Ecco a voi la nuovissima puntata di Resto del mondo, la rubrica mensile di brevi approfondimenti sulla situazione degli altri campionati del pianeta Terra. In questa puntata: come Giovinco sta facendo saltare in aria la MLS, la crescita della Synot Liga, la sorpresa Heracles in Eredivisie, la crescita dell’Anatolia nella Süper Lig turca, il bel gioco del Kawasaki Frontale e un punto generale sulla Premier League russa, il campionato argentino e la Jupiler League. Qui trovate la prima puntata.
MLS
di Fabrizio Gabrielli (@conversedijulio)
Se le tre squadre canadesi della MLS (Montréal Impact, Vancouver Whitecaps e Toronto FC) riuscissero a qualificarsi per i playoff si creerebbe una situazione inedita, e a oggi tutt’affatto inverosimile.
Dal 2012 la presenza della foglia d’acero nella fase più calda del soccer è sempre stata garantita da almeno un team: i Whitecaps (già qualificati in Western Conference) nel 2012 e nel 2014, Montréal (che occupa l’ultima casella buona per i playoff in Eastern Conference, con un punto in più, ma una partita in meno di Orlando) nel 2013. I rossi di Toronto, invece, non si sono mai qualificati: quest’anno sembra essere arrivata l’annata giusta per l’en plein, peraltro con un Toronto in gran livrea grazie a un roster di tutto rispetto che annovera, oltre ai nomi abbastanza noti di Michael Bradley e Jozy Altidore, quelli della punta Hérculez Gómez (qua con la maglia del Tijuana: quant’è fica la maglia del Tijuana?), del centrocampista canadese Jonathan Osorio (con un passato nelle giovanili del Nacional de Montevideo e due comparsate off-season nell’Huddersfield Town e nel Werder Brema) e, soprattutto, con l’iconica presenza di Sebastian Giovinco.
Forse l’asse geopolitico del calcio americano non si sta spostando così definitivamente verso nord, ma di certo è là che punta il radar dell’hype: Didier Drogba nelle ultime sette gare ha segnato sette reti, e Giovinco è in lotta per laurearsi Landon Donovan MVP player della stagione (sì, il titolo MVP è intitolato al signor Leggenda).
La penultima rete di Giovinco in MLS è stata considerata, per qualche giorno, un assist. Poi Osorio, con sfoggio di gran umiltà, ha perorato la causa dell’assegnazione del gol al compagno.
C’è da intendere che nessun difensore della MLS abbia mai letto Julio Cortázar, il suo racconto Istruzioni per uccidere le formiche, quello che iniziava con la frase: «Le formiche si mangeranno tutta Roma, così è scritto». Giovinco, la Formica Atomica, s’è già sbocconcellato buona parte dei record del soccer, e la sua collisione con la MLS è stata atomica. Si è abbattuto sul Canada con la forza d’urto ineluttabile e irreparabile della fissione di un nocciolo nucleare: contro i Philadelphia Union ha raggiunto il livello super sayan di 21 reti e 15 assist, meglio di chiunque altro nella storia del campionato stellestrisce.
Negli ultimi dieci anni solo Chris Wondolowski e Bradley Wright-Phillips hanno fatto meglio, in termini di reti segnate, e sono ad appena a sei lunghezze di distanza (Toronto ha ancora tre gare da giocare in regular season, poi chissà). Se solo e soltanto per SG riesumassimo il vecchio meccanismo di assegnazione del Golden Boot in auge fino al 2005 nella MLS, avrebbe già totalizzato un punteggio di 57, a un solo punto di distanza (gli basterebbe un assist) da Roy Lassiter, l’highest-peak-man di questo tipo di conteggi. In quanto agli assist, meglio di lui ha fatto solo Carlos Valderrama nella stagione al Tampa Bay Mutiny, e come si dice in questi casi: sky’s the limit.
La statura ridotta, la faccia ragazzina, il fisico mingherlino, e poi la prepotenza delle sue giocate, la velocità, l’istinto letale: se leggessimo controluce una maglia sudata di Giovinco ci troveremmo la sceneggiatura per il prossimo Superhero Movie della Marvel.
Voglio insistere ancora un po’ sulle statistiche perché mi sembrano eloquenti di un altro aspetto: sulla base dei 90’ la sua performanza è più incisiva di quelle di Robbie Keane e Thierry Henry nelle loro stagioni da newcomers: stiamo parlando di calciatori che hanno fatto la storia della MLS, ma che, a differenza di Giovinco, non l’hanno abbracciata nel pieno della loro carriera; Sebastian, invece, e giova ricordarlo perché si tende a tralasciarlo, quando ha firmato per i Toronto FC aveva 27 anni, e legittime pretese di poter dire ancora la sua nel calcio importante, ammesso e non concesso che la MLS non ne faccia già parte.
Per questo sono molto d’accordo con Greg Vanney, il coach di Toronto, quando dice che è possibile scegliere la MLS senza sparire dai radar dei selezionatori nazionali (e la convocazione di Giovinco e Pirlo da parte di Conte per le sfide ad Azerbaijan e Norvegia avvalora la tesi), senza ammantarsi dell’aura del giovane rinunciatario che preferisce l’ingaggio faraonico alla carriera: guadagnare 7 milioni di dollari l’anno (il secondo ingaggio più alto della MLS) non ha fatto di Giovinco un ventisettenne soddisfatto: semmai sono state le sue ritrovate performance a fargli tornare il sorriso sulle labbra. Ok, anche i sette milioni di dollari.
Giovinco & la MLS: uno spot reciproco niente male.
Al di là dei controlli-con-sombrero, dei passaggi filtranti di tacco, della giocata ma-cosa-hai-fatto contro i New England Revs (sopra al minuto 3:40), Giovinco appare un giocatore nuovo: perché è in forma fisica come forse mai l’abbiamo visto in Italia, non più gracilino ma resistente, un po’ sinestesia della MLS tutta; e poi perché è spensierato, perché sa segnare, creare occasioni, spalancare soluzioni per i compagni che si inseriscono in corsa: Matthew Doyle, in un pezzo sul sito della MLS, dice che se continuerà così si guadagnerà presto una borsa di studio chiamato da Nick Saban, che a chi non è esperto di Football forse sfuggirà come metafora, ma che si può a ragione considerare uno dei migliori complimenti che ti possano fare negli States.
