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Una tempesta sulla Roma
25 apr 2018
25 apr 2018
I Reds si sono dimostrati superiori sotto ogni aspetto del gioco e hanno quasi ipotecato la finale di Kiev.
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Prima del fischio di inizio della prima semifinale di Champions League si è discusso molto di quale fosse migliore strategia per affrontare una squadra intensa e verticale come il Liverpool. Soprattutto alla luce dell’inedita malleabilità tattica della squadra di Di Francesco, che era riuscito insperatamente a superare i quarti di finale passando al 3-4-3: la Roma avrebbe dovuto difendersi con una difesa a tre o una a quattro?

 

Avrebbe dovuto mantenere la sua identità pressando alto la costruzione del Liverpool o sarebbe stato meglio abbassarsi per togliere profondità alle corse senza palla di Salah, Firmino e Mané?

 

Ogni risposta a queste domande sembrava avere vantaggi e svantaggi chiari. Di Francesco, in realtà, riguardo all’atteggiamento da tenere ad Anfield, era stato trasparente già nella conferenza pre-partita,

che: «Dovranno essere bravi loro ad abbassarci», lasciando quindi immaginare che la Roma avrebbe giocato con l'aggressività mostrata finora in Europa.

 

La Roma è scesa in campo con un 3-4-3 quasi identico a quello del ritorno dei quarti di finale contro il Barcellona (con l’unica differenza di avere Cengiz Ünder in attacco accanto a Dzeko al posto di Patrik Schick), affidandosi all’identità di gioco che conosce meglio: pressing alto sulla prima costruzione avversaria, linea di difesa altissima fino alla linea di centrocampo, compressione degli spazi tra le linee, recupero immediato del pallone e verticalizzazioni improvvise per cercare di prendere la difesa avversaria in disordine.

 

Anche il Liverpool, dal canto suo, non si è scomposto di fronte all’avversario, schierando quello che è di fatto il 4-3-3 titolare e cercando di verticalizzare il prima possibile verso il tridente Salah-Firmino-Mané per sfruttare il mismatch tra la loro esplosività e la lentezza di una buona fetta della difesa della Roma (Fazio, Kolarov, Juan Jesus), che anche prima della partita sembrava inadeguata ad arginare un trio che sembra uscito da

.

 



 

Al di là delle affinità tattiche, comunque, le due squadre si sono entrambe confermate molto dipendenti dall’inerzia mentale, che gonfiava il rendimento dell’una allo sgonfiarsi dell’altra, e questo ha prodotto una partita ondivaga e dallo svolgimento così chiaro da sembrare un’opera teatrale divisa in tre atti.

 


Fino al 28esimo del primo tempo, la strategia della Roma senza il pallone aveva funzionato. Il pressing pensato da Di Francesco prevedeva: Nainggolan a schermare la linea di passaggio tra Van Dijk e Henderson (preso eventualmente alle spalle da De Rossi, nel caso in cui questa prima schermatura fosse saltata); Dzeko tra Lovren e Arnold, probabilmente per isolare il terzino destro del Liverpool, individuato, a ragione, come il regista basso della squadra di Klopp; e Ünder che invece andava su Robertson, per poi venire dentro al campo verso Van Dijk per indirizzare il possesso nell’imbuto centrale.

 


Inizialmente il pressing della Roma ha portato Van Dijk a rilanciare in fretta.


 

Il Liverpool aveva già impostato una strategia con il pallone quasi del tutto basata sul lancio lungo (a fine partita saranno ben 16), per mettere in difficoltà il movimento a elastico della linea difensiva della Roma, ma l’aggressività del pressing romanista nella prima mezz’ora ha isolato gli uomini con i piedi migliori e non ha dato tempo ai difensori di Klopp di pensare. I lanci della difesa, quindi, inizialmente sono stati imprecisi e facile preda dei tre centrali della Roma (il mismatch più evidente era quello di Mané su Fazio, che a fine partita sarà il migliore per duelli aerei vinti: 10), mentre De Rossi e Strootman riciclavano le seconde palle.

 

Una volta recuperato il pallone, poi, la Roma aveva il vantaggio di poter attaccare in maniera molto semplice l’ampiezza con Kolarov e Florenzi che, per via della loro posizione larga, e del fatto che Salah e Mané erano praticamente esonerati da qualunque compito difensivo al di fuori del primo pressing, potevano andare costantemente in uno contro uno con i terzini avversari, costringendo i centrali di Klopp a pericolose situazioni di due contro due, o due contro tre, in area di rigore (Van Dijk e Lovren contro Dzeko, Nainggolan e Ünder).

 

In questa fase, però, la Roma si è dimostrata troppo frettolosa nel voler andare in porta nel minor tempo possibile, forzando cross e verticalizzazioni che quasi mai sono arrivate pulite sulla testa o i piedi di Dzeko e Ünder.

 

Già in questa fase comunque la strategia di pressing della Roma aveva due punti ciechi, anche se inizialmente il Liverpool non è riuscito a sfruttarli. Il primo era la strana asimmetria in fase di prima pressione, che portava Dzeko a sinistra ma senza seguire a uomo Arnold. Questa ambiguità ha confuso molto Kolarov, che partiva basso per garantire il due contro uno a Juan Jesus contro Salah e che, per questo, è salito sempre in ritardo sul terzino inglese (costringendo poi a scalate faticose proprio il centrale brasiliano, in costante apnea contro l’ala egiziana del Liverpool).

 

Il secondo era la posizione anarchica di Milner, che col suo atletismo fuori scala era totalmente libero sul campo e che all'inizio aveva il compito di attaccare la linea difensiva della Roma dal centrocampo sui lanci lunghi della difesa. E la situazione per il Liverpool si è sbloccata proprio grazie a lui: viste le difficoltà in fase di prima costruzione e l’entrata in campo di un altro centrocampista offensivo come Wijnaldum (entrato al 18esimo del primo tempo dopo l’infortunio di Chamberlain), Klopp ha chiesto a Milner di abbassarsi accanto ai due centrali per facilitare l’uscita del pallone della difesa, garantendosi così una superiorità numerica nei confronti del primo pressing della Roma.

 


Con Milner sulla linea di difesa si creava una sorta di difesa a tre temporanea con Van Dijk e Lovren.


 

Il compito di attaccare la linea difensiva sulle seconde palle è stato affidato allora Wijnaldum, che con il suo tempismo nei movimenti senza palla e la sua pulizia tecnica in conduzione ha mandato in tilt la difesa a tre romanista che, a quel punto, oltre a Firmino, Salah e Mané, aveva un’altra variabile impazzita da controllare.

 

Il Liverpool adesso poteva attuare il suo piano gara: la superiorità numerica in difesa garantita da Milner permetteva a Van Dijk e Arnold di lanciare con precisione verso i tagli alle spalle della difesa della Roma, mentre Wijnaldum con i suoi inserimenti faceva saltare le marcature della difesa a tre, liberando spazi letali per Firmino, Salah e Mané.

 


Quando Wijnaldum si inseriva tra Manolas e Juan Jesus, mentre Salah scappava tra Kolarov e il centrale brasiliano, la Roma andava in tilt.


 

Prima che Di Francesco potesse correre ai ripari abbassando il baricentro e togliendo quindi profondità ai tagli alle spalle della difesa romanista, il Liverpool al 28esimo del primo tempo aveva ribaltato l’inerzia mentale, grazie alle due grandissime occasioni sciupate da Mané. In tutti e due i casi, la pericolosità è nata dalla vittoria del duello individuale che deciderà una grossa fetta della partita, e cioè quello tra Firmino e Manolas. La prima volta, la punta brasiliana supera con un piccolo sombrero un tentativo d’anticipo avventato di Manolas; la seconda, invece, gli scappa direttamente alle spalle, sull’ennesimo lancio dalla difesa.

 


Con la squadra impaurita e la difesa incapace di gestire i tagli alle sue spalle sui lanci lunghi, la squadra di Di Francesco decide di abbandonare il piano iniziale abbassando il proprio baricentro e provando a risalire il campo appoggiandosi sulle spalle di Dzeko che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto arginare la pressione in avanti del Liverpool e aiutare la Roma a tornare nella trequarti avversaria.

 

Il primo gol subito dalla Roma è la testimonianza del fallimento di questa strategia. Dzeko ha provato a gestire un pallone difficile sulla propria trequarti, seguito alle spalle da Henderson, ma poi ha finito per perderlo. Il Liverpool ha recuperato palla in alto ed è andato subito da Salah, che ha messo il pallone perfettamente sotto il sette alla destra di Alisson con un tiro a giro sublime.

 

Con la Roma bassa, poi, è iniziato ad uscire fuori l’incredibile talento di Firmino (ieri 6 dribbling riusciti, solo uno in meno di Salah), che alternava movimenti incontro tra le linee a ricevere tra De Rossi e Strootman a tagli alle spalle di Manolas, il tutto con una qualità tecnica e un tempismo da vero fuoriclasse.

 

Il 2-0 nasce dall’ennesimo duello individuale vinto con il centrale greco e da una palla servita poi sulla corsa a Salah in profondità. Firmino ha fatto sentire impotente la Roma, che in questo modo sembrava vulnerabile qualsiasi atteggiamento tenesse in campo.

 



L’incredibile partita di Firmino.

 

Di Francesco ha provato a cambiare di nuovo le carte in tavola dopo la fine del primo tempo, togliendo Ünder (del tutto evanescente) per Schick e passando ad un 5-3-2 teoricamente più compatto. Nella realtà dei fatti, però, la prima metà del secondo tempo è stata la porzione di gara giocata peggio dalla Roma.

 

La squadra di Di Francesco si è del tutto slegata sul campo, facendo saltare i meccanismi di pressing e fuorigioco: a volte attaccanti e centrocampisti pressavano alti senza che la linea di difesa li seguisse alle spalle, mentre Fazio, Manolas e Juan Jesus erano totalmente in confusione su quando salire per far scattare il fuorigioco e quando invece scattare verso la propria porta. Il 3-0 nasce proprio da un tentativo di pressing alto mal riuscito, con la difesa che non ha messo Salah in fuorigioco sul lancio lungo di Arnold (il fuorigioco poteva starci o non starci, questione di centimetri in ogni caso).

 

Con un contesto di questo tipo, il Liverpool ha iniziato a capitalizzare anche le imperfezioni mostrare nel primo tempo. Con la difesa della Roma così bassa e passiva i terzini del Liverpool hanno acquisito gradualmente sempre più influenza come sfogo creativo sull’esterno.

 

Sul 4-0, ad esempio, Kolarov esce ancora in ritardo di nuovo su Arnold, la vera miccia d’accensione della pericolosità del Liverpool nella trequarti avversaria, che verticalizza con un esterno volante per Salah, su cui poi Juan Jesus è decisamente troppo passivo, lasciandolo entrare in area, e poi troppo impaurito dal sinistro dell'egiziano, lasciandolo andare sul destro per servire ancora Firmino con un rasoterra tra difesa e portiere.

 


L’influenza di Arnold sul gioco del Liverpool, anche nel grafico delle posizioni medie della squadra di Klopp. Il terzino inglese è il giocatore del Liverpool ad aver giocato più palloni (58) e ad aver lanciato di più (10 volte, solo una in meno di Karius).


 

Al di là del contesto tattico, però, è stato lo stesso talento del Liverpool a sembrare troppo vario, troppo imprevedibile per le capacità della Roma, che per tutta la fase centrale della partita è sembrata inadeguata ad una semifinale di Champions League, soprattutto nelle prestazioni degli uomini che l’avevano portata fino a quel punto.

 





Ieri Salah faceva cose di questo tipo.


 

Dzeko, Strootman, De Rossi, Nainggolan e Manolas non sono mai riusciti a far salire di livello la propria prestazione, finendo per essere schiacciati dall’intensità della squadra avversaria.

 

La partita è cambiata di nuovo attorno al 67', quando la Roma ha deciso di tornare alla difesa a quattro inserendo Gonalons e Perotti al posto di De Rossi e Juan Jesus.

 

Con il ritorno al 4-2-3-1 (con Nainggolan trequartista e Schick ala destra), la Roma è sembrata di nuovo a suo agio nei meccanismi di pressing e salita della linea difensiva senza palla. Ovviamente ha aiutato anche l’uscita dal campo di Salah e il generale calo mentale del Liverpool sul 5-0, ma la Roma nell’ultima mezz’ora è sembrata avere almeno i mezzi tattici per non essere del tutto in balìa dell’avversario, e anzi metterlo in difficoltà. Dei 13 tiri totali effettuati dalla Roma nell’arco della partita, 7 sono arrivati dopo il 70esimo del secondo tempo.

 

Con due ali costantemente larghe a ricevere, la squadra di Di Francesco è tornata a mettere in luce le difficoltà strutturali del Liverpool a difendere l’ampiezza. Con le sovrapposizioni dei terzini mai seguite da Ings e Mané, la Roma ha messo di nuovo in inferiorità numerica Arnold e Robertson, alle cui spalle cercavano di inserirsi Strootman e Nainggolan. L’azione che ha portato il rigore che ha fissato il risultato finale sul 5-2 nasce proprio da un inserimento di Strootman alle spalle di Arnold, dopo una situazione di densità creata dalla Roma a sinistra con Perotti e Kolarov.

 

Il ritorno della Roma è stato però tardivo e il risultato finale non lascia che una porticina d’accesso minuscola alla finale di Kiev per la squadra di Di Francesco. L’allenatore abruzzese è sembrato troppo lento a leggere la partita e questo ha influito sul risultato finale tanto quanto quelle dei principali giocatori della Roma.

 

In ogni caso, è difficile distinguere i meriti tattici della Roma alla fine dal calo di tensione del Liverpool nell’ultimo quarto di partita, anche perché la squadra di Di Francesco era riuscita a mettere in difficoltà quella di Klopp anche nella prima parte di gara, con la difesa a tre. Nella fase di maggiore intensità di partita, e con Salah in campo, il Liverpool è semplicemente sembrato superiore alla Roma da tutti i punti di vista, non solo quello agonistico, che spesso si mette in luce quando c’è da parlare della squadra di Klopp.

 


Anche gli Expected Goals confermano la vittoria netta del Liverpool.


 

Al ritorno, se vorrà giocarsi le pochissime possibilità rimaste di approdare in finale, la Roma nel suo complesso dovrà alzare il livello del suo gioco, e di molto.

 

 

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