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Alessandro Ferri
La Serie C è già un fallimento
20 mag 2019
20 mag 2019
La terza serie del calcio italiano, che avrebbe dovuto rilanciare l'intero movimento, sta sprofondando tra penalizzazioni, fallimenti e scandali.
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Alessandro Ferri
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La drammatica partita tra Cuneo e Pro Piacenza, terminata con un grottesco 20-0, ha attirato a febbraio scorso l’attenzione pubblica sui problemi della Serie C, un campionato che era stato creato con l’intento di lanciare nuovi talenti e di aprire le porte del grande calcio a realtà di provincia con un buon piano di sviluppo, e che invece si sta lentamente trasformando nello specchio peggiore dei problemi del nostro movimento.

 



La Serie C è nata nel 2014 sulle ceneri delle due divisioni di Lega Pro come campionato unico di terzo livello, posizionato dopo la Serie B e prima della Serie D, con un format da sessanta squadre, suddivise in tre gironi denotati geograficamente (cioè Nord, Centro-Nord, Centro-Sud).

 

Le difficoltà però sono iniziate fin da subito: la nuova Lega Pro, che dal 2017 ha assunto il nome di Serie C, è stata infatti funestata da diversi fallimenti, penalizzazioni, scandali, ritiri anticipati e ripescaggi. Un danno innanzitutto d’immagine per un campionato che era nato con l’obiettivo di rilanciare dal basso il calcio italiano. Ma che ovviamente ha anche pesanti ripercussioni pratiche, a livello economico e quindi sportivo.

 

La prima edizione della Lega Pro a divisione unica, nella stagione 2014-2015 inizia subito con una situazione di stallo. La composizione dei tre gironi viene inizialmente bloccata dopo le esclusioni di Viareggio e Nocerina, il ripescaggio in Serie B del Vicenza e la rinuncia del Padova, a seguito delle quali vengono ripescate Torres, Martina Franca, Aversa Normanna e Arezzo, quest’ultimo in extremis dopo il ripescaggio in B dei vicentini, che erano tornati nel campionato cadetto a causa del fallimento del Siena.

 

Superata questa impasse, il campionato sembra proseguire in modo tutto sommato sereno fino al 19 maggio, quando il Servizio Operativo della Polizia di Stato e la squadra mobile della Questura di Catanzaro arrestano 50 persone tra presidenti, allenatori, dirigenti, giocatori, magazzinieri, intermediari, interpreti, membri delle forze dell’ordine e scommettitori, con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla frode calcistica, con l’aggravante di aver favorito la ndrangheta. In manette finiscono soprattutto addetti ai lavori dei campionati di Serie D e Lega Pro. Tra questi emergono i nomi di tesserati di L’Aquila, Pro Patria, Monza, Barletta e Vigor Lamezia, tutte società iscritte regolarmente al nuovo campionato che aveva preso il via proprio quell’anno, ma anche sui dirigenti del Catania, allora in Serie B. Vengono dunque rinviate a giudizio 12 persone, con il processo che è iniziato solo il 29 gennaio scorso.

 

Nel frattempo l’inchiesta si allarga e l’occhio degli inquirenti si posa su Savona-Teramo del 2 maggio 2015, vinta dalla formazione abruzzese, capolista del girone B per 0-2 con le reti di Alessandro Di Paolantonio e Gianluca Lapadula. La partita regala ai biancorossi l’aritmetica certezza di essere promossi in Serie B per la prima volta nella storia, mettendo tra loro e l’Ascoli 4 punti di distacco ed evitando i rischi dello scontro diretto con i marchigiani nel turno successivo, ultima giornata del campionato. L’11 giugno il direttore della Squadra Mobile di Catanzaro, Rodolfo Ruperti, dichiara a Sky Sport che «

».

