Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Redazione
Resto del mondo: novembre
13 nov 2015
13 nov 2015
Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata a tutti i campionati del pianeta Terra. In questa puntata: Serbia, Svezia, Russia, Belgio, Turchia, Stati Uniti, Argentina, Austria, Norvegia e Giappone.
(di)
Redazione
(foto)
Dark mode
(ON)

 





 





 

Tra le trenta partecipanti è stato il Boca ad aggiudicarsi il primo campionato argentino “unificato”, estrema volontà di Don Julio Grondona ed erede dei tornei semestrali Inicial e Final, per i nostalgici Apertura e Clausura.

 

Per gli "xeneizes" si tratta di un titolo dall’importanza particolare, arrivato dopo un’astinenza iniziata nel 2011 e fondamentale per restituire morale a un ambiente depresso a causa dei recenti successi, soprattutto in campo internazionale, ottenuti dal River Plate. Ma nel torneo attuale c’è stata ben poca storia e, nonostante la vittoria matematica sia arrivata soltanto alla penultima giornata, il Boca ha di fatto dominato dall’inizio alla fine, raccogliendo sessantaquattro punti (sei più del San Lorenzo), grazie a venti vittorie, quattro pareggi e sei sconfitte.

 

Uno dei principali simboli della cavalcata azul y oro è senza dubbio il DT Rodolfo Arruabarrena, nome non nuovo in Italia, soprattutto per i tifosi dell’Inter. Arrivato a Casa Amarilla nel 2014 con altre aspettative e altre prospettive, il "Vasco" doveva essere il tecnico giovane ed emergente cui affidare un progetto tecnico nuovo, ambizioso, ma di lungo termine. Con un vero grande imperativo: uscire dall'onda lunghissima dell'era Bianchi/Riquelme trovando al Boca una nuova identità, anche con nuovi riferimenti in campo, possibilmente provenienti dalle giovanili.

 

Un progetto difficile, non impossibile, ma stravolto nel 2015, quando gli "xeneizes" hanno decisamente cambiato registro sul mercato, acquistando giocatori di temperamento ed esperienza come Tobio, Pérez, Lodeiro, Monzón, Osvaldo e soprattutto Carlitos Tévez.

 

Il Boca nel corso del torneo ha messo in mostra di essere innanzitutto una squadra arcigna, fisica ed estremamente concreta (dieci delle venti vittorie attuali sono arrivate con appena un gol di scarto). Arruabarrena non ha portato alla Bombonera un gioco spumeggiante, ma gli "xeneizes" hanno sempre saputo attingere al proprio arsenale per portare a casa punti importanti e pesanti, indipendentemente dall’avversario.

 

Il lavoro effettuato dal "Vasco" può essere visto come un’estremizzazione dell’impronta di gioco storica della squadra azul y oro, identificata da sempre con un fútbol ruvido e operaio, fatto di cuore, garra e intensità. Uno stile che però ha sempre richiesto un’artista capace di trasformare tutto questo in gol, magie e grandi giocate: lo è stato Maradona, lo è stato Riquelme. Ma in questo Boca, prima del grande ritorno di Tévez, Arruabarrena ha dovuto rinunciare alla luce, mettendo in campo più aggressività, più fisicità e un’occupazione degli spazi rivolta esclusivamente al soffocamento del gioco avversario. Una strategia non entusiasmante, ma perfetta per esaltare i giocatori a disposizione.

 

Con l’arrivo dell’ "Apache" il "Vasco" ha trovato la soluzione ideale per migliorare la struttura della squadra senza minarne le fondamenta, perché Carlitos non è l’enganche visionario, ma un giocatore dalla classe feroce, l’evoluzione moderna del 10 boquense, per la capacità di intendere e interpretare il gioco in modo europeo e per il carisma e la passione tipicamente sudamericana.

 

https://www.youtube.com/watch?v=5P8AtyManuU

L'utilità di Tévez. Partita bloccata e difficile contro l'Argentinos Juniors, sbloccata da questa magia in pieno recupero.



 

Il ritorno a casa dell’ "Apache" non poteva avere inizio migliore: due titoli in pochi mesi, la dieci sulle spalle e un popolo che lo ha abbracciato con un calore unico. Il giocatore è nel pieno della carriera e in Argentina ha subito dimostrato di essere a un livello superiore. Schierato al centro dell'attacco ha portato al Boca leadership, giocate imprevedibili e qualità nella manovra. È forse mancato l’apporto sperato in termini di gol, ma la sola presenza di Tévez ha costretto le squadre avversarie a rivedere l’intera fase difensiva, dedicando più di un uomo al solo "Apache", abile a quel punto ad aprire varchi ai compagni.

 

Assieme all’eroe "xeneize" è però emerso con prepotenza un altro attaccante delle inferiores di Casa Amarilla: Jonathan Calleri. L’attaccante classe ‘93, nonostante la concorrenza con molti grandi nomi, è stato il giocatore di spicco del campionato del Boca, abile a sfruttare la possibilità di giocare titolare al fianco di referenti di assoluta qualità e capace di migliorare il già ottimo score dell’anno precedente.

 

Con dieci gol è stato il miglior marcatore della squadra, ma a impressionare sono state soprattutto la garra e la voglia di lottare su ogni pallone, coprendo tutti i metri di campo possibili. Il suo fisico lo rende in Argentina un giocatore devastante: forte, veloce, tenace, resistente, generoso. Tutte qualità che, unite a una grande intelligenza nei movimenti, al tiro, al senso del gol e alla cattiveria sotto porta, creano un prospetto interessante. In un reparto offensivo affollato è riuscito a essere il più continuo e il più intelligente nel rispondere ai bisogni dell'allenatore, trovando sempre un suo spazio senza avanzare pretese e, anzi, adattandosi ai compagni.

 





 



Nel preciso momento in cui, a cavallo tra ottobre e novembre, si chiude la regular season e si inaugura la frenesia dei play-off, la MLS smette di essere un campionato

e si trasforma in una rievocazione costante di atmosfere e

da spaghetti western. La dinamica del knock-out è la più adamantina dimostrazione che tutto l’hype, la regola dei designated players, gli investimenti a sensazioni sono destinati a sfracellarsi contro quel Fort Alamo dentro il quale, asserragliato e pronto a condurre la

, c’è il concetto ineluttabile dell’imprevedibilità del pallone.

 

https://www.youtube.com/watch?v=A0WvMRbCnek

Per imprevedibilità intendo quella distorsione della realtà secondo la quale l’assioma di Clint Eastwood, che ci crediate o meno, potrebbe essere ribaltato.



 

Delle quattro squadre che si contenderanno la MLS Cup 2015, almeno tre sono squadre

. Voglio dire che non sono state costruite per vincere, non hanno (quasi) mai vinto, nessuno se le sarebbe aspettate così in alto, eppure si sono sbarazzate di team più accreditati, autorevoli, hanno sbaragliato i candidati

, quelli con il fucile. Se facessimo la conta delle MLS Cup conquistate nella ventennale storia della competizione da tutte e quattro le finaliste di Conference, ci dovremmo fermare al pollice della mano destra. Dice: sì, ma ci sono i New York Red Bulls! Beh, l’highest-peak dei NYRB è stata

, ormai sette anni fa, persa proprio contro i Columbus Crew SC che gli contenderanno la supremazia della Costa Est.

 

https://www.youtube.com/watch?v=AvlghQoEHLU

I Red Bulls erano ancora nell’era pre-Henry. Gli assist per due dei tre gol con i quali la squadra con i Minatori-Nello-Stemma ha asfaltato i newiorchini portano la firma barocca di Guillermo Barros Schelotto.



 



Nonostante Columbus abbia una ferrea tradizione calcistica (il primo stadio

pensato per il calcio negli States è quello di Columbus; il primo presidente, Lamar Hunt, è uno dei padri fondatori del soccer, tanto che gli è stata intitolata la neoliberty

) i Crew SC stanno alla MLS come il Casale alla Serie A: un solo titolo, molta atmosfera vintage intorno.

 

Nel 2014 i CCSC hanno subito una specie di

: a compimento di un percorso di crescita che li aveva portati, subito dopo la conquista della MLS Cup 2008, a sbarazzarsi di giocatori affermati per intraprendere la linea verde, hanno anche abbandonato lo stemma Molto-Americano sul quale troneggiavano

per affidarsi a un nuovo-e-più-serioso

probabilmente opera di grafici che a PES pigliavano sempre la Dinamo Zagabria.

