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Gabriele Anello
La Sampdoria sta affondando
10 feb 2023
10 feb 2023
Il club di Ferrero è sull'orlo del fallimento.
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Gabriele Anello
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IMAGO / Buzzi
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A volte il tempo passa perché nulla veramente cambi. È un adagio che si confà molto alla realtà italiana, dove ci illudiamo che lo scorrere del tempo corrisponda per forza a delle novità. Forse è anche quello che hanno sperato i tifosi della Sampdoria, quando è finito il periodo di interdizione per Massimo Ferrero da presidente del club. Nel dicembre 2021, Marco Lanna aveva preso in mano la situazione con la speranza che la proprietà cambiasse. Invece, ecco la scarcerazione di Ferrero, il ritorno alla guida della società e il solito rapporto teso con la tifoseria di cui avevamo parlato appena un anno fa. Un ritratto fatto nella convinzione che fossero arrivati i titoli di coda sul suo settennato alla guida della Sampdoria. Invece, come un capo di stato che non vuole lasciare la propria carica, Ferrero non si è smosso e ora il baratro sembra ormai vicinissimo. In questa lotta interna e fratricida – tra presunti qatarioti, cordate legate a vecchie leggende e altre voci –, la Samp sta affondando. Non solo fuori dal campo, dove i soldi non ci sono e anche le offerte per acquistare la società scarseggiano. Società e squadra sembrano aver trovato un accordo per spalmare gli stipendi dovuti, quegli 11 milioni di euro che la Sampdoria avrebbe dovuto pagare entro il 16 febbraio per non incorrere a penalizzazioni, ma è solo spostare in avanti il problema. In Serie A, i blucerchiati sono in piena zona retrocessione, ma hanno già cambiato allenatore – dentro Stankovic per Giampaolo – e nel mercato di gennaio c’è stata una diaspora. In uno strano giro d’eventi, la Sampdoria sembra essere il casus belli di quello che sarebbe successo alla Salernitana se non fosse stata rilevata da Iervolino nel dicembre 2021. E con una società nella quale affiorano debiti, una possibile retrocessione e il depauperamento della rosa, è più probabile che qualcuno aspetti che il cadavere passi a riva piuttosto che salvarla finché è in vita.

Sembra paradossale come proprio quest’anno sia uscito “La bella stagione”, che riassume la scalata della Sampdoria di Mantovani a trent’anni dallo Scudetto.

Fallimenti, fallimenti ovunque E dire che la Sampdoria non sarebbe la prima squadra italiana in A ad avere questo tipo di problemi. In generale, il calcio italiano non gode di buona salute: è giusto di qualche settimana fa l’approvazione della rateizzazione del debito per i club di Serie A, la stessa industria che aveva chiesto (e ottenuto) un trattamento diverso in piena pandemia. Della norma spalma-debiti hanno beneficiato 18 squadre su 20 della Serie A (escluse Cremonese e Fiorentina). Eppure, il calcio più di tutti come industria ha dimostrato di essere poco virtuoso. Sono all’ordine del giorno ogni estate fallimenti, mancate iscrizioni e fideiussioni andate a vuoto. La Serie C è stato un campo minato in tal senso; la cadetteria è stata ridotta a 20 squadre a forza di fallimenti. Per buttare giù qualche numero: solo ad aprile 2022, ben 76 erano stati i fallimenti societari nel calcio italiano, con ben 465 punti di penalità assegnati in 11 anni. E parliamo solo della Lega Pro. Numeri enormi, che non accennano a fermarsi: anche il 2022/23 è iniziato con due rinunce in Serie C, con Campobasso e Teramo che sono rispettivamente ripartite dall’Eccellenza molisana e dalla Promozione abruzzese. A questi si aggiungono alcuni casi eccellenti come quelli di Bari, Palermo e Catania, tre realtà che per diversi motivi sono dovute fallire, dopo anni travagliati, per ripartire da capo e trovare oggi una loro strada, con un pubblico affezionato e proprietà più affidabili (anche se il Bari si trova nello stesso problema già visto con Lotito e la Salernitana delle multiproprietà). In Serie A la situazione è più smussata rispetto a quello che è successo nel 2000, quando il fallimento della Fiorentina nel 2002 dopo il disastro Cecchi Gori – dopo la retrocessione già arrivata sul campo per i viola – e quanto accaduto alla Lazio, presa in mano da Lotito dopo che Cragnotti aveva scavato ogni buco possibile aveva fatto tremare il sistema calcio, ma la situazione non è certo rosea, al contrario. La situazione della Sampdoria è solo la prossima variante. Certo, il COVID-19 ha influito sui conti di molti club, ma possiamo dire serenamente come il club si stesse già incamminando verso uno scenario problematico, fatto di mancanza di player trading, una rosa vecchia e operazioni sbagliate. Senza il rigore parato da Audero a Criscito nell’ultimo Derby della Lanterna, forse saremmo già arrivati a queste conclusioni.