 

La giustizia sportiva intanto inizia a emettere verdetti, e sono durissimi. Nel girone A, la Torres viene retrocessa all’ultimo posto, mentre Pro Patria e Pordenone retrocedono dopo i playout, ma vengono ripescate: la prima con la postilla che sconterà 3 punti di penalizzazione nella stagione successiva dopo esser stata riconosciuta estranea ai fatti riguardanti lo scandalo calcioscommesse; la seconda per completare il campionato, che altrimenti non sarebbe potuto partire per mancanza di squadre. L’Albinoleffe non disputa nemmeno i playout in quanto ultima in classifica prima della pronuncia delle sentenze, ma poi viene ripescata nel campionato successivo sempre per completare il campionato.

 

Nel girone B il Teramo subisce la revoca del titolo sportivo e 3 punti di penalizzazione per il campionato successivo. Al suo posto viene promosso in Serie B l’Ascoli. Al Savona vengono inflitti 6 punti di penalizzazione per la stagione 2015-2016, al Santarcangelo 6 per il 2015-2016 e uno per il 2016-2017, mentre all’Aquila 7 sempre per il 2015-2016. Nel girone C il Catania viene retrocesso dalla Serie B con 9 punti di penalizzazione da scontare in Lega Pro. La Vigor Lamezia viene retrocessa d’ufficio all’ultimo posto della classifica. Il Messina retrocede dopo i playout, ma viene ripescato a seguito della sentenza della Corte d’Appello Federale riguardo il caso scommesse. Al Savoia tocca invece una sorte simile a quella dell’Albinoleffe: non disputa i playout perché ultima prima delle sentenze sportive, ma, a differenza dei bergamaschi, non viene ripescata, perché non fa richiesta per rientrare nella Serie C. La Paganese subisce un punto di penalizzazione per il 2015-2016 e uno per il 2016-2017. L’Akragas subisce 3 punti di penalizzazione da scontare nel campionato successivo. Alla Pistoiese, infine, viene inflitto un punto di penalizzazione nella stagione 2016-2017 per accertamento di responsabilità nel terzo filone dell’operazione Dirty Soccer.

 


Foto LaPresse - Raffaele Rastelli


 

Insomma, un bel casino, come avrete capito.

 



Ma anche prendendo ad esempio solo questa stagione, la Serie C sembra un campionato semplicemente non sostenibile, persino al di là delle esclusioni di Matera e Pro Piacenza. Sono 122 i punti di penalizzazione inflitti fin qui, un dato pericolosamente vicino ai 125 della stagione 2010/2011, record negativo. Lucchese e Cuneo sono state le più sanzionate, ritrovandosi rispettivamente con -23 e -21 punti rispetto a quelli conquistati.

 

A Lucca si è atteso con inutile speranza il 18 marzo, data ultima in cui pagare gli stipendi di gennaio e febbraio, dopo la fuga della vecchia proprietà e i mille espedienti provati anche dai tifosi, che hanno contribuito con una colletta, per evitare il peggio. I soldi non sono arrivati, ma le penalizzazioni sì: l’ennesimo chiodo sulla bara del tessuto di una città che sostiene il calcio con passione e che ora vive con lo spettro dell’esclusione dal campionato.

 

Il 18 marzo però è stata una data importante anche a Cuneo: entro quel giorno doveva essere presentata la fideiussione per permettere il proseguo della stagione. L’ultima bocciatura di gennaio ha portato 8 punti di penalizzazione al club che già ne aveva subiti 15 e a peggiorare ulteriormente le cose sono arrivate le parole del presidente Lamanna che riguardo alla situazione della squadra ha dichiarato: «Non ho il potere di gestire da solo una società professionistica». La fideiussione non è arrivata ed è scattata la multa per la società piemontese, una somma di 350.500 euro che però non si è rivelata un problema per i piemontesi, che vantavano dei crediti con la Lega Serie C per via della valorizzazione di alcuni giovani (la multa potrebbe addirittura trasformarsi in una compensazione). Il Cuneo è giunto penultimo nel girone A, dopo l’esclusione del Pro Piacenza e sta giocando il playout proprio con la Lucchese, arrivata invece al diciannovesimo e ultimo posto

 



C’è da dire che le problematiche di questa stagione sono anche il frutto dei gravi problemi che hanno afflitto la stagione 2017/18 della Serie B. In quell’anno, infatti, sono fallite contemporaneamente Cesena, Avellino e Bari, con effetti di lungo periodo anche sulle serie minori.

