbe mai provare in vita sua, oppure il sogno di una vita per chi sta dall’altro lato: Böhme segna una doppietta in un minuto e ribalta la partita per lo Schalke, Ebbe Sand all’89’ mette il sigillo finale e si prende pure il titolo di capocannoniere. In condivisione, perché pochi secondi dopo arriva il gol numero 22 in Bundesliga anche per Sergej Barbarez, ma non c’è nemmeno un istante in cui il bomber danese abbia pensato alla gloria personale, dato che Barbarez gioca per l’Amburgo e il suo gol al 90’ contro il Bayern significa titolo per lo Schalke. I cancelli del Parkstadion si aprono ed è come se si aprisse una diga, perché un mare blu invade il terreno di gioco.

Ad Amburgo si gioca ancora, però. Si gioca abbastanza per una delle decisioni arbitrali più controverse da quando è caduto il Muro di Berlino. Minuto 93, filtrante d’esterno destro di Effenberg per Paulo Sergio. Ujfalusi copre bene e lo anticipa in spaccata. Il pallone arriva al portiere dell'HSV, Mathias Schober, di proprietà dello Schalke e nato a 20 km da Gelsenkirchen. Lo raccoglie con le mani, in area di rigore. Per Markus Merk, indiscutibilmente uno dei migliori arbitri degli anni 2000 (forse il migliore, se non ci fosse stato Collina), è retropassaggio. Ancora oggi, Schober dice di no. Sta di fatto che al minuto 94, al Volkparkstadion di Amburgo, si decide la Bundesliga con una punizione a due in area: Effenberg tocca per Patrik Andersson, 69 partite con la maglia del Bayern e un solo gol, quello con cui ha divelto la barriera dell’Amburgo per portare a Monaco il Meisterschale numero 17, mentre i 65 mila del Parkstadion, inclusi i giocatori dello Schalke, scoppiano in un pianto che dopo 23 anni rischia di assumere contorni ancor più tragici.

Arriva Putin e lo Schalke entra nell’élite

Da un disastro si può sempre ripartire. Una settimana dopo, a Berlino, per lo Schalke arriva la magrissima consolazione della DFB Pokal vinta contro l’Union Berlin, all’epoca militante addirittura in Regionalliga. Il cambiamento più importante, però, deve ancora arrivare. La stagione successiva inizia nella nuovissima Arena AufSchalke, scelta nel 2004 per ospitare la finale di Champions League meno prevedibile di sempre tra il Monaco di Didier Deschamps e il Porto di José Mourinho. Avveniristica, per l’epoca, con il campo retrattile, quattro megaschermi sospesi al centro e il tunnel di ingresso dagli spogliatoi che richiama le miniere della zona. Sono gli anni in cui si dibatte in tutta Europa dell’importanza degli stadi di proprietà e degli impianti che possano servire al di fuori dei 90 minuti di partita. Un anno prima della sua inaugurazione, la Germania aveva ottenuto l’organizzazione dei Mondiali del 2006, prevalendo per un solo voto sul Sudafrica. Quello stadio, nel progetto tedesco, è uno dei nuovi “volti” da presentare al calcio mondiale, come l’Allianz Arena di Monaco o il Zentralstadion di Lipsia, all’epoca utilizzato dal Sachsen in Oberliga, quarta divisione. La Red Bull sarebbe arrivata solo nel 2009.

Ora, non è che lo Schalke di fine anni ’90 navighi nell’oro. Di certo, quando viene proposto il progetto di un nuovo stadio, non è un club in grado di sostenere questa spesa a cuor leggero. Infatti tra il 2002 e il 2003 decide di ricorrere a un finanziamento da 85 milioni di euro mediato dalla banca d’affari Schechter & Co. Ltd. Un macigno che si trascina a lungo nei conti societari: quando il 5 maggio 2010 viene presentato il bilancio 2009, i debiti superano i 135 milioni. Nell’occasione, lo Schalke annuncia un rifinanziamento del debito, dando ai tifosi la garanzia che nessun investitore esterno avrebbe interferito con le decisioni societarie. Anzi, viene emesso un bond per tifosi (Fananleihe) da circa 11 milioni di euro della durata di 6 anni. Non sarà l’unico. Nel giugno 2012, il club emette un bond da 35 milioni di euro, che verrà aumentato di ulteriori 15 milioni un anno dopo, con scadenza nel 2019. Nel 2016, vengono collocate sulla Borsa di Francoforte altre due obbligazioni - una da cinque e una da sette anni - fino a 50 milioni di euro complessivi. Le adesioni sono un successo: in pochi giorni il club raccoglie 101,3 milioni di euro e può anche ripagare in anticipo i sottoscrittori del bond del 2012.

Torniamo però un attimo al 2010. In quell’anno, quasi 67 degli oltre 250 milioni di debiti riguardano appunto la costruzione dell’Arena AufSchalke. Il prospetto pubblicato nel bilancio prevede però di saldare totalmente il conto per l’impianto nel 2018 e un indebitamento al di sotto dei 100 milioni già dal 2016. Non andrà affatto così: dopo aver toccato un picco di 230 milioni nel 2013, i debiti del club si attestano per un triennio al di sotto dei 200 milioni, salvo varcare nuovamente questa soglia nel 2017 (210,2 milioni di debiti) e proseguire su questo trend nel 2018 (219,6 milioni). Nei quattro anni successivi all’emissione del doppio bond, alla voce obbligazioni cambia poco o nulla: si passa dai quasi 51,2 milioni del bilancio al 31 dicembre 2016 ai 50,7 milioni del 2019.

Sul conto economico, almeno, si iniziano a vedere i frutti del nuovo stadio. Annualmente, Deloitte pubblica la Football Money League, la classifica dei club europei per fatturato operativo (dunque senza tener conto delle plusvalenze generate dal calciomercato). Nella stagione 2002/03, lo Schalke è tra le 15 principali società in Europa con un fatturato di 118,6 milioni di euro. Nel 2005/06, dopo due stagioni al di sotto dei cento milioni, arriva il primo balzo in avanti: 122,9 milioni di euro, seconda in Germania dietro al solito Bayern Monaco. Eppure, se si fa il confronto tra i premi di partecipazione alla Champions League tra il 2002 e il 2006, non è cambiato tantissimo. La prima presenza tra le big d’Europa ha portato nella Ruhr un contributo di 25,4 milioni di franchi svizzeri, convertibile a spanne in meno di 18 milioni di euro (nel 2002 il cambio era favorevole al franco, circa 1,46 a 1), mentre il ritorno in UCL - con l’iconica esultanza di Gattuso in faccia a Poulsen in un velenosissimo match col Milan - è valso circa 15 milioni (23,1 milioni di franchi svizzeri del 2006). La differenza, per l’appunto, è tutta nello stadio. Non solo dal botteghino, per quanto il prezzo basso dei biglietti in Germania non permetta chissà quali incassi, ma anche della cessione dei naming rights per dieci anni al birrificio Veltins. Se nel 2003 i ricavi da stadio riportati da Deloitte si attestavano a 28,3 milioni di euro, nel 2008 siamo già a 32,3 milioni. In dieci anni, l’aumento dei cosiddetti matchday revenues è stato di oltre 14 milioni (42,5 milioni di euro nel 2012/13).

A questo si unisce una partnership commerciale destinata a fare la storia del club, non necessariamente in positivo. Dal 1° gennaio 2007, lo Schalke lega il proprio nome a quello di Gazprom, colosso russo dell’energia che da qualche mese ha rilevato le quote di un altro club, lo Zenit San Pietroburgo, destinato di lì a breve a farsi conoscere in tutta Europa. Con i tedeschi, l’accordo prevede una sponsorizzazione da record per la Bundesliga di allora: un massimo di 125 milioni di euro nei primi cinque anni e mezzo di contratto, più di quanto previsto nel contratto con cui Deutsche Telekom iniziò ad apporre il proprio logo sulle maglie del Bayern. L’ufficialità arriva in un giorno simbolico, il 10 ottobre 2006: quello della visita di Vladimir Putin a Dresda, la città in cui ha lavorato per anni da agente del KGB. Neanche una settimana prima, la società North European Gas Pipeline Company (fondata da Gazprom e dalle tedesche BASF e E.On) aveva cambiato il proprio nome in Nord Stream AG: nel 2011, porterà all'apertura dell'omonimo gasdotto col quale la Germania si assicura le forniture di gas dalla Russia direttamente dal mare, senza passare da Polonia e Ucraina. Tre giorni prima, invece, nel vano ascensore di un palazzo moscovita, vengono rinvenuti una pistola, quattro bossoli e il cadavere di una donna. Si chiamava Anna Politkovskaja, era una giornalista della Novaya Gazeta, una testata indipendente che dal 2022 ha dovuto cessare le pubblicazioni in Russia trasferendosi a Riga, in Lettonia.

Il legame tra Gelsenkirchen e Mosca ha un nome e un cognome: quelli di Clemens Tönnies, imprenditore nel mercato delle carni e dal 2001 presidente dello Schalke. Una carica assunta per mantenere una promessa fatta al fratello maggiore Bernd, morto nel 1994 e al comando del club per soli 145 giorni prima di arrendersi ad un’infezione avvenuta a seguito di un trapianto di rene.Per sistemare la situazione debitoria del club, Tönnies interverrà anche con capitali propri, stando a quanto dichiarato nel 2014 a Die Welt, ma è il contratto con Gazprom a fare entrare lo Schalke in una nuova dimensione. Il gancio dell’operazione è nientemeno che l'ex cancelliere Gerhard Schröder, divenuto nel frattempo presidente del comitato degli azionisti di Nord Stream 1 e nominato nel 2017 come componente del board di un altro colosso energetico russo, la già sanzionata Rosneft. Curiosità: Schröder è tifoso del Borussia Dortmund, arcirivale dello Schalke nel Revierderby, che in quel periodo affrontava una delle più gravi crisi finanziarie di sempre. Nel 2022, a causa dei suoi legami con la Russia, il BVB ha revocato la membership onoraria all’ex cancelliere tedesco.

«Ho detto, date un'occhiata, potrebbe essere interessante. Poi le cose hanno fatto il loro corso», dirà Schröder qualche anno dopo, come riporta Manager Magazin, in merito all’accordo di sponsorizzazione tra Schalke e Gazprom. Una sponsorizzazione che in realtà è qualcosa di più, dato che nel board del club viene nominato un rappresentante di fiducia dei russi: in principio fu Sergey Kupriyanov nel 2011, poi dal giugno 2019 subentra Matthias Warnig, ex ufficiale della Stasi e CEO di Nord Stream. Legami che incontrano anche delle voci dissidenti nella tifoseria tedesca, come quella del magazine Schalke Unser. Dapprima con una sarcastica raccolta di dichiarazioni di Tönnies e altri rappresentanti del club, i quali garantivano che «Gazprom non ha mai chiesto un posto nel board». Poi, a seguito dell’annessione della Crimea da parte della Russia, con una lettera di uno dei loro autori, Roman Kolbe, nella quale si chiede al club di prendere le distanze da Putin.

Secondo un'inchiesta di Reuters, Tönnies è stato l'uomo che ha spinto l'agenda di Putin in Germania e, di conseguenza, in Europa, tra export in Russia e prestiti dalla Sberbank. Ha anche rivendicato un rapporto di assoluta cordialità col presidente russo, come lui stesso ha ammesso a Tagesspiel, raccontando di portare con sé a ogni incontro una maglia dello Schalke personalizzata e uno stinco di maiale, del quale evidentemente Putin va ghiotto. Vantarsi questa amicizia nel 2022 non sarebbe stato certo consigliabile. E infatti Tönnies si è difeso, dicendo di aver chiuso con Putin e che in fondo, in quegli anni, diverse altre aziende tedesche cercavano di allacciare contatti in Russia per il proprio business. Le esportazioni dalla Germania in territorio russo hanno quasi raggiunto un valore di 30 miliardi di dollari, prima dell’invasione dell’Ucraina.