L’impressione è che in un campionato come è (ancora) la MLS, così ricco di Grandi Praterie, di Grandi Spazi, di Grandi Opportunità, la capacità di Giovinco di fenderli come una Route 66 lanciata nel deserto sia letale: è piccolo e sfrontato, ignaro della paura e proiettato all’onnipotenza come un Frank Underwood, ma più buono.
L’unica cosa che sembra spaventarlo è l’impatto con Damien Perquis, che sembra la sua custodia tanto è alto e possente.
Ad agosto, in una performace lewandowskiana, ha segnato 3 reti in 9 minuti: il fatto che a subirle sia stato il NYCFC ha fatto sì che la notizia facesse un po’ il giro del mondo, anche se lui non è parso prenderla con troppo entusiasmo: dice che non si possono paragonare questi momenti a quelli vissuti con la Juve o in Champions League, e un po’ mi dispiace questo suo ragionare ancora in termini euro-lire, fare sempre il raffronto.
Mi eccita molto di più vederlo raccogliere questo lancio di 60 iarde, controllare la palla con l’interno sinistro in limine alla linea di fondo, rientrare con uno slancio che lascia sul posto il difensore di Dallas, gli darà quanto?, due metri?, prima di metterla dentro con un tocco leggero.
Negli States ci si interroga sul fatto che possa essere, oltre che il miglior calciatore della MLS attuale, uno dei più impattanti di tutti i tempi. Forse è un’affermazione piena di immotivato entusiasmo, ma sarebbe bello se Sebastian decidesse di fermarsi in Canada per provare a portare non solo Toronto a uno storico risultato, ma tutto il campionato al livello successivo. Come hanno scritto sul Global & Mail, con una frase piena di poesia, «in un campionato in cui tutti giocano a dama lui dà l’impressione di giocare a scacchi. Tridimensionali».
E lo fa, aggiungo io, con l’afflato di chi rifugge l’arrocco: farsi passare per la testa l’insana idea di tornare in Europa, presto o tardi, potrebbe rivelarsi una mossa suicida, come muovere il cavallo nella casella sbagliata, lasciando scoperta la famiglia reale: un finale, vedere la propria carriera in scacco matto, che Giovinco tutto sommato non merita.
Austria
di Austria BLOGdesliga (@BLOGdesliga)
C'è qualcosa di fiabesco nella rinascita del Rapid Vienna. Che fosse finita un'epoca lo si era capito quando è stato demolito lo storico Gerhard Hanappi Stadion, un impianto definito dalla leggenda Ivica Osim “Una cattedrale del calcio”. Al suo posto sorgerà, dall’inizio della prossima stagione, la nuovissima Allianz Arena di Vienna, 24.000 posti racchiusi in un concentrato di pura modernità.
Il club più titolato d'Austria, 32 meisterschale vinti, abbandona lo stadio storico per rimanere al passo coi tempi, ma anche con le concorrenti: l’obiettivo è ritornare al livello del Salisburgo, prima squadra della galassia Red Bull, nonché dominatrice della Bundesliga austriaca da 3 anni a questa parte.
Il Rapid, dopo anni di limbo, sembrerebbe aver finalmente trovato la quadratura vincente. La squadra è stata costruita cercando di tenere insieme giocatori giovani ed esperti. Il talento, la freschezza, la dinamicità dei giovani come Schaub mescolata con l'esperienza e il carisma dei veterani Jan Novota, Mario Sonnleitner e soprattutto Steffen Hofmann, eterno capitano dei biancoverdi.
Per Zoran Barisic, allenatore largamente criticato per il calcio poco brillante proposto dal suo Rapid, è arrivato il momento del riscatto: la squadra lo segue, e i risultati stanno cominciando ad arrivare. Il Rapid guida il campionato con 22 punti in 11 partite, uno in più del Salisburgo; ma è anche in testa al suo girone di Europa League, con due vittorie in altrettante partite.
Barisic schiera il Rapid con un classico 4-2-3-1. La linea mediana, formata da due giocatori molto fisici come Petsos e Schwab, permette di spezzare il gioco avversario e offrire una rapida transizione offensiva. Lo scopo è quello di mettere in moto il prima possibile gli esterni: Kainz e Schobesberger fanno dell'uno contro uno il loro punto di forza, e l'estro di Schaub può cambiare la partita in ogni momento. Davanti, il croato classe '90 Matej Jelic nel ruolo di finalizzatore per ora non fa rimpiangere Beric, passato a fine mercato al Saint-Etienne.
Il talento più limpido dell’attuale Rapid è senz’altro Louis Schaub. Classe ’94, originario di Fulda (Germania) ma naturalizzato austriaco è un prodotto delle giovanili dei biancoverdi. Un saggio delle sue abilità lo ha dato nella doppia sfida di prelmiari contro l’Ajax, all’Amsterdam Arena, dove è stato migliore in campo.
Schaub ha realizzato una doppietta, segnando il secondo gol, quello della qualificazione, quasi allo scadere.
Il baricentro basso e la capacità di andare in dribbling stretto su più uomini partendo dalla fascia gli ha fatto guadagnare il soprannome, non troppo fantasioso, di “Messi d’Austria”. Schaub, a soli 21 anni, ha già superato le 100 presenze con la maglia del Rapid, e ha siglato già 21 gol. Ad oggi è forse il prospetto più entusiasmante che la Bundesliga austriaca possa offrire.