 

I romagnoli non riuscivano più a sostenere i debiti accumulati nel tempo, derivanti anche da un utilizzo fin troppo spregiudicato della leva delle plusvalenze, costringendo persino il comune della città della riviera a doversi fare carico di spese per due milioni, relative più che altro alla gestione dello stadio Manuzzi. A Bari, invece, la situazione è stata per certi versi più tragica: la società è fallita dopo 110 anni di storia e a nulla è servito il tentativo di salvataggio del sindaco Decaro, che aveva proposto una cordata che alla fine non ha più mostrato interesse nell’acquisizione del club. Dopo il fallimento, la società è stata rilevata dalla Filmauro, società di proprietà di Luigi e Aurelio De Laurentiis. La stagione appena passata ha lasciato luci e ombre sul futuro del Bari: da una parte l'anno del club pugliese è terminato con la promozione, dall'altro sembra difficile dire adesso quali siano le prospettive di rilancio nell’immediato futuro.

 

Per quanto riguarda l’Avellino, la causa dell’esclusione dal campionato cadetto è stata ancora una volta la mancanza di una adeguata fideiussione. Come si legge infatti nel comunicato della FIGC, il club campano non ha presentato in tempo la documentazione integrativa per ben due volte e per questo non è stata rilasciata la licenza per disputare la Serie B. I “lupi” hanno dunque dovuto trovare casa in Serie D, poi vinta brillantemente.

 

In vista della stagione cadetta 2018/2019 si è pensato subito a dei ripescaggi, ma tra ricorsi e battaglie legali, non si è giunti a una soluzione. La Serie B è quindi iniziata con 19 squadre tra le polemiche e soprattutto senza una vera e propria soluzione definitiva, tanto che ancora si attende la sentenza del TAR (l’ultima udienza è del 26 marzo scorso), dopo che la prima sezione del Tribunale Arbitrale Regionale del Lazio aveva accolto nel mese di ottobre l’istanza cautelare riguardo il ritorno alla formula a 22 squadre, stabilendo che ogni altra decisione precedentemente dovesse essere sospesa.

 

Il paradosso è che si è assistito all’udienza di un processo (che ancora non è terminato) che avrebbe dovuto regolare il numero di partecipanti di un campionato che in quella data era arrivato alla 31esima giornata. Di fatto la giustizia ordinaria ha punito la FIGC, ma ha anche dovuto fare i conti con il fatto che è impossibile procedere a dei ripescaggi a stagione così tanto inoltrata, anzi, quasi conclusa.

 

La stagione nel frattempo è andata avanti senza tener conto delle decisioni del TAR, che aveva optato per la riammissione in Serie B di Novara, Ternana e Catania, e ha congelato il provvedimento che aveva bloccato i ripescaggi e sancito la partenza delle Serie B con la formula sghemba che vediamo ogni sabato.

 

Le battaglie legali sono andate avanti per mesi, creando a volte situazioni grottesche. La Virtus Entella, ad esempio, aveva provato ad appellarsi in ogni sede non per il ripescaggio in B, ma per la riammissione (la differenza è sottile ma c’è: il ripescaggio sottintende che una squadra fa parte di una lista che deve rispettare determinati criteri di affidabilità finanziaria, numero medio di tifosi presenti, e così via, mentre la riammissione prescinde dalla presenza della società nella lista dei ripescaggi), dopo aver perso il playout con l’Ascoli, e ha visto definitivamente respinto il suo ricorso al TAR solo il 7 novembre, a campionati ampiamente iniziati.

