Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Guida ai playoff di Eurolega 2019
16 apr 2019
16 apr 2019
La migliore Eurolega del Terzo Millennio ha prodotto otto squadre da playoff, tutte con un percorso particolare.
(articolo)
22 min
Dark mode
(ON)

Third time’s the charm, la terza volta è quella giusta. Sebbene i primi due anni della nuova Eurolega non siano stati privi di spettacolo e imprevedibilità, è indubbio che i sei mesi che ci siamo lasciati alle spalle abbiano rappresentato il picco massimo del basket continentale dell’ultimo decennio. Era la speranza a inizio stagione, lo è diventata con l’annata dei record.

Nessuno aveva vinto tante partite quante il Fenerbahce (25, compreso un perfetto 15 su 15 in casa). Nessuno aveva compiuto un miglioramento diametralmente opposto rispetto alla stagione precedente come l’Efes, capace di vincere 13 partite in più rispetto al 2017-18. Nessuno aveva guidato la competizione per punti segnati di media senza raggiungere i playoff come l’Olimpia Milano (era successo solo a Verona nel 2000-01, ma era la stagione della diaspora tra Eurolega e Suproleague). E non c’era mai stata una lotta playoff come quest’anno, con sei squadre in corsa fino all’ultima giornata con 29 partite alle spalle.

Trenta giornate, mesi di trasferte, infortuni, strisce di vittorie e sconfitte che hanno partorito quattro serie di playoff divertenti e interessanti da analizzare e decifrare, tutte con un leit-motiv comune. Per otto squadre che vanno a caccia delle Final Four di Vitoria e di un titolo che sarebbe storico per ciascuna di loro.

Fenerbahce - Zalgiris, le due conferme

Il Maestro contro l’Allievo prediletto, atto II. Quando il 18 maggio 2018 la sirena della Stark Arena di Belgrado segnava la fine della prima semifinale delle Final Four, tutti i presenti (e gli spettatori alla tv) erano sicuri di aver visto il primo grande capitolo di una sfida destinata a segnare i prossimi anni del basket europeo: quella tra Zelimir Obradovic e Sarunas Jasikevicius.

Ben pochi, però, avrebbero immaginato che avremmo avuto il secondo atto del duello tra Zeljko e Saras già in questa stagione. Se il Fenerbahce ha dominato sin dall’avvio, aprendo il girone d’andata con un irreale record di 14-1 prima di chiudere con i numeri già citati in apertura d’articolo, lo Zalgiris ha vissuto una stagione sottotono - in linea con le aspettative di ridimensionamento dopo l’exploit della scorsa stagione - prima di compiere una delle rimonte più incredibili della storia del basket europeo.

La sera del 7 febbraio, con la sconfitta sul campo di quel Barcellona che a lungo nelle ultime stagioni ha cercato Jasikevicius per la sua panchina, i lituani avevano un record poco lusinghiero di 8 vinte e 14 perse, utile per il 13° posto in classifica. Passata la pausa per le coppe nazionali, è iniziata l’incredibile rincorsa dello Zalgiris: sette vittorie nelle ultime otto partite di cui le ultime sei consecutive, con gli scalpi prestigiosi sui campi di Maccabi, Olympiacos e Real Madrid. Kaunas ha raggiunto un traguardo che sembrava impensabile per una squadra rifondata in estate dopo la Final Four di Belgrado, e che invece sulle sue conferme ha poggiato le basi per un nuovo exploit.

A 13 minuti dalla fine del match del Pireo lo Zalgiris era sotto di 12, con appena 39 punti segnati in 27 minuti. E invece si è ripetuto l’upset dello scorso anno.

In copertina, infatti, c’è soprattutto Brandon Davies. L’ex centro di Varese ha chiuso una stagione da massimi in carriera per punti e rimbalzi con i 27 punti di Madrid (12 negli ultimi 5 minuti), decisivi per sbancare un campo in cui lo Zalgiris non vinceva dal 1999. Alla candidatura di Davies per uno dei due quintetti ideali della stagione si sono affiancate le solide stagioni di tre punti fermi rispetto alla scorsa stagione (White, Milaknis e Ulanovas) e di alcune delle novità della stagione (Westermann e Grigonis, i più affidabili dall’arco). Più tempo ha richiesto l’inserimento di Nate Wolters, sostituto naturale di Kevin Pangos, che proprio contro il Fenerbahce ha giocato la sua migliore partita stagionale.

Sulla carta, però, questa è una serie che non ha storia. Il Fenerbahce non perde in casa dalla scorsa stagione e solo il CSKA ha vinto più partite lontano dal pubblico amico dei gialloneri. È la miglior difesa dell’Eurolega (solo 75.2 punti subiti di media a partita) e in attacco può vantare ben sette giocatori oltre il 40% dalla linea dei tre punti: Bobby Dixon/Ali Muhammed (il migliore con il 49.6%, solo Dairis Bertans e Cory Higgins hanno fatto meglio), Guduric, Sloukas (che ha chiuso una stagione regolare da 60-45-90 al tiro), Mahmutoglu, Green, Melli e Datome, e per tutti - tranne i due azzurri - si tratta della migliore stagione in carriera nel tiro da 3. La stagione dall’arco dei gialloneri è la terza migliore di sempre in era Eurolega.

Per Dixon è fresca la notizia del rinnovo fino al 2021, per una carriera che si chiuderà in maglia Fenerbahce.

Se per lo Zalgiris sarà molto difficile portare la serie anche soltanto a gara-4, questo non vuol dire che ci aspetteranno partite senza storia sin dalla palla a due di gara-1. Nel match d’andata, infatti, lo Zalgiris è arrivato ad avere fino a 16 punti di vantaggio nel primo tempo, costringendo il Fenerbahce a una furiosa rimonta. Di fronte si troveranno le due squadre più dure a rimbalzo (turchi e lituani sono numero 1 e 2 per il minor numero di rimbalzi concessi, con il Fener che fa valere la forza di Jan Vesely) e probabilmente quelle che hanno messo in mostra la miglior pallacanestro in questa stagione. Il secondo titolo (e la quarta finale consecutiva) è l’obiettivo numero 1 per il Fenerbahce come per Obradovic, a caccia del decimo titolo personale: nonostante lo spettacolo e la sfida nella sfida, è qui che potrebbe verificarsi l’unico sweep dei quarti di finale.

Efes - Barcellona, le due ribaltate

Dodici mesi fa Efes Istanbul e Barcellona chiudevano la stagione di Eurolega da deluse. I turchi erano scivolati dal 6° posto di un anno prima a una disastrosa stagione da 7 vittorie e 23 sconfitte; i catalani, invece, avevano conquistato una sola vittoria in più rispetto alle 10 del 2016-17, chiudendo lontanissimi dalla zona playoff.

Oggi, invece, le due squadre guidate da due vecchie conoscenze del nostro basket come Ergin Ataman e Svetislav Pesic sono pronte a sfidarsi per il “quarto biglietto” per le Final Four di Vitoria, dietro le tre irraggiungibili grandi. Rispetto allo scorso anno, Efes e Barcellona hanno vinto un totale di 20 partite in più: 13 per i turchi, già sicuri della migliore stagione europea della loro storia per numero di vittorie, e 7 per i catalani, protagonisti di un’annata piena di strisce di vittorie e sconfitte consecutive.

L’imprevedibilità di questa serie è data anche dai precedenti stagionali, che parlano di due larghe vittorie casalinghe. L’Efes, da parte sua, si è confermata proprietaria di un fattore campo piuttosto “caldo”, mentre il Barcellona ha dalla sua anche la “cabala” del 5° posto: Fenerbahce 2017 e Real 2018, le prime due vincitrici della “nuova” Eurolega, hanno costruito la vittoria finale partendo dalla quinta posizione al termine della stagione regolare.

L’ultimo match tra le due squadre in ordine di tempo, la netta vittoria dell’Efes. Ribaltando il -15 dell’andata, i turchi hanno blindato il 4° posto battendo proprio i catalani.

Nella difficoltà del pronostico, vale la pena dire che si affrontano due squadre molto diverse tra loro. I turchi hanno uno degli attacchi più spettacolari del torneo: quarti per punti realizzati e secondi per percentuali da 2, da 3 e per assist, l’Efes ha però anche la penultima difesa tra le qualificate ai playoff. Il merito di questa rivoluzione, oltre alla normalità e lucida semplicità portata dalla pallacanestro di Ataman, è essenzialmente di due nuovi arrivati, uno dei quali vivrà questa serie da ex.

Esploso nella scorsa stagione allo Zalgiris, Vasilije Micic si è definitivamente affermato in questa stagione come una delle migliori guardie d’Europa. Complemento perfetto per l’imprevedibilità di Shane Larkin, Micic è tra i sette giocatori della squadra turca a segnare almeno 8 punti a partita, la migliore testimonianza di un attacco bilanciato e ben distribuito. Il top scorer dell’Efes, però, è l’ex Barça Adrien Moerman: i 12.3 punti di media del francese sono un career high, e i 6.4 rimbalzi di media a partita lo rendono uno dei migliori della competizione.

Solo in una delle precedenti cinque annate in Eurolega il francese era andato in doppia cifra di media per punti, a cui aggiunge il 59% da 2 e un solido 42% da 3.

Dopo 23 vittorie nei primi due anni della nuova Eurolega, il Barcellona aveva l’obbligo di cambiare marcia. I 18 successi stagionali dei blaugrana - che valgono ancor di più se si pensa a una Liga ACB sin qui condotta con autorità e a una Copa del Rey già in bacheca - portano la firma in calce di un santone del basket europeo come Pesic, che già lo scorso anno aveva parzialmente raddrizzato la deriva catalana, ma soprattutto è la difesa a saltare all’occhio.

Seconda migliore d’Europa sia per punti concessi (dietro il Fenerbahce) che per rating difensivo (dietro il Real Madrid), dalla metà campo difensiva il Barça costruisce un attacco bilanciato ed equilibrato, che vede in Thomas Heurtel (altro ex della sfida) la prima opzione offensiva. Pesic però ha molte frecce nell’arco e nelle rotazioni, di conseguenza, molto ampie: nessuno ha giocato più dei 24 minuti di media dell’ex Panathinaikos Chris Singleton e ben 11 giocatori hanno visto il parquet con un minutaggio di almeno 14 minuti di media. La maggiore esperienza blaugrana (cinque giocatori con un passato alle Final Four) e le migliori capacità difensive fanno pendere leggermente la bilancia dalla parte del Barcellona, ma il fattore campo potrebbe essere decisivo più che in altre serie.

CSKA - Baskonia, le due più motivate

Dodici giorni dopo essersi affrontate nell’ultima partita di stagione regolare, CSKA Mosca e Baskonia Vitoria-Gasteiz si ritroveranno per una serie di playoff con molto in palio per le due squadre, tra le principali protagoniste degli ultimi anni e già rivali in precedenza in ben tre serie nelle ultime 10 stagioni, che hanno sempre visto la vittoria dei moscoviti (per un record complessivo di 9 vinte e 2 perse).

Quest’anno, però, si affrontano due squadre che hanno molto da perdere. Il CSKA insegue quella che sarebbe l’ottava Final Four consecutiva e la numero 16 nelle ultime 17 stagioni, condizione necessaria per conquistare un titolo che verosimilmente allungherebbe l’era di Dimitris Itoudis sulla panchina russa. L’Armata Rossa arriva alla postseason forte dello stesso numero di vittorie della scorsa stagione e della continuità data dallo stesso gruppo dello scorso anno, con le aggiunte di Bolomboy, Peters e Daniel Hackett che alla distanza si sono rivelate di valore grazie all’inserimento nella continuità del progetto moscovita.

Unico rookie a livello di basket europeo, proprio contro Baskonia Peters ha giocato la sua migliore partita stagionale, e rappresenta una pedina importante nello scacchiere di Itoudis.

La ragione principale per l’esplosività del CSKA in questa stagione, però, è data dal rendimento delle tre principali bocche da fuoco del secondo miglior attacco dell’Eurolega: se Nando De Colo si è confermato come uno dei migliori giocatori al mondo fuori dalla NBA, il grande passo in più è stato quello di Cory Higgins e Will Clyburn. Il primo è stato il secondo miglior marcatore della stagione europea con uno strepitoso 53% da 3 punti, mentre il secondo è in top-10 sia per punti (ottavo) che per rimbalzi (quarto).

Dall’altra parte, invece, c’è una squadra che nel corso della stagione ha vissuto più vite, tutte intense, nell’anno che doveva essere della rincorsa alle Final Four casalinghe. Una nuova partenza lenta (2-6 nelle prime 8) è costata la panchina a Pedro Martinez, protagonista della rimonta playoff dello scorso anno, e gli infortuni di Garino (16 partite saltate), Granger (18) e soprattutto Toko Shengelia (rientrato proprio nella sfida del 4 aprile a Mosca dopo 3 mesi abbondanti di stop) hanno costretto i baschi a ridisegnare gerarchie e rotazioni.

Per fortuna di coach Perasovic, approdato alla sua terza esperienza sulla panchina basca (dopo tre Final Four raggiunte nelle tre stagioni vissute a Vitoria), il 2018-19 ha rappresentato sin qui la breakout season di due giocatori su tutti: Luca Vildoza e Vincent Poirier. L’argentino di passaporto italiano è probabilmente il Most Improved Player della stagione: la sua leadership in cabina di regia e la sua affidabilità al tiro (40% da 3) l’hanno reso un punto fermo in una nave spesso in tempesta. Il lungo francese, che grazie a questa annata sta attirando anche sirene NBA, è il miglior rimbalzista dell’anno e una sua presenza in uno dei quintetti ideali della stagione non stupirebbe nessuno.

Un personaggio interessante anche fuori dal campo.

L’esplosione di Poirier e Vildoza, la conferma a livello Eurolega di un talento come Shavon Shields e l’affidabilità di un veterano come Marcelinho Huertas hanno tenuto a galla i baschi, nonostante un cattivo record esterno (4-11, il peggiore tra le prime otto) e tre sconfitte nelle ultime quattro giornate. I due precedenti stagionali ci parlano di due partite equilibrate con una vittoria per parte: l’impressione è che questa possa essere una serie lunga ma sempre capace di rispettare il fattore campo. Il CSKA è largamente favorito, ma potendo scegliere Itoudis probabilmente preferirebbe vincere le prime partite in trasferta alla Fernando Buesa Arena intorno a metà maggio, in campo neutro.

Real Madrid - Panathinaikos, le due ritrovate

Un anno fa era stata la serie segnata dal ritorno dall’infortunio di Sergio Llull e dalla consacrazione di un Luka Doncic non brillante ma tremendamente clutch - la porta aperta dal Real Madrid per conquistare la sua decima Eurolega sotto il segno del talento sloveno. Dodici mesi dopo, Panathinaikos e merengues si ritrovano a fattore campo invertito, per una serie che avrà molti protagonisti in comune rispetto alla scorsa stagione, ma anche molte novità. E che si annuncia ricca di spettacolo.

Nell’Anno 1 Post-Doncic, i campioni d’Europa in carica si sono mossi all’insegna della continuità, con due sole aggiunte di rilievo (lo sloveno Prepelic e l’argentino Gabriel Deck) che invero hanno avuto un impatto minimo sulle sorti europee dei madrileni. Nell’anno in cui Sergio Llull si è ripreso definitivamente in mano le chiavi del Real, la marcia in più è stata quella messa in campo da due giocatori che sono cresciuti di responsabilità e gerarchie: Facundo Campazzo è stato il giocatore più impiegato da coach Laso, ed è cresciuto in capacità di gestione della partita e leadership; Walter Tavares ormai non è solo più un freak atletico, ma un rebus di difficilissima soluzione per qualsiasi avversario e uno dei migliori difensori in area d’Europa.

Un “antipasto” della serie: la rocambolesca vittoria madrilena di fine marzo, col canestro di Fernandez che ha annullato i 18 punti di vantaggio dei greci nel primo quarto.

Proprio il capoverdiano potrebbe essere una delle chiavi decisive della serie: la sua fisicità, unita a quella di Ayon e alla verticalità di Randolph, contribuisce a rendere il Madrid la migliore squadra a rimbalzo dell’Eurolega e le larghe rotazioni (11 giocatori oltre i 14 minuti di media a partita) rendono la squadra di Laso in grado di schierare sempre il miglior assetto disponibile. Contro una squadra dall’elevato atletismo ma tonnellaggio limitato, il rendimento dei lunghi sarà essenziale.

Dall’altra parte, però, c’è la squadra del momento, quella contro cui è forse impossibile scommettere. Fino a Natale, il Panathinaikos aveva confermato le difficoltà in trasferta già viste nella scorsa stagione (1-5 nel girone d’andata), a cui però si era aggiunta una scarsa efficacia a OAKA (contro la singola sconfitta della scorsa stagione, già tre - Fenerbahce, Zalgiris e Milano - nei primi tre mesi di stagione). Dati che sono costati la panchina a Xavi Pascual, mai del tutto convincente in Eurolega con i greens nonostante un ruolino da dominatore in campionato. La scelta del nuovo allenatore, però, ha stupito tutti.

Rick Pitino ha rivoltato la stagione del Panathinaikos. E si appresta ad affrontare la sua prima serie di playoff in 30 anni.

Sin dalla prima partita dallo sbarco in Grecia di Rick Pitino, la musica per il Panathinaikos è cambiata radicalmente: con l’ex coach di Louisville e Kentucky il Pana ha perso una sola volta a OAKA (la già citata partita di fine marzo contro il Real) e ha conquistato i playoff con un finale strepitoso da 7 vittorie nelle ultime otto partite (inclusi i blitz sui campi di CSKA e Milano). Chi ha beneficiato maggiormente dell’arrivo in Grecia di Pitino è indubbiamente Nick Calathes, definito dallo stesso coach newyorkese come «il migliore passatore che abbia mai visto».

La storica tripla doppia (la prima in Eurolega dal 2006, la terza nell’era moderna) registrata nell’ultima decisiva giornata contro il Buducnost ha probabilmente consacrato la candidatura del greco-americano a MVP della stagione europea: con Pitino, Calathes ha registrato medie di 14 punti, 5 rimbalzi e 10 assist a partita con il 45% dal campo, e attorno a lui sono stati evidenti i miglioramenti soprattutto di Papapetrou, Thomas e Georgios Papagiannis, ex oggetto misterioso dei Sacramento Kings. Decisivo è stato anche l’approdo in Grecia dell’ex Nets Sean Kilpatrick, che ha scelto l’Europa anche per la presenza di un maestro della storia del basket come lo stesso Pitino.

Un esempio dell’atletismo del Panathinaikos, squadra che non rinuncia mai a una giocata sopra il ferro - aspetto che potrebbe mettere in difficoltà il Real Madrid.

Sull’esito questa serie aleggiano, minacciose, le condizioni di Sergio Llull, dato in forte dubbio dallo stesso Laso nei giorni scorsi. L’assenza del leader della nazionale spagnola accrescerebbe di molto le possibilità dei greci, in particolare per il matchup diretto tra Calathes e Campazzo che sarebbe più favorevole al primo. Se è ragionevole scommettere sulla vittoria finale della competizione da parte del Fenerbahce, un’opinione forte potrebbe essere quella di puntare, per la sera del 19 maggio a Vitoria, sulla squadra che si porterà a casa questa serie di playoff. E in quanti, oggi, scommetterebbero a occhi chiusi contro il Panathinaikos di Calathes e Pitino?

Chi manca e perché

Con l’ingresso di Efes e Barcellona, sono due le escluse dalle prime otto rispetto alla scorsa stagione. In ordine di classifica, la prima delle beffate è l’Olympiacos di David Blatt, affondato nella parte conclusiva (4-9 nelle ultime 13 partite, con una striscia di 5 ko consecutivi) di una stagione mai del tutto decollata. Il primo anno dell’era biancorossa dell’ex coach dei Cleveland Cavaliers potrebbe essere anche l’ultimo: nelle ultime settimane Blatt ha mostrato evidenti problemi di salute e in campionato la situazione non è delle migliori, con le penalizzazioni per l’abbandono nel derby contro il Panathinaikos che potrebbero pregiudicare il cammino playoff per una squadra a secco di trofei dal 2016. Probabilmente si tratta della fine del ciclo per alcuni dei suoi uomini chiave come, ad esempio, Vassilis Spanoulis e Giorgos Printezis, usciti fortemente ridimensionati da questa annata che ne segna l’inizio della parabola discendente.

Rimane fuori, rispetto al 2017-18, anche il Khimki Mosca: i cambiamenti estivi non hanno consolidato lo status dell’altra squadra russa, e l’infortunio patito da Alexey Shved è prima costato la panchina a Giorgos Bartzokas e poi una mesta stagione europea ai moscoviti, impegnati ora in campionato per confermare il loro posto nella competizione ed evitare una scomoda rifondazione estiva.

Il punto più alto della stagione del Khimki: la vittoria sul Fenerbahce che ha chiuso la striscia da 12 vittorie consecutive dei turchi.

Con la qualificazione del Barcellona ai playoff, rimangono soltanto due squadre - almeno tra quelle con la licenza decennale - a non essersi mai qualificate per la postseason nelle prime tre stagioni della nuova riforma. Una di queste è il Maccabi Tel Aviv, che ha gettato al vento la qualificazione nella scorsa stagione con un pessimo finale, che ha avuto una minima scia anche sul 2018-19 iniziato con un record di 1-8. Il brutto avvio è costato la panchina all’ex Roseto Spahjia, sostituito dal greco Sfairopoulos, che ha cambiato faccia a una squadra fortemente rinnovata in estate, capace comunque di rimettersi in carreggiata ma arrivata scarica al rush finale.

Una piacevole sorpresa è stata, invece, la stagione del Bayern Monaco: i bavaresi, arrivati in Eurolega con un anno d’anticipo sulla licenza biennale che entrerà in vigore nella prossima stagione, hanno optato per alcune aggiunte mirate alla squadra capace di raggiungere la semifinale di Eurocup nella scorsa stagione (oltre alla vittoria della Bundesliga). L’esperienza e la qualità in cabina di regia di Petteri Koponen e l’atletismo e potenza del rookie - a livello d’Europa - Derrick Williams hanno permesso ai bavaresi di viaggiare per tutta la stagione in zona playoff, mancando la qualificazione probabilmente per una scarsa abitudine a questi livelli.

Derrick Williams sarà un grande protagonista del mercato estivo europeo.

Dietro ai bavaresi, sono state altre tre le novità della stagione, che però rispetto al Bayern hanno avvertito molto di più l’impatto con la lunga e logorante stagione di Eurolega. Il coraggioso Gran Canaria, a dire la verità, ha viaggiato ai margini della zona playoff per tutto il girone d’andata, togliendosi la soddisfazione di vittorie contro Barcellona o Maccabi o il successo al Forum contro Milano. Dieci sconfitte consecutive per aprire il girone di ritorno hanno avuto anche qualche ripercussione in Liga, dove i canarini sono impegnati in una impronosticabile lotta salvezza: alla fine il bilancio finale parla di 8 vittorie e di alcuni giocatori “confermati” al livello della competizione, come Markus Eriksson o il giovane lettone Pasecniks.

Più indietro, pressoché sempre ancorate agli ultimi due posti della classifica, sono Buducnost e Darussafaka, entrambe a secco (le uniche del lotto) di vittorie in trasferta. I montenegrini si sono però tolti la soddisfazione di ben tre vittorie contro squadre da playoff (CSKA, Real e Baskonia), oltre all’aver fornito un palcoscenico ai talenti - arrivati a metà stagione - di Norris Cole e Goga Bitadze. Il Darussafaka, invece, ha forse peggiorato la stagione difficile che si pronosticava alla vigilia, e solo con un finale orgoglioso (due vittorie nelle ultime quattro giornate) i record negativi riscritti dai turchi sono stati un minimo addolciti.

Del Buducnost ci ricorderemo l’impatto immediato di Goga Bitadze, prossimo protagonista del Draft NBA.

Milano e quel centesimo per fare l’Euro(pa)

Oltre al Maccabi, la seconda squadra con licenza pluriennale ad avere mancato i playoff di Eurolega nei primi tre anni della nuova formula è l’Olimpia Milano. Come gli israeliani, anche i meneghini sono cresciuti costantemente per numero di vittorie, ma il miglioramento (+4 rispetto al 2017-18) non è stato sufficiente per tornare tra quelle prime otto d’Europa in cui Milano manca dal 2014.

L’Olimpia ha chiuso la sua stagione europea con il miglior attacco della competizione e la seconda peggior difesa, vivendo un eterno paradosso in contraddizione con la mancata qualificazione che può essere imputata a due momenti chiave della stagione: la striscia di cinque sconfitte consecutive tra novembre e dicembre, capace di vanificare una partenza da 6-2; e soprattutto il “crollo” nel finale, con una sola vittoria nelle ultime sei giornate, nonostante un calendario sulla carta difficile, ma alla portata di una squadra a cui, però, è troppo spesso mancato il killer instinct con le grandi.

Il motivo principale della ritrovata competitività europea di Milano risiede, senza alcun dubbio, nel rendimento di Mike James. Insignito in estate dei galloni di leader della nuova Olimpia, l’ex giocatore di Baskonia, Panathinaikos e Phoenix Suns ha risposto presente, disputando una stagione da MVP della competizione e chiudendo come capocannoniere stagionale, oltre al riconoscimento come miglior giocatore del mese di febbraio. Non solo punti, però: James ha chiuso anche come secondo per assist, dietro all’ex compagno in Grecia Calathes, e primo per valutazione. Un rendimento a 360° che ha reso il 2018-19 la stagione della sua quasi definitiva consacrazione.

Per larghi tratti della stagione di Mike James, tutto sembrava possibile.

A Milano non mancano, indubbiamente, le attenuanti: in primis gli infortuni di due giocatori chiave come Nemanja Nedovic, che sulla carta doveva essere la seconda opzione offensiva e che invece è stato costretto a saltare 15 partite, rivelandosi - al ritorno in campo - soltanto a strappi il giocatore che tanto aveva impressionato in maglia Malaga nella scorsa stagione. Tegola pesantissima è stato anche lo stop di Arturas Gudaitis, fino all’infortunio patito contro Gran Canaria il miglior centro della stagione insieme a Jan Vesely.

Ai due stop (unito a quello, per meno partite, di Kaleb Tarczewski) c’è da aggiungere anche la partenza a febbraio di Dairis Bertans, che ha potuto coronare il sogno di una vita con l’approdo in NBA ai New Orleans Pelicans, ma anche le due novità portate in dote dal mercato: il lungo Alen Omic, arrivato come “polizza” assicurativa sotto canestro e rivelatosi inadeguato al livello e al sistema di gioco biancorosso, e James Nunnally, tornato in Europa dopo aver tentato la carta NBA con Minnesota e Houston, apparso troppo ondivago forse anche per il poco spazio trovato al di là dell’oceano e il ritmo non del tutto trovato con l’arrivo a stagione in corso.

Arturas Gudaitis ha chiuso anzitempo la migliore stagione della sua carriera.

In questo scenario, è immediatamente partito - a qualificazione ancora possibile - il processo al progetto di Simone Pianigiani, soprattutto le due brutte sconfitte contro Panathinaikos e Fenerbahce, prima delle quali Milano era rimasta l’unica squadra in Eurolega a non perdere una partita oltre i 10 punti di scarto. L’ex CT della Nazionale paga, in primis, un sistema difensivo altamente deficitario, che è costato più della singola partita che ha separato l’Olimpia dall’ingresso tra le prime otto d’Europa.

A inizio stagione Milano aveva trovato il modo di ottemperare alla carenza nel suo gioco con un piano partita che prevedeva la messa in difficoltà (e una sorta di trattamento speciale) della principale opzione offensiva avversaria (giocatori come Llull, Larkin o Shved proprio contro l’Olimpia hanno giocato la peggiore prova stagionale); con l’infortunio di Nedovic - e la maggiore prevedibilità, per gli avversari, del gioco milanese - tali premesse sono venute meno, e il maggiore ricorso allo small ball specialmente dopo l’infortunio di Gudaitis ha sortito gli effetti sperati in attacco, ma causato troppo spesso problemi a rimbalzo difensivo e sotto canestro.

Un’altra critica imputabile all’ex allenatore di Siena sta anche in una sorta di lenta reattività ai momenti delle partite, con timeout chiamati troppo tardi che sono costati parziali importanti in partite decisive. Allo stesso tempo, però, a Pianigiani va riconosciuta una coerenza e lucidità nell’analizzare fedelmente e senza proclami il momento della squadra, e soprattutto la volontà di difendere pubblicamente i propri giocatori in ogni momento, anche dopo episodi plateali (come alcune reazioni di Mike James nella sconfitta contro il Panathinaikos), non rinunciando a dichiarazioni forti in conferenza stampa. In caso di scudetto in Italia, l’Olimpia - secondo quanto confermato dal presidente Proli, in dubbio per la prossima stagione - dovrebbe ripartire da Pianigiani (al terzo e ultimo anno di contratto) e dall’ossatura della squadra di questa stagione (sono dati in partenza i soli Jerrells, Kuzminskas e Omic), con al massimo alcuni ritocchi e un lavoro che andrà incentrato sin da subito sulla metà campo difensiva. Per raggiungere, finalmente, quel centesimo che è mancato per fare l’Europa.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura