
La giovinezza se ne è andata così, all’improvviso, in un sabato pomeriggio. Riccardo Saponara si ritira dal calcio, quando ormai luglio arriva verso la fine, e forse lui si sentiva stanco e credeva che non valesse più la pena aspettare che una squadra richiedesse i suoi servizi. La maggior parte sono già partite per il ritiro, stanno progettando la propria stagione e nessuna di loro ha immaginato un tempo insieme a Riccardo Saponara.
Me ne sono accorto scrollando le storie su Instagram. La faccia gigante di Riccardo Saponara mi è comparsa davanti, sorridente, le scritta: “Una nuova avventura comincia”. Cerco di decifrare il logo che porta sul petto, mi sembra quello della Carrarese. Mi sembrava già assurdo, che Saponara fosse sceso di categoria fino alla Carrarese per giocare a calcio. Cerco su Google e non c’è nessuna notizia che lo riguarda, su Wikipedia dice ancora che è svincolato.
Mi ci è voluto un po’ per capire che non stava andando alla Carrarese per giocare ma per allenare.
Ora ci tocca accettare in via definitiva il fatto che Saponara non sia più una promessa del calcio italiano, il futuro non può più svoltare. Per alcuni l’età della ragione, o la consapevolezza del tempo, arriva quando il nostro giocatore preferito è più giovane di noi. Che tipo di senso del tempo ci colpisce, invece, quando l’eterna promessa incompiuta della nostra vita si ritira dal calcio?
Quindi è finita: non vedremo più Riccardo Saponara su un campo da calcio. Su Ultimo Uomo abbiamo pubblicato una gallery con le sue foto e abbiamo visto il timelapse di una vita umana singolare che ci pare universale - come in un film di Linklater che riflette su come il tempo ci scolpisce come individui unici. Saponara cambia maglia, la barba si allunga mentre i capelli si accorciano. Il suo corpo si inspessisce, diventa più maturo. In alto a sinistra, vicino al suo occhio, c’è sempre il suo neo da diva del cinema.
La gallery ha attirato tanto amore. Un commento recita: “Il Morfeo dei Millennials”, qualcuno lo ringrazia per qualche Fantacalcio vinto, in molti scrivono “Le strade non dimenticano”. Il sentimento attorno a Saponara pare più triste e solenne di quanto fosse lecito aspettarsi, forse.
In fondo cosa dovrebbe importarcene, del ritiro di Riccardo Saponara? Qualcuno si è forse chiesto che fine avesse fatto, Riccardo Saponara, durante quest’estate? Cosa ci rattrista tanto del fatto che si sia ritirato?
In parte è la fine della possibilità di vederlo ancora in campo - anche se ormai lo avevamo perso di vista. L’idea scema, che ogni volta che Saponara è in campo può creare un momento indimenticabile. E ciascuno di questi momenti porta dentro un messaggio ben preciso: se isoliamo il flusso del calcio a singoli momenti, a piccoli e concluse esibizioni di talento, viene forse il dubbio che Saponara potrebbe essere stato il miglior calciatore al mondo. Esagerato? Certamente. Il miglior talento italiano? Esagerato ancora. Però c’è qualcosa di inconciliabile tra l’onnipotenza calcistica espressa in certi gol e la sua carriera tutto sommato minore. Quel gol di tacco all’Olimpico contro la Lazio, con la maglia della Sampdoria, che un tifoso si è tatuato per ricordarsi che a volte la vita ti regala una gioia inaspettata - e talvolta ha la faccia di Saponara.
Parlando della carriera di Saponara uso l’aggettivo “minore” con troppa leggerezza. Saponara non sarebbe d’accordo e avrebbe ragione. Giocare in Serie A, vestire la maglia del Milan, della Sampdoria, del Genoa e della Fiorentina, segnare grandi gol, giocare pure una finale europea. Considerare “poco” tutto questo è ingeneroso, e pure un po’ da pazzi. Secondo Maurizio Sarri, però, che conosce Saponara meglio di noi, è comunque poco, relativamente al talento potenziale di Saponara. Quando passò al Napoli lui disse: «Saponara è un fuoriclasse e sarà destinato a società importanti, in Italia non se lo potrà permettere più nessuno». Sempre secondo Sarri, che ha definito Saponara il più forte che lui abbia mai allenato, era fragile mentalmente.
Questa idea di fragilità è ciò che ci fa sentire ancora più attaccati a Saponara, come se il suo talento fosse così fuori dal tempo da portare dentro di sé il germe della sua stessa distruzione.
E anche la tristezza di aver perso per strada uno dei pochi artisti del gioco, un giocatore irreplicabile. Il che non significa necessariamente che Saponara era davvero al livello dei migliori giocatori al mondo, ma che nel proprio livello - che comunque non era basso - fosse un artista. L’esperienza Saponara più pura si è avuta più o meno dieci anni fa, quando stava ancora largo nei completini dell’Empoli e la maglia blu gli si gonfiava nel vento. Era rapido e leggero - rispondeva all’archetipo di Kakà (i due si conobbero al Milan: «Una sensazione inspiegabile. Ero in difficoltà a relazionarmi con lui, per me era quasi una divinità»). Aveva visione di gioco ma soprattutto cambio di passo. Era moderno, Saponara.
“Morfeo dei millennial” è davvero una bella definizione per cui ringrazio l’amico ElBenasso su Instagram. Una definizione che ci permette un confronto che forse ci fa capire qualcosa in più del nostro indefinibile sentimento verso Saponara.
Morfeo è uno degli archetipi dei talenti incompiuti. È finito nella nostra antologia La caduta dei campioni. Il ritratto che ne traccia Federico Aquè è quello di una persona introversa, disinteressata a piacere agli altri, calcisticamente sovrastata dalla produzione di talenti italiani dell’epoca. Morfeo era considerato un fenomeno, il più forte di tutti, durante le giovanili, ma arrivato tra i grandi il suo corpo non reggeva il confronto. Oggi ha aperto un centro commerciale ad Avezzano.
Saponara invece è un numero dieci nato in un’epoca senza numeri dieci. Mentre il pubblico italiano si disperava di fronte all’appassimento tecnico del nostro movimento, Riccardo Saponara viveva la sua carriera periferica tra problemi fisici e gol deliziosi. Forse qualcuno tra quindici anni, quando l’Italia non giocherà i Mondiali da trenta, rimpiangerà quel periodo in cui Saponara non giocava per quanto talento aveva l’Italia? Dirà: «Come faceva a giocare con Insigne, Chiesa e Berardi davanti. Oggi pure Sottil sarebbe titolare nell’Italia». Il suo fallimento, insomma, sembra dipendere solo e soltanto da lui - e somiglia a un autosabotaggio.
Siamo tristi anche perché ora abbiamo la sensazione che sia davvero finita: non possiamo attenderci più alcun colpo di coda significativo nella sua carriera. Nessuna resurrezione, nessun canto del cigno. A 34 anni forse qualcuno ancora credeva che fosse possibile, non dico che Saponara realizzasse chissà quale promessa, ma che almeno ci regalasse un ultimo grande show-down, in una bassa Serie A o in un’alta Serie B. Speravamo, forse, che il lunedì, recuperando gli highlights distrattamente davanti a un piatto di pasta al pomodoro, ci comparisse un assist di Saponara, tipo questo fatto contro il Bologna, un doppio sombrero con un cross basso di sinistro geniale.
Che spreco è stato, questo anno e mezzo in Turchia. «Una bella esperienza a livello umano, una delusione a livello calcistico», ha detto Saponara.
Due anni fa ho scritto un tributo a Saponara in cui ho descritto alcune delle sue azioni più incredibili. Un catalogo da usare quando verrà organizzata una mostra dedicata a Saponara e al posto dei dipinti ci saranno le gif delle sue azioni.
In quel pezzo c’è un’idea per me ancora valida sul significato della parabola di Saponara. È bello struggersi nelle possibilità perdute, nell’idea del talento fragile e inespresso, ma è più interessante - mi pare - che Saponara verso la fine della sua carriera abbia raggiunto una maturità che prima non aveva. Dopo l’incontro con Vincenzo Italiano, prima allo Spezia e poi alla Fiorentina, ha giocato con una consapevolezza diversa. Il suo corpo era invecchiato, i suoi primi passi non erano più leggeri come prima e gli era toccato migrare verso l’esterno, da dove non aveva più il problema degli spazi troppo intasati. Eppure, dentro una versione ridotta di sé, ha giocato il miglior calcio della sua vita. Questo per certi versi acuisce il senso di rimpianto: cosa avrebbe potuto fare Saponara se avesse raggiunto questa maturità mentre era ancora al culmine delle proprie possibilità fisiche? Ma ci dice anche che a volte semplicemente i tempi non sono quelli che immaginiamo, per trovare una stabilità. Possono non coincidere con una carriera del calcio ad alti livelli. Dopo delusioni e colpi anche duri, a un certo punto le cose vanno al loro posto.
Saponara un giorno è tornato in campo con la maglia del Lecce e mi è preso un colpo. Il numero dieci efebico su cui proiettare i propri sogni velleitari non c’era più, al suo posto era arrivata questa persona fatta di una sostanza molto più reale: calva e con la barba lunga. Per molti maschi sono i tratti distintivi dell’età adulta. Un giorno sei stanco di lottare contro la linea dei capelli che arretra, e accetti la calvizie. Prendi la macchinetta e tagli tutto. La sensualità che hai perso lasciando andare i capelli cerchi di recuperarla facendo crescere la barba e lavorando in palestra. Alla prima partita ha segnato con un tiro a giro e dopo ha esultato pieno di aura. Era un’altra persona: determinata a godersi i suoi ultimi anni di carriera, a non lasciare più nulla all’intentato. Il Saponara ideale e fragile aveva lasciato il posto al Saponara reale e uomo. Era caduto, si era rialzato ed era deciso a fare con quel che gli restava.
“Saponara ha perso i capelli” è il nome che darei alla mia band emo-core, se avessi una band emo-core. Siccome non ce l’ho è il nome che ho dato alla mia squadra di Fantacalcio.
Saponara senza capelli è un futuro senza velleità, dove la consapevolezza ci è arrivata all’improvviso come una lama che ci entra sotto pelle mentre sbucciamo una mela. Non l’illuminazione, il nirvana: un’accettazione più modesta che però ci può fare bene. Non faremo la rivoluzione, non vinceremo il Pulitzer, non giocheremo in Serie A. Non staremo con la nostra crush delle medie e non gireremo tutto il mondo in bicicletta. Non ci trasferiremo a Bali, non scaleremo l’Annapurna. Il nostro corpo non sarà scolpito e non riusciremo mai calciare in porta come Luis Suarez. Non saremo astri nascenti né venerati maestri, non guideremo auto da corsa o aeroplani. Andremo al mare in Abruzzo d’estate, accetteremo che venga anche la suocera perché fa comodo; segneremo grandi gol il giovedì sera in mezzo ad amici che si muovono a malapena, guideremo un’utilitaria, aspetteremo con desiderio l'ultima sigaretta della giornata in terrazza d'estate, porteremo avanti le cose un poco alla volta, con fiducia e modesta soddisfazione. Impararemo a essere felici.
Nel suo ultimo carosello su Instagram, Saponara ha pubblicato una serie di foto sulla sua vita, e nessuna riguarda il calcio. La didascalia dice “Errante” e dentro vediamo Saponara sotto una cascata o al Palio di Siena. Un giorno andava in bicicletta in città e si è sorpreso allo specchio. Lui col cappello e a bordo di una bici da donna col seggiolino dietro. Un altro era in un parco e c’era una luce dorata che illuminava il prato, e forse si è commosso. E pure se il suo cellulare non ha la capacità tecnica di cogliere l’intensità di quel tramonto ci ha provato, a fare una foto, e poi l’ha pubblicata su Instagram.
Nell’ultima foto del carosello c’è una di quelle citazioni apocrife che girano sui gruppi Facebook: "Profonda è la connessione che cerco perché non conosco altro modo di sentire". Bisogna immaginare Saponara felice.