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Resto del mondo: marzo
31 mar 2016
31 mar 2016
Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata a tutti i campionati del pianeta Terra.
(articolo)
23 min
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Ecco a voi la nuovissima puntata di Resto del mondo, la rubrica mensile di brevi approfondimenti sulla situazione degli altri campionati del pianeta Terra. In questo episodio: le griglie di partenza in MLS e J. League; la corsa al titolo nel Benelux, lo strano progetto del Trencin in Slovacchia (!) e il ritorno al dominio del Copenaghen in Danimarca.

Qui trovate la prima puntata, qui la seconda, qui la terza e qui la quarta.

Buona lettura!

MLS

March Madness, to some extent

di Fabrizio Gabrielli

La MLS non ha neppure fatto in tempo a partire che già si è dovuta fermare, a cavallo di Pasqua, dopo tre giornate soltanto, per la finestra internazionale delle gare di qualificazione ai Mondiali.

Un ulteriore passettino nel lungo cammino verso l’autorevolezza, che come si sa è lastricato di diffidenza, mi sembra si possa dire che la MLS l’abbia compiuto, se consideriamo che si sta iniziando a parlare di wild cards per le squadre americane in Libertadores e se analizziamo i calciatori che sono stati convocati dalle rispettive nazionali: non solo la metà del roster USMNT oggi è composto per metà da giocatori MLS, ma anche la Nigeria (Adi), il Camerun, il Ghana (Accam, dei Chicago Fire, che iz on faya) e la Costa Rica attingono a piene mani dal campionato yankee.

Per non parlare di AJ DeLaGarza dei Galaxy, che è la stella indiscussa dell'unica nazionale al mondo che gioca le sue partite nell’area espositiva di un autosalone, cioè Guam (isola peraltro famosa per aver dato rifugio per quasi trent’anni al soldato giapponese che, nel 1972, credeva ci fosse ancora la Guerra in corso).

Un’istantanea della classifica attuale non sarebbe significativa di niente, avrebbe lo stesso peso dello scattare una polaroid durante una gita delle superiori: riguardarla tra qualche tempo ci solleverebbe sentimenti misti di nostalgia e divertiti rimpianti per qualcosa che poteva essere e non è stato.

A Est gli incroci di fuoco tra NY e il Canada hanno avuto l’effetto di impedire, come una gelata marzolina fa con i boccioli di tulipano, che i RedBulls e Toronto sbocciassero del tutto: ne ha approfittato Montreal, Philadelphia sta vivendo i suoi warholiani quindici minuti di gloria e Orlando, anche senza Kakà, si sta impegnando come solo un sophomore universitario sa fare, e cioè con assennata foga.

Al netto di Drogba, che ha saltato le prime tre gare per un accordo contrattuale che lo esenta dal giocare sui campi di erba sintetica (sic), Montreal è soprattutto NACHO PIATTI, qua in un play-by-play contro Vancouver. Ha confessato di aver fatto un pensierino, nell'estate scorsa, a un ritorno in patria, al San Lorenzo. Meno male che ci ha ripensato.

Nella Western Conference la sorpresa più grande è l’avvio stentato, in blocco, di tutta la Cascadia: i campioni in carica di Portland balbettano, Vancouver ne ha perse due sue quattro (ma contro Montreal e Kansas City, che guidano le rispettive Conference e sono tra le favorite alla MLS Cup) e Seattle, beh, lo start-up di Seattle, quest’anno, somiglia a quello della Juventus (ma con molti più unicorni colorati e biciclette sullo sfondo).

E poi quando segna Pogba mica si accendono le fiaccole ai lati della porta (anche se sarebbe bello).

Se ho messo la punizione di Ivanschitz è perché l’ultima giornata è stata quella con in assoluto il più alto numero di reti segnate su calcio di punizione, ben 4. Era dai tempi di Beckham che non si vedevano tanti free-kicks imbucati nel sacco: in questo inizio di stagione almeno un gol su dieci viene da calcio di punizione.