Repubblica Ceca
di Pietro Cabrio (@nogometniblog)
Quando si parla di calcio dell’est ci si aspettano storie di grandi talenti e di vecchie squadre con un passato glorioso; di brutti episodi e assurdità varie. Può sembrare una facile generalizzazione e certo c’è molto di più oltre a questo, ma negli ultimi anni federazioni, campionati e club dell’est hanno fatto ben poco per migliorare la loro situazione e "normalizzare" i propri tornei, che restano fra i meno competitivi e i più poveri d’Europa (ex stati sovietici esclusi).
Esiste però un campionato virtuoso, almeno nel contesto dell’est. La Synot Liga, il campionato della Repubblica Ceca, da diversi anni sta crescendo molto più in fretta degli altri tornei della regione e oggi può contare su due posti nei preliminari di Champions League. Le tre squadre più forti si equivalgono e fino a metà classifica il livello di competitività non scade di molto. Non ci sono grossi problemi economici e i settori giovanili, pur sostanzialmente modesti, sono ben organizzati. Anche se da qualche anno mancano i talenti più cristallini, una costante quantità di ottimi giocatori ha garantito una buone serie di risultati sia alla Nazionale maggiore che ai club.
Viktoria Plzen
Specchio di questa crescita è il Viktoria Plzen. La squadra dell’estremo ovest della Boemia è riuscita in pochi anni a passare da una storia mediocre e senza successi rilevanti ai primi posti della Synot Liga, oltre che a una serie di buone partecipazioni nei tornei continentali.
Con l’aiuto della Skoda, la casa automobilistica di proprietà della Volkswagen con sede proprio a Plzen, la dirigenza del Viktoria negli ultimi cinque anni non ha sbagliato niente. Nel 2008 ha ingaggiato Pavel Vrba, allenatore allora semisconosciuto e oggi alla guida della Nazionale ceca, con il quale è riuscita a vincere i primi due campionati nella storia del club e a valorizzare quelli che oggi sono i giocatori cechi dal rendimento più costante: Vladimir Darida, oggi all'Hertha Berlino, Milan Petrzela, Frantisek Rajtoral, Tomas Horava e David Limbersky, tutti ancora al Viktoria Plzen e convocati frequentemente dalla Nazionale.
Il modo in cui Vrba era solito festeggiare una vittoria in Champions.
La società ha poi investito i premi UEFA ricevuti per la partecipazione a due fasi a gironi di Champions ed Europa League per migliorare le proprie strutture. Lo stadio di Plzen è uno dei più confortevoli del paese e nei prossimi mesi verrà ulteriormente ammodernato.
Sparta Praga e Slovan Liberec
Il Viktoria Plzen ha ricoperto il ruolo che tradizionalmente era dello Sparta Praga. Il club negli ultimi anni ha dovuto fronteggiare diverse piccole difficoltà, ma sembra finalmente essersi ripreso. Lo Sparta ha particolarmente deluso nelle ultime edizioni delle coppe continentali: la qualificazione ai gironi di Champions manca dal 2006 e in Europa League non si è mai spinto oltre i sedicesimi di finale. Sarebbero bastate prestazioni leggermente più convincenti per migliorare ulteriormente il ranking UEFA della Repubblica Ceca. Nonostante ciò, lo Sparta continua a essere un club sano e con molti margini di miglioramento, alcuni dei quali già destinati a essere colmati da futuri investimenti programmati dalla dirigenza.
L'ultima vittoria in UEL, contro l'Apoel.
L’altra squadra che alza il livello competitivo della Synot Liga è lo Slovan Liberec. Nell’ultimo turno di Europa League lo Slovan ha battuto in trasferta l’Olympique Marsiglia, confermando un’attitudine europea già vista nel 2013, quando si è spinto fino ai sedicesimi di finale, eliminando l’Udinese nei preliminari e il Friburgo ai gironi.
Dopo nove giornate di campionato Sparta, Viktoria e Slovan occupano i primi tre posti in classifica, separate da appena due punti. E anche quando una delle tre si trova in difficoltà, come successo allo Slovan nella passata stagione, ce n'è sempre un'altra pronta a prenderne il posto. Dell'ottima situazione del campionato ceco sembra beneficiarne anche la Nazionale, che pur senza grandissimi giocatori (Cech escluso) è stata una delle prime a ottenere la qualificazione alla fase finale dei prossimi campionati europei.
Eredivisie
di Chris Holter (@calcio_olandese)
Almelo è una cittadina di poco più di settantamila abitanti, sviluppatasi e attorno alle industrie tessili sorte un secolo fa e attive a pieno regime fino agli anni Settanta. La cosa più conosciuta della cittadina è la sua squadra di calcio, l’Heracles, che oggi insegue a un solo punto di distanza Ajax e Feyenoord.
L’Heracles è però una sorpresa fino a un certo punto. Dal settembre 2014, momento in cui si è seduto sulla panchina il trentanovenne John Stegeman, i bianconeri hanno infatti vinto 16 partite di campionato, facendo peggio solo rispetto a PSV (27 vittorie), Ajax (20) e Feyenoord (19).
Al Polman Stadion, primo campo dei Paesi Bassi, il pubblico si sta affezionando sempre più all’undici che porta il nome di Ercole e che, da pochi mesi, sul proprio stemma mette in risalto la figura del figlio di Giove, coperto dalla proverbiale pelle di leone.
Dopo il quattordicesimo posto dello scorso campionato, in pochi si sarebbero aspettati di abitare le zone alte della classifica, togliendosi peraltro diverse soddisfazioni, come la vittoria sul PSV (dopo 51 anni dall’ultima volta!) e quella nel sentitissimo derby regionale con il Twente.
2 a 0, giocando un grande calcio.
C’è da capire quanto i bianconeri allenati da Stegeman potranno reggere il ritmo con cui hanno affrontato le prime 8 giornate di campionato, al termine delle quali sono arrivate 6 vittorie e 2 sconfitte, condite da un grande gioco offensivo (18 gol finora, più di un terzo di quanti ne sono stati segnati in tutto lo scorso campionato) e difensivo (8 reti subite e porta inviolata in metà delle partite giocate).