Il fatturato record e la conferma in Europa

Sul fronte sportivo, il piatto langue, tanto per cambiare: nel 2005 lo Schalke è ancora secondo alle spalle del Bayern con 14 punti di distacco, nel 2007 è di nuovo in testa alla penultima giornata e deve affrontare la maldigerita trasferta di Dortmund contro un Borussia alle prese con un piano di risanamento dopo aver visto i fantasmi della bancarotta. Al BVB lo scherzetto riesce e il muro giallo esulta per un 2-0 che una volta di più rende lo Schalke la versione calcistica del Dorando Pietri. Con una punta meno drammatica rispetto al 2001, ma anche in questo caso all’ultima giornata - seppur per pochi minuti - i blu si ritrovano in cima alla classifica. Alla fine, però, chiuderanno secondi alle spalle non del Bayern, bensì dello Stoccarda. Nell’era dei tre punti, c’è stata una sola edizione della Bundesliga in cui al primo e al secondo posto non figuravano né il Bayern, né il Borussia Dortmund. E anche in questo caso, lo Schalke è riuscito a non vincere, accontentandosi di centrare un piazzamento per la Champions League. Competizione in cui non è che abbia eccelso, prima d’allora. Nel 2008, però, la squadra di Mirko Slomka riesca a superare il girone per la prima volta nella storia (chiudendo al secondo posto, ovviamente) e batte ai rigori il Porto agli ottavi. Ai quarti, il Barcellona liquida la pratica col minimo sindacale: gol di Bojan Krkic a Gelsenkirchen, gol di Yaya Toure al Camp Nou. Tre giorni dopo, in Bundesliga, la sconfitta per 5-1 a Brema col Werder costa la panchina a Slomka, altra stagione in archivio senza gloria.

L’exploit europeo arriva nel 2011: dopo aver vinto un girone apparentemente agevole con l’Olympique Lione, il Benfica e l’Hapoel Tel Aviv, lo Schalke supera il Valencia agli ottavi e si ritrova al cospetto dell’Inter Campione d’Europa e del mondo ai quarti. Titoli a parte, i nerazzurri non sono più quelli del triplete, ma con Leonardo in panchina al posto di Benitez è iniziata una mini-rimonta in Serie A all’inseguimento del Milan capolista. Al derby del 2 aprile, i rossoneri sono avanti di soli due punti. Il 3-0 finale per la squadra di Allegri è lo snodo cruciale per lo Scudetto. L’Inter finisce a -5 e pensa alla Champions, con i quarti di finale in programma tre giorni dopo. A San Siro, chi pensa a uno Schalke nel ruolo della vittima sacrificale, s’illude di avere ragione dopo neanche un minuto di gioco. Neuer anticipa Milito di testa, in tuffo, al limite dell’area di rigore, con un gesto plateale che ritarda il suo rientro tra i pali. La palla arriva a Stankovic che, da centrocampo, calcia di destro al volo. Il portiere tedesco non ha ancora rimesso piede in area quando si sente il boato del pubblico. È l’inizio, sì, ma della fine per l’Inter, che quella partita la perderà 2-5 e cadrà pure a Gelsenkirchen, 2-1, sotto i colpi di Höwedes e Raul, che ha scelto la Ruhr per tentare di restare quanto più a lungo possibile sul trono dei cannonieri all time di Champions League. È arrivato da Madrid con un bagaglio di 66 gol, prima di dover cedere il 7 merengue e lo scettro a un tale Ronaldo, Cristiano. Chiuderà a quota 71 e quella all’Inter sarà la sua ultima rete in Champions League. Van Nistelrooy (60), Shevchenko (59), Henry (51) e Inzaghi (50) non segneranno più dopo di lui. I 37 gol di Messi e i 28 di Ronaldo, però, iniziano a essere una minaccia, sebbene nessuno all’epoca immagini di vedere entrambi ben oltre quota 100.