O tirolibre. Mauro è uno specialista, e il suo colpo contro Montreal è il mio preferito della terza giornata di MLS per la sfrontatezza con cui lambisce la traversa prima di insaccarsi.

In termini di impatto sul rendimento globale della propria squadra, Cyle Larin di Orlando non ha rivali: il canadese ha segnato il 75% delle reti dei purples, tre su quattro, e alla sua seconda stagione in MLS (nella prima, oltre a esser stata la prima scelta in assoluto del SuperDraft, è stato nominato rookie dell’anno) sta cercando di caricarsi sulle spalle tutta l’economia delle finalizzazione di squadra anche facendo a meno di Kakà. E con lo stesso spirito sta spingendo il Canada a giocarsi un posto importante nell’Esagono finale della CONCACAF per le qualificazioni ai Mondiali di Russia: nell’esagono il Canada manca dal 1997. Anche se nella doppia sfida contro il Messico è stato evidente che il gap coi centroamericani è tipo quello che separa i Globetrotters dai Washington Generals.

Mostruoso nella sua carriera universitaria con gli UCONN, convocato neppure diciannovenne in nazionale da Benito Floro senza esser mai passato per le giovanili, è stato l’allenatore spagnolo a suggerirgli di provare un’esperienza in Europa: dopo qualche stage in Belgio con Brugge e Genk, che vedeva in lui una specie di clone di Benteke, però, Cyle ha deciso di investire il suo capitale umano nel progetto MLS

Il pregio principale di Larin è quello di far sembrare semplici giocate che non lo sono affatto, e che coinvolgono la percezione del proprio volume nello spazio più di quanto possiamo immaginare quando vediamo un centravanti farsi largo tra le maglie della difesa e appoggiare con un tap-in, o con un tocco che al nostro gusto estetico suona sporco, la palla in goal.

E poi mi piace la sua presunzione, perché fa cortocircuito con il soprannome di Gigante Silenzioso che gli hanno affibbiato: in un’intervista prima della gara di andata per le qualificazioni ai prossimi mondiali contro l’Honduras ha dato risposte odiose («non so nulla dell’Honduras», «non conosco minimamente il suo allenatore Jorge Pinto»), oltre che lungimiranti: quando gli hanno chiesto «Ti vedi in gol dopodomani» lui ha risposto «Chiaro che sì».

E infatti. È proprio della maniera in cui sospinge la palla in rete che parlo quando parlo di gestione arrogante del volume del proprio corpo.

Cyle ha raccontato un aneddoto buffo: la scorsa stagione, durante la sfida contro Columbus, Kei Kamara gli avrebbe detto, tra il serio e lo scherzo, «hey ma stai cercando di raggiungermi?» (Kamara è uno dei bomber più prolifici della MLS).

Alla fine della MLS 2015 Larin avrebbe segnato 17 reti, un record per un rookie. A giudicare dalla partenza di quest’anno, Kamara farebbe meglio a riporre nella fondina la pistola della simpatia: Cyle vuole travolgere tutto e tutti. In silenzio, ma con la prepotenza dei giganti.

Slovacchia

Il modello Trencin

di Pietro Cabrio

Il campionato slovacco è probabilmente la competizione calcistica meno affascinante dell’Est Europa. I motivi sono diversi. È il campionato di un piccolo Stato di poco più di 5 milioni di abitanti dove il calcio non è così popolare e la cui importanza è stata più che dimezzata dalla divisione con la Repubblica Ceca nei primi anni Novanta. Quando si parla di calcio slovacco si pensa ad Hamsik, allo Slovan Bratislava (più per il nome che per i meriti sportivi), all’Artmedia Bratislava nel girone di Champions League con l’Inter nel 2005 e a poco altro. Gli stadi della Fortuna Liga, la prima divisione, da alcuni anni sono quasi tutti semi-desolati e non superano i cinquemila spettatori a partita, soprattutto dopo quello che è successo allo Slovan Bratislava.

