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Emiliano Battazzi
Quali punte per l'Europeo
06 giu 2016
06 giu 2016
Continua la serie in cui cerchiamo di costruire la formazione ideale dell’Italia al prossimo Europeo. Nella quinta puntata le punte, tra le più solide e aggressive di sempre.
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Emiliano Battazzi
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Schillaci ‘90, Baggio ‘94, Vieri ’98 fino a Balotelli 2012: in un modo o nell’altro, segnando o facendo segnare, la Nazionale negli ultimi 5 lustri ha sempre trovato qualche risorsa offensiva (attesa o inattesa) nelle grandi competizioni. E quando non l’ha fatto, i risultati sono stati decisamente deludenti: 4 diversi marcatori con un solo gol per il disastroso Mondiale del 2010 e addirittura due soli marcatori nell’altrettanto fallimentare spedizione del 2014.

 

Le notti magiche sono passate, ma rinchiudersi nella nostalgia non sembra l’idea migliore: le medie realizzative degli attaccanti convocati da Antonio Conte

da quelle degli altri grandi attaccanti italiani degli ultimi 50 anni. A essere profondamente diverse sono le carriere: a 24 anni Simone Zaza ha giocato solo 30 minuti in competizioni europee per club; a 29 anni, Eder ha disputato solo 180 minuti negli spareggi di Europa League con la Sampdoria; a 30 anni, Pellè ha registrato 5 presenze in Champions e 10 in Europa League; a 26 anni, Immobile ha giocato 9 partite in CL e 40 minuti nella Supercoppa Europea; e alla fine Insigne, a 24 anni (il più giovane insieme a Zaza) è già il più esperto di tutti con 19 presenze in Europa League e 8 in Champions (spareggi compresi).

 

Anche in questo caso, i numeri non sembrano davvero negativi: Insigne nella sua carriera europea ha segnato o fatto segnare ogni 137 minuti; Pellè ogni 180 minuti; Zaza in quei 30 minuti di CL ha segnato un gol contro il Siviglia; Ciro Immobile registra addirittura 1,05 non-penalty goals + assist per 90 minuti (Supercoppa compresa); e anche Eder in due partite ha segnato un gol.

 

Una mancanza di esperienza così accentuata è pressoché inedita per la nostra Nazionale ed è il frutto di un generale declino del calcio italiano nelle competizioni europee: se le squadre continuano ad andare male, poi è difficile anche per i giocatori compiere il salto di qualità. A questa criticità aggiungiamo un ormai annoso

dalle giovanili al calcio professionistico ed ecco che la situazione diventa problematica, ma anche enigmatica: quanto sono forti i nostri attaccanti? Probabilmente non esiste una risposta assoluta a questa domanda, ma possiamo almeno cercare di capire perché sono i più adatti per Antonio Conte.

 

 



 

è uno dei concetti fondamentali di questa Nazionale e l’attacco non fa eccezione, anzi: ed è una novità, non siamo abituati a chiederne così tanta alle nostre punte. Conte invece sì e la caratteristica aggressività delle punte azzurre è stata evidente sin dall’inizio del suo percorso.

 

I due attaccanti (è probabile che l’Italia continuerà a giocare con il 3-5-2 e il 4-4-2 come moduli di base) sono i primi difensori: non solo per disposizione tattica (uno copre il regista avversario, l’altro va verso il pallone) ma soprattutto per aggressività. Anche nella recente amichevole contro la Scozia, nei quattro giocatori più fallosi ci sono tre punte. Il primo è Zaza, che in soli 24 minuti ha registrato addirittura 4 falli, seguito da Pellè ed Eder a quota 2.

 

In fase offensiva, questa tensione si trasforma in

: un calcio diretto, con i movimenti alternati dei due attaccanti per dilatare le spaziature dei difensori avversari in verticale, mentre gli esterni alti si occupano di allargare la difesa in orizzontale.