La cavalcata dello Schalke si interrompe in semifinale contro il Manchester United, ma con un assegno da quasi 41,5 milioni staccato dalla UEFA per il percorso in Champions League. Più di qualunque altra tedesca (al Bayern vanno circa 34 milioni), più di un’altra semifinalista come il Real Madrid (meno di 41 milioni), dietro solo alle due finaliste - Barça e Manchester United - e al Chelsea che ha potuto godere di un market pool parecchio pompato. Da sempre stabilmente tra le 20 maggiori società in Europa per fatturato, lo Schalke entra per la prima volta nella top 10 della Football Money League di Deloitte con 202,4 milioni di ricavi operativi, giusto un milione in meno rispetto al Liverpool e oltre 20 milioni in più rispetto alla prima inseguitrice, il Tottenham. Il piatto forte della casa? I ricavi commerciali, pari a 90,9 milioni di euro. C’è in mezzo il già citato accordo con Veltins per i naming rights dello stadio e c’è ovviamente il contratto con Gazprom, che dal 2012 viene rinnovato di ulteriori cinque anni per un valore complessivo stimato in 75 milioni di euro. Ma c’è anche l’altra faccia dello Schalke 04, quello che quando le cose vanno bene in Europa, si arena in campionato. I Knappen terminano al 14° posto in Bundesliga, ottenendo la salvezza aritmetica solo alla penultima giornata. Senza qualificarsi alla Champions, è praticamente certo che l’exploit in termini di ricavi non sarà ripetuto.

Per rivedere lo Schalke sopra la soglia dei 200 milioni di fatturato operativo basterà attendere il 2014. Solo che il calcio europeo ha totalmente cambiato velocità, su questo fronte: se nel 2011 con 214 milioni saresti stato l’ottavo club più ricco al mondo, tre anni dopo basterà appena per essere tra i migliori quindici. Il marcare presenza fissa in Europa, però, aiuta e non poco a mantenersi nell’élite. L’aumento dei ricavi è continuo: nel 2018, il club chiude il bilancio (al 31 dicembre) con ricavi pari a 350,4 milioni di euro, nel luglio 2019 finisce di saldare il prestito da circa 123 milioni per la costruzione dello stadio e nell’edizione 2020 della Deloitte Football Money League - facendo riferimento alla stagione 2018/19 - è 15° con un fatturato operativo di 324,8 milioni di euro. Per il diciassettesimo anno di fila è tra le 20 società nella classifica per ricavi in Europa e il balzo in avanti rispetto all’anno precedente (+81 milioni di euro) è dato dal ritorno in Champions League dopo quattro stagioni di assenza, per di più superando la fase a gironi.

Agli ottavi, nel match d’andata col Manchester City, lo Schalke è in vantaggio per 2-1 a Gelsenkirchen per quasi tutto il secondo tempo, finendo per essere rimontato dalle reti di Sané e Sterling negli ultimi cinque minuti. All’Etihad, gli uomini di Guardiola hanno vinto 7-0. Nel report di Deloitte, sul nuovo record di ricavi per i tedeschi, c’è una previsione che sa di gufata: «La firma di una serie di nuove ed estese partnership commerciali […] e la stabilità apportata da una partnership a lungo termine con Gazprom saranno probabilmente sufficienti per evitare che lo Schalke esca dalla top 20 del prossimo anno».

Dalle semifinali di Champions alla Zweite

In top 20, lo Schalke, ci rimane. È il come ci rimane che è interessante, perché nel 2020 ha un tracollo nei ricavi di oltre 100 milioni di euro (e i debiti sfiorano i 217 milioni). Certo, nel pieno della pandemia di Covid-19, chi è che non ha perso centinaia di milioni tra i top club europei? Solo che a Gelsenkirchen il passo indietro è del 31% nel giro di un anno, nessuna delle società d’élite del calcio continentale ha avuto una tale discesa e il paragone con le consorelle tedesche è impietoso. Il Bayern Monaco, nella classifica di Deloitte, ha registrato ricavi inferiori per 26 milioni di euro (-4%), il Borussia Dortmund per soli 6 milioni, l’Eintracht è entrato in top 20 pur con un fatturato operativo inferiore di 8 milioni rispetto all’anno precedente. Tra le migliori trenta del primo anno pandemico fa capolino anche il Borussia Mönchengladbach.