Il club più famoso e seguito del paese ha vinto il suo ultimo campionato due anni fa e da allora, per alcuni problemi economici e per demeriti della dirigenza, non è più riuscito a tornare ai livelli di un tempo, perdendo parte del suo prestigio e dei suoi tifosi. La società aveva in programma la costruzione di un nuovo stadio, che iniziò effettivamente nel 2013 ma si fermò poco dopo per tutta una serie di problemi burocratici. Intanto però il vecchio impianto era stato demolito e lo Slovan si è ritrovato bloccato al Pasienky, un impianto vecchio e inospitale in cui sarà costretto a giocare almeno per i prossimi due anni, forse tre. Lo Zilina, l’ultima squadra slovacca ad aver partecipato a una fase a gironi di Champions League, per simili motivi (però senza problemi con lo stadio) non è riuscita a prendere il posto lasciato libero dallo Slovan. Quel posto invece sembra destinato al Trencin, piccolo e fino ad ora insignificante club di un paese di cinquantamila abitanti a pochi chilometri dal confine polacco.

Si comincia a parlare del Trencin nel 2007, quando venne acquistato da Tschen La Ling, ex calciatore olandese di origini cinesi. La Ling iniziò la sua carriera tra i professionisti con l’Ado Den Haag, poi passò all’Ajax, dove rimase dal 1975 al 1982. Negli anni Ottanta andò al Panathinaikos, al Marsiglia, tornò in Olanda, al Feyenoord, e concluse la carriera al Den Haag, nel 1987. Dopodiché iniziò ad aprire numerose accademie calcistiche sparse per il mondo: Grecia, Romania, Bulgaria, Brasile e Argentina. Grazie ai suoi buoni rapporti con le squadre olandesi, iniziò a vendere i propri migliori giocatori nei Paesi Bassi. A Trencin, molto probabilmente, non ci è finito per caso, ma quasi. Intorno al 2007 l’Ajax stava cercando un punto di appoggio per espandere la sua rete di osservatori nell’Est Europa, tra Slovacchia, Polonia e Repubblica Ceca. La Ling scovò il Trencin e lo acquistò con delle idee ben precise in mente.

I primi mesi non furono facili. Nella stagione in cui arrivò La Ling, la squadra retrocesse in seconda divisione. Riuscì però a ritornare in prima divisione l’anno dopo, e La Ling iniziò a sistemare la società secondo i suoi progetti. Strinse un accordo di collaborazione con l’Ajax e degli ottimi contratti di sponsorizzazione con Nike, Coca Cola e Aegon, compagnia assicurativa olandese. A Trencin iniziarono ad arrivare giocatori sconosciuti da tutto il mondo, soprattutto dal Sud America, dall’Africa e dai Paesi Bassi, cosa rara per il campionato slovacco. L’Ajax cominciò a mandare regolarmente alcuni propri giovani in prestito in Slovacchia.

Stanislav Lobotka è stato il primo giocatore del Trencin ad andare in prova all’Ajax: oggi gioca con il Nordsjælland.

Sotto l’aspetto economico, la strategia del club nel mercato, fino ad ora, sembra aver ripagato. Róbert Rybníček, direttore generale del Trencin e fratello del sindaco della città, ha dichiarato recentemente che in sei anni il club ha guadagnato dal mercato circa 5 milioni di euro, che nel resto d’Europa sono niente ma in un campionato come quello slovacco, che ogni anno riceve al massimo 50mila euro dalla vendita dei diritti televisivi, rappresentano una cifra molto importante. La scorsa estate il Trencin ha venduto per 1 milione al Club Brugge la punta brasiliana Wesley, comprato da una sconosciuta squadra del Campionato Baiano, uno dei tornei regionali della quinta divisione brasiliana. Al PAOK Salonicco, per 600mila euro, è stato venduto invece Jairo, ala sinistra, che due anni fa giocava nella quarta serie brasiliana. L’anno prima ancora era toccato a Moses Simon, ventenne arrivato in Slovacchia nel 2014 da un’accademia nigeriana grazie alle conoscenze di La Ling: fu venduto al Gent per 650mila euro.