 

Se quest’anno i CCSC sono arrivati a giocarsi le finali di Conference, buona parte del merito è di Kei Kamara, aka Special K, 22 reti in stagione che ne hanno fatto il capocannoniere di MLS in coabitazione con Giovinco. L’attaccante della Sierra Leone dice di essere cresciuto con il mito di Patrick Kluivert e il sogno di essere, in un universo parallelo che non contemplasse il calcio, un ballerino di fila per una popstar tipo Britney Spears (

).

 


Le soggettive sulle quali gli operatori spesso insistono nei replay dei suoi gol ci mostrano un uomo calmo, nient’affatto preso dalla foga di Dover Segnare, ma piuttosto rassegnato al dono di Poter Segnare finalizzando praticamente tutti i palloni che gli transitano intorno. (Sì, Higuaín è il fratello di Higuaín).



 

In semifinale KK ha vinto per manifesta superiorità d’impatto lo scontro titanico contro il suo omologo-ma-più-successful Didier Drogba; forse però Montréal avrebbe meritato di andarselo a giocare, il dominio della costa atlantica contro New York, a me sarebbe proprio piaciuto veder giocare ancora un po’ Ignacio Piatti, uno che a vent’anni s’è fatto raccomandare da Batistuta per fare un provino alla Roma, uno che ha dovuto fare a gomitate per ritagliarsi uno spazio al Lecce salvo poi vincere una Libertadores con il San Lorenzo, uno che dalla vita ha imparato che ci si deve saper arrangiare, ma con fantasia, e la sua ricetta dei

ne è la più didascalica rappresentazione: milanesa, salsa chimichurri e pezzi di empanada. Un po’ come mettere nella stessa giocata stop a seguire, una veronica che sembra una mossa di breakdance e palombella a foglia morta come condimento.

 



 



A Ovest, lasciatemi essere tranciante e poco imparziale: chi non tifa per la vittoria in Conference dei Portland Timbers? Specie dopo che il sogno di una Kansas City Caput Mundi dello sport yankee è svanito con un suono di schiocco di dita, o se volete di un rigore quando sbatte su ambo i pali, tipo questo decisivo nella prima gara dei play-off di Saad Abdul-Salaam.

 

http://www.dailymotion.com/video/x3bkqrs

 

I Galaxy detentori del titolo sono stati eliminati subito in Gara Uno dagli agguerriti Seattle Sounders. Forse i "Rave Green", di tutte le qualificate ai play-off sulla costa pacifica, erano davvero l’unica squadra con il fucile, un bullpup caricato a pallottole Dempsey’n’Martins, e mi sembra davvero un peccato che neppure quest'anno abbiano saputo capitalizzare il grosso potenziale che da anni mettono in mostra in MLS. Pensate che bella sarebbe stata una finale di Western Conference in formato Battle of Cascadia.

 

https://www.youtube.com/watch?v=IITKEKeE74c

Probabilmente il derby più sentito in assoluto negli States.



 

Motivi per i quali dovreste tifare anche voi Portland, per i quali

dovrebbero tifare Portland:

- Ci gioca

;

- Ci gioca

;

- La sua tifoseria è senza ombra di dubbio la più

, ma anche la più accorata di tutta la MLS: cionondimeno ha un gusto e uno stile che vi sfido a trovare curve che intonano canzoni tipo "

" o "

" con dei girasoli al posto delle mazze da baseball;

- Se non vi pare abbastanza, "You’re my sunshine" è un tributo alla figlia di Timber Jim, morta nel 2004 in un incidente d’auto. Timber Jim è stato per anni il volto pittoresco dei Portland Timbers: mascotte storica dai tempi pionieristici della militanza in

, Jim fino al momento del suo pensionamento ha fatto quel tipo di cose assurde e pazze che ci rendono lo sport americano simpatico, tipo lanciarsi in capriole o tagliare dischi di legno per ogni rete segnata dai

. Il segreto di Jim, e di Joey che ne ha seguito le orme, è che fanno le mascotte senza sforzarsi di essere nessun altro rispetto a quello che sono davvero, e cioè dei boscaioli;

- Old Portland magari non ha l’appeal, come location per dei festeggiamenti, del Circo Massimo: ma ha comunque il suo

, c’è da dire.

 





 

Parlare di “competizione spettacolare” in relazione alla Bundesliga austriaca sembrerebbe francamente assurdo. Eppure, un campionato bistrattato e seguito poco persino in patria, sta regalando una lotta al titolo di rara intensità, fatta di sorpassi e controsorpassi, aperta come non succedeva da tempo.

 

Negli ultimi 5 anni, infatti, il Red Bull Salisburgo ha vinto per ben tre volte (2012, 2014 e 2015), con in mezzo l’odissea dell'Austria Vienna di Philipp Hosiner, che trascinò i "Violetti" alla conquista della Bundesliga con 32 gol. In nessuno di questi casi ci fu una reale lotta al titolo: sia Salisburgo che Austria Vienna vinsero i rispettivi campionati con svariate giornate d'anticipo. L'ultima, vera battaglia per il Meisterschale risale alla stagione 2010/11: le contendenti al titolo, allora, erano Salisburgo, Austria Vienna e Sturm Graz. Tutto rimase in bilico fino alla penultima giornata: i "Violetti" annientarono il Rapid nel derby della capitale con un netto 3-0, ma le sorti della Bundesliga si decisero nella periferia di Vienna, allo Stadion Wiener Neustädter.

 

A 10' dalla fine, lo Sturm Graz era bloccato sull'1-1 dai padroni di casa; a risolvere la situazione, a pochi minuti dal termine, fu l'indimenticato Samir Muratovic, che segnò il rigore decisivo per la conquista del titolo.

 


La vittoria dello Sturm Graz nel 2011.



 



Oggi, dopo 4 anni, la lotta al Meisterschale ritorna finalmente combattuta. Il Salisburgo, clamorosamente eliminato da tutte le competizioni europee, sembra aver superato le iniziali difficoltà e punta a vincere il terzo titolo consecutivo. Il nuovo allenatore Peter Zeidler ha ancora molto da lavorare, ma il valore della squadra, anche al netto di interpreti del calibro di Jonathan Soriano, Omer Damari, Naby Keïta e Martin Hinteregger, non è in discussione.

 

Situazione opposta per il Rapid Vienna: primo nel girone di Europa League, a punteggio pieno e con scalpi illustri (come Villarreal e Viktoria Plzen), i biancoverdi hanno perso qualche colpo in Bundesliga, dopo un inizio incoraggiante. Per Zoran Barisic il principale problema rimane il centravanti: Matej Jelic fatica a inserirsi nei meccanismi di squadra, e l'ex-Milan Philipp Prosenik ha ancora molto da lavorare per raggiungere i massimi livelli.

 

In questo contesto incerto si inserisce l'Austria Vienna. Si tratta di una squadra interamente rinnovata, dall'allenatore in giù: Thorsten Fink ha ridato fiducia ed entusiasmo all'ambiente, riuscendo a tirare fuori il massimo dai nuovi acquisti Kayode, Holzhauser e Zulechner. La vittoria nel derby con il Rapid ha regalato l’inaspettata vetta della classifica. Al momento è difficile persino indicare una favorita, e per un campionato come quello austriaco questa è di per sé una notizia.

 





 

All’indomani dell’undicesima giornata, nel campionato turco sono finalmente emerse delle faglie abbastanza delineate che dividono le ambizioni delle varie squadre. Una prima faglia divide il gruppo di testa dal resto della classifica: il titolo dovrebbe essere un affare per tre, con Galatasaray e Fenerbahçe (rispettivamente 21 punti e 24 punti) a inseguire il vicino Besiktas (26 punti).

 

Con la seconda faglia, invece, viene delineato quello che ciclisticamente verrebbe definito il gruppo degli inseguitori, cioè quelle squadre che hanno il quarto posto come massima aspirazione. Questo gruppo viene aperto dall’Akhisar Belediyespor (quarto a 19 punti) e chiuso dal Gaziantepspor (tredicesimo a 14 punti). L’ultima faglia, quella che chiude la classifica, recinta invece i piani bassi, con squadre che saranno più o meno coinvolte nella lotta per non retrocedere. Un gruppo che viene capeggiato dal Gençlerbirligi (12 punti) e mestamente chiuso dall’ultima in classifica, l’Eskisehirspor (4 punti).

 

Per quanto riguarda il primo gruppo, il Besiktas è la squadra che sembra avere il roster più competitivo, al di là delle considerazioni tattiche. Le aquile nere hanno azzeccato praticamente tutti gli acquisti estivi: Mario Gómez è tornato competitivo fisicamente ed è già il capocannoniere del campionato (ha segnato 9 gol in 11 partite, quanto Yilmaz e van Persie messi assieme); Quaresma ha sempre la levetta dell’R2 abbassata e supera avversari come pali della luce; Rhodolfo, esperto difensore brasiliano arrivato dal Gremio, non sta sbagliando una partita. A questo bisogna aggiungere una foltissima schiera di giovani che con buona probabilità rappresenta il futuro prossimo della Nazionale turca: Özyakup, Töre, Uysal, Frei e Tosun sono tutti ottimi prospetti che hanno dato talento e freschezza fisica alla squadra. Il risultato è che il Besiktas non perde in campionato dal 22 agosto e la sua striscia positiva di vittorie è stata fermata alla penultima giornata solamente da quella che è una delle squadre più interessanti dell’intero campionato, il Kasimpasa.

 

http://www.dailymotion.com/video/x3d1imk_oguzhan-ozyakup-finished-a-wonderful-89th-minute-besiktas-team-golazo-v-bursaspor_sport

Il gol di Ozyakup ha regalato i tre punti al Besiktas sul difficile campo del Bursaspor. Qui invece gli highlights del più interessante tra gli interessanti: Gökhan Töre.



 

Il Kasimpasa fa parte del secondo gruppo, quello degli inseguitori (è attualmente sesto, a 18 punti). All’apparenza è solo l’ennesima squadra di Istanbul, ma in realtà nasconde tanti piccoli tesori, a partire dal fatto che gioca in uno stadio intitolato all’attuale presidente Erdogan. Innanzitutto è una delle squadre più organizzate dell’intero campionato, con il canonico 4-2-3-1 che si trasforma in 4-1-4-1 in una fase di non possesso che assomiglia a un orologio automatico per velocità e precisione.

 

Il quadro viene completato dalle letali transizioni offensive e da una serie di giocatori pazzi e bellissimi. C’è Eren Derdiyok, curdo di passaporto svizzero, di professione punta centrale, che sbaglia tutti i gol facili per segnarne solo di incredibili. Ma c’è anche il capitano: Ryan Donk. Nome da cestista NBA, fisico filiforme da 192 cm, una carriera passata al Brugge da olandese, adesso è a Istanbul a gestire il centrocampo come noi sbrighiamo una commissione alle poste. Sabato il Recep Tayyip Erdogan Stadium ha ospitato chi guida il gruppo, l’Akhisar, che per tutti è La Squadra di Roberto Carlos.

 

L’Akhisar è sostanzialmente l’opposto del Kasimpasa: un gioco scolastico, esteticamente brutto e prettamente difensivo (l’Akhisar è contemporaneamente la seconda squadra che effettua più rinvii per spazzare l’area e quella che crea meno occasioni da gol e tiri). La parola d’ordine all’Akhisar è efficacia: trasformare in gol quanti più tiri e calci piazzati si hanno in una partita (attualmente in neroverdi sono coloro che segnano di più su palla inattiva; realizzano un gol ogni 3,5 tiri in porta, al Kasimpasa ne servono 5). Kasimpasa - Akhisar è sostanzialmente la riproposizione calcistica dello scontro biblico tra mezzi e fini, con i primi che hanno per una volta superato i secondi.

 

http://www.dailymotion.com/video/x3d2ena_kasimpasa-2-1-akhisar_sport

Gli highlights del 2-1 Kasimpasa e Akhisar dell’ultima giornata. Qui invece trovate la compilation dei gol pazzi realizzati da Derdiyok quando era in forza al Leverkusen (tra cui uno a Neuer, che nemmeno si butta).



 

A proposito di mezzi, fini e anomalie statistiche. Non si può non segnalare nell’ultimo gruppo la situazione del Sivasspor: la squadra che tira più del Besiktas (14,45 tiri a partita contro 13,64), crea occasioni da gol quanto il Fenerbahçe (10,18 contro 10,82), commette meno errori difensivi del Galatasaray (0,18 contro 0,55) ed è attualmente terzultima in classifica. Per riallineare i pianeti, il 25 ottobre sulla panchina è stato chiamato Okan Buruk (si,

’Okan). Contro il Gaziantepspor è bastato, per il futuro vedremo.

 





 

Quest’anno a laurearsi campione di Svezia è stato l’IFK Norrköping. Si tratta del tredicesimo titolo nella storia del club, un palmarès inferiore solo a quelli di due altre società (Malmö FF e IFK Göteborg, fermi a 18 a testa). L'IFK Norrköping fu il club di Nils Liedholm e di Gunnar Nordahl, capace di segnare 93 gol in 95 partite nella maglia bianca. Tanti da guadagnarsi il tributo della curva, rinominata in suo onore: "Curva Nordahl", proprio così, in italiano.

 

Nonostante un passato prestigioso, il titolo di quest’anno è stato del tutto inaspettato. Per fare un paragone, è un po’ come se il Genoa vincesse lo scudetto quest’anno. Prima dell’inizio del campionato solamente 5 squadre avevano una quota peggiore dell’IFK per vincere (40,00). È il primo titolo in 26 anni, cinque dei quali sono stati spesi nella Serie B svedese; gli altri tra austerity e depressione. La vittoria di quest’anno ha rappresentato una sorpresa assoluta.

 

https://www.youtube.com/watch?v=yz7GlJIJQvM

La vittoria per 2 a 0 sul campo del Malmö.



 

L’hanno fatto scommettendo su molti giovani del vivaio e su calciatori che avevano fallito all’estero. Simbolo di questa gioventù locale è l’attaccante Christoffer Nyman, che cinque anni fa, a 17 anni, realizzava la rete che valeva la promozione nella massima serie. È soprannominato “Totte” in omaggio all’idolo Francesco Totti, pronunciato nel dialetto locale. E visto che stiamo parlando di dialetti, bandiere e Totti, bisogna notare che quasi mezza squadra, otto giocatori, è cresciuta nella città o a pochi chilometri dallo stadio. Questo—nonostante il calcio svedese non sia di certo competitivo né ricco né innovativo—è qualcosa di bello e raro nel 2015.

 

Il Malmö (campione nazionale negli ultimi tre anni) è riuscito a qualificarsi per la Champions League per due anni consecutivi: un’impresa, considerando che una squadra svedese non partecipava alla competizione da 15 anni. Probabilmente l’IFK Norrköping non riuscirà a ripetere l’impresa. Molti giovani saranno forse ceduti e il capocannoniere, Emir Kujovic (ripescato in Turchia, dove era emigrato con lo status di promessa), forse avrà una seconda possibilità da giocarsi fuori dalla Svezia.

 

Quest’anno l’IFK ha giocato un calcio associativo molto diverso dallo standard del calcio svedese. Più propositivo, pieno di entusiasmo ed energia. È difficile ricordare altre squadre di questo tipo nel recente passato della Svezia. Un fattore in tal senso è stato probabilmente l’erba sintetica, che permette alle squadre di giocare anche durante l’inverno, garantendo almeno un minimo di continuità. In precedenza, con l’erba naturale, era più o meno impossibile giocare a calcio da novembre a marzo in tre quarti del paese. Nonostante il campionato sia fermo in quei mesi significa comunque non toccare un pallone per troppo tempo: un disastro.

 


Norrköping in inverno.



 

Non è così assurdo mettere in relazione l’IFK Norrköping alla vittoria della Svezia negli Europei U-21; soprattutto per coniugare la base tradizionale del calcio svedese (organizzazione, 4-4-2 e linee strette), con una migliorata capacità di controllare il pallone. La differenza si vede.

 

PS: Bisogna aggiungere due righe su Henrik Larsson, allenatore dell’Helsingborg. Poteva andare peggio, ma poteva anche andare molto, molto meglio. L’Helsingborg è arrivato solamente 11.esimo in classifica, raccogliendo 15 sconfitte in 30 partite. Forse l’unica nota davvero positiva è stata il figlio Jordan, 18 anni, titolare nel corso della stagione.

 





 

Il Partizan Belgrado non lo si può capire davvero. Proprio come non si può pensare di capire il campionato di calcio serbo, la Nazionale, la Stella Rossa o qualsiasi altra squadra di Superliga. Bisognerebbe almeno entrare dentro lo spogliatoio dello Stadion Partizana, o al centro sportivo di Zemunelo.