Con poche cessioni e acquisti mirati, spesso a costo zero, Stegeman—che inizialmente doveva essere un semplice allenatore ad interim—ha valorizzato il materiale a propria disposizione, chiedendo ai propri calciatori di fare cose semplici e di divertirsi.
Chi sembra aver giovato di più della situazione è Oussama Tannane, ala sinistra classe 1994 nata in Marocco, ma cresciuta in Olanda. Dopo aver girovagato tra le giovanili di Ajax, PSV e Utrecht, ha debuttato tra i professionisti con l’Heerenveen, prima della (forse frettolosa) cessione all’Heracles. Oggi risulta uno degli esterni offensivi più in forma del campionato e, anche grazie ai 5 gol segnati (uno a partita) sembra essersi messo definitivamente alle spalle il passato, segnato da ripetuti problemi fisici e da un carattere non facile.
Eppure non pare avere proprio il physique du role…
Con lui, è cresciuto in maniera esponenziale anche Iliass Bel Hassani, faro del centrocampo bianconero e giocatore molto dotato tecnicamente. Seppur tenuto d’occhio dalle maggiori squadre d’Olanda sin da giovanissimo, Bel Hassani non ha avuto la carriera che gli si prospettava, ma ha recentemente evidenziato dei miglioramenti che vanno al di là delle più rosee aspettative, orchestrando le manovre offensive di una squadra che ha in Wout Weghorst, centravanti fisico, il suo terminale offensivo.
Diversa, invece, la situazione del PSV Eindhoven. La recentissima vittoria nel Topper (come viene chiamata la sfida contro l’Ajax) disputato ad Amsterdam è riuscita a cancellare, momentaneamente, le perplessità d’inizio stagione.
In estate sono partiti il capitano e la stella della squadra, volati in Inghilterra. Georginio Wijnaldum e Memphis Depay si sono trasferiti rispettivamente al Newcastle e al Manchester United, due piccole colonie oranje in Premier League. I Boeren, perciò, sono stati costretti a intervenire sul mercato e, come al solito, lo hanno fatto in maniera egregia.
Spiccano, tra i colpi in entrata, gli arrivi di Gastón Pereiro (doppietta contro l’Ajax) e Maxime Lestienne, ala belga passata per Genova, sponda rossoblù, via Al-Arabi. Non vanno dimenticati, poi, gli arrivi di Propper e del messicano Moreno, giocatori forse meno spettacolari, ma utili alla causa, e l’acquisizione a titolo definitivo dell’esperto Andrés Guardado.
Il PSV di Cocu negli ultimi anni è al centro di una rivoluzione, e il mercato in entrata non rappresenta più l’elemento principale cui prestare attenzione. Il club di Eindhoven si è allontanato dal proprio modus operandi, avvicinandosi a una concezione più “olandese” di gestione del proprio vivaio. Il PSV ha abbandonato le operazioni di alto profilo, sia mediatico che economico, per puntare sempre di più sui giovani dell’Herdgang, l’accademia giovanile che sorge a pochi chilometri dal Philips Stadion. La transizione, inevitabilmente, ha comportato delle difficoltà: così dopo il flop di due anni fa e l’exploit dello scorso anno, Philip Cocu dovrà ora gestire la terza fase della rivoluzione della sua squadra: confermando e consolidando la propria forza.
In Europa i Boeren hanno evidenziato tanti pregi e alcuni limiti, imponendosi contro l’umorale Manchester United, prima di sgretolarsi nel primo tempo di Mosca, in casa del CSKA.
In patria, la situazione è più o meno la stessa: se da un lato i ragazzi di Cocu hanno dato vita alla magnifica prova di Amsterdam, durante la quale il PSV ha sempre tenuto il controllo del match, dall’altro due pareggi contro Heerenveen e ADO Den Haag, nella partita dell’assurdo gol al 95’ del portiere Hansen, e la sconfitta con il sorprendente Heracles non possono non far suonare qualche campanello d’allarme.
Argentina
di Aguante Futbol (@AguanteFutbol)
Settembre è stato il mese decisivo nella corsa al primo titolo dell’era post-Grondona, grazie all’allungo del Boca Juniors, arrivato a sorpresa dopo un durissimo arresto casalingo proprio contro i rivali del San Lorenzo. Ma a segnare l’ultimo mese del pungente inverno argentino è stata soprattutto la fecha 24, la prima Fecha de los Clásicos della storia. Un evento inusuale, figlio della rivoluzione imposta come ultima volontà dal defunto padrino del fútbol argentino Julio Grondona, desideroso di porre fine ad Apertura e Clausura (o Inicial e Final) per abbracciare un torneo a 30 squadre con sfide di sola andata, tra superpotenze, nobili decadute, imperi di provincia e qualche comparsa.
Ma neanche Grondona poteva negare al tifoso argentino andata e ritorno dei grandi clasicos argentini e alle società i principali incassi stagionali: ecco allora la Fecha de los Clásicos, ovvero la giornata in cui si svolgono tutti i derby a campo invertito. River-Boca, Independiente-Racing, Huracán-San Lorenzo, Tigre-Vélez, Rosario Central-Newell’s, Estudiantes-Gimnasia LP, Colón-Unión, Lanús-Banfield: un oceano di rivalità, famose e non, raggruppato in pochi giorni, in un weekend di garra e odio calcistico che diventerà inevitabilmente un appuntamento imperdibile negli anni a venire.
Parlare dell’artistocratico Superclásico è scontato, è quindi sufficiente ricordare che al Monumental il Boca del Vasco Arruabarrena ha messo l’ipoteca sul titolo della Primera División, a soli sette giorni dal tracollo con il San Lorenzo, fermando sul nascere, grazie a un’ottima prova di forza, l’uragano di polemiche che si stava per avventare sulla Casa Amarilla.
Nel 2014 il Central è tornato in Primera da meno di un anno, ma dimostra ai rivali che il clasico non si dimentica.