La cosa più rilevante però sono i risultati ottenuti sul campo. L’anno scorso il Trencin ha vinto il primo campionato della sua storia, e la coppa nazionale. Quest’anno ha partecipato per la prima volta alla Champions League, dove è stato eliminato al secondo turno di qualificazione dalla Steaua Bucarest dopo aver giocato alla pari sia l’andata che il ritorno. Ora la squadra si trova ancora stabilmente in testa e ha nove punti di vantaggio sullo Slovan Bratislava. È abituata a dominare facilmente la maggior parte delle partite: ha il miglior attacco del torneo, con venti gol segnati in più rispetto allo Slovan.

Quest’anno ci sono in rosa altri giocatori molto interessanti, che permetteranno al club di proseguire il progetto. C’è Matus Bero, ventenne centrocampista offensivo, probabilmente uno talenti più promettenti della Slovacchia, che in questa stagione ha segnato 14 gol in 22 presenze. C’è Gino Van Kessel, ala olandese arrivata in prestito dall’Ajax nel 2013 e poi acquistato definitivamente dal club slovacco. La rosa è composta da undici giocatori slovacchi, cinque nigeriani, due coreani, un gallese, un cinese, tre olandesi, un serbo e un austriaco, e sembrerebbe costruita a casaccio. Molti di questi giocatori l’anno prossimo verranno venduti, e saranno rimpiazzati da altri semi-sconosciuti. Il club ha ribadito più volte che i giocatori che arrivano a Trencin lo fanno solo di passaggio, ma in quel passaggio giocano, crescono e permettono alla squadra di vincere.

La stagione di Matus Bero.

L’unica cosa che nella gestione di La Ling non è andata secondo i piani è stata la costruzione dello stadio, bloccata per più di un anno dal Comune, che solo un paio di mesi fa ha concesso il permesso di iniziare i lavori. Il nuovo impianto avrà circa diecimila posti a sedere e costerà circa undici milioni.

I progetti del Trencín e di La Ling, quindi, continuano e trovano conferma nei risultati. Oltre alla collaborazione con l’Ajax, il club ha preso accordi anche con il Botafogo e con il Nec Nijmegen. È in programma l’espansione della rete di osservatori in Sud Africa, probabilmente via Ajax Cape Town, squadra satellite della società di Amsterdam, e in Cina. Per la prossima stagione, l’obiettivo principale del club è quello di avanzare il più possibile nelle competizioni europee. Viste le svariate difficoltà economiche dei club slovacchi, ma in generale anche delle squadre di molti paesi dell’est, il Trencin potrebbe aver dimostrato per primo l’efficacia di un modello facilmente imitabile.

Belgio

Le ambizioni delle squadre in vetta

di Alessandro Piccolo

Nell’ultimo anno e mezzo il calcio belga è stato protagonista di un’evoluzione sia tecnica che tattica. Questi cambiamenti sono dovuti soprattutto all’arrivo in alcuni club di allenatori giovani e competenti, che non solo hanno esortato le società a iniziare progetti basati sullo sviluppo vivai, ma sono stati in grado di trasmettere alle loro squadre delle idee di gioco ben precise. L’esempio più lampante è Hein Vanhaezebrouck, del Gent, seguito a ruota da Preud’homme (non più tanto giovane ma in continua evoluzione, del Club Brugge), Vanderhaeghe (in passato collaboratore di Vanhaezebrouck, adesso invece è in forza all’Oostende, una delle sorprese di questo campionato) e Yannick Ferrera (passato dal Sint Truiden allo Standard Liegi).

Fino a poco tempo fa l’Anderlecht vinceva il campionato con estrema facilità, ma da quando il Gent è riuscito a vincere da outsider gli equilibri sono cambiati. Le concorrenti hanno continuato a rinforzarsi, e d’altra parte l’Anderlecht non riesce più a essere dominante come prima, soprattutto sul piano del gioco. L’organico è ancora superiore a quello delle altre squadre della JPL, ma Hasi, tecnico dei bianco malva, non è ancora riuscito a dare un’impronta definita alla propria squadra, sebbene sieda sulla panchina del club di Bruxelles da più di due anni.

Quest’anno a giocarsi la vittoria finale sono Club Brugge, Gent e Anderlecht, che hanno concluso la Regular Season nell’ordine in cui sono citate. Il Club Brugge ha iniziato i playoff con 4 punti sui Buffalos, che a loro volta ne avevano 5 sull’Anderlecht. Di seguito una breve analisi sul gioco e lo stato di forma delle tre pretendenti al titolo.

Classifica attuale

Club Brugge 65 punti

Gent 60 punti

Anderlecht 55 punti

Club Brugge

La stagione in corso, per Preud’homme, è stata quella della consacrazione come allenatore. Criticato fino all’anno scorso per la sua rigidità, quest’anno ha trovato la chiave del gioco proprio nei diversi cambi tattici.

Occhi gelidi e volto scavato, Preud’homme ricorda Scrooge di Christmas Carol.

È stato forse l’acquisto di Vanaken ad accendere una lampadina nella mente dell’ex portiere. Lo scorso anno si affidava ad un 4-3-3 con un centrocampista solido (Timmy Simons), un regista abile anche in fase di interdizione (Vìctor Vazquez) e un giocatore di quantità (Vormer). Adesso quello di Preud’homme è un 4-3-3 più simile a un 4-2-3-1, e se prima il motore era proprio l’ex canterano Vazquez, adesso la squadra si appoggia soprattutto sulle lunghe leve di Vanaken.

Lo scorso anno il Club Brugge aveva chiuso la Regular Season tra le prime tre, ma a Playoff in corso era riuscito anche a sostare in vetta per un paio di giornate, salvo poi essere superato dal Gent. Quest’anno la squadra è più consapevole delle proprie capacità, ma dovrà far fronte a due avversarie che, fresche di eliminazione europea, ritorneranno sul campionato con energie rinnovate.

Gent

I Buffalos hanno iniziato la stagione passando i gironi di Champions senza trascurare il campionato, almeno fino al ritorno dalla pausa invernale: gli uomini di Vanhaezebrouck, forse con la testa all’ottavo contro il Wolfsburg, hanno perso diversi punti, passando da favoritissima a semplice pretendente.

Se un giorno Wilmots dovesse accorgersi che Fellaini non è il centrocampista più forte al mondo, Sven Kums una convocazione la meriterebbe.

Il 3-5-2 di Vanhaezebrouck è pensato per occupare la maggiore estensione di campo possibile. I centrocampisti laterali giocano quasi sulla linea della rimessa, cercando di allargare la squadra avversaria. La squadra cerca di verticalizzare velocemente nella metà campo avversaria, dove il possesso palla potrà essere più efficace. La chiave del gioco risiede nel triangolo formato dai tre centrocampisti: è dai loro piedi che passano tutte le azioni dei Buffalos. Se si perde palla, il pressing aggressivo gli permette di recuperarla velocemente, trovandosi quindi a pochi metri dalla porta; se invece gli avversari adottano una mentalità attendista, sarà la loro creatività a dover fare la differenza: verticalizzare, allargare sulle fasce o continuare a fare possesso palla aspettando la giusta occasione.