La Bundesliga, tolta l’inarrivabile Premier League, è la lega che piazza più club tra i 30 capaci di produrre maggior valore in Europa. L’elefante nella stanza, però, è troppo grande per non rendersene conto. Tanto più se si considera che il report di Deloitte viene pubblicato a gennaio 2021 e lo Schalke è stabilmente in zona retrocessione. Nella stagione precedente, alla sospensione dei campionati, era sesto a 37 punti e in piena corsa per un posto in Europa League. All’ultima giornata, di punti ne avrà 39, frutto di due pareggi e sette sconfitte, tra cui lo 0-4 di Dortmund in una delle partite più seguite di sempre, con ogni probabilità, dato che è stata la prima a giocarsi nelle top 5 leagues dopo il lockdown. La stagione successiva finirà mestamente in 2. Liga, ultimissimo con soli 16 punti, frutto di 3 vittorie, 7 pareggi e 24 sconfitte. Numeri che hanno riportato alla mente la triste storia del Tasmania Berlin e la sua unica partecipazione alla Bundesliga, nel 1965/66. Non ha riscritto i record negativi del calcio tedesco, lo Schalke, ma c’è andato paurosamente vicino.

Fuori dal campo la situazione diventa ancora più preoccupante. A giugno 2020, con la Germania che prova a ripartire dal lockdown, il mattatoio Tönnies di Gütersloh diventa uno dei maggiori focolai di Covid-19 del Paese, con oltre 1400 casi di positività registrate. I primi studi scientifici condotti dal professor Martin Exner, dell’Università di Bonn, dimostrano che il sistema di areazione del macello ha mandato continuamente in circolo la stessa aria, specificando però come questo fosse «un fattore di rischio di nuova scoperta». Il mattatoio rimarrà fermo per un mese, ma i tifosi dello Schalke insorgono e chiedono le dimissioni del presidente, che giusto un anno prima era finito nell’occhio del ciclone per una frase discriminatoria nei confronti degli africani («Smetterebbero di tagliare alberi e di fare figli quando fa buio», disse proponendo di finanziare la costruzione di 20 centrali elettriche all’anno in Africa). Le dimissioni arrivano il 30 giugno 2020, con lo Schalke che chiude la semestrale con 205,3 milioni di debiti e si avvia a disputare la sua peggior stagione di sempre in Bundesliga, retrocedendo in seconda serie.

La Zweite è uno strano mostro. La Bundesliga non prevede un paracadute, a differenza delle altre grandi leghe europee, ma la ripartizione dei proventi televisivi è progressiva per tutti i club di prima e seconda serie. Un incentivo alla competitività per tutte, dove non centrare la promozione al primo anno non equivale a ridimensionarsi. Basta guardare un po’ più a nord, ad Amburgo: l’HSV è retrocesso per la prima volta nella sua storia nel 2018 e da allora lotta per tornare in Bundesliga, mancando costantemente l’appuntamento nelle battute finali o, peggio ancora, nello spareggio interdivisionale. Però, arrivando sempre tra le prime quattro in campionato, riesce a garantirsi una fetta di introiti televisivi abbastanza ampia da poterci riprovare ogni anno. Passare dai ricavi audiovisivi della Bundesliga a quelli di una 2. Liga resta comunque un abisso per lo Schalke: con i bilanci chiusi al 31 dicembre non si può stabilire l’ammontare dei proventi tv su una singola stagione, ma i dati Deloitte per il 2019/20 indicano 94,9 milioni e pre-Covid addirittura 161,1 milioni di euro.

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