Tuttavia altre sfide, leggermente meno note, ma altrettanto piccanti, hanno rappresentato alla perfezione la giornata dei Clásicos: a partite da Rosario Central-Newell’s Old Boys, il derby rosarino, partita che, per cornice di pubblico e rivalità, non ha nulla da invidiare ai match della capitale. A Rosario il calcio ha messo radici fin dai primi anni del ventesimo secolo e, malgrado le fortune alterne che hanno accompagnato le storiche compagini della città natale del Che, la passione delle due fazioni non accenna a diminuire.
Newell’s e Central sono due realtà profondamente diverse per stile e tradizione, accomunate soltanto dal calore e dall’odio reciproco delle due tifoserie. I rossoneri sono cresciuti in consensi nell'era moderna, e grazie a un certo Marcelo Bielsa hanno sviluppato un DNA fatto di talento e bel calcio. I gialloblù sono invece una grande storica dal blasone radicato in vittorie quasi da tradizione orale, legati più a un calcio fisico e pratico, anche e soprattutto a causa del periodo trascorso in seconda divisione.
Uno scontro totale che, a dispetto della tradizione, è stato caratterizzato dal dominio territoriale del Central, con il NOB questa volta costretto a rinunciare a condurre il gioco. La Lepra vive infatti una fase di transizione ed è ancora alla ricerca di nuovi equilibri e protagonisti, mentre Las Canallas del Chacho Coudet, squadra solida, continua e pratica, nonostante il pareggio hanno dato l’ennesima conferma di essere tra i protagonisti del torneo. Tratto distintivo dello 0-0 finale le risse e le sportellate continue in ogni zona del campo.
L’altro Clásico degno di approfondimento è stato quello giocato al Palacio del Parque Patricios tra Huracán e San Lorenzo. Una sfida sbilanciata e dall’esito scontato, che, come ogni clásico che si rispetti, ha finito per produrre la vera sorpresa di giornata. Il Globo, con una vittoria di misura, è infatti riuscito a far perdere i punti decisivi per la corsa al titolo dei vicini di barrio del Ciclon, che, arrivati da punteros e grandi favoriti dopo il gol ammazza-Boca di Matos, mai si sarebbero aspettati un passo falso in una partita con ben poche insidie sulla carta. Ma il Cuervo non ha mai trovato il modo di far male agli avversari, che, anzi, sono riusciti a tenere palla anche più di quanto si aspettassero.
Per esplicare il concetto di rivalità sentita.
Il gol di un giocatore rappresentativo come Patricio Toranzo è invece stato il simbolo della rivalsa quemera, dopo gli anni bui arrivati al termine dell’era Cappa, quando l’Huracán di Pastore e Defederico si fermò a pochi minuti da uno storico titolo. Al San Lorenzo nel finale sono invece saltati anche i nervi, con due espulsioni in pochi minuti che hanno distrutto ogni speranza di recupero e rincorsa al campionato.
Turchia
di Bruno Bottaro (@CalcioTurcoITA)
La Süper Lig turca sta attraversando un momento particolare. Il tradizionale conflitto tra i club di Istanbul e quelli dell'Anatolia vede una piccola rivoluzione: delle prime sei squadre della classifica, quattro arrivano dalle rive del Bosforo. Per un campionato che dal '57 ha visto consegnare appena 8 titoli lontano dalla ex Costantinopoli è un dato notevole.
Il divario tra Istanbul e il resto della nazione negli ultimi anni si è fatto molto meno netto. Nuovi stadi, giocatori più disposti a mettersi in gioco in luoghi che non avrebbero mai considerato prima: il primo storico trionfo del Bursaspor ha insegnato a tutti che quando l'Anatolia riuscirà a produrre club competitivi a livello internazionale, la Turchia sarà finalmente quello che ha sempre sognato di essere. Forse anche per questo la vera sorpresa di Süper Lig dell'ultimo mese è il Konyaspor, quarta in classifica, all’inseguimento di Besiktas, Fenerbahçe e Galatasaray. L’obiettivo è quello di diventare il nuovo polo del calcio in Anatolia.
Konya è la città del futuro
Quando Alban Meha, l'estate scorsa, ha lasciato il Paderborn per l'Anatolia, pochissimi avrebbero puntato su di lui come sorpresa della stagione. In Albania, però, Snaiper è sinonimo di garanzia. L'abilità di Meha su calcio di punizione è paragonabile a quella dei più grandi del pianeta.
Nel 4-2-3-1, schema che in Turchia sta diventando lo standard, il tedesco-albanese gioca da ala sinistra, spesso arretrando come terzo di centrocampo. Lo schieramento di Aykut Kocaman è dunque perfettamente malleabile a seconda dell'avversario; grazie a giocatori duttili e disponibili, tatticamente quasi impossibili da inquadrare.
Ha impressionato Abdou Razack Traoré, burkinabé classe '88 disinvolto sia come mezzapunta che come trequartista centrale. Merito forse di Kocaman, il tecnico che portò il Fenerbahçe in semifinale di Europa League, eliminando la Lazio ai quarti. Ora è in Anatolia, dove le strutture calcistiche stanno mostrando importanti miglioramenti, a partire dagli stadi. La pianificazione del governo ha raggiunto il suo apice proprio a Konya, città natale di Ahmet Davutoglu, braccio destro del Presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdogan.
Una cattedrale da 42mila posti, un tifo acceso, ma mai violento: Konya rappresenta tutto ciò che la Turchia non ha quasi mai sperimentato, un salto nel futuro che necessita ancora di un progetto all'altezza. Passata alle cronache per aver ospitato Turchia-Olanda 3-0, Konya ha avuto un successo tale da essere scelta come casa della Nazionale di Terim anche in occasione di Turchia-Islanda.
La Süper Lig non ha mai visto il Konyaspor tra le posizioni di vertice, eppure la società ha come obiettivo proprio la corsa al titolo nei prossimi anni. C'è ancora tantissima strada da fare: Transfermarkt non valuta la rosa a disposizione di Kocaman più di 33 milioni, mentre il Galatasaray avrebbe un roster di 123 milioni. Ma in classifica ci sono solo due punti di differenza.
