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Meno stadi, più ospedali
08 ott 2025
In Marocco i giovani sono in piazza per protestare contro gli investimenti sul calcio.
(articolo)
12 min
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“Non vogliamo la Coppa del Mondo, vogliamo la salute”. “Meno stadi, più ospedali”. Sono due degli slogan echeggiati negli ultimi giorni per le strade di Rabat, Agadir, Fez, Casablanca, Marrakech, Tangeri e tante altre località del Marocco, dove centinaia di migliaia di giovani - la cosiddetta “GenZ” - si sono mobilitati per chiedere riforme e giustizia sociale. E dove è in programma nei prossimi mesi la Coppa d’Africa 2025, e tra cinque anni un bizzarro Mondiale 2030 che prenderà il via in Sudamerica e poi si dividerà tra Spagna, Portogallo e, appunto, Marocco.

Le proteste non sono direttamente contro questi eventi, che anzi possono rappresentare occasioni di crescita economica (sì, ma per chi?) e di sviluppo infrastrutturale per diverse città (lasciando le aree rurali ancora più indietro?); e che sono peraltro la punta dell’iceberg in un mare di grandi appuntamenti calcistici ospitati di recente dal paese, o in arrivo nei prossimi anni. “Ovviamente siamo entusiasti di accogliere il Mondiale: amiamo il calcio, è nel nostro sangue”, spiega Hajar Belhassan, portavoce 25enne delle proteste. “Ma ci mancano le fondamenta: va bene costruire stadi, ma prima dobbiamo costruire il nostro sistema educativo e sanitario, prenderci cura della nostra gente”.

Il punto riguarda la priorità di spesa rispetto a settori quali sanità e istruzione, o ad esempio in confronto ai piani del governo per le aree colpite dal terremoto del 2023 con epicentro nell’Alto Atlante (magnitudo 6.8). Una catastrofe naturale da quasi tremila morti, cinquemila feriti e decine di migliaia di sfollati, soprattutto nelle province montane di Al Haouz, Taroudant e Chichaoua, dove interi villaggi sono stati rasi al suolo. Secondo il bilancio delle Nazioni Unite, dopo il terremoto più di cinquantamila famiglie hanno dovuto lasciare le proprie case, e alcune di quelle comunità si sono riunite lo scorso weekend a Rabat, davanti al Parlamento, chiedendo “dove sono finiti i soldi del terremoto, nei festival e negli stadi?”. Gli appuntamenti sportivi all’orizzonte sono insomma la cornice di temi e malcontenti non nuovi per la società marocchina, amplificati dalle risorse e dall’urgenza con cui il governo si sta dedicando ai preparativi per CAF e FIFA. Come si conviene prima di eventi del genere, Rabat sta investendo enormi cifre per edificare o ristrutturare gli impianti su cui poggiano tali palcoscenici, con una reattività letta da tante persone come un disallineamento dalle necessità primarie della nazione. “Le nostre sono richieste ragionevoli, basilari”, ha detto Belhassan a BBC. “Salute ed educazione dovrebbero essere già una priorità.”

Parallelamente il governo sta lavorando per tirare a lucido il contesto, un’altra prassi consolidata di questi frangenti, che sta facendo emergere dinamiche tristemente familiari. Ovvero la rimozione forzata dai grandi poli di tutto ciò che è considerato “poco desiderabile”, non idoneo a promuovere globalmente un’immagine positiva del paese. Una storia già vista altrove. Il tema torna infatti d’attualità dopo il Mondiale 2014 e i Giochi olimpici 2016 in Brasile, che hanno portato decine di migliaia di famiglie allo sfratto dalle proprie abitazioni, ridotte in macerie e sostituite con strutture più adatte all’audience globale. Oppure il Mondiale di ciclismo in Rwanda delle scorse settimane, che ha rappresentato un’ottima scusa per far sparire i senzatetto dalle strade Kigali e per accelerare il processo di riqualificazione di alcune aree a basso reddito, non senza controversie.

GENZ-212

Dopo le insurrezioni giovanili che di recente hanno travolto Indonesia, Nepal, Madagascar e Perù, ora è il turno della “GenZ-212”, dove il numero è il prefisso telefonico del Marocco. Un’organizzazione anonima e senza legami espliciti con partiti politici, composta da giovani nati a cavallo del nuovo millennio e coordinata principalmente su Discord, TikTok, Instagram e altri social. Un nucleo che insieme a Morocco Youth Voice dà risonanza al malcontento delle nuove generazioni e che chiede, prima di tutto, servizi pubblici che funzionino e un impegno concreto contro la corruzione.

GenZ-212 negli ultimi dieci giorni è stata protagonista dei momenti più movimentati nel paese dai tempi della Primavera Araba del 2011 e delle tensioni nel Rif del 2016. Da sabato 27 settembre la mobilitazione è cresciuta città dopo città, raggiungendo anche le aree rurali, dopo che la scintilla è scattata ad Agadir. La morte ravvicinata di otto donne in un reparto maternità, dovuta alla mancanza di figure specializzate e di strumentazione adeguata, ha tolto ogni filtro al malcontento per lo stato della sanità pubblica, percepita come carente e diseguale, con valide argomentazioni. I numeri dicono che il sistema sanitario del Marocco è ampiamente sottodimensionato rispetto agli standard dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), con una stima nel 2023 di 7.8 operatori ogni 10.000 abitanti, e addirittura la metà in alcune aree del paese, tra cui la stessa Agadir (4.5). Le linee guida dell’OMS suggeriscono almeno 25 medici ogni 10.000 persone. Le proteste, però, denunciano una vasta gamma di problemi strutturali: non solo il personale, ma anche edifici, posti letto, strumentazione, accessibilità della sanità pubblica e capillarità sul territorio.

Da qui si espande la spaccatura dilagata nelle strade marocchine, e depositaria di un malessere più profondo. I rappresentanti di GenZ-212 hanno parlato anche di istruzione pubblica, disuguaglianze territoriali, corruzione, sussidi, salari, pensioni e perfino di una riforma culturale che vuole l’inglese come seconda lingua al posto del francese. E soprattutto, hanno denunciato i preoccupanti livelli della disoccupazione giovanile, che si aggira tra il 36% (fascia 15-24 anni) e il 22% (25-34), stando alle stime dell’HCP, l’ufficio nazionale di statistica. Secondo i dati CESE (Conseil Économique, Social et Environnemental), oggi il 19% dei laureati è senza un lavoro stabile e un quarto dei marocchini di età compresa tra i 15 e i 24 anni non è né in formazione, né impiegato, né inserito in percorsi educativi. Una serie di buoni motivi per cui non deve sorprendere, come riportato da Le Monde, che il 70% dei partecipanti alle mobilitazioni di questi giorni sia minorenne. Online, nel frattempo, i canali del movimento hanno raccolto centinaia di migliaia di adesioni, dentro e fuori le città marocchine.

Tra cortei più e meno pacifici, e con alcuni picchi di violenza, in una settimana si sono registrati circa trecento feriti e oltre quattrocento arresti. Le autorità locali puntano il dito contro atti di vandalismo e attacchi alle forze dell’ordine, mentre osservatori internazionali e ONG quali Amnesty International denunciano reazioni sproporzionate della polizia e un preoccupante ricorso a misure detentive. Su mandato del governo, che ha sostanzialmente negato il diritto ad ogni raduno e assembramento dal secondo giorno di protesta in avanti, la polizia e gli agenti antisommossa delle Forze Ausiliari hanno contrastato duramente le mobilitazioni, arrestando centinaia di giovani, trattenendo in detenzione quelli colti recidivamente in piazza e distruggendo i loro cellulari per lasciarli in isolamento, come spiegato dalla sociologa Samira Mizbar. Più di un manifestante che ha preso la parola davanti alle telecamere non è riuscito a finire la frase prima che gli agenti lo trascinassero sulle proprie camionette. “Spezza il cuore vedere giovani istruiti e pacifici affrontare arresti arbitrari”, commenta la già citata Hajar Belhassan. “Riteniamo inaccettabile un approccio securitario di fronte alle richieste sociali dei giovani”, ha aggiunto Hakim Sikouk, portavoce dell’Associazione Marocchina per i Diritti Umani. “È stata usata violenza sistematica contro un gruppo di giovani che manifestavano pacificamente: una condotta che condanniamo, così come tutti gli arresti degli ultimi giorni.”

SPESE MONDIALI

Come detto, c’è un urlo che sta facendo il giro del mondo: basta grandi opere sportive per il 2025 e il 2030, se ospedali e aule restano indietro. Ed è qui che il calcio entra in scena, come terreno di confronto e metro di paragone, più che come bersaglio. Ma anche come voce, quelle ad esempio di Azzeddine Ounahi e Nayef Aguerd, giocatori rispettivamente del Girona e del Marsiglia, entrambi nel giro della Nazionale marocchina, che si sono spesi pubblicamente in favore delle proteste della GenZ-2012. Come loro anche Hakim Ziyech, ex Ajax e Chelsea, che ha scritto sui propri social: “Per i nostri diritti, la dignità, la sanità e l’educazione”. Sono testimonianze significative in questo discorso perché arrivano da dentro il mondo del calcio, e contribuiscono a inquadrare il posto che lo sport occupa nel dibattito.

Il tema della priorità delle spese pubbliche è esasperato dai numeri circolati sugli investimenti pre-AFCON. Una convenzione firmata tra governo e CDG Fund ha predisposto 9.5 miliardi di dirham (circa 865 milioni di euro) per l’ammodernamento di sei stadi in vista della Coppa d’Africa, con un’ulteriore dote prevista per allinearsi agli standard FIFA entro il 2028. Lo stadio Prince Moulay Abdellah di Rabat è appena stato inaugurato ed è oggi la nuova casa della Nazionale. Progettato da Populous, ha 68.700 posti a sedere, ospiterà la gara inaugurale dell’AFCON 2025 e probabilmente anche la finale, nel primo stress test dell’impianto e della macchina organizzativa. Si è messo poi in cantiere il nuovo Grand Stade/Hassan II a Benslimane, nell’area di Casablanca: una cattedrale da 115.000 posti (sì, avete letto bene), con un costo che si avvicina al mezzo miliardo di euro per quello che sarà lo stadio più grande di tutto il continente, e il terzo in tutto il mondo. È l’emblema di un piano che punta alle stelle e che non bada a spese, e che inevitabilmente è finito per diventare anche il simbolo delle proteste.

Intorno, poi, si muove un mosaico di cantieri, lungo le nove sedi designate per l’AFCON 2025. Anche città come Benslimane, Marrakech, Agadir e Fez stanno ristrutturando i propri impianti, mentre fuori dall’ambito sportivo gli upgrade più ingenti riguardano le città chiave dell’evento e dell’accoglienza turistica - Rabat, Marrakech, Agadir, Fez e Tangeri. Sono innumerevoli gli interventi annunciati su alberghi, aeroporti e trasporti, compresa l’estensione dell’alta velocità verso sud, con l’obiettivo dichiarato di trasformare la Coppa d’Africa in arrivo in volano per turismo e investimenti, e in evento capace di creare posti di lavoro prima e dopo lo svolgimento del torneo. Ma è qui che il linguaggio della GenZ-212 si fa più netto: “Se si può correre per gli stadi, perché non per ospedali e scuole?”, o ancora “e tutto il resto del Marocco, che benefici ne trarrà?”. Le proteste hanno evidenziato le disuguaglianze che si celano dietro al progresso, in un paese in cui il governo sbandiera con orgoglio la crescita del PIL e il miglioramento degli standard nelle grandi città, ma in cui allo stesso tempo oltre il 50% delle aree rurali, ad esempio, non ha accesso all’acqua corrente o a strutture sanitarie adeguate.

Come anticipato, infine, a Rabat gli interventi urbanistici di “modernizzazione” hanno portato a espropri e demolizioni di interi isolati nei quartieri popolari di L’Océan, Sania Gharbia e Douar El Askar, storici nuclei della capitale. Nei dintorni del nuovo stadio Prince Moulay Abdellah, i bulldozer aprono nuove vie di accesso per i tifosi, mentre migliaia di residenti sono stati costretti a lasciare le proprie case, con contestazioni su indennizzi e trasparenza. Le agenzie governative rivendicano procedure regolari e ricollocazioni consensuali, mentre l’opposizione, l’AMDH (Associazione Marocchina per i Diritti Umani) e diversi osservatori internazionali denunciano pressioni sui residenti e compensi inadeguati. Il tutto rientra nel programma “Morocco 2030”, il piano di rinnovamento urbano e infrastrutturale che accompagna i lavori del Mondiale.

ORIZZONTI

Tra meno di tre mesi, dal 20 dicembre, la Coppa d’Africa porterà in Marocco un mese di partite, tifosi, visitatori, addetti ai lavori, telecamere e sponsor. Ma non si tratta solo di questo, o dei Mondiali 2030: il paese nordafricano ha già ospitato le fasi finali della Champions League africana (maschile nel 2021 e 2022, femminile nel 2022 e 2024), oltre all’AFCON femminile 2022 e 2024, con l’assegnazione già in tasca per il 2026. Insomma, il calcio sta diventando un business gigantesco per Rabat.

Eventi del genere hanno un forte impatto sul turismo, che per il Marocco rappresenta una delle principali fonti di ricchezza. Se tra gennaio e settembre 2025 sono stati accolti quasi 14 milioni di visitatori stranieri, con un aumento del 15% rispetto allo stesso periodo nel 2024 (dati: Ministero del Turismo), la Coppa d’Africa e il Mondiale in arrivo possono gettare le basi per un’ulteriore crescita. Mentre la politica insiste su questa narrativa del “volano economico“, però, i giovani si impuntano: senza una svolta sui servizi pubblici e una riforma per una distribuzione più equa (delle spese pubbliche e degli introiti di questi eventi), la vetrina rischia di diventare un boomerang, riflettendo l’esatto opposto di quella realtà che il governo sognava al momento dell’assegnazione. E cioè un paese teso, dilaniato dagli scontri nelle strade, con un profondo solco generazionale e una crescente sfiducia verso i partiti in parlamento (stimata intorno al 67% della popolazione, secondo un recente sondaggio dell’Istituto marocchino di analisi politica).

In mezzo, c’è il tempo e lo spazio - ristretto - per un nuovo dialogo. Nelle ultime settimane i segnali sono stati contraddittori: se la repressione iniziale aveva irrigidito il clima, in seguito sono arrivati toni più concilianti dalla sfera politica. Ad esempio la “sincerità delle richieste” riconosciuta dal ministro Younes Sekkouri e l’apertura al confronto del premier Aziz Akhannouch, in attesa del discorso di re Mohamed VI all’apertura della prossima sessione parlamentare. Nel 2011 le proteste avevano spinto la monarchia a devolvere una parte dei poteri al parlamento, mentre GenZ-212 nei giorni scorsi ha ripreso un discorso di qualche anno fa dello stesso re Mohamed VI, in cui invitava i funzionari pubblici “ad ascoltare i cittadini” e “svolgere i propri doveri politici”, oppure “ritirarsi dalla vita pubblica”.

È qui che l’avvicinamento all’AFCON può pesare: con nove città coinvolte, flussi turistici e gli occhi del mondo addosso, abbassare la temperatura sociale sarà per forza di cose un interesse prioritario del governo. E non si tratta solo di ordine pubblico: serve un perimetro di impegni concreti su sanità, istruzione, costo della vita, lavoro giovanile e lotta alla corruzione. La vetrina sportiva si può trasformare così in leva per politiche più eque, ribaltando il gioco delle parti tradizionalmente associato a questi eventi. L’urgenza di fare bella figura rappresenta infatti un acceleratore che per una volta conviene a chi contesta, e per GenZ-212 l’obiettivo è proprio questo: usare Coppa d’Africa e Mondiale come occasione per riformare l’assetto del paese. O quantomeno per creare un nuovo terreno di confronto, in cui le esigenze dei giovani, delle fasce sociali più fragili e del Marocco che vive ai margini delle grandi città siano prese maggiormente in considerazione. “Meno stadi, più ospedali” non è un attacco al calcio, ma una domanda di priorità condivise.


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