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Come sta cambiando il calcio tedesco, intervista a René Maric
26 lug 2022
26 lug 2022
Abbiamo parlato di metodologie, tattiche e concetti.
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René Marić non ha ancora compiuto trent’anni, ma il suo nome è famoso tra gli addetti ai lavori da diverso tempo. La sua attività di scrittore per uno dei blog calcistici più celebri e autorevoli a livello internazionale, Spielverlagerung, gli è valsa l’attenzione di diverse personalità nel mondo del professionismo. Maric ha iniziato a collaborare dal punto di vista didattico con club e federazioni nazionali, fino a diventare uno degli assistenti di Marco Rose, alla Red Bull Salisburgo (prima U19 e poi prima squadra), poi al Borussia Mönchengladbach e al Borussia Dortmund. In questa intervista ha risposto ad alcune domande sulla particolarità del suo percorso personale e sui compiti e metodi di lavoro nel corso delle esperienze, ma ci ha anche dato il suo punto di vista peculiare su questioni più ampie che riguardano il calcio nella sua globalità: metodologia, possibili tendenze tattiche, il regolamento, il calcio tedesco.

Cominciamo dalla tua storia personale. Ti sei laureato in psicologia e hai iniziato ad allenare da giovanissimo, oltre ad affermarti inizialmente come blogger di divulgazione tecnico-tattica su Spielverlagerung. C’è qualche elemento in comune tra queste tre strade, apparentemente così diverse ma che hanno finito per intrecciarsi?

Credo che allenare stia contribuendo a colmare il divario tra gli altri due aspetti e, inoltre, era l'obiettivo di entrambi. Allenare è l’aspetto più importante perché si tratta di trasmettere contenuti ai giocatori, che sono la cosa più importante nel calcio, insieme ai tifosi. In psicologia a volte manca il collegamento con la giungla del mondo reale e anche il collegamento con le tendenze tecnico-tattiche più avanzate e specifiche del gioco. Inoltre, la terminologia della psicologia può essere un problema nel mondo reale. È importante tradurre questi concetti nel linguaggio calcistico e nel contesto del club. Allo stesso modo, molti blog affrontano lo stesso problema, e lì spesso è segno che ci si concentra sui concetti in modo sbagliato, oppure che si è all'inizio di un processo di sviluppo che solitamente può portare alla competenza di saper spiegare queste cose in modo più coerente e semplificato. Se si approfondiscono abbastanza bene entrambi gli ambiti, si possono portare nel blogging alcuni aspetti della percezione, della cognizione e della motivazione umana, mentre il blogging costringe a pensare di più allo sport da un punto di vista teorico. Idealmente, questi due aspetti si fondono e diventano una buona base per l'abilità più importante: allenare.

In una tua intervista aThe Athletic hai fatto riferimento all’importanza delle teorie dell’apprendimento nel tuo percorso. Puoi dirci qualcosa di più a riguardo? Come queste nozioni hanno influito sullo sviluppo delle tue conoscenze? Come ti condizionano oggi nella vita sul campo di allenamento?

Ho iniziato ad allenare molto giovane. La prima squadra che ho allenato è stata a 17, 18 anni. All’inizio, allenavo molto a intuito, e la mia idea principale era di fare le cose in maniera differente rispetto a come erano state fatte con me, poiché sentivo che in quel momento quelle cose mi stavano ostacolando anziché aiutarmi col mio sviluppo. Così, ho iniziato ad allenare in maniera implicita, attraverso il gioco, ma spesso senza un’adeguata strutturazione di cosa volevo ottenere e come volevo ottenerlo. Negli anni di blogging ho sviluppato un pensiero più chiaro dei principi che volevo vedere in campo e di come avrebbero dovuto essere applicati. Durante i miei anni di studio, ho analizzato sempre di più le teorie dell’apprendimento per approfondire, appunto, il cosa e il come della mia metodologia di allenamento. Oggi sono tornato a essere più intuitivo, e ho sviluppato le mie idee sull’allenamento e sul coaching basandomi sulle informazioni raccolte negli ultimi dieci anni. In sostanza dalla mia fase intuitiva ho intrapreso un percorso in cui ho lavorato esplicitamente su me stesso attraverso esperienze e illuminazioni, prima di sviluppare la mia idea e tornare a essere più intuitivo.

C’è qualcosa nel tuo percorso formativo che potrebbe aver fatto la differenza, che lo ha reso a suo modo unico, secondo te?

Credo che il mio percorso di crescita sia stato unico, sono passato dal calcio dilettantistico a quello professionistico, in cui ho avuto due club fantastici all'inizio della mia carriera professionale che sono fondamentalmente diversi. Con le mie esperienze a livello amatoriale, ho dovuto iniziare ad allenare da zero e senza strumenti esterni, per così dire. Alla Red Bull si riceve una formazione molto chiara come allenatore, con un'attenzione particolare alla metodologia di allenamento, alle transizioni e al pressing alto in fase difensiva, in un club costruito praticamente da zero in un ambiente altamente professionale e tecnologico. Al Borussia Mönchengladbach, la tradizione è quella di concentrarsi sul calcio di possesso, un ritmo molto più lento rispetto ad altri in Germania, con un club che è cresciuto organicamente in una piccola città come il suo aspetto più importante di identificazione dagli anni '70, e dove si ha la sensazione di una grande, bella famiglia. Grazie a questi diversi ambienti, obiettivi e anche approcci al gioco stesso, mi è stato possibile ottenere molti input diversi in termini di conoscenza e di allenamento.

Pensi che nel mondo del calcio in generale si dia il giusto spazio alla trans-disciplinarità? C’è una vera integrazione tra saperi diversi all’interno dei gruppi di lavoro ad alto livello, o ci sono margini di miglioramento?

In realtà credo che questo non sia così facile da realizzare. Ai massimi livelli spesso il tempo e le risorse a disposizione sono già occupati e non è facile trovare il tempo per approfondire altre discipline. Questo è forse uno dei motivi per cui alcuni allenatori optano talvolta per un anno sabbatico. Ho l'impressione che ci debba essere qualcuno nello staff o nel club che sia responsabile di questo particolare lavoro, soprattutto a livello di Academy. Oppure, come allenatore individuale, avrebbe senso avere qualcuno del genere nel proprio ambiente.

Quali sono i tuoi compiti principali all’interno dello staff? C’è un aspetto del tuo lavoro che ti entusiasma di più rispetto agli altri?

Nello staff in cui ho lavorato negli ultimi anni, ho lavorato principalmente in connessione con uno dei video analisti, mentre l'altro assistente allenatore lavorava insieme all'altro. Loro erano responsabili dell'analisi delle prestazioni e della preparazione dei calci piazzati, mentre noi eravamo responsabili di tutto il resto della partita. Oltre a questo, preparavo sia la riunione sull'avversario che quella del giorno della partita, la prima la presentavo io e la seconda la faceva il capo allenatore. Anche altri compiti all'interno del club, come la presentazione dei principi o il supporto al dipartimento di scouting, facevano parte della mia routine lavorativa, così come la pianificazione, la realizzazione e la riflessione delle sessioni di allenamento. La maggior parte di queste attività si svolgeva all'interno dello staff composto da noi due assistenti allenatori, dal capo allenatore e dall'allenatore dei portieri, aiutati dallo staff medico e da quello delle performance. Anche le sessioni di allenamento individuali e le revisioni delle prestazioni facevano parte del mio lavoro, ma dipendevano molto dalla situazione di ogni settimana e dalle persone con cui lavoravo. Direi che il lavoro con i singoli e il lavoro sul campo è quello che mi entusiasma di più. Dentro il lavoro, mi piace allenare le azioni offensive.

Quali sono i tuoi/vostri cardini metodologici nell’organizzazione del lavoro di allenamento, i vostri principi irrinunciabili? C’è qualcosa che hai portato con te dai giorni della RB Salisburgo alle esperienze successive? E qualcosa che invece hai raccolto strada facendo?

Credo che ci siano solo tre livelli: preparare l'allenamento nel miglior modo possibile, per sé e per i giocatori. Poi, eseguire un allenamento il più possibile realistico e fedele al gioco e incentrato sui principi del proprio stile. Riflettere sull'allenamento, per sé e per i giocatori, nella misura necessaria. A seconda della periodizzazione e dell'individualizzazione, dal punto di vista calcistico, alcuni elementi di questi tre livelli possono essere adattati. Ma credo che lavorare il più possibile in funzione della partita sia la strada da seguire. Nel Salisburgo, per esempio, questo va di pari passo con lo stile di gioco. Poiché ci sono molte azioni di pressing e di transizione, la quantità di tocchi per possesso e per giocatore è spesso ridotta, così come lo spazio per ogni squadra. L'attenzione alla velocità delle azioni e al processo decisionale, l'apporto cognitivo a tutti questi processi calcistici, è sicuramente uno degli aspetti principali che ho portato con me dal Salisburgo. Lungo il percorso ho colto l'importanza di alcuni coaching points in fase di possesso e il valore di dare spazio ai giocatori; a volte è difficile decidere, anche quando c'è tempo.

Nella tua opinione, le più importanti innovazioni metodologiche nelle teorie dell’allenamento dell’ultimo decennio? Ti sei mai imbattuto in uno studio scientifico o in un’osservazione empirica che ha messo in crisi qualche tua convinzione o ha cambiato il tuo modo di vedere le cose?

Credo che in generale l'allenamento sia diventato molto più strutturato, organizzato e preparato. Ci sono cose che diamo per scontate e che invece sono molto importanti, come la periodizzazione e i dati fisici. La cosa più importante è che l'allenamento è diventato più olistico e integrato, soprattutto utilizzando partite e variazioni del gioco, che a loro volta si basano molto sull’avere principi di gioco e di allenamento. Ovviamente alcune cose, comel'allenamento differenziale - che abbiamo introdotto come sotto-metodo di apprendimento implicito nel nostro libro - sono sempre soggette a discussioni di definizione, soprattutto nel contesto del calcio. Ci sono molti studi che si sono aggiunti alla mia metodologia, ma in generale la cosa che ho imparato a valorizzare di più è quella di mantenere l’allenamento genuino, conciso, il più possibile vicino al gioco, preparandone i punti e concentrandosi sui principi del proprio stile.

Adesso parliamo un po’ di tattica. Hai notato dei trend più definiti, più curiosi, a livello globale nell’ultima stagione o negli anni passati? Diresti che la contaminazione tra stili diversi nel calcio di alto livello sia a livelli senza precedenti?

Credo che il calcio stia diventando sempre più snello in termini di idee simili e valide. Ovviamente, più si scende nei dettagli, più si notano differenze, ma in generale ci sono molti concetti che vengono utilizzati abbastanza frequentemente. Ogni allenatore, salvo eccezioni, parla oggi di "compattezza", "organizzazione", "dinamicità", "attività", ecc. Questo a un livello molto granulare. A livello più dettagliato, la costruzione a tre, la divisione degli spazi in campo per giocatore, la marcatura preventiva a uomo, il sovraccarico al centro e il pressing alto sui calci di rinvio sono utilizzati molto più spesso di prima. Anche a livello individuale, per quanto riguarda la percezione, il posizionamento del corpo o il processo decisionale, molte cose sono di dominio comune e vengono utilizzate in questo modo.

E cosa ti aspetti, invece, dal futuro? Quale potrebbe essere la prossima grande innovazione tattica?

Smarcamenti preventivi come migliore preparazione per le ripartenze, rotazioni in termini di interscambi di posizioni più ampie e costanti e corse nello spazio in spazi più congestionati, a differenza delle corse nello spazio aperto dietro l'ultima linea, per ottenere una superiorità dinamica. Anche il sovraccarico dell'ultima linea al posto della prima è un concetto molto interessante.

Ci sono delle regole del gioco che cambieresti o introdurresti, per il tuo gusto personale o per questioni su cui reputi urgente intervenire?

Non cambierei molto, credo. In generale, il calcio è il beautiful game per un motivo, le regole del gioco creano davvero questa sensazione specifica. Ci sono cose come il tempo effettivo, un calendario ridotto, regole che si concentrano sulle intenzioni più che sui comportamenti, che non cambierebbero troppo e migliorerebbero comunque la qualità del calcio. Per esempio, i falli in area quando non c'è più alcuna possibilità di segnare potrebbero portare a un calcio di punizione invece che a un rigore e il fallo tattico a un cartellino giallo immediato, poiché non c'è l'intenzione di conquistare la palla ma solo di fermare l'attacco con una giocata scorretta.

Che momento è per il calcio tedesco, in generale? Innovazione, stabilizzazione o subbuglio? Da fuori la Bundesliga sembra frenetica.

Non sono sicuro se sia frenetica o se sia solo in generale un campionato molto dinamico, in cui la quantità di dinamiche potrebbe farlo sembrare più frenetico del solito. In generale, credo che il campionato si stia sviluppando in modo molto interessante, ci sono sempre più squadre che utilizzano concetti molto simili ad alto livello e che danno al campionato questa sensazione speciale di alti e bassi, in quanto le squadre cercano di massimizzare molto la creazione e l'utilizzo delle palle perse, che a loro volta creano situazioni uniche in entrambe le direzioni (quando funziona e quando non funziona).

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