La situazione potrebbe cambiare nelle prossime settimane: nel frattempo però il Konyaspor ha espugnato Trebisonda, mostrando che una buona organizzazione tattica può portare successi anche in un paese caotico come la Turchia, che ha sempre preferito agli schemi le evoluzioni tecniche di Sergen Yalçin e Yildiray Bastürk. Il calcio cambia, anche in Anatolia. Dove Istanbul non sembra più tanto lontana, almeno per il momento.
Rizespor: foglie di thé
La città più lontana da Istanbul, nella Süper Lig, è Gaziantep, a sud-est della nazione, a qualche chilometro da una zona attraversata da tensioni e conflitti, attacchi tra polizia e militanti curdi. Impossibile parlare di calcio a certe latitudini, allora per scoprire l'ultima frontiera del pallone in Anatolia è necessario viaggiare ancora, in direzione nord-est. A un passo dalla frontiera georgiana, a Rize, si stava costruendo un piccolo miracolo. Un'imbattibilità che è durata ben due mesi, tra agosto e settembre, un record caduto solo con la sconfitta per 2 a 3 contro il Bursaspor.
Il Rizespor veniva da una serie di partite eroiche, giocate sempre al limite delle proprie possibilità. Hikmet Karaman schiera la squadra su un 4-4-2 che trasgredisce il 4-2-3-1 dogma della Süper Lig; uno schema pronto a trasformarsi in un più offensivo 4-2-4 se l’occasione lo richiede. Qualche settimana fa il Rizespor ha dato 5 gol all’Antalyaspor, squadra dalle ambizioni europee nella quale milita Samuel Eto’o.
Al Caykur Didi Stadyumu, intitolato al thé freddo locale per ragioni di sponsor, Deniz Kadah è protagonista con una tripletta. Un ragazzo turco cresciuto in Germania tornato in patria per trovare la consacrazione calcistica.
Russia
di Alberto Farinone (@AlbertoFarinone)
Agevolato da una partenza forte (sette vittorie consecutive), il CSKA guida la Russian Premier League dopo 11 giornate, con 5 punti di vantaggio sulla sorprendente Lokomotiv Mosca e 8 sui campioni in carica dello Zenit.
La squadra guidata da Slutskiy, nel frattempo divenuto anche CT della Nazionale russa, ormai da anni fa affidamento su un blocco coeso, che in estate ha visto anche il ritorno di Seydou Doumbia, reduce dalla deprimente e fugace esperienza romanista. L’ivoriano è subito tornato infallibile sotto porta, sia in campionato che in Champions League, competizione nella quale ha una media gol superiore persino a quella di Cristiano Ronaldo.
Se la fase difensiva dei Soldati lascia parecchio a desiderare (sempre puntuali i cali di concentrazione di Ignashevich e dei gemelli Berezutski; preoccupati unicamente a spingere invece i due terzini, Mário Fernandes e Schennikov), dalla trequarti in su il livello del CSKA si alza molto, grazie all'abilità nello stretto di Dzagoev, Tosic, Eremenko e Natcho e alla rapidità di Musa e Doumbia.
La partita dell'anno. I rossoblù si ritrovano sotto di 3 gol in casa del Mordovia Saransk dopo 15 minuti in una folle gara che riusciranno a vincere 6-4, con reti di Panchenko e Tosic e doppiette di Musa e Doumbia.
Slutskiy ha una gestione manageriale del gruppo: è bravo soprattutto a non ingabbiare il talento dei propri giocatori offensivi e a motivare la squadra. Il CSKA è una squadra di personalità, più volte capace di rimontare partite date per perse o di raggiungere la vittoria nei minuti finali, magari anche con mosse disperate rivelatesi azzeccate (come la scelta di trasformare il mediano svedese Wernbloom in un improvvisato centravanti nell'assedio contro il Rostov).
Ai nastri di partenza però la squadra da battere non doveva essere il CSKA, bensì lo Zenit. In estate però qualcosa si è incrinato nel rapporto tra Villas-Boas e la sua dirigenza, complice un calciomercato non condotto come avrebbe voluto il tecnico portoghese: l'aumento del limite sugli stranieri che vige in Russia e il farsesco fair play finanziario della UEFA hanno infatti costretto lo Zenit a operare un mercato di basso profilo, prelevando soltanto giocatori russi a parametro zero e cedendo un proprio pezzo pregiato come Rondón.
Questo malessere malcelato da AVB—che ha peraltro portato l'ex allenatore di Porto, Chelsea e Spurs a ufficializzare con largo anticipo la sua dipartita al termine della stagione—è probabile che abbia avuto qualche effetto anche all'interno dello spogliatoio. Lo Zenit finora ha disputato un torneo al di sotto delle proprie possibilità, ottenendo due generosi pareggi (sempre in rimonta) negli scontri diretti contro CSKA e Spartak e lasciando soprattutto parecchi punti nelle gare casalinghe.
Nella città degli Zar non mancano tuttavia le note liete: Hulk sta finalmente diventando un uomo squadra, e i numeri lo dimostrano: 6 gol e 8 assist in RPL, 2 reti e 2 passaggi vincenti in Champions.
Anche se la sua principale skill rimane il missile su punizione.
Shatov è a un passo dalla definitiva consacrazione, Smolnikov quando parte in velocità risulta semplicemente imprendibile sulla fascia destra e il nuovo centravanti, Dzyuba, ha tutto sommato avuto un buon impatto. I ricambi, però, non sembrano all'altezza della situazione: ed è proprio la rosa corta la principale preoccupazione di Villas-Boas.
Il santone tukmeno sulle rive del Don
Kurban Berdyev è indubbiamente uno dei più pittoreschi allenatori dell'ultimo decennio di calcio russo. Taciturno, impassibile, dallo sguardo truce, quasi sempre munito di cappellino e con l'inseparabile rosario musulmano sempre stretto tra le mani. Ma il turkmeno è soprattutto un grande tecnico, tatticamente preparatissimo e principale artefice del miracolo Rubin Kazan, in grado di conquistare due campionati russi consecutivi nel 2008 e nel 2009 e di brillare in Europa nel passato recente, con numerosi risultati di prestigio ottenuti, tra cui l'ormai storico 2-1 al Camp Nou contro il Barça di Guardiola.