Con il 3-4-3, usato raramente, il Gent passa dall’attaccare il centro al cercare la densità sulle fasce. In questo caso le maggiori responsabilità sono dei difensori laterali, che hanno il compito di salire palla al piede per poi scegliere se passarla al centrocampista laterale o all’ala.

La loro idea di gioco è probabilmente quella più complessa e originale del campionato, e si è dimostrata efficace anche in Europa. Il Gent è la dimostrazione che, pur con una rosa inferiore in termini di qualità, l’organizzazione di gioco può fare la differenza anche nel campionato belga.

Anderlecht

Se per il Brugge cambiare è stato fondamentale, nel caso dell’Anderlecht è l’esatto contrario. Hasi è il tecnico dei bianco malva da ormai due anni, ma la sua squadra non ha ancora un’identità tattica precisa. Si affida quasi esclusivamente alla preparazione della partita in base all’avversario, cambiando spesso modulo e atteggiamento in campo.

Negli ultimi tempi l’Anderlecht sta optando sempre più spesso per il 4-4-2, che si adatta bene a una rosa ricca di esterni e attaccanti. Praet agisce da regista largo, e attorno a lui l’uomo gira la squadra. Quest’anno l’Anderlecht ha ritrovato anche la seconda punta Suarez, da tantissimi anni tormentato dagli infortuni. Per far fronte all’emergenza terzini, Hasi ha riadattato Najar con buoni risultati. A giugno, il tecnico albanese sarà quasi sicuramente esonerato, eppure, per ora, l’Anderlecht ha ancora qualche possibilità di vittoria finale: alla lunga la superiorità tecnica potrebbe fare la differenza. Del resto, sono probabilmente gli unici, in Belgio, ad avere almeno quattro giocatori in rosa capaci di cambiare la partita con una giocata (anche il neoacquisto Djuricic, che ancora non si è adattato, potrebbe dire la sua).

Il campionato belga ha un formato difficilmente comprensibile da fuori, eppure è proprio questo a renderlo incerto e avvincente fino all’ultima partita.

Danimarca

Il Copenaghen è tornato a dominare

di Giuliano Adaglio

Si è fatto un gran parlare, negli ultimi mesi, del “modello Midtjylland”. La macchina perfetta costruita da Matthew Benham e Rasmus Ankersen, cultori della sabermetrica applicata al calcio. Una buona campagna europea, conclusasi con un’onorevole – per quanto pesante nelle proporzioni – eliminazione con il Manchester United nei sedicesimi di Europa League, non è stata accompagnata da un altrettanto brillante rendimento in campionato. I seguaci anglo-danesi di Billy Beane non avevano fatto i conti con la voglia di riscatto dell’FC Copenaghen che, dopo due anni di digiuno, è tornato a fare la voce grossa in patria, desideroso di riappropriarsi di una leadership che fino a qualche stagione fa sembrava fuori discussione. Dal 2000-01, infatti, i Løverne hanno conquistato 9 campionati su 15, lasciando le briciole agli avversari. Due anni senza successi dalle parti del Parken non sono accettabili e quest’anno la truppa guidata in panchina da Solbakken ha ripreso a marciare a pieno regime.

Per le avversarie, Midtjylland compreso, finora c’è stato poco da fare. I campioni in carica si trovano nel gruppone delle inseguitrici, troppo lontane ormai per sperare in una rimonta, a meno di un improbabile crollo della capolista. Più che la matematica (al momento il Copenaghen ha 6 punti di vantaggio sulla seconda, il Sønderjyske, che dopo Pasqua proverà il colpaccio al Parken nello scontro diretto) quel che marca le distanze è il divario tecnico tra la squadra della capitale e le avversarie. Solbakken ha a disposizione una rosa molto ampia, con due titolari per ruolo o quasi. In porta si giocano il posto il nazionale danese Stephan Andersen, rientrante da un infortunio alla caviglia, e lo svedese ex Malmö Robin Olsen, arrivato a gennaio in prestito dal Paok Salonicco. In difesa l’acquisto del connazionale ed ex compagno di club Erik Johansson dal Gent ha permesso di assorbire senza traumi eccessivi la cessione al Leicester della stellina ghanese Daniel Amartey, un giocatore dal potenziale fisico notevole.

Proprio la capacità di dominare il mercato scandinavo ha permesso al Copenaghen di tracciare un solco tra sé e la concorrenza. In estate erano approdati alla corte di Solbakken giocatori come William Kvist, perno della nazionale danese, Kasper Kusk e Peter Ankersen, che hanno innalzato notevolmente il già discreto tasso tecnico della squadra. A loro si sono aggiunti due stranieri in grado di fare la differenza a quelle latitudini, lo sloveno Benjamin Verbic e soprattutto il centravanti paraguaiano Federico Santander, acquistato dal Guaraní per oltre tre milioni di euro. L’impatto di Santander sulla Superligaen non è stato devastante come sperato dai dirigenti del Copenaghen, ma parliamo di un giocatore in grado di segnare 6 gol nell’ultima Libertadores, trascinando il suo piccolo club in semifinale.

Il 6-2 all’Aalborg dello scorso 13 marzo ha messo in luce le grandi potenzialità della truppa di Solbakken, soprattutto in attacco: nessuno in Danimarca può contare su tre centravanti come Santander, Jørgensen (il vero leader tecnico della squadra) e Cornelius, supportati da un centrocampo di qualità dove spicca il dinamismo di Delaney.

La difesa non è impenetrabile, come dimostra il 2-0 subito nella giornata successiva dal modesto Nordsjaelland, partita in cui si è messo in luce ancora un volta il talento di Emre Mor, esterno classe ’97 seguito dai maggiori club di Premier League. La giocata con cui si libera di mezza difesa del Copenaghen non è così inusuale per questo piccolo mancino di origine turca.

Il paragone lo potete immaginare da soli.

Detto di un Midtjylland incostante, la Superligaen 2015-16 ha visto il ritorno a livelli accettabili del Brøndby, club storico della periferia Ovest di Copenaghen. I tifosi gialloblu vorrebbero vedere la propria squadra giocarsi il titolo con i rivali cittadini ma, considerando che la società negli anni scorsi ha rischiato di chiudere per bancarotta, già essere nelle parti nobili della classifica rappresenta un successo. Il tecnico lituano Aurelijus Skarbalius, tornato recentemente in panchina al posto del dimissionario Thomas Frank, ha dichiarato di voler puntare sui giovani, riportando al club “i valori di un tempo”. Non sarà facile: i tifosi dei Drengene Fra Vestegnen sono tra i più esigenti di Danimarca e il club al momento è in mano a un presidente, Jan Bech Andersen, finito nell’occhio del ciclone per aver criticato allenatore e direttore sportivo su un forum dei tifosi, utilizzando lo pseudonimo di “Oscar” e l’account del figlio.

J. League

Griglia di partenza

di Gabriele Anello

Qualche settimana fa la J. League ha riaperto i suoi battenti con le prime partite del 2016. Dopo aver vinto il terzo titolo negli ultimi quattro anni, è logico che il Sanfrecce Hiroshima parta da favorito. A maggior ragione dopo la vittoria in Xerox Super Cup, l’antipasto della stagione da sempre disputato a febbraio tra la squadra vincitrice del campionato e quella in Coppa dell’Imperatore.

In una partita bruttina e sotto una pioggia infernale, il Sanfrecce ha battuto 3-1 il Gamba Osaka.

Alla pausa per le nazionali, dopo quattro giornate, la situazione non sembra più così delineata. Difficilmente nella fase iniziale del campionato si è registrata tanta incertezza in J. League, un campionato vinto in sei delle ultime nove edizioni da Kashima Antlers e Sanfrecce Hiroshima. “Equilibrio” è invece la parola-chiave per descrivere la J. League 2016. Ci sono almeno sei squadre che potrebbero giocarsi il titolo.

Il Sanfrecce Hiroshima ha tenuto (quasi) tutti i propri migliori giocatori, perdendo solo Douglas, passato all’Al-Ain. Tuttavia, Asano continua a crescere e al posto del brasiliano è arrivato Peter Utaka dallo Shimizu. Il fuoriclasse è in panchina, con Hajime Moriyasu a fare da vero ago della bilancia.

Dietro le avversarie hanno provato a rafforzarsi. Il Gamba Osaka ha un progetto che punta sui suoi giovani e a questi ha affiancato i nuovi acquisti Ademilson e Jungo Fujimoto dallo Yokohama F. Marinos. Inoltre, il club potrà contare sul nuovo e splendente Suita City Football Stadium, gioiellino da quasi 40mila posti inaugurato quest’anno.

Gli Urawa Red Diamonds sperano di non cadere all’ultimo ostacolo anche stavolta. Come nelle precedenti stagioni, quest’inverno a Saitama hanno svaligiato con moderazione le altre squadre, portando in rosso Wataru Endo, giovane play dello Shonan Bellmare. Meglio ancora ha fatto il FC Tokyo, autore di una sontuosa campagna acquisti per disputare al meglio campionato e Champions League asiatica.

L’inizio della stagione per queste quattro squadre, però, è stato difficile. Tutte hanno fatto fatica in Champions League, mentre l’unica a nove punti in quattro gare è l’Urawa. Peggio hanno fatto il Gamba e il FC Tokyo (sei), mentre il Sanfrecce ha ottenuto la prima vittoria solo alla quarta giornata (cinque punti).

E se le favorite fossero quelle senza impegni continentali? Il primo nome che viene in mente è quello del Kashima Antlers, che ha finito in crescendo il 2015: secondo nel girone di ritorno, il club di Ibaraki ha anche vinto la Nabisco Cup. Con la conferma in panchina di Masatada Ishii, gli Antlers potrebbero tornare a vincere il titolo dopo sette anni.

Oltre alla mancanza di impegni continentali, il Kashima Antlers può contare su una dose di talento non indifferente. La squadra ha un’età media abbastanza giovane e un giocatore in condizione straordinaria, quel Mu Kanazaki ritornato in Giappone a peso d’oro dopo che il Portimonense (club di seconda divisione portoghese) sperava di piazzarlo in Europa.

Kanazaki ha deciso la gara contro il FC Tokyo con due gol da grande attaccante, nonostante nasca mezzala di centrocampo…

C’è anche una possibile sorpresa nella corsa al titolo. Storicamente conosciuta come squadra bella e perdente, il Kawasaki Frontale ha tre secondi posti all’attivo nella storia. A parte un titolo di seconda divisione, non ha trofei da esporre in bacheca: caso più unico che raro in vent’anni di professionismo giapponese.

Eppure l’inizio del 2016 è stato diverso: 10 punti nelle prime quattro gare, Kengo Nakamura in forma straordinaria (nonostante i 35 anni) e solito attacco dai grandi numeri. Per arrivare ai loro 12 gol realizzati non basta mettere insieme le reti segnate da Gamba Osaka, FC Tokyo e Kashima Antlers. Tanti i giovani interessanti – Taniguchi, Nakano, Oshima per citare i migliori – a disposizione di Yahiro Yazama, alla quinta annata da allenatore e desideroso di vincere qualcosa.

Qualcosa si era capito già all’esordio: il Kawasaki vince in casa del Sanfrecce campione uscente per 1-0.

P.S.: Hisato Sato, capitano del Sanfrecce, ha superato il record di 157 gol nella prima divisione, precedentemente appartenuto a Masashi Nakayama. Una settimana dopo è stato raggiunto anche da Yoshito Okubo, capocannoniere delle ultime tre stagioni con il Kawasaki Frontale.

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