 

Per chi sta fuori e non ha familiarità con la società serba, le squadre di calcio del paese sono delle entità misteriose, da cui spesso però escono fuori grandi talenti. Per il Partizan, la stagione era iniziata nel migliore dei modi, e sembrava dovesse essere una di quelle in grado di aumentare prestigio e solidità del club: non a livello economico, da escludere a priori quando si parla di calcio serbo. Sembrava l’anno di Andrija Zivkovic (l’unico che ha mantenuto le promesse), Ivan Saponjic e Nikola Ninkovic. Si è rivelato l’anno più brutto degli ultimi due decenni.

 

Ad agosto, nel secondo turno dei preliminari di Champions League, il Partizan ha eliminato—in un partita d’altri tempi—la Steaua Bucarest, l’altra grande entità misteriosa dell’est Europa. Poi è arrivata l’eliminazione nei playoff contro il BATE Borisov, in due partite in cui i giocatori serbi sono stati fermati solo dalle loro modeste capacità, non dalla voglia di vincere.

 

L’accesso ai gironi di Europa League è stato accolto ugualmente come un successo e un’opportunità per allargare il divario con la Stella Rossa, che non partecipa a un girone di una coppa europea da dieci anni e si trova in una situazione economica disastrata, tenuta in piedi solo dal governo. Contemporaneamente alle partite preliminari europee però, in Superliga il Partizan ha cominciato a giocare molto male, a perdere molto e a vincere poco. Ora, dopo sedici turni di Superliga, il Partizan si trova in sesta posizione, a ventuno punti di distanza dalla Stella Rossa, prima in classifica e con ottime probabilità di restarci fino alla fine del campionato.

 

https://www.youtube.com/watch?v=SBBBWZLXkqk

La sconfitta fatale contro il BATE Borisov.



 

La causa del mezzo disastro del Partizan è probabilmente l’inadeguatezza della rosa, i cui titolari non hanno dei rimpiazzi presentabili. Qualcuno a Belgrado ha avuto la bella idea di affidare l’intero reparto offensivo a Valeri Bojinov, il quale non è in grado né di reggere novanta minuti né di aiutare la squadra da metà campo in giù. Il suo rimpiazzo, Ivan Saponjic, sembra abbia ancora bisogno di crescere molto, e per ora non può garantire continuità di prestazioni. Anche il giocatore più forte in squadra, Andrija Zivkovic ha dovuto saltare molte partite nell’ultimo mese per via di alcuni problemi fisici: senza di lui il Partizan ha giocato le peggiori partite della stagione e ha perso parecchi punti contro avversari decisamente inferiori.

 

C’è un altro, più profondo, problema, non legato alle capacità dell’allenatore della prima parte di stagione, l’oscuro Zoran Milinkovic, ma al modo con cui vengono scelti gli allenatori in tutte le squadre del paese. In un campionato che più di tutti avrebbe bisogno di internazionalizzare e modernizzare il proprio gioco, la maggioranza degli allenatori dei club serbi proviene dalle piccole realtà locali e non è all’altezza dell’incarico. Vengono scelti per necessità: costano poco, hanno familiarità con il paese, conoscono la lingua e i giocatori, ma non riescono a dare alla squadra niente di più di quanto siano in grado di fare da soli i singoli giocatori.

 

La metà bianconera di Belgrado non ha iniziato una rivolta solo grazie agli incredibili risultati in Europa League, dove sono arrivate le vittorie nelle prime due partite contro AZ e Augsburg. Come può il Partizan perdere contro delle squadre che sfiorano il livello dilettantesco e vincere due partite consecutive in Europa contro squadre, teoricamente, di un altro livello? Ogni squadra ha il suo approccio alla seconda competizione europea per club, ma l’AZ ogni anno fa di tutto pur di arrivare più avanti possibile e le tedesche non l’hanno mai snobbata. Nelle prime due partite il Partizan è sembrato una squadra finalmente competitiva anche in Europa, in grado di raggiungere tranquillamente i sedicesimi di finale. Nessun campione, un buon livello generale e un piccolo fuoriclasse diciannovenne, Andrija Zivkovic, che aumenta esponenzialmente la qualità del reparto offensivo del Partizan.

 

https://www.youtube.com/watch?v=fissiR2-IlU

Andrija Zivkovic, al momento il talento più credibile del Partizan Belgrado.



 

Come abbiamo detto,

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura