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Perché Griezmann deve vincere il Pallone d'Oro
03 dic 2018
03 dic 2018
Le ragioni per cui il Pallone d’Oro dovrebbe andare all'attaccante dell'Atletico Madrid.
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Fino alla scorsa stagione, la storia di Antoine Griezmann sembrava quella di uno abituato ad accontentarsi. Di uno che arriva a pochi millimetri da quello che desidera veramente, senza mai riuscire a toccarlo con mano. Ai tempi delle giovanili della Real Sociedad - in Spagna, lontano dalla famiglia, perché non aveva trovato una sola squadra francese che non lo considerasse troppo piccolo per giocare a calcio - dopo una partita contro il Real Madrid in cui aveva fatto da raccattapalle, ha potuto avvicinare il suo mito, Zinedine Zidane, e chiedergli la maglietta. Ma Zidane l’aveva già scambiata con un avversario e, vedendo la sua delusione, gli ha chiesto di accompagnarlo negli spogliatoi, dove gli ha dato i pantaloncini. Il giovane Griezmann ha conservato quei pantaloncini come una reliquia ma, insomma, sarebbe stato meglio avere la maglia da gara.

Prima del 2018, nella sua carriera professionistica, Antoine Griezmann si era sempre dovuto accontentare del secondo posto. O del terzo. O del diciottesimo. Aveva giocato due finali, e le aveva perse entrambe, a distanza di un mese e mezzo l’una dall’altra. Ha sbagliato il rigore contro il Real Madrid a San Siro, nella finale di Champions del 2016, e poi ha guardato il Portogallo vincere a Parigi, quell’Europeo di cui è stato capocannoniere (con 6 gol in 7 partite). Quell’anno è stato premiato, si fa per dire, con il terzo posto al Pallone d’Oro, e sembrava fosse il massimo a cui potesse arrivare: accontentarsi di un posto momentaneo dietro Ronaldo e Messi. L’anno dopo, senza finali perse né giocate, è scalato al diciottesimo.

Nel 2018, però, Griezmann ha giocato tre finali e le ha vinte tutte e tre. Ha segnato una doppietta nel 3-0 con cui l’Atletico Madrid ha battuto l’Olympique Marsiglia e vinto l’Europa League. Ha cancellato la memoria del rigore di due anni prima segnando dal dischetto il momentaneo 2-1 nella finale di Coppa del Mondo contro la Croazia (finita poi 4-2).

A dirla tutta, dopo aver giocato le prime tre partite sottotono - “la stanchezza era troppo forte”, ha detto a France Football nel numero dello scorso 8 ottobre - Griezmann è stato decisivo, in un modo o in un altro, in ogni partita della Francia.

Negli ottavi di finale con l’Argentina, ha segnato su rigore. Nei quarti con l'Uruguay, ha realizzato su punizione l’assist del vantaggio e poi ha segnato il gol che ha chiuso la partita, con un tiro da fuori sfuggito alla presa di Muslera. In semifinale con il Belgio, ha messo la palla sulla testa di Umtiti da calcio d’angolo, per l’1-0 che ha deciso la partita. In finale con la Croazia, con una punizione velenosa ha causato l’autogol che ha portato in vantaggio la Francia, prima di segnare il 2-1 e fare l’ultimo passaggio nell’azione del 3-1 di Pogba. È stato votato come migliore in campo della partita con l’Uruguay e della finale, terzo miglior giocatore del torneo dopo Modric e Hazard.

Poi, appena finito il Mondiale, “Grizou”, come lo chiamano i francesi con l’affetto riservato al più piccolo della famiglia, ha mandato un messaggio a Simeone con una foto della coppa («Guarda quanto è bella, se ci sono riuscito è anche grazie a te. Questa coppa è anche un po’ tua») dicendogli che avrebbe voluto esserci a tutti i costi per la Supercoppa Europea contro il Real Madrid. Si è portato un fisioterapista in vacanza e ha partecipato anche a quella vittoria dell’Atletico (4-2) sui tre volte campioni d’europa.

Così, nel 2018 Griezmann ha cambiato la propria storia ed è tornato al centro del discorso per il Pallone d’Oro al momento giusto, proprio quando sembra che una forza invisibile abbia deciso di spezzare l’incantesimo che ha fatto sì che negli ultimi 10 anni si alternassero Messi e Ronaldo (chiudendo la contesa in perfetta parità: cinque Palloni d’Oro ciascuno).

Anzi, sarebbe ironico se proprio adesso che i successi di squadra accompagnano le sue prestazioni individuali, a vincere il Pallone d’Oro fosse il miglior giocatore della squadra arrivata seconda al Mondiale.

Tutta la classe, la rapidità e la creatività di Griezmann sotto porta sono nel secondo gol segnato in finale contro il Marsiglia: quando alza la testa per controllare la posizione del portiere Mandanda, prima di spostare la palla prima di scavalcarlo con un pallonetto delicato, due tocchi eseguiti così velocemente che praticamente sono un tocco solo.

«Sono un giocatore di squadra, preferisco vincere qualcosa di collettivo piuttosto che un premio individuale», aveva detto Griezmann a L’Equipe lo scorso marzo. «Siamo la squadra migliore del mondo. E nella squadra migliore del mondo ci deve essere il giocatore migliore al mondo, no?», ha detto invece a France Football dopo il Mondiale, quando gli hanno chiesto se, escludendosi dalla competizione, avrebbe voluto che a vincere il Pallone d'Oro fosse stato uno dei suoi compagni.

Ma se finora abbiamo fatto l’elenco dei meriti principali di Antoine Griezmann nel 2018, la domanda principale resta quella circa il senso del Pallone d’Oro: è più giusto che un premio individuale raddoppi e confermi la realtà di fatto, premiando, cioè, chi in fondo ha già vinto, o se piuttosto debba esprimere simbolicamente un giudizio di merito e di gusto indipendente dal risultato che nel calcio, si sa, talvolta è bugiardo? Ma anche se volessimo premiare il migliore giocatore al mondo quest'anno, come facciamo a passare dalla consistenza mostruosa di Messi e Ronaldo, dalla razionalità dei loro record, a calciatori per cui in ultima analisi dobbiamo fidarci del nostro istinto?

Antoine Griezmann, ad esempio, non può essere giudicato solamente con i parametri dell’attaccante. Sempre nella sua ultima intervista a France Football, ha detto: «Non sono uno che fa 50 gol all’anno, ma penso al collettivo. Sono un attaccante ma gioco per la squadra. Difendo per la squadra e segno 20 gol a stagione, è un altro tipo di calcio». Anzi, si spende così tanto per gli altri che una volta Godìn gli ha dovuto dire anche fare gol è un modo per aiutare la squadra.

Non molto diversamente da Luka Modric, Griezmann sarebbe perfetto per anticipare una nuova era calcistica, quella del dopo Cristiano Ronaldo e Messi. Dopo la finale di Europa League, la sua partita della consacrazione, avevo scritto di Griezmann come di un giocatore onnipresente, piuttosto che onnipotente. E in una squadra come la Francia, che fin dallo scorso Europeo ha avuto molta difficoltà nel far arrivare la palla ai propri attaccanti, Griezmann ha unito Pogba, Kanté e Matuidi con Giroud e Mbappé.

Partendo dalla posizione di seconda punta (negli ultimi anni con l’Atletico) o da trequartista (con la Francia) Griezmann esprime il proprio potere in campo influenzando il ritmo dei compagni, accelerando e rallentando, teletrasportandosi da un punto del campo dove può rendersi utile giocando a uno o due tocchi, al cuore dell’area di rigore dove può finalizzare. Fa tutto con una tecnica di primissima qualità e un primo controllo tra i migliori in assoluto, correndo sulle punte con un equilibrio da ballerino e l’agilità di un serpente.

«Con quegli occhi azzurri può sembrare un angelo, in realtà è un diavolo» ha detto Lasarte, l’allenatore che lo ha estratto come un diamante dalla miniera delle giovanili della Real.

Griezmann sorprende per la sua capacità di trasformarsi in uno dei migliori giocatori al mondo - e tra i più divertenti - solo quando può permetterselo, quando è veramente utile. Ci dimentichiamo che tecnicamente può quasi tutto perché gioca spessissimo in modo semplice, poi fa qualcosa di eccezionale e ci ricordiamo della raffinatezza del suo talento. Ha detto di aver pensato di calciare il rigore contro la Croazia con un cucchiaio - come Zidane in finale nel 2006 contro l’Italia - ma che all’ultimo ha deciso di aprire il piatto. Griezmann è uno dei finalizzatori più lucidi e precisi nell’élite europea, uno dei migliori colpitori di testa in rapporto all’altezza non eccezionale, un acrobata, un creativo della conclusione a rete (che infatti ha segnato moltissimi gol bellissimi).

Ma è il suo Q.I. calcistico, la capacità con cui si adatta alle situazioni e ai diversi sistemi, a permettergli di essere decisivo nel club e in nazionale. «Se nell’Atlético, Griezmann è spesso la scarica di creatività in un attacco altrimenti prevedibile», ha scritto Daniele V. Morrone durante la Coppa del Mondo, «con la Francia diventa il giocatore che mette calma ad un attacco altrimenti poco razionale. Che gioca limitando l’istinto e la fantasia, sfruttando al massimo il potenziale delle sue letture e la capacità di fare la giocata giusta nel momento giusto».

Dopo la partita con l'Uruguay, la seconda patria di Griezmann, Simeone gli ha scritto dicendo che la Francia sarebbe potuta arrivare fino in fondo: «Ci ha visto molto forti tatticamente, molto vicini gli uni agli altri». E il collante, il medium che teneva uniti i diversi materiali di cui era fatta la Francia - e che le ha dato quella sfumatura cholista che il Cholo ha riconosciuto - era proprio lui.

Contro il Belgio, dopo il vantaggio di Umtiti, la Francia ha giocato la sua partita di maggior sofferenza (che per qualcuno, tipo Curtois e Hazard, ha delegittimato il loro successo). Griezmann è apparso in zone di campo molto lontane tra loro, dal limite della propria area dove ha offerto un appoggio tecnico sicuro per risalire il campo e sfuggire alla pressione, oppure ha preso fallo, all’area avversaria dove, a partita praticamente finita, è andato vicino al 2-0 con un rasoterra incrociato. Senza palla ha messo pressione a difensori e persino al portiere avversario e ha inseguito De Bruyne mettendogli fretta; con la palla ha sempre gestito il possesso con grande tranquillità, rallentando per far ordinare la fase offensiva della Francia, raccogliendo le sponde di Giroud e attivando le corse di Mbappé.

«Quando avevo la palla ho cercato di dare il ritmo che volevo, facendo delle pause o accelerando quando serviva», ha detto a fine partita, con la lucidità di un regista. Griezmann ha detto di aver pianto dopo la partita con il Belgio, perché in quel momento ha capito che avrebbero vinto il Mondiale.

L'esultanza con la "L" di "loser" che viene da Fortnite è costata a Griezmann qualche critica al Mondiale, perché presa troppo alla lettera come gesto di scherno dei suoi avversari. Nessuna malizia, ovviamente, da parte sua che l'ha fatta anche alla Coppa dorata...

In un Mondiale che le sembrava destinato, la Francia ha vinto grazie a un collettivo di giocatori coeso e armonioso. Ha vinto grazie al contrario di quella che nei paesi anglosassoni chiamano “mentalità da bunker”: l’idea cioè di sentirsi soli, chiusi in una stanza - nello spogliatoio - contro il mondo intero.

Mendy ha creato il gruppo whatsapp, Rami ha fatto evacuare l’hotel dopo aver fatto uno scherzo con l’estintore. Pogba ha alternato i balli ai discorsi motivazionali, e ha chiesto alla federazione di fare un anello per i vincitori come in NBA. Griezmann invece ha avuto l’idea di fare una festa, un giro di campo con la Coppa del Mondo (come aveva fatto con l’Europa League a Madrid), alla fine della prima amichevole in casa, perché la sfilata del pullman sugli Champs Élysées era durato troppo poco: «Quelle persone ci hanno aspettato per ore e in cinque minuti era tutto finito».

Il carisma di Griezmann si impone con discrezione sul contesto, ma ormai - almeno in campo - è talmente evidente che in molti pensano che, se proprio va premiato qualcuno per il Mondiale giocato, allora tanto vale premiare lui.

Difficile sostenere l’argomento secondo cui Griezmann - o Modric e Mbappé se è per questo - sia un calciatore in assoluto migliore di Cristiano Ronaldo e Messi, ma il suo non sarebbe solo il premio a uno di quelli che hanno vinto di più nel 2018 (anzi, proprio quello che ha vinto di più), quanto piuttosto all’idea di un attaccante veramente completo, che sa fare anche il difensore e il centrocampista senza dimenticarsi di conservare un rapporto privilegiato e speciale con la porta avversaria.

Tutta l'energia e l'intensità che Griezmann spende in giro per il campo sembra svanire in una specie di rilassatezza zen quando si trova a tu per tu con il portiere: non gli tremano più le gambe quando deve calciare un rigore e anzi sulle sue labbra sembra spuntare un sorriso mentre sta concludendo a rete (guardate bene il secondo gol all'OM, non sembra anche a voi che sorrida mentre cade a terra, dopo aver fatto il cucchiaio?). Griezmann non ha solo vinto qualcosa per la prima in carriera quest'anno, ma rispetto a tre anni fa è incredibilmente cresciuto e non dobbiamo farci ingannare dal fatto che abbia scelto di restare all'Atletico, perché probabilmente sarebbe titolare, e importantissimo, in qualsiasi altra squadra al mondo.

Lui ha detto che gli piacerebbe vincere il Pallone d’Oro perché vorrebbe diventare un esempio per gli altri. «Voglio che la gente mi guardi e dica: È campione del mondo ma non si accontenta». Ma che lo vinca o no, Griezmann ha già contraddetto quella che, fino ad appena un anno fa, sembrava essere la morale della sua storia. Griezmann non è uno che si accontenta.

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