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Rivoluzione Real Madrid
16 feb 2016
16 feb 2016
Come sono cambiati i "merengues" sotto la gestione Zidane.
(articolo)
16 min
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“Ogni volta che Marsiglia, una tra le più antiche e splendide città greche, era infestata da una pestilenza, un uomo delle classi povere si offriva come capro espiatorio. Per tutto un anno veniva mantenuto a spese pubbliche. Allo spirar dell’anno, veniva vestito con abiti sacri, ornato di sacri rami e condotto per tutta la città, mentre si innalzavano preghiere perché tutti i mali del popolo ricadessero sulla sua testa. Alla fine lo cacciavano dalla città oppure il popolo fuori delle mura lo lapidava a morte.”

(Il Ramo d’oro, James George Frazer)

La figura del capro espiatorio nella cultura umana è da sempre oggetto di studio: l’espressione nasce da un rito ebraico che, nel giorno dell’espiazione, vedeva il sommo sacerdote scaricare su un capro tutti i peccati del popolo. Il capro veniva quindi mandato nel deserto, affinché non tornasse mai più.

Secondo l’antropologo francese René Girard, questo meccanismo di persecuzione nasce in momenti di gravi crisi, quando le istituzioni iniziano a traballare sotto la spinta della folla. La rivalità tra individui si propaga e con essa la voglia di vendicarsi contro un facile obiettivo: si individua il capro espiatorio, che viene linciato, permettendo così alla comunità di ricomporsi.

Si tratta della perfetta descrizione del processo che ha portato all’esonero di Benítez: la crisi è avviata dalla disastrosa sconfitta interna contro il Barça (0-4); l’ambiente madrileno comincia a contestare e i giocatori del Real si dividono in fazioni contrapposte; la folla allora avvia la crisi istituzionale chiedendo incessantemente le dimissioni del Presidente Florentino Perez. Si tratta di un sistema che non può essere messo in discussione: il Real è un’azienda che fattura circa 550 milioni di euro, e Perez ne utilizza la visibilità anche per il suo gruppo imprenditoriale di costruzioni e servizi, in una sorta di perversa e continua osmosi.

Il diverso, l’alieno è presto individuato: Rafa Benítez è un tecnico cresciuto nella vecchia scuola del Real Madrid, con una spiccata propensione all’elaborazione tattica, troppa per una squadra abituata all’assemblaggio di grandi solisti. Parla un linguaggio calcistico diverso, preferisce Casemiro e Vázquez a Kroos e James: è così che il sacerdote Florentino carica di tutti i peccati il buon Rafa e lo manda nel deserto, per non farlo tornare mai più.

Seconda conferenza stampa di Zidane, tre concetti principali: la BBC non si tocca, a James e Isco bisogna dare fiducia e affetto, insomma il potere ritorna ai giocatori.

Al suo posto, Zinedine Zidane, allenatore del Castilla, la squadra B, ma soprattutto da sempre vicinissimo al Presidente. Paradossalmente, con la sua nomina, si abbandona probabilmente per sempre l’idea del Real Madrid novecentesco (già messa a dura prova da Mourinho), quello di Valdano, quello della Quinta del Buitre, quello dell’importanza della Fábrica, il settore giovanile. L’obiettivo, però, è di creare uno stile nuovo, moderno, basato in ogni caso sull’accumulazione dei campioni e su un calcio esteticamente appagante.

Zizou era parcheggiato nella seconda squadra in attesa del grande salto, ma quasi per caso: il suo breve percorso da allenatore è stato modesto, condito inoltre da decisioni che hanno fatto discutere, come la nomina a capitano di Enzo, suo figlio, per la sorpresa dello spogliatoio.

A un idolo si perdona tutto, si sa, e poi l’allontanamento di Benítez è riuscito a riconciliare l’ambiente e rinsaldare l’istituzione: il rituale ha funzionato.

