Anche in una sfida che dura 180 minuti, una sconfitta per 5-2 nella gara d’andata è uno di quei risultati capaci ci privare anche il tifoso più ottimista di ogni speranza. Nonostante ciò, la Roma ha reso l’idea di una rimonta non così assurda. Non solo perché in questa edizione della Champions League abbiamo visto già altre incredibili, a cominciare dal 3-0 della Roma contro Barcellona, ma anche per il parziale 2-0 firmato Dzeko e Perotti dell’ultima mezz’ora della partita di Anfield, e l’imbattibilità casalinga di Alisson in coppa, che facevano ben sperare. La voglia di rivalsa per quella finale persa nell’84 e una cornice di pubblico unica (valsa il record assoluto d’incasso per un evento sportivo in Italia) contribuivano ad alimentare le convinzioni dei giallorossi.
Di Francesco, in cerca di un altro miracolo, ha deciso di abbandonare la difesa a 3, determinante contro la squadra di Valverde, ma in enorme sofferenza all’andata, per riproporre il 4-3-3. La difesa era quella titolare, a centrocampo a De Rossi in mediana si aggiungevano Nainggolan e Pellegrini da mezzali, mentre è stato Schick (forte di due reti nelle ultime due gare) a vincere il ballottaggio con Ünder per affiancare Dzeko ed El Shaarawy (con Perotti e Strootman infortunati).
Per Klopp, complici anche gli infortuni che hanno falcidiato il centrocampo del Liverpool, non c’erano praticamente dubbi di formazione: difesa con Alexander-Arnold e Robertson, Wijnaldum a rimpiazzare Oxlade-Chamberlain e il solito micidiale tridente Salah-Firmino-Mané.
Partenza a razzo
La Roma ha iniziato con convinzione, provando a giocare subito la palla alle spalle della difesa del Liverpool, soprattutto con Fazio e De Rossi, con la consapevolezza di dover gestire sì il possesso, ma anche di non avere tempo da perdere per segnare i tre gol che servivano a ribaltare il risultato.
Un approccio che forse non ha aiutato la concentrazione di Nainggolan, che dopo nemmeno dieci minuti, pressato alle spalle come sarà per quasi tutta la partita, ha giocato un pallone goffo e sbadato verso Fazio, costringendo i compagni ad essere nuovamente testimoni inermi della rapidità e spietatezza dell’attacco del Liverpool. Firmino ha intercettato la palla, condotto fino all’area avversaria e ha poi servito l’accorrente Mané sulla sinistra, portando il computo della doppia sfida sul 6-2.
I giallorossi sembravano aver subito l’ovvio contraccolpo, tanto che nei minuti immediatamente successivi al primo gol il Liverpool ha rischiato di trovare il raddoppio, prima con una combinazione tra Salah e Wijnaldum poi con una transizione in cui la squadra di Di Francesco è rimasta clamorosamente spezzata in due tronconi, con la difesa troppo lenta nell’accompagnare l’azione offensiva.
Quando il Liverpool recupera palla sulla propria trequarti ha subito moltissimo spazio da attaccare, perché la difesa della Roma non ha accompagnato l’attacco.
Quando però attaccava, la Roma mostrava di sapere cosa fare. Di avere un piano preciso per attaccare. Oltre ai lanci immediati che dovevano sfruttare i centimetri di Dzeko e Schick, ma anche la compattezza orizzontale dell’ultima linea del Liverpool, che lasciava spazio per ricevere sull’esterno, la Roma non ha rinunciato a costruire palla a terra, giocando la palla da un lato all’altro del campo per poi tornare rapidamente verso l’interno.
La Roma utilizzava De Rossi e i due centrali difensivi, oltre ad Alisson, per superare la prima linea di pressione. Ma come sempre il compito di far uscire il pallone dalla propria metà-campo gravava in particolare su Kolarov. Al serbo – non a caso il primo a ricevere istruzioni da Di Francesco dopo lo 0-1 – era richiesto di sfruttare la propria resistenza al pressing e, con il supporto di El Shaarawy, di trovare una linea di passaggio interna che consentisse di portare il gioco sul lato opposto del campo, scombinando il pressing del Liverpool, che come al solito creava molta densità in zona palla, ma lasciava inevitabilmente sguarnito il lato debole.
Una volta che la manovra si spostava sulla destra, Florenzi, o gli intercambiabili Nainggolan e Pellegrini, dovevano immediatamente accelerare, oppure provare il cross, anche molto anticipato. L’azione del gol del pareggio, per quanto fortunoso, è un’applicazione quasi da manuale di questa strategia.
Dopo aver ricevuto palla da De Rossi, Kolarov ha condotto palla prima di scaricarla su El Shaarawy, che l’ha difesa in mezzo a due avversari e servito Nainggolan. Il belga ha cambiato gioco su Florenzi prima ancora che Henderson potesse intervenire, quasi ad occhi chiusi. Il laterale della Roma ha attaccato lo spazio di fronte a sé e crossato dalla trequarti: El Shaarawy è intervenuto di testa sul traversone e innescato la carambola dell’autogol di Milner.
Giocando sulla sinistra, la Roma ha individuato in Alexander-Arnold un punto debole della difesa dei “Reds”, e sfruttando la velocità di El Shaarawy ha provato a metterlo in difficoltà ogniqualvolta se ne è presentata l’occasione, tanto che dopo venti minuti Klopp ha spostato Milner dal centro-sinistra al centro-destra, proprio per fornire supporto al suo laterale destro.
Inoltre, il pressing offensivo del Liverpool non ha funzionato al meglio, soprattutto a causa della distanza tra i tre attaccanti e il centrocampo. Kolarov rimaneva spesso libero, poiché la posizione alta delle mezzali giallorosse abbassava quella delle mezzali avversarie, mentre il posizionamento stretto e sulla stessa linea di Dzeko e El Shaarawy (e Schick) costringeva Alexander-Arnold a rimanere inizialmente più stretto. Così che era spesso la mezzala destra a dover andare a chiudere sul serbo, lasciando però aperte le linee di passaggio centrali.
Quando Salah usciva in pressione su Fazio con i tempi sbagliati, El Shaarawy costringeva Alexander-Arnold basso. Nainggolan attirava Wijnaldum su di sé, lasciando Kolarov liberissimo di ricevere e guadagnare campo.
Il Liverpool non permette cali di tensione
Ma appena la tensione rabbiosa con cui la Roma attaccava e l’intensità in fase difensiva sono venute a mancare, il Liverpool è tornato a segnare.
Dopo l’1-1 ha avuto inizio una sequenza decisamente allarmante per la squadra di Di Francesco, cominciato con una respinta di testa di Fazio sui piedi di Firmino che ha costretto Manolas ad un gran recupero su Salah. Qualche minuto dopo Florenzi si è fatto bruciare sullo scatto da Robertson, partito in progressione su un pallone che i centrocampisti giallorossi avevano ingenuamente battezzato già fuori, arrivando con tutta la libertà possibile al crossare basso sui piedi di Mané. Alisson ha salvato il risultato con un grande riflesso, ma non ha potuto fare niente sul calcio d’angolo successivo, quando il colpo di testa all’indietro di Dzeko, contrastato forse in modo falloso da Van Dijk, ha liberato Wjinaldum.
Senza intensità la Roma non riusciva a rimanere compatta, con De Rossi che si schiacciava troppo sui centrali, lasciando sguarnito quello spazio tra le linee sui cui il Liverpool era riuscito a costruire un vantaggio di tre gol all’andata.
Paradossalmente, dopo il 2-1 i giallorossi hanno ritrovato la concentrazione e la grinta che gli è mancata in alcuni frangenti della prima ripresa (e nella gara di Anfield), tornando ad attuare il proprio piano gara verticale. Al contempo, le linee del Liverpool hanno cominciato ad allungarsi e la partita si è fatta più convulsa con ribaltamenti di fronte frequenti.
Come nel caso del fallo di Karius su Dzeko a gioco fermo (fuorigioco che si sarebbe rivelato incorretto) o del gol del bosniaco poco dopo, quando una precisa verticalizzazione di De Rossi ha pescato Pellegrini e innescato il taglio palla al piede verso l’area di El Shaarawy. Sul 2-2, alla Roma mancava più di mezz’ora per provare a fare tre gol.
In un contesto che sembrava sempre meno razionale e sotto controllo, ci sono molti dettagli che la squadra di Di Francesco avrebbe potuto curare meglio di quanto ha fatto. De Rossi, ad esempio, poteva anche essere servito con maggiore frequenza, soprattutto se i difensori si fossero presi qualche rischio in più con la palla tra i piedi, perché la sua libertà d’azione è notevolmente aumentata con la perdita di compattezza dei reparti e le sue giocate alle spalle della difesa avversaria sono state particolarmente precise.
De Rossi ha avuto molta libertà di agire, soprattutto nel secondo tempo, quando il centrocampo del Liverpool è rimasto più basso. Come nel caso del lancio per Ünder che ha concluso al volo di sinistro tra le braccia di Karius.
Quando la Roma ha tentato l’impossibile
Una volta ristabilita la parità, la Roma ha iniziato a occupare l’area avversaria con almeno quattro giocatori (poi Di Francesco è anche passato al 4-2-4, con Ünder al posto di Pellegrini) e movimenti più coordinati (cosa che era mancata nel primo tempo, con Schick poco propositivo in questo senso) per sfruttare al meglio anche i cross.
In un contesto del genere, in cui non sono mancati rimbalzi e seconde palle, si è esaltato Dzeko, ma più in generale, gli uomini di Di Francesco sono riusciti a mettere sotto quelli di Klopp sul piano dell’intensità, normalmente impareggiabile.
Le marcature a uomo sui centrocampisti hanno complicato la progressione del gioco avversario (che hanno completato appena il 69% dei passaggi, contro l’81% della Roma), tanto che i maggiori pericoli del Liverpool sono arrivati in transizione più che su azione manovrata.
Il Liverpool si è anche adattato, difendendo basso con un 4-4-2, con Salah che rimaneva vicino a Firmino, mentre Mané scalava largo a sinistra a centrocampo, in modo da dare a Wijnaldum la possibilità di uscire su Kolarov, il cui posizionamento ha costituito un vero e proprio rebus per il lato destro del Liverpool. Poi Klopp è passato addirittura a una linea difensiva a 5.
Klopp ha cercato di limitare l’influenza di Kolarov, e più in generale del lato sinistro della Roma, facendo scalare Mané a centrocampo, Wijnaldum esterno di destra e Milner ed Henderson centrali.
Il gol della Roma del 3-2 è arrivato grazie a un poderoso destro da fuori di Nainggolan. Forse troppo tardi, la Roma è riuscita ad arrivare a 2 gol di distanza dal rimettere la sfida in parità solo a 4 minuti dal termine.
Il 4-2 arrivato su rigore, calciato ancora dal belga, ha avuto il sapore della beffa. Le occasioni per segnare non sono mancate nemmeno nei minuti precedenti, ma i giallorossi non sono riusciti a far girare gli episodi in proprio favore, nonostante l’imponente mole di gioco creata: 24 i tiri totali, di cui ben 9 di Dzeko, che ha segnato in Champions League per la quinta partita consecutiva.
Non è mancata nemmeno la sfortuna e di certo alcune decisioni arbitrali non hanno favorito i giallorossi (nemmeno all’andata), ma la verità è che la Roma si è fatta soprattutto male da sola, vanificando uno sforzo offensivo degno di una squadra che meritava in pieno la finale di Kiev.
Gli errori tecnici e tattici di Anfield hanno compromesso le speranze della squadra di Di Francesco, che si è fatta male da sola anche nei due gol subito all’Olimpico. Resta il rammarico per la conclusione di questa eccezionale cavalcata europea, che deve però servire a tutte le componenti del club per prendere coscienza della propria nuova dimensione e come in molti hanno sottolineato, essere un punto di partenza.
La Roma ha dimostrato di poter arrivare con meritato tra le prime quattro del continente e, sotto certi aspetti, è persino più strutturata per vincere una competizione europea che il campionato. Certo, molte cose devo allinearsi per il verso giusto per arrivare così lontano con costanza, ma questa semifinale di ritorno lascia la speranza che, dopo essersi finalmente messa alle spalle le delusioni cocenti degli anni passati, La Roma abbia la forza per provare a ripetersi anche nelle stagioni a venire.