Seconda volta all’inferno? E pensare che la Samp non sta rischiando il fallimento per la prima volta. Dopo aver vissuto l’epoca della “Sampd’oro” tra il 1984 e il 1993, quando Paolo Mantovani – imprenditore romano trapiantato a Genova – aveva spinto la squadra fino allo Scudetto del 1991. Dopo di che, alla morte di Paolo la squadra era passata di mano a suo figlio Enrico, che aveva tenuto un andamento dignitoso per qualche anno. Terza nel 1993/94, la Sampdoria galleggiava serena con Mancini capitano e riferimento, attorno al quale erano ruotati diversi profili interessanti. La Samp di metà anni ’90 aveva contato su Enrico Chiesa, Vincenzo Montella, Juan Sebastian Verón, Clarence Seedorf. Anche le operazioni sbagliate – come Beppe Signori e Jurgen Klinsmann – erano comunque testimonianza del benessere. Poi il crollo. Nell’estate del ’97, sia Roberto Mancini che Sven-Goran Eriksson si trasferiscono sulla sponda biancoceleste di Roma. La Samp si tiene a galla con i gol di Montella, ma il 1998/99 è l’anno maledetto: l’infortunio dell’Aeroplanino, una campagna acquisti in tono minore – i prestiti di Fabio Pecchia, Lee Sharpe e Saliou Lassissi –, il rendimento altalenante di Ortega, il mancato impatto di un giovane Luciano Spalletti in panchina. Complice l’incredibile gol di Ganz a San Siro e il rigore di Ingesson a Bologna, la squadra era scesa in B. Sembrava favorita per risalire, ma si era infilata in una spirale negativa. L’annata 2001/02 sembra il possibile punto di non ritorno, la prima volta in cui la Sampdoria rischia il fallimento. È una stagione traumatica, con la squadra mai veramente coinvolta nella lotta alla promozione. Dopo aver perso a Modena alla 33° giornata, è un punto sopra la zona retrocessione. Solo un finale fatto di un filotto di risultati – dieci punti in quattro gare – evita il peggio e un’incredibile retrocessione in C. Nel frattempo, però, la vera partita si sta giocando da un’altra parte. Dopo la delusione della mancata promozione nel 2000, Mantovani jr. era rimasto il proprietario, ma non era più il presidente. Enzo Garufi aveva ricoperto questo ruolo, fino a che la situazione non era divenuta ingestibile. La Samp sarebbe dovuta passare a un principe arabo, Omer Masoud, nel gennaio 2001. Riccardo Garrone, patron dell’ERG e già sponsor del club negli anni d’oro, sarebbe stato il presidente onorario. Quando si capisce, un anno più tardi, che in realtà la finanziaria legata a Masoud era pronta a frodare la Samp, Garrone non ci sta. Aveva promesso a suo padre che non avrebbe mai investito in una società di calcio, eppure la voglia di salvare la Samp è troppa. Antonino Pane, una sorta di “faccendiere”, sarebbe stato il fulcro di questa truffa, già vista con Juve Stabia e Savoia. Un acquisto su carta, senza soldi, millantando un credito che non esiste. Anche Omer Masoud non era che una figura immaginaria, necessaria a prendersi la società per poi venderne il parco giocatori e alzare due spicci. La fideiussione da 20 milioni di dollari promessa a Garrone non arriverà mai. Garrone non capisce quale sia l’ostacolo per la fideiussione; il resto lo fa la Finanza, bloccando Pane e Andrea Stagni al Banco di San Giorgio.

Alla fine, con la Samp vicina al fallimento, Garrone si prende l’onere di acquistare il club da Mantovani per sette miliardi di lire. Da lì, conduce la Sampdoria di nuovo alla Serie A, alle notti europee, alla finale di Coppa Italia del 2009 – persa contro la Lazio a Roma – e al quarto posto del 2009/10, che frutta il preliminare di Champions League, anch’esso perso contro il Werder Brema. La proprietà di Riccardo Garrone non è stata esente da problemi. Come proprietario e presidente della Sampdoria si lancio in alcune proposte “poco opportune” (come l'idea di fondere Genoa e Sampdoria), più qualche dichiarazione invecchiata male e alcune scelte sbagliate. Tuttavia, “Duccio” è sempre stato rispettato dai tifosi. Magari non amato visceralmente come Mantovani, ma rispettato sì. Lo stesso non si può dire di Edoardo Garrone, che subentra al padre nel maggio 2011, al momento della retrocessione: Riccardo non ha più voglia di esporsi ed Edoardo eredita la pesante missione di riportare la squadra in Serie A. Diventerà presidente nel febbraio 2013, un mese dopo la morte di suo padre. Il problema di Edoardo Garrone è che si è sempre professato affezionato ai colori blucerchiati, ma i suoi tre anni di gestione sono stati di fatto un enorme fatica. La Serie B, immaginata da protagonista e finita con una vittoria agonica ai play-off; tre stagioni, tutte condite da un cambio d’allenatore. Zero progettualità, una Samp grigia, nella massima serie, ma senza programmazione (vedi caso Icardi e rinnovo mancato).

La rottura finale si consuma con l’arrivo di Ferrero. Quando acquista la Sampdoria, nessuno ha mai capito cosa ci potesse ricavare Edoardo Garrone. Perché un imprenditore del suo calibro avrebbe dovuto “regalare” a Ferrero la Samp con una dote da 65 milioni di euro? Certo, la società all’epoca non era fruttifera – bruciava qualcosa come 30-40 milioni l’anno. In quei casi, è meglio uscire da un brutto investimento. Ma la sensazione è che ci sia di più. È sembrato come se i Garrone volessero dare una lezione ai tifosi sampdoriani per quanto accaduto dal caso Cassano in poi. Chiunque sarebbe meglio di noi? Chiunque avrete, allora. E pensare che a marzo 2014, Garrone parlava così: «Vendere? Se arriva uno sceicco, torno a fare il tifoso. Il mio obiettivo è rendere la società appetibile. […] Detto questo, la Samp non è in vendita, non c'è alcuna ipotesi di questo tipo. E i Garrone se la tengono stretta». In particolare, ci sono una serie di frasi di Edoardo Garrone che suonano fuori dalla realtà a distanza di quasi nove anni. Nell’annunciare il passaggio a Ferrero, si diceva sicuro della bontà della scelta: «In sette anni si sono presentati acquirenti ma nessuno era credibile. Poco tempo fa mi ha contattato con grande discrezione un imprenditore italiano, Massimo Ferrero. Ha dimostrato serietà, concretezza e mi ha convinto che farà bene». E ora? Non so come ogni tifoso sampdoriano viva questa vicenda. Anche il fondo Merlyn Partners di Alessandro Barnaba si è tirato indietro e Ferrero sta cercando una via d’uscita per tenersi al comando di questa barca che prende acqua. In tutto questo, Edoardo Garrone ha pensato di parlare di nuovo, pontificando dall’esterno, ma dimenticandosi che è il fautore di questa situazione. E se le minacce fisiche sono sempre da aberrare, la rabbia pullula per una situazione che si sarebbe potuta evitare con un po’ di avvedutezza. Chi scrive è un tifoso della Sampdoria e quasi spera che tutto questo si chiuda con il fallimento e la ripartenza dalle serie minori. È un processo legato all’eutanasia: non c’è ragione di martoriare un corpo infermo.

In tutto questo, la Sampdoria ha perso anche due figure storiche come Sinisa Mihajlovic e soprattutto Gianluca Vialli. Le parole di Attilio Lombardo riassumono per tutti.

Certo, capisco la paura della Serie D. Significherebbe sprofondare di tre serie, perdere il titolo sportivo, i titoli conquistati. Tuttavia, altre vicende legate a piazze comparabili per dimensione e/o storia – Parma, Palermo, Bari – insegnano che i club abbastanza grandi riescono a risalire (non sappiamo che fine farà il Genoa degli americani, ma il numero degli abbonati dimostra come una discesa in cadetteria non faccia scomparire l’affetto). In un calcio pieno di Superleghe e partite di cartello a tutti i costi, da tifoso di una squadra che non occupa le posizioni di testa, l’identità è più importante dei risultati finali. C’era un modo per sopravvivere senza tradirsi, ma il player trading è saltato da un po’. Il caso Damsgaard – luce nel buio tecnico degli ultimi anni, poi falcidiato dagli infortuni e venduto a “soli” 15 milioni – è la cartina di tornasole di questa strategia fallace. Sarebbe bello ripartire da quel gruppo che si è visto ne La bella stagione, recente pellicola che racconta l’annata magica del 1990/91 e il gruppo della Sampdoria di quel periodo. Purtroppo, la venuta di Lanna non ha cambiato la rotta – non è il suo ruolo – e la speranza di un Vialli presidente si è spenta a gennaio. Al momento, neanche il gruppo di profili più iconico della storia del club può garantire una via d’uscita. In sociologia, ci sono autori che sostengono come, delle volte, le crisi sono necessarie per re-inventarsi. È probabile che la Samp debba seguire lo stesso percorso. Al di là di quello che succederà – sul campo la crisi tecnica era palese già l’anno scorso, quella societaria ha fatto il resto –, il Doria sembra ormai inevitabilmente segnato verso un cambiamento, un altro salto (buio) nella propria storia.

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