Pax zidaniana

Una volta liberati del peso emotivo dell’allenatore spagnolo, i giocatori del Real Madrid sono tornati padroni del proprio destino e hanno ripreso a sorridere: Cristiano Ronaldo senza farne troppo mistero, dicendo di avere maggior empatia con Zidane, ma anche altri come Benzema e soprattutto Isco («capiamo meglio cosa ci chiede il nuovo allenatore») e James. L’unico a soffrire per la partenza di Benítez è Bale, abituato forse ad un rapporto più professionale e meno paterno con l’allenatore (infatti uno dei pochi a inviare un messaggio di addio).

L’arrivo di Zidane ha permesso di ricompattare uno spogliatoio che non sarà mai particolarmente unito (il gelo tra Cristiano e Bale, i capricci di Isco e James), ma almeno evita la pubblica conflittualità. Se c’è un risultato che Zizou ha raggiunto è quello di riportare i giocatori nella stessa direzione, permettendo di accantonare così quei piccoli grandi fastidi accumulati nei primi mesi.

Eppure Benítez non aveva tutti i torti: qui Zidane si arrabbia per il riscaldamento molto soft di James. Ma Zizou può tutto, ha sempre ragione.

Per allontanare nel deserto anche il più piccolo ricordo del precedente allenatore, Zidane ha abbandonato definitivamente il 4-2-3-1 e con esso anche Casemiro, il giocatore feticcio di Benítez, che in 6 partite ha raccolto solamente 20 minuti contro l’Espanyol. La damnatio memoriae e l’estirpazione totale di ogni segno di Don Rafa serve come strumento per rinsaldare le radici nel passato ancelottiano.

Zidane fu il vice di Ancelotti nella prima stagione al Real, quella che condusse alla Décima, e da lui sembra voler attingere pienamente: ritorno al 4-3-3, valorizzazione di Isco, adulazione dei narcisismi da spogliatoio, insomma pace, tranquillità, pallone. L’allontanamento del tecnico emiliano a maggio scorso assume quindi una sembianza ancor più misteriosa all’interno del progetto gattopardesco di Florentino: perché cambiare tutto (Zizou è il terzo allenatore in meno di un anno) per non cambiare nulla?

Il nuovo modulo del Real è sempre quello vecchio: il 4-3-3 del compromesso a cui era giunto Ancelotti, l’estensione massima di un sistema tattico per rendere possibile la coabitazione di così tanti giocatori offensivi. Zidane ha rimesso ognuno al suo posto: dopo aver occupato diversi ruoli (tra cui anche fantasista e seconda punta), Kroos è ritornato ad essere il regista della squadra, con Modric alla sua destra e il "Revenant" Isco alla sua sinistra.

La squadra sembra effettivamente rifiorita, perché in fondo non era adatta al doble pivote né all’incessante lavoro sulle fasce del 4-2-3-1: oltre a Casemiro, anche Lucas Vázquez è stato fondamentalmente epurato.

L’inizio azione del Real mette in evidenza alcuni meccanismi da migliorare: Kroos e Modric si accavallano quasi da doble pivote e si tagliano fuori a vicenda (contro una semplice schermatura di due attaccanti); i due centrali difensivi sono troppo vicini, dovrebbero allargarsi di più per creare opzioni di passaggio a Modric; Marcelo è altissimo sulla sinistra, sulla stessa linea degli attaccanti, mentre Carvajal è il terzino equilibratore sulla destra. Si determina così un incredibile vuoto a centrocampo, con anche Isco dietro la linea dei centrocampisti avversari: sarà poi costretto ad abbassarsi per fornire una linea di passaggio, e da qui nascerà il gol del 4-0. Learning by doing.

E proprio le prestazioni del tedesco Kroos sono il simbolo del cambiamento: mai a proprio agio nel sistema precedente, adesso quasi tutti i palloni passano per i suoi piedi, perché il Real vuole controllare il possesso a tutti i costi.

In avanti, la BBC è certa della propria titolarità, mentre James fluttua in un ruolo ancora non ben definito: l’infortunio di Bale gli ha permesso di giocare nel tridente offensivo, così da regalare al Real anche un’ulteriore fonte di gioco tra le linee. In questo modo, a volte si crea un 4-2-2-2 con il colombiano e Isco tra le linee, ma il Real perde velocità nelle transizioni e anche un elevato numero di gol che il gallese stava finora garantendo (13 nella Liga: uno ogni 89 minuti).