 



 

Dal momento in cui una punta riceve la verticalizzazione (spesso addirittura dalla difesa) bisogna andare a mille all’ora: e per sostenere certe velocità i movimenti devono essere perfettamente coordinati, e i giocatori fisicamente adatti. Nel gol contro la Scozia, sulla verticalizzazione di De Rossi, Eder è persino un po’ troppo lento rispetto alla rapidità di pensiero di Pellè, che quasi gli ruba il pallone e segna con uno splendido tiro da fuori area: in quel momento l’Italia ha 5 giocatori sulla linea offensiva.

 

Nel 3-4-3 usato da Conte (ad esempio contro la Spagna) il ruolo della punta centrale diventa ancora più fisico: deve allungare la difesa avversaria attaccando la profondità e fare da sponda per i compagni che lo supportano.

 

È evidente che in un sistema del genere non ci poteva essere spazio per uno come El Mudo Vazquez: le sue pause e la sua scarsa continuità nel corso dei 90 minuti lo rendono semplicemente inadatto a questo tipo di gioco.

 

 



 

Il Ct della Nazionale ha seguito criteri limpidi per le sue convocazioni: puntare su un gruppo affiatato e ben rodato nelle qualificazioni agli Europei e poi ovviamente basarsi sulle caratteristiche di gioco e sulle condizioni fisiche. Per le punte, questo concetto forse è stato più rigoroso che per altri: l’avventura di Conte iniziò a settembre 2014 con la coppia Zaza-Immobile, per poi passare a Pellè-Eder, provare le tre punte (con riferimento centrale sempre il centravanti del Southampton) e ritornare alle due punte contro la Scozia, di nuovo Pellè-Eder.

 

Tra i convocati per gli Europei, nel reparto offensivo l’unico vero outsider è Lorenzo Insigne: solo quattro presenze per lui nel biennio. La presenza del napoletano nei 23 è stata in dubbio fino all’ultimo, e in effetti il suo profilo sembra il meno adatto al gioco di Conte. Nel modulo a due punte, Insigne tende ad allargarsi molto sulla fascia, oltre a cercare meno la profondità rispetto agli altri: caratteristiche normali per un’ala-trequartista. Inoltre, non conosce bene gli automatismi offensivi e ha ancora qualche pausa di troppo rispetto ai tempi da dj set elettronico richiesti da questo sistema.

 


Insigne attende un secondo di troppo e quando serve Bernardeschi è già troppo tardi



 

Eppure Insigne è nel gruppo perché può fornire soluzioni diverse: è un profilo unico, quasi un’eccezione alla regola. Quando si allarga sulla fascia crea spazio per l’inserimento delle mezzali; ma soprattutto sa farsi trovare spesso nelle mezze posizioni, quegli spazi tra centrali e terzini, per provare il tiro o servire il movimento in profondità. Il suo apporto in fase di realizzazione è migliorabile: tira molto da fuori area, e tira troppo spesso, quindi è ultimo per tasso di conversione (se escludiamo le mezze stagioni di Eder e Rossi); ma è chiaramente di un altro livello in fase creativa e di definizione: primo per dribbling riusciti (1,54 per 90 minuti), per passaggi chiave (2,23) e terzo per assist (0,34). Inoltre con Sarri è cresciuto molto anche il suo apporto alla fase difensiva: è quarto per palloni intercettati. Nel tridente veloce del Napoli, Insigne è stato il supporto perfetto per Higuain: 12 gol ma soprattutto 10 assist. Numeri che alla fine hanno convinto Conte ad accettare un profilo molto diverso dagli altri.

 


Elaborazione dati: Flavio Fusi



 

Con più presenze di lui sono stati tagliati Giovinco (6) e Gabbiadini (5). Mentre per il primo è stato decisivo il passaggio a un campionato meno competitivo (ma soprattutto meno intenso) come

, per Gabbiadini potrebbero esserci diverse motivazioni.

 

Il suo ridotto minutaggio (è il peggiore con solo 543 minuti in Serie A) non è così negativo se si considerano tutte le competizioni: 981 minuti contro i 958 di Zaza. Dietro al fenomeno Higuain d’altronde non c’era tanto spazio, ma Gabbiadini ha saputo usarlo: è il migliore nel campione considerato per tiri verso la porta (4,97 per 90 minuti), secondo per numeri di tiri nello specchio e secondo per non penalty-goals (0,66 per 90 minuti) e terzo per passaggi chiave (1,82 per 90 minuti). I piccoli difetti del centravanti italiano del Napoli, però, sono stati decisivi per Conte: il tasso di conversione non particolarmente alto (a dimostrazione che i suoi dati sono anche dovuti al grande volume offensivo del Napoli) e soprattutto la scarsa, per non dire nulla, aggressività: 0,17 tackle vinti per 90 minuti, solo il 33% di quelli tentati, nettamente ultimo. Per Antonio Conte gli attaccanti sono una specie di medium tra fase offensiva e difensiva e devono possedere, oltre a doti fisiche non comuni, anche aggressività e agonismo straordinari.

 


Elaborazione dati: Flavio Fusi



 

Proprio per questo, in Nazionale c’è sempre un posto per Zaza: al di là del suo buon tasso di conversione (terzo con 16,67%), dei suoi 1,76 tiri nello specchio per 90 e dei suoi non-penalty goals per 90 (primo tra tutti, con 0,68), è l’aspetto psicofisico che sembra davvero il più importante per l’attaccante della Juve. Basta osservarlo in partita per notare la sua aggressività e i dati confermano l’impressione: è primo per numero di falli (3,7 per 90 minuti) ed ha buoni valori per palloni intercettati e tackle (0,68 per 90 in entrambi casi). Contro la Scozia si è visto un campionario delle doti di Zaza: oltre ai 4 falli, due tackle e un pallone recuperato. Tutto in soli 24 minuti: la capacità di Zaza di entrare a partita in corso con così tanta energia lo rende una sorta di “super sub”, che poi è il ruolo che gli ha affidato anche Allegri. In un certo modo, anche una prigione: ma è davvero difficile mantenere quel livello di agonismo per 90 minuti, oltre che rischioso anche a livello disciplinare.

 



 

 



 

L’escluso eccellente ha un nome e un cognome: Leonardo Pavoletti. I dati confermano la splendida stagione del centravanti genoano: nel campione selezionato, è terzo per numero di minuti giocati (1917), primo per tasso di conversione (pari a circa il 21%), primo per duelli aerei vinti (5,4 per 90), secondo per gol senza rigori (0,66 ogni 90 minuti) e secondo per percentuale di tackle vinti (80%). Per il centravanti nato a Livorno, quindi, tre fattori possono essere stati decisivi: la scarsa esperienza (solo 46 presenze in Serie A, nessuna in competizioni europee), la mancata partecipazione alla fase di qualificazione e la sua minore partecipazione al gioco di squadra. Pavoletti avrebbe dovuto puntare al posto di Graziano Pellè: ma i suoi numeri descrivono un finalizzatore puro, leggermente indietro al centravanti del Southampton per percentuali di dribbling riusciti, per passaggi chiave, per assist, per percentuale di tackle riusciti e per palle intercettate.

 

Pellè è un giocatore abituato ai ritmi alti della Premier, è più polivalente, adatto a giocare con qualunque modulo; Pavoletti, invece, è un centravanti puro vecchia scuola, spietato in area piccola (6 gol su 14) e nei duelli aerei, ma meno partecipativo.

 


Elaborazione dati: Flavio Fusi



 

Proprio Pellè si è conquistato il posto da titolare con la continuità delle sue prestazioni: è il bomber del biennio Conte, con 5 gol in 12 partite (una rete ogni 172 minuti), ed è la punta più usata dal Ct. I suoi valori non spiccano, a eccezione di un significativo 84% di tackle vinti e dei 4,6 duelli aerei vinti: considerando che Pellè gioca nel campionato più esigente dal punto di vista fisico, si può immaginare che abbia conquistato Conte non solo con i gol.

 


Chiuso in una morsa, non riesce a controllare bene ma poi si butta in scivolata e riconquista il pallone, lanciando contemporaneamente la transizione offensiva. Ecco perché gioca Pellè.



 

Al suo fianco, contro la Scozia si è rivisto Eder, reduce da una stagione davvero spezzata a metà: nella prima parte di stagione alla Samp, il suo tasso di conversione è il più alto di tutti tra i convocati e dietro solo a Pavoletti; è secondo anche per numero di tackle per 90 minuti; e gli altri numeri sono normali. Poi nell’Inter si registra un crollo, ovviamente in gran parte dovuti alla mancata integrazione nel sistema di gioco di Mancini: peggior tasso di conversione, mentre tiri nello specchio, dribbling e tackle scendono a livelli inferiori a 1. In questo caso, Conte si è basato sull’integrazione nel gruppo: Eder è il secondo attaccante più utilizzato nel suo biennio, con un gol o un assist ogni 144 minuti. In parte è una scommessa, perché neppure Conte sa quale Eder porta agli Europei: la speranza è che sia la versione sampdoriana, e non il fantasma nerazzurro.

 


Con una transizione offensiva a tre tocchi l’Italia potrebbe quasi segnare: Eder serve Pellè e attacca subito la profondità (poi cade rovinosamente senza contatto). Una combinazione semi-automatica.



 

Come l’italo-brasiliano, anche Ciro Immobile ha rischiato il taglio: una stagione poco esaltante (inizio pessimo al Siviglia) si è conclusa addirittura con infortunio muscolare che lo ha tenuto lontano dal campo per più di un mese. Il rientro nel Toro è avvenuto solo nelle ultime due giornate, per appena 42 minuti: più che alla sua partecipazione alle qualificazioni, Immobile deve dire grazie alle sue caratteristiche che lo rendono perfetto per il gioco di Conte: rapidità di esecuzione, velocità sia nello stretto che nello spazio, aggressività. Nella seconda parte di stagione con il Toro di Ventura ha registrato 1,46 dribbling riusciti (secondo solo a Insigne), 182 passaggi chiave (terzo) e 1,9 falli (ma nei pochi minuti al Siviglia era stato ancora più aggressivo, con 2,4). Immobile non gioca un minuto con la maglia azzurra da circa un anno, ma è stato convocato anche perché conosce a memoria i movimenti del modulo a due punte: quello che lo ha lanciato al Torino e a cui è tornato proprio in questi mesi. E per Conte queste giocate automatiche hanno un’importanza vitale.

 

D’altronde al suo posto non c’erano neppure alternative adatte: Fabio Borini, convocato a sorpresa per lo stage, è tra i peggiori per i dati da punta pura (tiri, tasso di conversione, gol) e per capacità di gioco (passaggi chiave e assist) ma è quarto per numero di tackle, terzo per percentuale di tackle riusciti (75%) e primo per numero di palloni intercettati (1,04). Nonostante l’importanza dell’intensità per Conte, il profilo di Borini è persino troppo sbilanciato verso l’aggressività.

 

Sul versante opposto, Giuseppe Rossi è un attaccante associativo, che gioca con e per la squadra, di cui diventa poi anche finalizzatore massimo: perfetto per chi ricerca il dominio del pallone in campo. Non aveva praticamente possibilità di essere convocato da Conte, per il suo dinamismo ormai ridotto e per la scarsa aggressività (tra gli ultimi per tackle e falli): eppure ha deciso di provarci lo stesso, ricominciando addirittura dall’ultima in classifica della Liga. La sua scommessa ha in qualche modo pagato, nel senso che Pepito può almeno sentirsi in pace con se stesso: i dati della sua mezza stagione al Levante sono ottimi. È quarto per tasso di conversione (15,6%), terzo per dribbling riusciti (1,39 per 90), quinto a 1,55 passaggi chiave (ma nei pochi minuti alla Fiorentina è secondo con 1,92).

 

I nomi dei nostri attaccanti ci possono anche sembrare lontani dai fasti degli anni precedenti e le loro giocate veloci forse non accenderanno il cuore come quelle dei grandi numeri 10 del passato: ma si tratta di giocatori solidi, aggressivi, come forse mai prima d’ora.

 

E si tratta soprattutto delle scelte di Antonio Conte, supportate da criteri evidenti per chi li vuol vedere: il recente scarso periodo di forma di alcuni non deve necessariamente spingere al pessimismo.

 

Nelle convocazioni del Ct non c’è stato spazio per sentimentalismi o favoritismi: forse non sarà la miglior Nazionale degli ultimi lustri, ma di sicuro sarà Harder, Faster, Stronger.

 

 

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