A causa di dissidi con la nuova dirigenza è stato costretto a lasciare il Tatarstan e, dopo un periodo di pausa, ha scelto a sorpresa Rostov come piazza da cui ripartire. La sua mano non ha tardato a farsi vedere: ha preso un club ultimo in classifica, che sembrava destinato alla retrocessione e lo ha immediatamente risollevato e condotto a un'eroica salvezza.
La società gialloblù lo ha premiato dandogli pieni poteri sul mercato, Berdyev ne ha approfittato chiamando a sé alcuni fedelissimi che aveva già allenato a Kazan, come il possente centrale difensivo spagnolo César Navas e il regista ecuadoriano Noboa. Per il resto ha cercato di valorizzare il materiale—tutt'altro che scadente—che aveva già a disposizione. Dopo un sorprendente avvio di campionato, il Rostov si mantiene nella zona alta della classifica e sembra poter lottare fino alla fine per un posto in Europa.
La difesa, un autentico colabrodo prima dell'arrivo del santone turkmeno, è diventata una tra le meno battute del torneo; in mezzo al campo Gatcan e Noboa garantiscono, rispettivamente, la corsa e le geometrie necessarie per permettere ai tre elementi che giostrano dietro l'unica punta—solitamente gli esterni Kalachev e Poloz e il gabonese Kanga, fantasista anarchico dalla testa un po' matta—di fare quello che vogliono.
In avanti Berdyev sta alternando altri due suoi pupilli dalle caratteristiche differenti, che aveva precedentemente già allenato a Kazan: l'ariete Bukharov, tornato a livelli presentabili dopo le annate buie trascorse a San Pietroburgo, e la promessa iraniana Azmoun, classe '95 sul punto di esplodere e già sul taccuino di diversi club europei.
J. League
di Gabriele Anello (@nellosplendor)
La J. League continua la sua corsa verso il termine della stagione e il suo strano formato finale. Due squadre che non parteciperanno ai playoff, ma che hanno comunque lasciato un segno, sono i Kawasaki Frontale e i Nagoya Grampus.
Il Kawasaki Frontale non è mai riuscito a entrare nell’albo d’oro della J. League: la squadra della Fujitsu è nota soprattutto per avere uno stile di gioco spettacolare, ma poco vincente. Anche per questa stagione la bacheca continuerà a rimanere vuota, nonostante ai tifosi non sia mancato il divertimento.
Nell’ultimo turno è andato in scena il big match della 30.esima giornata, che li vedeva opposti ai campioni uscenti del Gamba Osaka. Il risultato è stato un 5-3 pirotecnico che ha evidenziato ancora una volta come i Frontale siano una delle squadre esteticamente più belle del Sol Levante.
L’artefice del calcio spettacolare è Yahiro Kazama, allenatore dei Frontale dal 2012. Nelle tre stagioni con lui alla guida, il Kawasaki è sempre stato tra i cinque attacchi migliori del campionato. Quest’anno è il secondo dopo quello dei Sanfrecce Hiroshima e, sotto la gestione Kazama, mantiene una irreale media gol di 1,78.
Tra Kengo Nakamura (da non confondere con Shunsuke, nonostante il gran tiro), Kobayashi, Elsinho e Oshima, l’abbondanza offensiva dei Frontale ha permesso di travolgere il Gamba. Dal canto loro, i nerazzurri di Osaka sembrano concentrati sulla conquista della Champions League asiatica: per centrare la finale bisognerà recuperare il 2-1 subito in casa del Guangzhou Evergrande, superpotenza cinese già campione nel 2013.
Non c’è stata una pausa nel match di domenica. E non ci sono pause nemmeno per Yoshito Okubo, a 33 anni ormai leggenda della J. League. Con la doppietta contro il Gamba l’attaccante si candida al titolo di capocannoniere per il terzo anno di fila, avvicinando peraltro il record di marcature nella storia della J. League (Masashi Nakayama è a quota 157, mentre Okubo ha raggiunto quota 154).
Okubo ha avuto la fortuna di arrivare al Todoroki Stadium nel momento giusto della sua carriera. Nel 2012, appena retrocesso con il Vissel Kobe, Kazama lo prende e lo trasforma da esterno di centrocampo a prima punta. Risultato: 78 gol in 124 partite disputate in tre anni.
Non è un caso se nella curva del Kawasaki ci sia sempre lo Yoshimeter per aggiornare il conto dei gol.
Si parla di record anche a Nagoya, dove però lo scenario è tutt’altro che di festa. La tanto sperata ricostruzione di Akira Nishino—santone del calcio giapponese—non è arrivata. Dopo due anni di esperimenti, i Grampus navigano ancora a metà classifica e i successi appaiono lontani ricordi.
Sono passati cinque anni dall’ultimo (e unico) titolo nazionale, conquistato sotto la guida di Dragan “Piksi” Stojkovic, molto legato a Nagoya: con i Grampus ha disputato otto stagioni da giocatore e cinque da allenatore. Dopo di lui, Nishino sembrava l’uomo giusto per ricostruire. Un po’ come aveva fatto a Osaka, dove prima di lui non avevano vinto nulla. Quando Nishino se ne andò dopo un decennio, il Gamba aveva sei trofei in bacheca.
Qualche assist di Stojkovic per svoltarvi la giornata.
A Nagoya non è andata altrettanto bene. Nonostante l’inserimento di molti giovani e alcuni acquisti pesanti (come il brasiliano Leandro Domingues e il nazionale Kawamata), i Grampus hanno disputato un 2014 mediocre e un 2015 deludente. E il futuro non appare migliore, visto che la società ha già dichiarato che non rinnoverà il contratto a Nishino e tutti gli stranieri sono destinati a partire.
I giovani (Muta, Taguchi, Isomura) non hanno compiuto l’atteso salto di qualità e i nuovi acquisti faticano a integrarsi. Domingues è l’ombra di quello visto a Chiba, mentre Kawamata non si sta ripetendo ai livelli di Niigata. Aggiungiamoci la perdita di tre pezzi storici dello spogliatoio—Naoshi Nakamura, Tamada e Kennedy—e il fatto che chi è già vecchio non può ringiovanire. Tulio ha 34 anni, Ogawa 31, Narazaki 39 (unica nota positiva, nonostante tutto).
Se c’è un giocatore con cui i tifosi identificano la storia dei Grampus non è Stojkovic, ma Seigo Narazaki. Portiere classe ’76, alla sua 17.esima stagione con il Nagoya, la 21.esima in J. League. L’estremo difensore sarebbe da panchinare, ma nessuno ha il coraggio di farlo per l’influenza che ha sui compagni.
In carriera può vantare quattro Mondiali disputati e 77 presenze con il Giappone, con cui ha vinto anche una Coppa d’Asia. Narazaki è l’unico portiere ad avere vinto il premio di MVP della stagione, proprio nel 2010 vittorioso con Stojkovic. E sabato ha festeggiato un altro traguardo. Nel 3-1 subito sul campo del Kashiwa, Narazaki ha collezionato la presenza numero 600 in J. League, ed è riuscito anche a subire gol dal giocatore più basso della J League (155 cm!).
Belgio
di Alessandro Piccolo (@calciobelga)
Nobile decaduta: lo Standard Liegi
Da ormai qualche stagione lo Standard Liegi rappresenta la sorpresa negativa della Jupiler League. Al punto che è quasi diventato difficile definirla una “sorpresa”. Il club ha perso quel tipo di mentalità che gli aveva permesso non solo di diventare una delle squadre più vincenti in JPL, ma anche di togliersi qualche soddisfazione internazionale. L’aggressività e la cattiveria che gli aveva fatto guadagnare il soprannome di Diavoli Rossi, ormai, si vede soltanto sugli spalti, dove i tifosi continuano a essere gli “incontrollabili” di un tempo, nonostante la loro squadra sia attualmente penultima in classifica.
Oltre alla posizione ci sono delle statistiche poco confortanti. Peggior difesa con 23 gol subiti in 10 partite, di cui 14 tra la sesta e la nona giornata. Unica nota positiva di questo inizio di stagione è Knockaert, proveniente dal Leicester. A inizio settembre lo Standard ha anche cambiato allenatore, passando da Muslin al giovane e promettente Yannick Ferrera.
Il compito del nuovo arrivato sarà quello di risolvere i problemi difensivi e di organizzare al meglio l’attacco, che sembra ancora orfano di Carcela, partito in estate, riuscendo a far coesistere in campo i giovani di grande qualità con i più anziani (Knockaert e Santini su tutti).
È un compito non facile, ma se Ferrera dovesse riuscire a imporre il suo gioco come fatto con la neopromossa Sint-Truiden, è tutt’altro che impossibile, considerando anche il tempo a disposizione.
Partita emblema dei problemi difensivi dello Standard Liegi.
Anderlecht post-Mitrovic o Anderlecht di Okaka?
È da poco terminata una sessione di mercato che ha visto liberarsi i Bianco Malva del capocannoniere dell’ultima stagione: Aleksandar Mitrovic. La dirigenza lo ha sostituito con Stefano Okaka, arrivato con grandi aspettative, ma che ha iniziato il campionato in sordina.
Nell’ultimo mese la musica è cambiata completamente: basti pensare che Okaka è stato votato come giocatore del mese per il club di Bruxelles dagli stessi tifosi che stanno attualmente contestando la dirigenza per una campagna acquisti non all’altezza e che chiedono a gran voce la testa di Hasi, colpevole di non essere riuscito a dare un gioco alla squadra.
Nonostante tutto, la punta italiana è riuscita a segnare per quattro volte nelle ultime cinque partite, giocando nel bel mezzo del nulla e capitalizzando i pochi palloni che riusciva a toccare. Merito anche suo se l’Anderlecht, nonostante non diverta gli spettatori, riesca a vincere senza convincere, e si trovi attualmente al terzo posto, con il fiato sul collo delle altre pretendenti. E se Okaka, dopo anni di talento inespresso, riuscisse finalmente a realizzare il suo potenziale, ripartendo proprio da Bruxelles?
L’importanza di Franck Berrier nell’Oostende
Ogni allenatore ha un suo stile: c’è chi preferisce sfruttare la velocità dei suoi giocatori per ripartire in contropiede e chi, invece, preferisce dominare la partita in attesa dello spazio giusto per colpire. Vanderhaeghe, allenatore dell’Oostende, vuole che la sua squadra imponga il proprio gioco al centro del campo e cerchi di verticalizzare per i suoi esterni iper-tecnici quando si presenta il momento giusto.
Per poter attuare un tipo di gioco del genere, è importante avere un playmaker che sappia non solo dettare i ritmi di gioco, ma anche mandare i compagni in porta con grande visione. In particolare, l’Oostende può contare su un giocatore di grande esperienza che, con la sua dinamicità, svolge il ruolo di regista e di trequartista contemporaneamente. Si tratta del 31enne Franck Berrier, che nasce come ala destra, ma diventa trequartista, fino a essere ormai diventato talmente duttile da poter ricoprire ogni ruolo a centrocampo. In questo inizio di stagione ha già totalizzato 5 assist, diventando una pedina fondamentale della squadra capolista.
Un tempo si dilettava come ala. Ecco alcuni dei migliori momenti di Franck “Riberrier”.
Lo scorso anno il premio di miglior giocatore dell’anno andò a Víctor Vázquez, ex canterano del Barça e regista nel Club Brugge. E se quest’anno a vincere il premio dovesse essere un altro playmaker, meno mediatico, ma altrettanto forte?