 

È indicativo, in questo senso, che il problema della composizione dei campionati non sia stato veramente risolto. La Serie B ha iniziato la stagione con 19 squadre invece di 22, mentre la Serie C è arrivata a 59, con due gironi da 20 e uno da 19, per la mancanza di squadre da ripescare dopo i fallimenti di Reggiana (estromessa per motivi finanziari e ripartita dalla Serie D) Fidelis Andria (che non ha completato l’iter di iscrizione ed è stata aggiunta in soprannumero alla Serie D) e Mestre (che ha scelto di non iscriversi, di liberare i propri tesserati e di optare per l’eccellenza Veneta). A questo si è aggiunta anche la fusione tra Vicenza e Bassano Virtus, ora L.R. Vicenza, avvenuta dopo l’acquisizione dei biancorossi da parte del patron di Diesel Renzo Rosso, già proprietario dei bassanesi.

 


Foto LaPresse/Matteo Cogliati


 

A nulla, quindi, è servito

, che rimarrà un unicum, a causa della scarsa adesione da parte dei club di Serie A, che, eccezion fatta per i bianconeri, non hanno mostrato grosso interesse. Anche se il progetto bianconero continuerà, la possibilità di far giocare in Serie C le seconde squadre dei club di Serie A si è rivelata di fatto un passo falso, lasciando intatti i problemi della terza serie italiana.

 

Uno dei nodi principali è quello che ha riguardato la Viterbese-Castrense. Al presidente Piero Camilli non è infatti andato giù lo spostamento della sua squadra dal girone A al girone C, tanto che, il campionato della squadra laziale è iniziato il 3 Novembre, dopo nove giornate di campionato e una di coppa saltate, rinviate a causa del ricorso della Virtus Entella che era ancora pendente. I laziali avevano chiesto l’ammissione nel girone A della Serie C, ma l’unica soluzione percorribile era stata quella della speranza nel buon esito del ricorso per il ripescaggio dei liguri che se infatti fosse andato a buon fine, avrebbe visto, in mancanza di una squadra per completare il campionato, la riammissione della Viterbese-Castrense nel girone A, come da richiesta di Camilli, che aveva minacciato persino il ritiro della società dalla competizione. Le rimostranze del presidente si basavano sul fatto che la formazione di Viterbo, con lo spostamento nel girone C, avrebbe subito un aumento di spese per le casse dei gialloblù, passati dal trovare quindici squadre nel raggio di 300km ad una media di 1247 km per trasferta.

 

Alla fine il braccio di ferro è stato vinto dalla Lega e la Serie C, sempre più zoppicante, è andata avanti un’altra volta. Nonostante ciò, le parole di Camilli in quella occasione sono state comunque profetiche: «Questo campionato è falsato, ci sono moltissime società che non hanno i requisiti per arrivare alla fine».

 

Un altro grosso problema riguarda la piaga delle scommesse. E a questo riguardo, uno dei casi più eclatanti degli ultimi anni è quello di cui si è occupato il bel servizio realizzato per Nemo da Daniele Piervincenzi nel 2017, dopo il boom di vincite in Campania a seguito della sconfitta al Tardini del Parma capolista contro l’Ancona ultimo in classifica. In quel caso, migliaia di persone scommisero sullo 0-2 e portarono a casa vincite tra le 100 e le 300 volte più alte della posta giocata, in una zona vicino a Monterusciello, paese in periferia di Pozzuoli che conta circa 25mila abitanti.

 


Il capitano del Parma, Alessandro Lucarelli, in quel servizio nega ogni accusa di combine, ma centra una delle questioni alla base del problema: «Se ai giocatori non vengono pagati gli stipendi, poi è chiaro che a qualcuno venga la tentazione». Il rischio dunque era presente nel 2017 e lo è ancora di più in questa stagione ed è impensabile che non siano stati presi provvedimenti, se non per vietare del tutto le scommesse sulla Serie C, per limitarle nel caso di partite “a rischio”.

 

Nel 2017 la presidente della commissione antimafia, Rosy Bindi, aveva proposto il bando per le scommesse su questi campionati, ma poi tutto si è risolto con un nulla di fatto e di quella che, alla luce di queste problematiche sembrava un provvedimento dovuto, non se ne è più parlato. Non è un caso che della faccenda si sia occupata la commissione antimafia: il più delle volte è infatti la malavita organizzata a cercare di manovrare in modo più o meno evidente le partite di un campionato in cui le difficoltà economiche sono reali e permettono le infiltrazioni di determinati soggetti.

 



A quanto pare, quindi, il sistema calcio italiano non può supportare un campionato così ampio. I motivi riguardano in primo luogo l’affidabilità finanziaria dei club più piccoli, che è strettamente legata ai molteplici problemi organizzativi che un campionato del genere comporta (dalle spese per le trasferte ad agibilità e manutenzione degli stadi, che causano situazioni paradossali come quella del Prato, costretto a giocare le gare interne a Pontedera o a porte chiuse). Senza contare, poi, che una società professionistica non è fatta solo di giocatori e dirigenti, ma anche di tanti addetti ai lavori (massaggiatori, magazzinieri, staff medico) che vivono in costante precarietà per colpa di chi si lancia in progetti ambiziosi senza avere le coperture adeguate.

 

Forse, alla luce dell’insostenibile caos esploso quest’anno, l’unica soluzione per tagliare il nodo gordiano delle serie minori potrebbe essere addirittura quello di riportare la Serie C al semiprofessionismo, così come era stato stabilito nel 1959, dopo che la mancata qualificazione dell’Italia ai mondiali di Svezia per mano dell’Irlanda del Nord aveva costretto il nostro Paese a riformarsi. Ma magari non c’è bisogno di arrivare a tanto e ci sono possibilità intermedie per rendere più sostenibile la Serie C.

 


Foto LaPesse/Davide Anastasi


 

Una possibilità potrebbe essere quella di ripristinare i campionati di Serie C1 e C2, come dal 1978 al 2014, ridistribuendo le 60 (almeno nelle intenzioni) società dell’attuale C: 24 formazioni in C1, 36 in C2, divise in due gironi da 18. Senza la redistribuzione geografica, ovviamente, potrebbero partecipare solo le squadre che economicamente possono affrontare un campionato che si distribuisce su tutta Italia e non su tre aree regionali diverse, creando una prima “selezione all’ingresso” che potrebbe attutire una parte dei problemi.

 

Ma ci sarebbero anche degli effetti collaterali molto pesanti, come quello di far sparire una fetta importante del calcio provinciale italiano e di retrocedere tutta la Serie D al quinto livello della gerarchia calcistica. Insomma, ci sarebbe un ulteriore livellamento verso il basso che forse il calcio italiano non può più permettersi.

 

Una soluzione ancora più drastica sarebbe quella di riformare nuovamente la Serie C alla fine di questa prima disastrosa stagione, selezionando le migliori 24 formazioni, e ridistribuendo le altre 36 formazioni nei rispettivi gironi interregionali di Serie D. Con un provvedimento di questo tipo da una parte si creerebbe un campionato nazionale e si eviterebbe il downgrade della quarta serie, dall’altra è probabile che si scatenerebbe una battaglia di ricorsi e controricorsi che durerebbe forse per anni interi.

 

In ogni caso, un’ulteriore riforma sembra al momento necessario. La decadenza delle serie minori in Italia infatti non è solo un problema della Serie C, ma riguarda l’intero movimento. Il caos in Serie C, ad esempio, crea uno squilibrio e un livellamento di valori verso il basso anche in Serie B. Il divario tra seconda e terza serie, in termini di valore delle rose, è infatti molto più sfumato rispetto a quello che esiste tra Serie A e cadetti, che invece spesso rappresenta un solco difficilmente superabile.

 

E se il calcio italiano non riesce a rinnovarsi tramite il suo territorio sarà sempre più costretto a fare affidamento su investimenti e know-how esterni per rendersi sostenibile, creando una spirale depressiva che inevitabilmente raggiungerebbe anche la Nazionale.

 

La Serie C ha bisogno di un profondo cambiamento, per garantire un campionato sostenibile, ben regolamentato e che serva non come riempitivo, ma come trampolino di lancio per realtà locali e giovani talenti.

 

 

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