Cambia, todo cambia

Tra il Real di Benítez e quello appena nato di Zidane esiste una grande differenza concettuale: il primo voleva controllare lo spazio, il secondo punta al pallone. È evidente sin dalla fase di inizio azione, quando Kroos e Modric si abbassano costantemente per creare triangoli di possesso con i difensori; a volte correndo anche il rischio di appiattirsi sulla stessa linea, purché la palla non sfugga al possesso madridista.

Questi triangoli di possesso si trovano costantemente anche in altre zone di campo: i tre centrocampisti cercano sempre di essere molto vicini, e lo stesso accade con le catene di fascia.

L’idea del dominio del pallone come elemento fondante rappresenta anche la differenza con il Real di Ancelotti: quella squadra amava andare spesso in verticale per sfruttare la velocità nello spazio della BBC; adesso, invece, le occasioni devono essere costruite con azioni da possesso consolidato (i “merengues” sono diventati primi nella Liga in questa speciale classifica).

I centrocampisti cercano sempre di sistemarsi a triangolo e di essere molto vicini per migliorare la qualità del fraseggio: qui Isco si libera grazie anche alla staticità del pivote avversario; funziona benissimo l’attacco in ampiezza, con i due terzini sulla linea degli attaccanti. Con uno splendido filtrante, Isco servirà Carvajal tutto solo in profondità.

La sistematica volontà di far salire la squadra sul campo senza accorciare i tempi comporta problemi di varia natura, sia in fase offensiva che in quella difensiva. In particolare, il Real si trova molto più spesso di prima ad affrontare difese chiuse e quindi a doversi creare degli spazi “artificialmente”, invece di cercare la profondità dietro la linea difensiva. Per ovviare a questa nuova difficoltà, Zidane punta sull’attacco in ampiezza: non è raro nel corso della partita vedere i Blancos con una specie di 2-3-5 (Guardiola già dall’anno scorso ha di nuovo rovesciato la piramide), con i terzini sulla linea degli attaccanti per permettere alle due ali (normalmente Cristiano e Bale) di attaccare il corridoio tra terzino e centrale avversari, quello spazio di mezzo che è una sorta di terra promessa dell’attacco posizionale.

Il 2-3-5 del Real (Kroos è fuori inquadratura sulla sinistra), con i terzini sulla linea degli attaccanti, CR in posizione di centravanti e Bale che sta per attaccare la profondità. Potenzialmente è una situazione pericolosa perché Isco non ha linee di passaggio facili ed è isolato: l’attacco posizionale del Real può migliorare. Ma siccome è Isco fa una magia e addio problemi.

Lo sviluppo di un gioco di posizione però non si elabora in sole 6 partite e il Real avrà ancora bisogno di tempo per correggere gli errori: a volte i giocatori sono troppo vicini tra loro e non distribuiti su altezze diverse, così riducendo le linee di passaggio invece di crearne.

In particolare, l’inizio azione va in difficoltà contro dispositivi di pressing aggressivi o semplicemente ben elaborati. Sia il Betis che il Granada sono riusciti a rendere difficile l’interazione tra Kroos e Modric, spostando l’onere della costruzione sui due centrali: ma Varane e Sergio Ramos non sembrano particolarmente a loro agio nel dover costantemente impostare (soprattutto il francese). Inoltre, si allargano poco perché hanno paura che un eventuale contropressing possa lasciare sguarnita la zona centrale: ma così la salida lavolpiana di Kroos diventa molto più difficile.

Il Betis scherma la zona centrale per chiudere Kroos e blocca la ricezione dei due interni: qui addirittura Isco si sta abbassando più di Modric. Varane è talmente vicino a Kroos che quasi gli tira il pallone addosso: dall’altro lato Sergio Ramos ha capito che ci vuole più ampiezza.

Inizio azione difficile con Modric e Kroos schermati: Varane è costretto al lancio lungo. Nel centro del campo si nota un vuoto del Real: Isco è troppo alto, praticamente sulla linea degli attaccanti, ma è l’uomo che dovrebbe collegare i reparti.

Contro l’Athletic Bilbao, Zidane ha deciso di schierare Kovacic per aiutare l’inizio azione: una mossa efficace ma che al tempo stesso mette in mostra il trade-off legato alla presenza di Isco, necessario per collegare la frenetica BBC ad un gioco di posizione, pericoloso per gli equilibri complessivi del centrocampo.

Infatti, la squadra si spezza spesso in un 4-2-4 che rende difficile difendere in transizione: il profilo di Isco è unico, per la sua naturale tendenza a farsi trovare tra le linee, quasi in posizione di trequartista, ed è difficile privarsene.

Il 4-2-4 che manda in tilt le difese avversarie: Isco è l’uomo in più. L’altro lato della medaglia: la squadra è spezzata in due, se perdi palla ti esponi a un transizione pericolosa.

Proprio le transizioni difensive rappresentano uno dei problemi del nuovo assetto zidaniano. Già con Benítez, il Real Madrid aveva grandi difficoltà nella difesa posizionale, sia per le difficoltà dei centrali che per l’assorbimento dei movimenti delle mezzali avversarie.

Le transizioni difensive non funzionano e molto dipende dalla posizione di Isco che si schiaccia troppo sulla linea degli attaccanti: qui Marcelo è in ritardo, Kroos è più lento e si fa superare dall’avversario, Modric ha già perso l’uomo. Si crea un 4 vs 3 del Deportivo, che non segna solo per l’errore della punta.

Basta un’azione individuale per disordinare la transizione difensiva del Real: qui Pepe si è allargato lasciando una voragine e imponendo a tutti gli altri difensori di scalare; mentre Carvajal insegue il portatore, Marcelo non si cura dell’uomo alle spalle. I centrocampisti nel frattempo trotterellano.

Intelligentemente, Zidane ha provato a spostare il baricentro, per difendere in avanti e ridurre i pericoli: i Blancos cominciano a subire meno conclusioni in difesa posizionale ma soffrono di più le transizioni. Il tentativo di recuperare il pallone nella trequarti avversaria è ancora nella fase sperimentale, appunto: nessuno degli offensivi merengues sembra avere l’intensità giusta per farcela.

Il Real Madrid prova ad attaccare il primo possesso del Granada ma non è molto organizzato: Benzema è da solo contro i due centrali avversari; c’è una linea che impedisce la ricezione in verticale dell’uomo tra le linee, ma sul lato debole il terzino è completamente solo e infatti verrà servito. Marcelo naviga nella terra di nessuno, mentre l’equilibratore Carvajal compone una linea difensiva a tre.

Gli spazi dietro i centrocampisti del Real rimangono ampi, anche se Modric sta provando a trasformarsi in Desailly: qui è in ritardo, Kroos esce ma Kovacic osserva (con la placidità del passante) il giocatore dell’Athletic Bilbao che sta per ricevere il pallone.

L’ultimo Real di Ancelotti si era congedato dalla Champions League con l’eliminazione ad opera della Juventus, evidenziando enormi problemi nelle transizioni difensive e nel chiudere lo spazio dietro alla linea dei centrocampisti. Quello di Zidane sembra avere problemi simili, pur partendo da idee parzialmente diverse, ma almeno ha ritrovato l’entusiasmo dei giocatori e la voglia di giocare insieme. A livello europeo potrebbe non essere sufficiente, a meno che le individualità della Casa Blanca riescano a brillare tutte allo stesso tempo: per ora il Real risolve molti problemi più grazie alla genialità del singolo che all’organizzazione collettiva.

L’anno Cristiano della misericordia?

Cosa succede al Real se il suo miglior giocatore sembra non risplendere come al solito? E come si può parlare di declino di un giocatore che ha segnato 21 gol in campionato e punta ragionevolmente al titolo di Pichichi e Scarpa d’oro? Come si fa a dire che il capocannoniere della Champions (11 gol in 6 partite) ha problemi realizzativi?

Giusto per ricordare che parliamo di un giocatore semplicemente mostruoso.

Si può se il giocatore in questione si chiama Cristiano Ronaldo, uno che ci ha abituato a livelli realizzativi di un’altra dimensione e che crea onde gravitazionali ad ogni suo tiro verso la porta.

