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Gattuso cambia tutto
26 feb 2018
26 feb 2018
L'autoritario 2 a 0 del Milan ha ribaltato la tradizione negativa dei rossoneri contro la Roma.
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Foto LaPresse / Spada
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Negli ultimi anni le sfide con la Roma avevano regalato solo delusioni al Milan: i rossoneri si sono presentati all’Olimpico con un bilancio di una vittoria nei precedenti undici scontri diretti e quattro sconfitte consecutive. Mai come stavolta, però, sembravano esserci le premesse per ribaltare la lunga tradizione negativa: la squadra di Gennaro Gattuso sembrava in salute sotto ogni punto di vista e poteva contare su una striscia d’imbattibilità di undici partite, quella di Eusebio Di Francesco non sembrava essere veramente uscita dalla fase d’involuzione in cui è entrata ormai due mesi fa, nonostante le tre vittorie di fila in campionato contro il Verona, il Benevento e l’Udinese. Queste impressioni sono uscite rafforzate al fischio finale: il Milan ha ulteriormente allungato la striscia d’imbattibilità con una vittoria che consolida le certezze raggiunte nelle ultime settimane, gli equilibri della Roma si sono rivelati ancora una volta troppo fragili, nonostante i ritocchi di Di Francesco. Dalla sconfitta contro la Sampdoria il tecnico giallorosso era passato al 4-2-3-1, rinunciando a un principio chiave del suo gioco, la creazione dei triangoli per sviluppare la manovra, in favore di una circolazione più piatta e legata al talento dei suoi esterni (vedi la crescita repentina di Cengiz Ünder). La squadra, però, aveva finito per allungarsi e la rinuncia al mediano aveva accentuato le difficoltà a coprire lo spazio tra difesa e centrocampo in fase di non possesso. Anche se il pressing aveva perso brillantezza, l’aggressività, un concetto che i giallorossi hanno ormai fatto proprio a prescindere dalla pulizia dei meccanismi di pressione, e il talento avevano tenuto in piedi la struttura, e la Roma era riuscita finalmente a infilare una serie di vittorie. Le contraddizioni nascoste sotto i risultati erano però emerse nella sconfitta contro lo Shakhtar Donetsk, e così Di Francesco ha affrontato il Milan tornando al 4-3-3, per restituire un po’ di certezze e controllare meglio i punti di forza dei rossoneri, che con Suso, Bonaventura e Calhanoglu avrebbero potuto banchettare negli spazi tra centrocampo e difesa. La scelta forte è stata la rinuncia a Dzeko per lanciare dal primo minuto Schick come centravanti, a sinistra invece Perotti è stato preferito a El Shaarawy. Gattuso non ha sorpreso e ha confermato il blocco su cui ha costruito gli ottimi risultati degli ultimi mesi, senza rinunciare al grande momento di forma di Cutrone nonostante il rientro di Kalinic. Aggirare il pressing della Roma In realtà, la ricerca dei vecchi equilibri non ha migliorato molto la stabilità della Roma. Già nel primo tempo, nonostante non abbia mai tirato in porta, il Milan dava la sensazione di poter essere pericoloso ogni volta che riusciva a saltare il primo pressing. Per riuscirci poteva percorrere diverse strade: a inizio partita hanno avuto successo i lanci in diagonale di Donnarumma verso i terzini, che si smarcavano dietro Ünder e Perotti, ma poi c’erano ovviamente soluzioni più tradizionali come le verticalizzazioni di Bonucci o le uscite a sinistra puntando sulla precisione dei lanci di Rodríguez. I giocatori coinvolti nell’impostazione, insomma, erano preparati ad attirare la pressione romanista e a reagire a seconda di dove si muoveva. Bonucci e Romagnoli si allargavano su linee sfalsate, lasciando spazio in mezzo a Biglia per facilitare la circolazione, Rodríguez e Calabria si alzavano dietro Perotti e Ünder. Così il Milan poteva uscire sulle fasce se gli esterni della Roma si alzavano sui suoi difensori centrali, se invece i giallorossi si alzavano con le mezzali la squadra di Gattuso puntava direttamente lo spazio dietro il centrocampo. La costruzione da dietro era insistita, anche a costo di prendersi dei rischi: diverse volte il Milan ha perso o è stato sul punto di perdere il pallone (vedi i dribbling di Donnarumma e Bonucci). È da questi dettagli che si può cogliere quanto abbia inciso Gattuso non solo sui meccanismi di uscita del pallone, ma anche dal punto di vista mentale, per liberare la fiducia necessaria a mantenere la calma sotto pressione e a tentare giocate difficili.

Il passaggio da Biglia a Bonucci innesca il pressing della Roma: i tre centrocampisti si alzano, ma alle spalle di Strootman c’è Bonaventura libero di ricevere. I giallorossi evitano un 4 vs. 4 nella propria metà campo solo per il controllo difettoso e il passaggio sbagliato di Bonaventura.

Per tutto il primo tempo al Milan è mancato il penultimo o l’ultimo passaggio, per scelte sbagliate o errori tecnici, e nonostante si sia trovato spesso a puntare la difesa in campo aperto dopo aver saltato la prima pressione non è riuscito a costruire occasioni da gol. A Suso, Bonaventura e Calhanoglu sembrava mancare lucidità e precisione per alzare il livello delle giocate nella trequarti avversaria. Costringere la Roma a giocare male La Roma ha invece iniziato da subito ad accumulare conclusioni, ma senza essere granché pericolosa. Il Milan si muoveva seguendo un copione di cui conosce ormai ogni battuta. Il pressing era portato solo dopo essersi schierati, più o meno all’altezza del centrocampo: Cutrone schermava Strootman, su Manolas e Fazio uscivano Bonaventura e Kessié, che come al solito avevano il compito di portare la prima pressione. La Roma veniva così forzata a uscire sulla fascia, dove scalavano le coppie formate dai terzini e dagli esterni e accorciava Biglia, recuperato ad alti livelli da Gattuso e preciso nei movimenti orizzontali a coprire le uscite delle mezzali.

Una situazione classica: Fazio sta per ricevere e Kessié scatta per mettergli pressione. Alle sue spalle prova a smarcarsi Nainggolan.

Oltre a mantenere le distanze e a coprire il centro meglio della Roma, il Milan riusciva a riorganizzarsi rapidamente quando veniva attaccato in campo aperto, in transizione o nelle poche occasioni in cui i giallorossi riuscivano a liberare un uomo tra le linee. Va sottolineata la prestazione straordinaria di Romagnoli, perfetto nel proteggere l’area e un gigante quando la Roma ha alzato la palla (14 spazzate, praticamente la metà di quelle totalizzate dal Milan, e 6 duelli aerei vinti, record della partita con Manolas), ma preciso soprattutto nei tempi d’uscita dalla linea per rallentare le ripartenze e marcare il giocatore libero dietro il centrocampo. Il numero 13 rossonero è uscito con un attimo di ritardo una sola volta, nel secondo tempo su Dzeko, quando l’unico fallo della sua partita ha causato una punizione dal limite battuta male da Kolarov. È difficile, in questo momento, trovare in Serie A un difensore più in forma di Romagnoli e, allargando lo sguardo alla Nazionale, è altrettanto difficile trovare una coppia più affidabile di quella composta da lui e Bonucci. Un’altra spilletta da appuntare sul petto di Gattuso. Va comunque detto che il possesso della Roma ha fatto poco per allungare il Milan e aprire spazi in cui manovrare. La creazione dei triangoli tipici del 4-3-3 si è concentrata soprattutto sul lato destro, quello presidiato da Pellegrini, che ha spesso tentato di chiudere le combinazioni coordinandosi con i movimenti di Ünder (tagli sull’esterno quando il turco si accentrava, inserimenti dietro il centrocampo del Milan se Ünder restava largo) secondo i tipici meccanismi delle catene laterali. A sinistra, però, il Milan scalava in maniera impeccabile, grazie soprattutto all’attenzione con cui Calhanoglu evitava le ricezioni alle sue spalle di Bruno Peres. Il turco ha trasformato la fase di possesso milanista, ma forse non viene sottolineata a dovere la qualità del suo contributo difensivo: Calhanoglu ha dato stabilità sul lato in teoria più pericoloso per il Milan e limitato i possibili effetti negativi del mismatch tra Ünder e Rodríguez. La puntualità dei suoi ripiegamenti e delle sue uscite laterali su Peres ha impedito alla catena destra di girare la palla velocemente per mettere Ünder nelle condizioni di puntare Rodríguez. Marcato dal terzino svizzero, Ünder ha spesso ricevuto spalle alla porta e quando provava a girarsi le sue opzioni di passaggio erano limitate anche da Bonaventura e Biglia. Alla fine ha tirato solo una volta in porta, ha completato un solo dribbling e non ha creato nessuna occasione. La costruzione della Roma si è quindi sbilanciata a sinistra (il 44% degli attacchi è arrivato da quella fascia), dove Kolarov riusciva con più facilità a farsi trovare dietro Suso e a far collassare le collaudate uscite laterali del Milan.

Fazio trova Kolarov dietro Suso e crea i presupposti per risalire il campo a sinistra.

Il terzino serbo è stato però stranamente impreciso (è rimasto sotto l’80% di precisione nei passaggi e non ha creato neanche un’occasione) e ha sperperato i margini di manovra di cui godeva una volta ricevuto il pallone dietro Suso. Da quella parte la Roma ha praticamente rinunciato ai meccanismi di fascia tipici del gioco di Di Francesco, cercando piuttosto con Perotti e Nainggolan, due giocatori difficili da inquadrare in movimenti codificati, soluzioni individuali e ricezioni sui piedi dietro le linee del Milan. Nainggolan ha provato soprattutto a smarcarsi dietro Kessié, ma ha inciso pochissimo, forse anche a causa di una gomitata ricevuta dall’ivoriano, che lo ha stordito e gli ha fatto perdere un dente. Di Francesco lo ha tolto nel secondo tempo quando ha deciso di aumentare il peso offensivo affiancando Dzeko a Schick. I meccanismi a memoria del Milan Nella seconda parte del primo tempo, comunque, la Roma sembrava riuscire a tenere meglio il campo. Il livello del pressing si era alzato e gli errori del Milan si erano fatti più frequenti. I giallorossi non erano davvero in controllo, ma se non altro non rischiavano più di aprirsi ogni volta che il Milan usciva pulito da dietro. La fragilità degli equilibri romanisti, fondati soprattutto sulla qualità della prima pressione, è però venuta fuori subito dopo l’intervallo. Un lancio preciso col destro di Rodríguez per Kessié ha aperto in due la Roma, Cutrone ha allargato a Suso, poi si è fiondato in area di rigore e ha girato in porta il classico cross dello spagnolo, che non ha ricevuto alcuna pressione da Kolarov. Un gol molto simile a quello segnato da Cutrone nel derby di Coppa Italia, a conferma di come la stabilità portata da Gattuso abbia fatto fiorire le intese necessarie ad anticipare movimenti e giocate.

La difesa e il centrocampo della Roma sono lontanissimi, Cutrone riceve la sponda di Kessié, allarga a Suso e poi va a chiudere l’azione.

Dopo aver subito il gol la Roma ha prodotto il massimo sforzo, in maniera un po’ confusa e affidandosi soprattutto a Perotti, come al solito il più intraprendente quando in campo domina il disordine e per risalire il campo serve una giocata di alto livello. La confusione è aumentata con l’ingresso in campo di Dzeko per Nainggolan. La Roma ha definitivamente perso le distanze, sia in fase offensiva che in quella difensiva: manovrare è diventato ancora più complicato e ogni errore rischiava di trasformarsi in una ripartenza in campo aperto per il Milan. La sostituzione di Cutrone con Kalinic, invece, ha aiutato i rossoneri a conservare il possesso e a far girare la palla con maggiore fluidità. Dopo aver sciupato una grande occasione facendosi respingere il tiro da Alisson, Kalinic è stato decisivo con l’assist per il 2-0 di Calabria. Una volta perse le distanze e scaduta l’aggressività, la fase difensiva della Roma si è ulteriormente abbassata di livello: Calabria ha avuto grande libertà di gestire il possesso dopo un fallo laterale, la passività di Kolarov e Pellegrini ha spinto Fazio, l’unico impegnato in una marcatura (su Kessié) a uscire sul terzino rossonero, mentre l’altra metà della linea difensiva è rimasta staccata diversi metri più indietro. Kalinic ha ricevuto senza pressione e poi ha messo Calabria davanti ad Alisson: il suo inserimento non è stato assorbito da nessuno e il ritardo nella salita di Bruno Peres non lo ha fatto finire in fuorigioco. Una serie di errori troppo grande per non essere punita.

Calabria ha di fronte tre avversari, ma nessuno lo pressa, Manolas vede Kessié senza marcature e non esce su Kalinic, Bruno Peres è ancora più staccato e tiene in gioco tutti.

Con umori opposti A fine partita Di Francesco è stato piuttosto duro: «Non siamo una grande squadra». Le contraddizioni strutturali del gioco giallorosso, evidenti fin da inizio anno, si sono ingigantite durante questo periodo di involuzione, e non possono più essere nascoste dal talento, comunque abbondante, presente in rosa, soprattutto se i giocatori più forti non sono nelle condizioni di mostrarlo. Il ritorno al 4-3-3 non è servito a ristabilire connessioni e movimenti che evidentemente Di Francesco considerava acquisiti, e anche la scelta di Schick non ha funzionato. Il ceco non sembra aver ancora sviluppato le attitudini chiave per un centravanti: la propensione a far salire la squadra e ad allungare la difesa favorendo le ricezioni dei compagni sulla trequarti, oppure i movimenti a tagliare sull’esterno o ai fianchi del difensore centrale, e si è accontentato di muoversi vicino al pallone per ricevere soprattutto sui piedi e far valere la sua sensibilità tecnica. La cura con cui Dzeko maneggia tutti gli strumenti fondamentali per un centravanti sembra imprescindibile in questa squadra, che non ha potuto contare sulla scorciatoia rappresentata dal lancio verso il bosniaco quando ormai era chiaro che faceva fatica a costruire in maniera pulita l’azione da dietro. La Roma è così scivolata al quinto posto, ma le distanze ridotte con Lazio e Inter la mettono comunque in condizione di guardare al futuro con ottimismo. A patto ovviamente di risolvere, o almeno ammorbidire, le incoerenze che le impediscono di esprimere il massimo potenziale. Nonostante tutti i problemi, la situazione è ancora rimediabile, sia in campionato che nella sfida di ritorno contro lo Shakhtar. Il Milan ha invece inaugurato il ciclo di partite che definirà gli obiettivi del finale di stagione (la semifinale di ritorno in Coppa Italia contro la Lazio, il derby e la gara d’andata in Europa League contro l’Arsenal) con una vittoria che conferma tutti i progressi delle ultime settimane. Quella di Gattuso, ovviamente, non è una squadra perfetta: la circolazione è diventata più fluida, ma ci sono stati comunque diversi errori, e dopo il 2-0 avrebbe potuto difendersi di più con la palla. Anche senza il pallone, comunque, il Milan resta una squadra solida: ha concesso una gran quantità di tiri (18, ma quasi tutti da fuori area), ma pochissime occasioni di qualità, l’esatto opposto di quanto accadeva con Montella, e per la quinta partita consecutiva non ha subito gol. La prossima giornata, oltre al derby, il calendario propone Lazio-Juventus e Napoli-Roma: tra una settimana per la squadra di Gattuso potrebbero aprirsi scenari di classifica impensabili fino a poco tempo fa.

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