Le transizioni diagonali del Real: i giocatori attaccano tutti sul lato debole, in modo da dettare passaggi diagonali difficilmente intercettabili. Il Real attacca lo spazio anche a costo di lasciare isolato il portatore, è una situazione ricorrente: qui James ha tre avversari davanti ma è veloce nel servire Ronaldo che poi sbaglierà di poco in area di rigore. Da sottolineare ancora che Isco e Benzema sarebbero molto più utili in posizione invertita (e il Granada sembra sparpagliato per il campo).

Nella prima parte di stagione, le piccole grandi difficoltà del portoghese potevano essere attribuite allo scarso feeling con Benítez e al ruolo di punta centrale che era spesso costretto a rivestire: Cristiano ha bisogno di attaccare lo spazio, non di ritrovarcisi già.

Con Zidane in effetti ha già realizzato 7 gol in 6 partite, sembra aver ritrovato la fiducia nelle combinazioni con Benzema e nei suoi tagli in diagonale da sinistra.

Quante volte avete visto Cristiano sbagliare un gol in un modo così maldestro?

Eppure continua ad esserci qualcosa di strano: Cristiano Ronaldo è in alcuni momenti un corpo slegato dal resto della squadra. La sua necessità di segnare per se stesso comincia ad avere degli effetti: i compagni sembrano cercarlo di meno, lui sbaglia spesso e soprattutto non aiuta più la squadra nei momenti decisivi. CR7 ha segnato solo nel 48% delle partite, qualcosa di mai accaduto finora (di solito viaggiava intorno al 60-70%); i suoi gol concludono spesso partite già aperte, contro squadre molto deboli, tanto che in totale 21 segnature hanno dato un valore aggiunto di soli 4 punti ai Blancos; non ha trovato la rete contro le prime della Liga (Barça, Atletico Madrid, Villareal, Siviglia) e neppure nella doppia sfida di Champions contro il PSG.

Gli strani problemi di realizzazione di CR: molti gol sbagliati in zona pericolosa. La stella del Real è addirittura underperforming rispetto ai gol attesi, e di solito è sempre stato il contrario.

Ronaldo sta già uscendo dallo strano stato di crisi che aveva vissuto con Benítez e l’ultima sfida contro l’Athletic sembra testimoniarlo: di sicuro Zidane ha bisogno del portoghese al massimo livello. Forse c’è anche una componente di declino fisico (CR7 ha appena compiuto 31 anni) a cui non sa bene come reagire: potrebbe cambiare il suo stile di gioco per aiutare di più la squadra, sentirsi più parte di un gruppo invece di un solista costretto a giocare con altri 10 (a volte, addirittura contro). Il suo grande rivale, Messi, con due anni in meno ha già cominciato a cambiare modo di giocare: Ronaldo invece sembra non rassegnarsi e continua a provare scatti, tiri da ogni posizione, tacchi e controtacchi.

Più in generale, in questa virata di Zidane verso un calcio più associativo, la BBC sembra molto lontana dai vertici della MSN: mentre quello catalano sembra un trio jazz pronto ad improvvisare e divertirsi al di là di tutto, quello madridista appare più come un gruppo di dj che si alternano alla console per l’esclusiva esaltazione della folla ma senza grande sintonia personale.

Nessuno più di Zidane ha l’esperienza calcistica per entrare nella mente del suo grande campione: anche a questo serve un allenatore. Il francese si è appena lanciato nella più grande avventura della sua vita, per livello di difficoltà, e ha bisogno di tempo per elaborare il suo calcio. Questo nuovo Real Madrid però gli somiglia: a volte lieve ed elegante, spettacolare, ma non troppo intenso; come la sua brevissima carriera di allenatore, è pieno di piccoli errori ma alla ricerca costante del pallone. Non gli si può chiedere di vincere subito (sebbene il Real abbia le potenzialità per vincere la Champions), ma la Casa Blanca sembra aver davvero imboccato una nuova strada, non solo nel breve periodo: il tempo ci dirà se quella di Zidane potrà definirsi una vera e propria era o la splendida combustione di una delle più grandi stelle del firmamento calcistico.

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